domenica 18 ottobre 2020

Effetti collaterali. - Marco Travaglio

 

L’aspetto più seccante della seconda ondata non è solo il Covid, che per ora fa molti meno danni che nella prima. Ma anche il ritorno dei virologi da divano e degli epidemiologi da tastiera che, non avendo una mazza da fare e non potendo dare cattivi esempi, dispensano buoni consigli come gli umarell nei cantieri urbani. Per esempio Walter Veltroni, che non si sa più che mestiere faccia e ricorda ormai Alberto Sordi nei panni di Gian Giacomo Pignacorelli in Selci del film verdoniano Troppo Forte: un giorno avvocato, l’indomani ballerino, poi dentista, fruttivendolo e così via. Ieri Uòlter si sentiva tanto virologo, ma pure sceneggiatore, filosofo ed economista: infatti, sul Corriere, ha citato Todo Modo, ha usato le metafore del tunnel e delle sabbie mobili, poi ha suggerito al governo “dialogo” e “autorevolezza” (mo’ me lo segno) e infine, siccome “il debito pubblico è arrivato a 2.578 miliardi”, ha intimato di aggravarlo un altro po’: non solo col Recovery fund (che in parte è a fondo perduto), ma anche con “le risorse del Mes per finanziare la ristrutturazione degli ospedali e sostenere il personale”. In stereofonia, anche l’Innominabile e 300 sindaci urlavano a una sola voce “Mes Mes”, ignorando che è l’ultima cosa che serve a noi e agli altri (infatti, essendo nato per salvare gli Stati dalla bancarotta, in Europa non lo chiede nessuno): perché i titoli di Stato hanno rendimenti ormai così bassi che chi ha problemi di cassa può finanziarsi emettendone altri a tassi convenienti quanto quelli del Mes; perché l’Italia non ha problemi di cassa; perché alla nostra sanità non mancano i soldi (7 miliardi spesi in 10 mesi) né le attrezzature, ma qualcuno che sappia usarli (Arcuri ha 2.900 respiratori nuovi di zecca che aspettano solo qualche sgovernatore capace di tradurli in posti letto di terapia intensiva). Ma ormai il Mes è un intercalare, una clausola di stile, un mantra che fa fine e non impegna da usare in società quando non si sa cosa dire per fare bella figura. I Paesi seri aspettano il vaccino e la cura anti-Covid: noi aspettiamo il Mes.

L’altro nefasto effetto collaterale della seconda ondata è l’attesa messianica delle “nuove misure” del governo, che dovrebbero arrivare a cadenza quotidiana e miracolosamente raddrizzare le gambe ai cani, cioè fermare un contagio in gran parte inevitabile (altrimenti i Paesi più efficienti di noi starebbero meglio: invece stanno tutti peggio). L’isteria da “Covid governo ladro” che porta Salvini a domandare “cosa ha fatto il governo per fermare l’epidemia” mentre lui passava l’estate a incoraggiarla. Il panico di chi non sa leggere i dati, molto meno allarmanti di quelli di sette mesi fa.

