venerdì 11 dicembre 2020

Il Mes tangentario. - Marco Travaglio

 

Al cabaret permanente della politichetta italiota si aggiunge una nuova gag: la campagna del Pd per scongelare il vitalizio a Ottaviano Del Turco, sospeso nei giorni scorsi in base a una norma voluta e approvata nel 2015 da Pd, Sel, Scelta Civica, Fd’I, Lega e contestata dai 5Stelle perché troppo blanda e piena di scappatoie. Cioè alla delibera degli uffici di presidenza di Camera e Senato che, ai tempi del governo Renzi, stabilì di levare la pensione ai parlamentari condannati a più di 2 anni per mafia, terrorismo e reati contro la Pa. Ora si dà il caso che Del Turco, arrestato nel 2008 da presidente Pd dell’Abruzzo, sia stato condannato definitivamente nel 2018 a 3 anni e 11 mesi per induzione indebita (la vecchia concussione) per aver estorto almeno cinque mazzette per un totale di 850mila euro al ras delle cliniche private Vincenzo Angelini. Dunque per due anni ha percepito indebitamente 5.500 euro mensili. Il fatto che la presidenza del Senato abbia posto fine a quell’ulteriore latrocinio di denaro pubblico scandalizza il Riformista, che è un po’ l’ora d’aria dei quotidiani italiani e vaneggia di “grida polpottiane dei 5 Stelle”, come se la norma fosse loro e non di Pd&C.

Segue un esilarante articolo dell’avvocato di Del Turco, Gian Domenico Caiazza che, avendo perso il processo, si rifà sul Riformatorio insultando i pm che l’hanno vinto. Titolo: “È innocentissimo” (infatti è stato condannato). La comica finale viene presa molto sul serio dall’ineffabile capogruppo del Pd Andrea Marcucci, quello che parla come un liderino di opposizione e invece pare stia in maggioranza. Il Marcucci esprime “profondo sgomento per la decisione di privare Del Turco del vitalizio” in base a una norma voluta dal suo partito, perchè il condannato è “gravemente ammalato”. Il che ovviamente dispiace, ma purtroppo la norma non prevede eccezioni per motivi di salute. Fra l’altro, sarebbe interessante sapere se l’ex sgovernatore abbia mai risarcito con i 700mila euro previsti dalla sentenza le parti civili, cioè alla sua Regione e alle Asl abruzzesi. Già, perché oltre alle mazzette ci sono i gravi danni inferti dalle sue politiche sanitarie a quella che ora è guardacaso la Regione peggio messa col Covid. Pochi mesi fa l’Abruzzo ha pagato l’ultima rata dell’enorme buco creato da Del Turco&C. con la folle cartolarizzazione dei crediti farlocchi della sanità, ceduti a banche estere mentre i vertici di Regione e Asl incassavano mazzette sui tagli dei posti letto negli ospedali pubblici e sui regali alle cliniche private. Così, quando certi impuniti invocano con la bava alla bocca i 37 miliardi di Mes sanitario e più soldi alla sanità nel Recovery Plan, possiamo facilmente immaginare cosa vogliono farne.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/11/il-mes-tangentario/6033329/

L’Italia spende 35,7 miliardi l’anno in sussidi alle fossili o che danneggiano l’ambiente.

 

Il nuovo rapporto di Legambiente sui sussidi ambientalmente dannosi.

Anche il 2020 si chiude senza tagli ai sussidi alle fonti fossili; nella legge di bilancio presentata dal governo il tema non è previsto, nonostante sia stata istituita quest’anno una “Commissione interministeriale per lo studio e l’elaborazione di proposte per la transizione ecologica e per la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi”.

Sussidi stimabili, complessivamente, in 35,7 miliardi di euro, di cui oltre 21,8 miliardi sotto forma diretta e circa 13,8 miliardi in forma indiretta.

Parliamo di tutte le misure incentivanti, che intervengono su beni o lavorazioni, per ridurre il costo di utilizzo di fonti fossili o di sfruttamento delle risorse naturali. Il quadro completo delle voci e delle cifre è ricostruito nel nuovo rapporto presentato oggi da Legambiente (allegato in basso), per far capire la dimensione e l’importanza delle decisioni da prendere.

Larga parte va alle imprese, oltre 23 miliardi, e 12,5 miliardi alle famiglie. La quota più rilevante dei sussidi diretti riguarda il settore dei trasporti, per 11 miliardi; seguono l’energia con 10,6 e l’agricoltura con 0,1.

Il rapporto (che unisce fonti diverse tra cui il Catalogo SAF e SAD, il bilancio dello Stato, dati Terna, Arera, GSE e MISE) riporta voci molto differenti – da incentivi diretti e indiretti a sconti sulle tasse, a finanziamenti dati da imprese e società dello Stato – ognuna nata con l’obiettivo, condivisibile, di ridurre i costi a vantaggio di imprese e famiglie, ma è il mezzo che oggi non funziona più: bisogna guardare alle ragioni per cui si confermano sussidi che producono un impatto negativo su ambiente e clima quando esistono alternative competitive.

“Alcuni di questi sussidi sono stati addirittura introdotti nel 2020, come il capacity market, che prevede 20 anni di generosissimi incentivi per nuove centrali a gas, giustificati da ragioni di sicurezza del sistema – spiega Legambiente quando per la flessibilità e la sicurezza del sistema esistono alternative più economiche, efficienti e con ridotte o zero emissioni di gas serra”.

Il paradosso dei sussidi alle fonti fossili, come sottolineato da Fatih Birol, capo economista dell’International Energy Agency, è che sono oggi il principale ostacolo allo sviluppo delle rinnovabili e di interventi di efficienza energetica che sarebbero competitivi in ogni parte del mondo, ma che invece vedono privilegiare con carbone, gas e petrolio, resi artificialmente economici dagli aiuti pubblici.

Non esiste scusa legata al Covid che tenga – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – perché l’emergenza climatica sta diventando sempre più grave e perché ogni euro non più regalato a chi inquina può liberare investimenti in innovazione ambientale ma anche per far uscire il Paese dalla crisi economica e sociale. Nelle proposte che presentiamo oggi dimostriamo come sia possibile intervenire subito sui sussidi alle fonti fossili e all’estrazione di materiali naturali, mentre il Recovery Plan italiano dovrà fissare le riforme e la tempistica per cancellare tutti i sussidi entro il 2030”.

Nel 2017 il ministero dell’Ambiente ha presentato il primo “Catalogo dei Sussidi ambientalmente dannosi e favorevoli”, aggiornato nel 2019; il tema è finalmente nel dibattito politico, ma i risultati finora sono deludenti, con un intervento limitato di adeguamento dei canoni per le estrazioni di fonti fossili e di eliminazione del rimborso accise gasolio per i camion con standard di emissioni euro 3 ed euro 4.

I sussidi ambientalmente dannosi sono finanziamenti diretti a centrali che