E invoca ogni giorno nuove strette, sterzate, serrate, giri di vite, coprifuoco, lockdown come se fossimo a marzo. La follia di chi scambia gli auspici propri o dei suoi mandanti per leggi già fatte e Dpcm già varati. Ieri i lettori di Stampubblica hanno scoperto che “L’Italia chiude alle 22” (Repubblica) e “Arriva il coprifuoco. Serrata dopo le 22” (Stampa). Come quelli degli altri giornali di destra, che davano il coprifuoco per già deciso e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale: “Conte prepara il coprifuoco: locali chiusi alle 22. Stop per parrucchieri, centri estetici, cinema, teatri” (Libero), “Ci chiudono in casa”, “Serrata: Conte vuol chiudere i locali alle 22” (Verità), “Scuola, trasporto, smart working e coprifuoco: oggi si decide” (Giornale). Noi continuiamo a sperare che si tratti di giornalismo horror-fantasy. Bastano e avanzano, per ora, un incremento dello smart working (quello che non piace ai fenomeni di Confindustria e dunque a Sala) e qualche limite alle attività inessenziali. Si spera che in questo Paese di isterici e schizofrenici che passano dal “convivere col virus” al “chiudere tutto”, da “il virus è morto” al “moriremo tutti di virus” senza soluzioni di continuità né vie di mezzo, governo e Cts scelgano ancora il buon senso. Chiudere le scuole sarebbe follia: i ragazzi andrebbero ad ammucchiarsi nei locali, nelle vie e nelle piazze della movida, nei centri commerciali, sui mezzi pubblici, cioè in luoghi molto meno controllati della scuola (che ha regole ferree e contagi minimi). Ma anche chiudere bar e ristoranti sarebbe da assurdo: lì si devono rispettare protocolli severi e di solito si rispettano; molto meglio avere gente lì che allo stato brado per strada o nelle case, dove i contagi sono molto più frequenti che nei luoghi sorvegliati. Perciò oggi anche un lockdown diurno sarebbe non solo inutile, ma pure controproducente: aumenterebbe i contagi in famiglia. Semmai si potrebbe vietare la circolazione notturna, dopo la chiusura dei locali a mezzanotte, contro gli assembramenti da movida. E lasciare alle Regioni le misure più drastiche per le zone più infette.

Ma contro i contagi chi governa può far poco, a parte spiegare – con campagne pubblicitarie, anche tramite gli influencer più ascoltati dai giovani – le cose da fare e non fare: il grosso del lavoro è di noi cittadini. Governo, Regioni e Comuni devono produrre un piano trasporti serio. E il governo deve costringere le Regioni a moltiplicare i tamponi e gli altri test diagnostici (i materiali ci sono, ma le Asl ne usano pochi), potenziare la medicina territoriale e incrementare il contact tracing da Immuni in giù. Se poi qualche sgovernatore ancora non ci sente, il commissariamento è meglio del lockdown e del coprifuoco.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/18/effetti-collaterali/5970281/#

Serrande giù e poi subito su: i locali hanno il “trucco”. - Sarah Buono

 

Dpcm o no, a Bologna e Catanzaro hanno trovato l’escamotage giusto. Al Mavit Bar di fronte alla stazione bolognese, e al Plaza Café del lido catanzarese i rispettivi proprietari non si sono arresi alle nuove regole e studiando a fondo il nuovo decreto sono riusciti a scovare un angolo cieco. In che modo? “Chiuderemo alle 24 e riapriremo all’1” spiegano i cartelli all’entrata del bar a Bologna. Uno scherzo? No assolutamente. Nell’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio, infatti, c’è scritto chiaramente che le attività di ristorazione sono permesse fino a mezzanotte mentre la consegna a domicilio e da asporto è “consentita sempre”. E così, rispettando le regole e provando a far quadrare i conti nonostante il difficile momento, ecco la soluzione: chiudere alle 12 come bar per riaprire dopo un’ora ma vendendo panini take away. Qui movida non ce n’è, questo bar esiste da più di trent’anni e ha sempre servito pendolari e viaggiatori che dopo una certa ora in stazione non trovano più nulla di commestibile. Ancora più spavaldo il titolare del Plaza a Catanzaro Lido, Aldo Manoiero, che chiude a mezzanotte e riapre dopo quindici minuti. In piena legalità. “Il decreto non dice quando si può riaprire – sottolinea il gestore – noi non abbiamo problemi di distanziamento sociale, qui non si balla, quello che mi interessa è continuare a lavorare”. E così, dopo l’entrata in vigore del provvedimento, questo bar-cornetteria con sala slot ha chiuso regolarmente alle 24 ma solo per 15 minuti. L’apertura non è sfuggita alla polizia che ha subito fatto un controllo la sera stessa dell’entrata in vigore del Dpcm, ma senza alcuna sanzione. “Il controllo lungo e accurato si è chiuso con la polizia che ha soltanto preso la mia dichiarazione”, ha detto l’imprenditore.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/18/serrande-giu-e-poi-subito-su-i-locali-hanno-il-trucco/5970290/

“Il decreto non dice quando si può riaprire"
Fesserie! Il decreto fissa un orario d'apertura ed uno di chiusura, il che sottintende' lapalissianamente, che durante l'intervallo tra orario d'apertura e orario di chiusura il locale DEVE restare chiuso.
Quindi, chi utilizza l'escamotage della vendita da asporto aggira le norme stabilite dal dpcm, ma non credo che lo faccia legalmente se non è munito dell'apposita licenza. In ogni caso, suppongo che anche l'escamotage utilizzato non autorizzi l'apertura del locale.
cetta

sabato 17 ottobre 2020

Trovata anfora tombale nel Palermitano: "Forse c'è una necropoli del V secolo avanti Cristo" .

 

Trovata anfora tombale nel Palermitano: "Forse c'è una necropoli del V secolo avanti Cristo"
Il reperto è stato rinvenuto sulla strada provinciale 9 bis che collega Scillato con Collesano sulla scarpata a monte della strada, a seguito delle piogge. Indagini in corso. La soddisfazione di Orlando.

Trovata anfora tombale nel Palermitano: "Forse c'è una necropoli del V secolo avanti Cristo"

Gli archeologi della sezione per i Beni Archeologici di Palermo, diretti da Rosa Maria Cucco, hanno riportato alla luce una sepoltura a enchytrismòs, tipologia tombale che venne utilizzata in epoca punica, romana e paleocristiana, quando si ricorreva al seppellimento all'interno di grandi anfore. Le operazioni sono state messe a segno con l'aiuto del personale tecnico della Città Metropolitana di Palermo, direzione Viabilità.

Il reperto è stato rinvenuto sulla strada provinciale 9 bis che collega Scillato con Collesano sulla scarpata a monte della strada, a seguito delle piogge. "Si tratta di un oggetto di particolare interesse archeologico, che l’associazione Sicilia Antica di Scillato ha prontamente segnalato alla Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Palermo - dicono dagli uffici della Città Metropolitana -. Il sito si trova vicino alla zona archeologica di Himera luogo di grande interesse storico, teatro di due epiche guerre tra romani e cartaginesi". 

La sepoltura a enchytrismòs consisteva nel deporre il corpo all'interno di un vaso in terracotta (pithos) con il corpo in posizione rannicchiata. Le anfore venivano utilizzate, soprattutto per l’inumazione dei bambini. L’anfora, quando utilizzata per i bambini deceduti in tenera età, veniva tagliata di lungo per permettere l'inserimento del corpo; la parte tagliata era poi accostata e l’anfora deposta all'interno di una fossa. La sepoltura a enchytrismos risale all’Età Punica, compare durante l'ultima parte del sesto secolo avanti Cristo e resiste sino agli inizi del quarto secolo avanti Cristo: era realizzata con grandi anfore commerciali e vi erano inumati i bambini che, tra l'altro, venivano collocati in un'area ad essi dedicata all’interno della necropoli.

Durante l'Età Romana Imperiale, invece le anfore erano maggiormente utilizzate per l'inumazione dei defunti: la Tripolitana, l’Africana I e l’Africana II, che, nella loro destinazione d'uso originale, venivano impiegate per trasportare olio e altri prodotti, tra i quali una salsa di pesce di cui i Romani andavano particolarmente ghiotti, il garum. All’interno dell’anfora ritrovata è stata rinvenuta un’anfora piccola che serviva quale corredo d’accompagnamento del defunto. L’enchytrismòs per la sepoltura degli infanti prosegue in età paleocristiana, epoca durante la quale le anfore venivano spesso collocate nei loculi all'interno delle catacombe.

L'intervento dei tecnici con l'ausilio del personale della direzione viabilità della Città Metropolitana di Palermo, ha consentito l'importante ritrovamento che potrebbe portare allo sviluppo di una campagna di scavi per indagare sulla probabile presenza di una necropoli del quinto-sesto secolo avanti Cristo.

Queste le parole del sindaco metropolitano Leoluca Orlando: “Il ritrovamento di questo importante reperto storico è la conferma della fondamentale importanza della collaborazione tra gli enti, sia per la salvaguardia sia per la valorizzazione del nostro territorio”.

https://www.palermotoday.it/cronaca/anfora-tombale-necropoli-scillato-collesano.html?fbclid=IwAR16a5163RpIDailVpF3v9t2AXnVq6fB811UyttYhld9gxwW8kcPrUs5nTQ

Terapie intensive e tamponi: “Ecco i ritardi delle Regioni”. - Marco Palombi

 

Sanità - Le accuse di Arcuri e Boccia ai “governatori”.

Ieri il governo e il Commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, hanno deciso di togliersi i guanti, per così dire. Messi di nuovo sotto accusa per i mille problemi di gestione della seconda ondata di Covid-19, hanno di fatto puntato il dito sulle Regioni, che – com’è noto – hanno la gestione del sistema sanitario, tanto più che è ripartita la sarabanda delle fughe in avanti locali (dalla chiusura delle scuole di Vincenzo De Luca all’Alto Adige che non accetta l’ultimo Dpcm). “Massima disponibilità e massima trasparenza, chi ha bisogno di aiuto lo dica, ma questo va fatto prima di intervenire su lavoro e scuola. In questi mesi sono stati distribuiti ventilatori polmonari ovunque: dove sono finiti?”, è il virgolettato che il ministro Francesco Boccia ha lasciato trapelare del suo intervento in Conferenza Stato-Regioni.

I posti letto. L’accusa del titolare degli Affari regionali si basa su una tabella coi dati aggiornati a mercoledì che Il Fatto ha potuto visionare. A febbraio, i posti letto in terapia intensiva erano 5.179, mercoledì erano 6.628, ma il piano Covid approvato a fine primavera prevedeva che quei letti a ottobre fossero 8.679. E qui veniamo ai ventilatori: secondo i dati del governo ne sono stati distribuiti alle Regioni 3.109 da terapia intensiva, consentendo alle Regioni di portare il totale dei letti fin dall’estate a 8.288. Chiosa l’ufficio del commissario: “Mancano all’appello 1.660 posti letto nelle terapie intensive”. Non solo: “Il commissario dispone di ulteriori 1.300 ventilatori di terapia intensiva che ha fatto produrre in questi mesi in preparazione di eventuali ulteriori fabbisogni”. Insomma, i letti potrebbero già essere oltre 9.500, tremila in più degli attuali, se le Regioni si fossero attrezzate. Qualche esempio: la Campania ha incrementato in questi mesi i suoi letti di terapia intensiva di 98 unità, ma ha ricevuto (peraltro invocandoli a gran voce) 281 ventilatori; la Lombardia ha 133 posti in più avendo ottenuto da Roma 382 ventilatori; le Marche 14 letti in più e 163 ventilatori; la Calabria 6 letti e 136 ventilatori.

Sub-intensive. Lo stesso discorso si può fare sulle terapie sub-intensive, peraltro in questa fase particolarmente sollecitate: oggi sono 14mila, ma durante l’emergenza di marzo-aprile si arrivò a 35mila posti letto ed esiste già la dotazione sufficiente a tornare a quei livelli. Scrive la struttura commissariale: “Abbiamo distribuito 1.427 ventilatori per le sub-intensive oltre a 59.545 fra caschi, visiere e altri dispositivi sanitari”. Arcuri ha persino scritto alle Regioni per formalizzare in un atto la domanda di Boccia: che fine hanno fatto le attrezzature che vi ho spedito?

Gli ospedali Covid. La ristrutturazione della rete ospedaliera doveva servire per gestire la seconda ondata. Problema: in larga parte d’Italia non è neanche partita. A maggio, nel decreto Rilancio, sono stati stanziati 1,65 miliardi per aumentare i posti letto e ristrutturare i Pronto soccorso in funzione dell’emergenza: il testo dava la possibilità alle Regioni di iniziare subito i lavori e farsi poi rimborsare a piè di lista, l’unico impegno era presentare entro luglio un piano dettagliato degli interventi. Solo pochi governatori si sono portati avanti (Emilia Romagna, Veneto), gli altri hanno fatto arrivare a fine luglio i loro “piani”, che però – dice il commissario – erano “poco più che fogli excel”. Il Fatto ne ha letti alcuni e definirli “fogli excel” non è un’esagerazione: in uno l’intervento era non fantasiosamente descritto come “realizzazione di posti letto in TI”, poi c’erano i soldi che servivano tra lavori e macchinari (quali?) e tanti saluti. La cosa più inquietante è che la durata dei progetti superava, a volte, i tre anni. Il risultato è che c’è voluto tutto agosto per riscriverli in modo da poter fare le gare che si stanno concludendo solo ora: si tratta di 1.044 interventi totali e se tutto va bene si partirà davvero a novembre (ma, per capirci, una delle 11 Regioni che hanno deciso di fare da sole non ha ancora inviato il cronoprogramma dei lavori).

Tamponi. È uno dei buchi neri della “convivenza col virus”. L’84% di quelli realizzati sono stati distribuiti alle Regioni dal commissario, che – dice Arcuri – “in questo momento una disponibilità sufficiente per continuare a somministrare oltre 120mila tamponi al giorno”. Problema: la rete di distribuzione/analisi dei test spesso non funziona, solo che quella è competenza degli enti locali. A breve arriveranno se non altro i test rapidi antigenici: la commissione tecnica ha “promosso” le proposte di 7 aziende per complessivi 19,95 milioni di test. L’obiettivo è portare a 200mila il numero dei tamponi giornalieri. Giovedì, peraltro, la struttura commissariale ha scritto ai governatori per sapere “di quale disponibilità ulteriore di tamponi e reagenti hanno bisogno”: a ieri sera non era giunta una sola risposta.

Assunzioni. Anche sul personale necessario a far funzionare tutta questa macchina (terapie intensive, tracciamento, medicina territoriale), le Regioni sono in ritardo secondo il governo. Al 9 ottobre al ministero della Salute risultavano effettuate 33.857 assunzioni: 6.958 medici, 15.618 infermieri, 7.248 operatori socio-sanitari. Si tratta di contratti a termine che costano circa 1 miliardo: le Regioni però, grazie ai decreti anti-crisi, sono in totale deroga sulle assunzioni e se, come pure sostengono, manca il personale, allora possono e devono assumerlo. A questo proposito, va ricordato che un paio di decenni di tagli al Servizio sanitario nazionale si sono scaricati certo sulle strutture (i posti letto che ora mancano), ma anche e soprattutto sul personale, che ha perso 42.800 unità tra 2010 e 2018.

(foto ANSA)

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/17/terapie-intensive-e-tamponi-ecco-i-ritardi-delle-regioni/5969490/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-10-17

I ricatti di Renzi: vuole solo “Italiavivacchiare”. - Daniela Ranieri

 

Stiamo pensando di istituire una rubrica fissa su queste pagine, dal titolo I ricatti di Renzi. Cosa si sarà inventato oggi questo giocatore di poker per destabilizzare il governo affermando al contempo la dubbia esistenza in vita della sua creatura politica?

Era febbraio: “Sulla prescrizione o si cambia o ci vediamo in Senato”, minacciò, come certi ceffi nei saloon dei film western; poi arrivò l’epidemia di Covid e i suoi capricci caddero un po’ in secondo piano, diventando inspiegabilmente impopolari tra i ricoverati, gli intubati e la gente che perdeva il lavoro.

Intanto a maggio l’epidemia diventava pandemia e lui ordinava di “riaprire tutto”: “fabbriche, negozi, scuole, librerie, messe”, perché a suo dire così avrebbero voluto i morti di Bergamo e Brescia, ansiosi di riabbracciare i loro cari. In Senato, dilaniato tra la scelta se appoggiare la mozione del centrodestra “Bonafede scarcera troppi boss” o la mozione della Bonino “Bonafede scarcera troppi pochi boss”, rivelò il bluff, la minaccia si sgonfiò, i 17 senatori pronti all’attacco vennero rilegati al cancello; però già che c’era denunciò il “regime degli arresti domiciliari”, lo “Stato etico”, il “paternalismo populista” di Conte, tutte violazioni della Costituzione che gli è tanto cara.

L’altro ieri questo specialista del fiato sul collo ha reso pubblico alla Nazione che la priorità in questo momento è NON consentire ai 18enni di votare al Senato, come prevedeva la riforma inserita nel pacchetto disposto dal Pd in cambio del Sì al taglio dei parlamentari, dunque come da accordo del governo di cui Renzi fa parte, e soprattutto come da volontà di Renzi stesso, espressa appena 8 giorni prima. Così i suoi 30 deputati si sono astenuti facendo saltare la riforma, ribadendo che in questa bizzarra congiuntura un conto è il peso che si ha in Parlamento, un conto l’irrilevanza persino ontologica di una formazione che fatica ad arrivare al 3% presso coloro che quel Parlamento in via teorica rappresenta.

Sarebbe spassosissimo, se non facesse sprecare tutto questo tempo ai lavori parlamentari (e corrente elettrica, stipendi per i commessi, liquido igienizzante, etc.) il convulso agitarsi di uno che, se la sua parola valesse qualcosa, si sarebbe dovuto ritirare dalla politica, e che si vende, col favore dei giornali ancora innamorati di lui, come un astuto stratega impregnato di Machiavelli, le cui citazioni compaiono in esergo ai suoi libri per la presumibile ilarità dei posteri.

Inutile tentare di entrare nella testa di Italia viva, nome che le ultime elezioni hanno rivelato essere chiaramente antifrastico; il merito delle questioni su cui questo organismo monocefalo punta i piedi è del tutto irrilevante, mentre il metodo è sempre lo stesso: Renzi che all’ultimo minuto si accorge che il voto su qualche misura della maggioranza è assolutamente dirimente, o assolutamente irrilevante; Renzi che dice che la priorità è il bicameralismo paritario, o la riforma della giustizia, o l’Irap; Renzi che ne fa un punto d’onore, anzi una battaglia, a costo di far crollare tutto, cosa che poi al dunque si guarda bene dal fare (come dimostra il voto diligente sulla Nadef), perché sarà pure vero che se lo litigano l’Onu, gli Emirati Arabi e la Nato, ma intanto meglio Italiavivacchiare, e tutto sommato questo limbo gli dà adrenalina e una forma tutta particolare di potere.

La sera stessa della marachella si presenta al Tg2 Post a parlare dei numeri della pandemia e a ribadire il concetto a lui caro che “comunque in terapia intensiva c’è il 10% dei posti occupati” (ci preoccuperemo quando saranno il 100%). Interrogato sul punto, dice: “Trovo surreale che mentre in alcune Regioni si nega ai 18enni il diritto di andare a scuola, il dibattito sia dare il diritto di voto per il Senato ai 18enni”. Capite che qui siamo nel campo dell’irrazionale, e sarebbe più onesto rivendicare qualcosa (un sottosegretariato, un rimpasto, una soglia di sbarramento all’1%), invece di prendere in ostaggio un’intera maggioranza in un momento simile. Intanto la spacconata ha assunto rilievo politico, e il Pd, nel momento in cui si credeva affrancato dalla sudditanza psicologica da questo ludopatico istituzionale, finisce per fare il suo gioco, chiedendo “una verifica” a Conte, con l’effetto di confermare quello cui Renzi costantemente allude, e cioè che l’alleanza vale poco, tanto che uno senza un progetto politico può sabotarla un giorno sì e uno no.

Deliziosa la tautologia: “Si deve prendere atto che senza di noi non ci sono i numeri”, ripetono gli emissari renzisti, e questo non ha senso sul piano logico, prima ancora che politico: è come prendere un mutuo e andare in banca ogni giorno a ricattare il direttore: “Lei deve assumere mio figlio/ deve cambiare i vertici della banca/ deve farmi diventare socio, perché senza di me non ci sarebbe chi paga il mutuo”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/17/i-ricatti-di-renzi-vuole-solo-italiavivacchiare/5969508/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-10-17#

Gli opposti isterismi. - Marco Travaglio

 

Ieri mattina, appena due giorni dopo l’entrata in vigore dell’ultimo Dpcm anti-Covid, già dal Pd e dal ministero della Salute si levavano gridolini isterici su nuovi vertici di governo per nuovi giri di vite assortiti. Una prova d’orchestra felliniana, degno pendant agli opposti isterismi delle destre No Mask e dei giureconsulti No Dpcm. E che s’è fatta ancor più cacofonica nel pomeriggio, quando i dati sui contagi giornalieri hanno superato la soglia psicologica di 10mila. Per fortuna, Palazzo Chigi non pare intenzionato a varare nuove misure a breve: prima si misurano gli effetti delle nuove misure e della loro osservanza da parte dei cittadini, riscontrabili non prima di 10 giorni; poi si vede. Annunciare, invocare, far trapelare ora nuove strette serve solo ad aumentare il caos e a seminare il panico, oltre a svalutare i divieti e le raccomandazioni del Dpcm di martedì. Forse sarebbe il caso di ripristinare ogni pomeriggio la conferenza stampa della Protezione civile e del Cts che ci accompagnò nel lockdown: molti le imputavano un eccesso di allarmismo, invece era (e sarebbe) un’ottima occasione per fare il punto sulla pandemia e leggere correttamente i dati. Che, visti così, dicono tutto e il suo contrario. Viene spontaneo il confronto con quelli di sette mesi fa, che però è fuorviante. Il 21 marzo, giorno del picco massimo, i nuovi positivi erano 6.557: ieri 10.010.

Stiamo dunque peggio oggi? Al contrario: tutti gli altri parametri dicono che stiamo molto meno peggio. Il 21 marzo i tamponi furono 26 mila, ieri erano 150 mila, il sestuplo: più tamponi si fanno più positivi si trovano (il rapporto tamponi/positivi era del 25% e oggi è del 6,6). Il che significa che i positivi sommersi, all’epoca, erano molti più di oggi, quando il virus pare un po’ meno diffuso di allora. Ma allora si testavano solo i sintomatici: ora anche gli asintomatici. Che oggi sono la stragrande maggioranza dei positivi: infetti e contagiosi, ma non malati. I dati certi su cui giudicare e modulare le misure di contrasto sono altri. Anzitutto i morti: 793 il 21 marzo, 55 ieri (in forte calo rispetto a giovedì). E poi il numero di ricoverati (cioè di sintomatici malati e bisognosi di cure): sette mesi fa 17.708, di cui 2.857 in terapia intensiva; ieri 6.178, di cui 638 in terapia intensiva. Reparti Covid e rianimazioni sono lontani dal rischio di saturazione, almeno in media (52% il 21 marzo, 9% oggi, anche se alcuni sono semipieni e altri semivuoti). Ma siccome i ricoveri aumentano del 7-8% al giorno e la crescita è esponenziale, se non s’inverte la rotta si può arrivare in un mese all’overbooking. E qui si apre il capitolo delle colpe. Cioè di chi ha fatto e non ha fatto cosa da maggio a oggi.

Il governo si era impegnato a riaprire le scuole e l’ha fatto, anche se poi i ritardi sui trasporti della ministra De Micheli, delle Regioni e dei Comuni han messo a rischio arrivi e partenze. Il governo aveva promesso di raddoppiare i posti letto di terapia intensiva e ha fornito i fondi necessari, oltre alle attrezzature tramite il commissario Arcuri. Ma molte Regioni hanno dormito: malgrado i 3.059 ventilatori polmonari per terapie intensive e i 1.429 per sub-intensive già inviati da Roma, hanno attivato appena 1.500 posti letto, mentre gli altri 1.600 disponibili restano sulla carta. Arcuri ha pronti altri 1.500 ventilatori, ma attende che qualcuno glieli chieda, possibilmente per usarli. Tra le maglie nere, oltre alla solita Lombardia (che non riesce neppure a comprare i vaccini antinfluenzali), svetta la Campania del sedicente sceriffo De Luca, tutto chiacchiere e distintivo: “Prima del Covid – ricorda il ministro Boccia – aveva 335 posti letto di terapia intensiva. Il governo con Arcuri ha inviato 231 ventilatori per le terapie intensive e 167 per le sub-intensive. Oggi risultano attivati 433 posti, devono essere 566”. Così molti ospedali campani sono già al collasso e Don Vicienzo, anziché rivolgere il lanciafiamme contro se stesso, lo dirige sugli studenti, chiudendo scuole e università senza neppure avvertire il sindaco di Napoli. Lui che un mese fa voleva riaprire gli stadi. E trova a difenderlo pure Zingaretti. Altri sgovernatori, con la stessa (il)logica, insistono sulla didattica a distanza (già prevista dalla legge in casi di necessità) per sfollare i trasporti pubblici e coprire la propria e altrui incapacità di potenziarli e organizzarli meglio: sono gli stessi che a luglio riaprivano le discoteche, ad agosto si opponevano alle proposte dell’Azzolina sugli ingressi scaglionati nelle scuole e a settembre volevano riempire gli stadi di tifosi. A tutti sfugge un dato elementare: chiudere le scuole durante il lockdown aveva senso perché gli studenti restavano in casa, evitando i contagi attivi e passivi; ma senza lockdown chi non sta a scuola va a spasso o si assembra in locali molto meno sicuri delle aule (lì la percentuale di contagi è 0,08%). E aumenta le possibilità di contagiare e di essere contagiato.

Quindi, per favore, nervi saldi e basta isterie fondate su letture sbagliate dei dati. Il governo attenda qualche giorno per vedere se il Dpcm funziona, tenendo pronte misure più severe, ma sempre graduate all’evolversi della pandemia. E le Regioni facciano finalmente ciò che devono, stringendo le maglie del Dpcm dove serve, anche con zone rosse o arancioni nelle città e province più infette. Se poi qualcuna continua a dormire, si spera che stavolta scatti il commissariamento.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/17/gli-opposti-isterismi/5969481/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-10-17

Danza di buchi neri in un galassia lontana.

 

La danza di due buchi neri è stata osservata in una galassia distante più di 300 milioni di anni luce. I due mostri cosmici sono separati l’uno dall’altro da 150 miliardi di chilometri, ossia mille volte la distanza Terra-Sole, ma su scala cosmica si tratta di una distanza piccola e destinata a ridursi progressivamente fino alla collisione.

La scoperta è stata possibile grazie a un nuovo metodo per la caccia ai sistemi binari di buchi neri supermassicci, con una massa centinaia di milioni di volte quella del Sole, messo a punto dal gruppo di ricerca italiano guidato da Roberto Serafinelli, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) a Milano. I risultati sono in corso di pubblicazione sull’Astrophysical Journal e permetteranno di studiare l’evoluzione delle galassie nel corso dei miliardi di anni di storia dell’universo.

Il nuovo metodo è stato testato sulle osservazioni ai raggi X del telescopio spaziale Swift della Nasa compiute su 553 galassie, a caccia di segnali ripetuti o periodici. È così che i ricercatori dell’Inaf sono riusciti a scovare i due buchi neri all’interno della galassia Markarian 915 (Mrk 915).


La galassia Markarian 915, Mrk 915, ripresa dal telescopio spaziale Hubble. (fonte: NASA/ESA/HST)

I due protagonisti, dicono gli autori dello studio, sono impegnati in una danza forsennata che tra centinaia di migliaia o milioni di anni dovrebbe portarli a fondersi, scuotendo lo spaziotempo con l’emissione di onde gravitazionali.

Per Serafinelli, “la galassia Mrk 915 ha mostrato un segnale che si è ripetuto periodicamente con cicli di circa 3 anni per circa 3 volte. È la prima volta – conclude l’astrofisico dell’Inaf - che si osserva una sorgente con questo particolare comportamento nei raggi X”.

[foto: Simulazione di due buchi neri supermassicci prossimi alla fusione realizzata dal Goddard Space Flight Center della Nasa (NASA)]

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/10/17/danza-di-buchi-neri-in-un-galassia-lontana_a05ae84a-5aa8-41da-8132-64479b2ece36.html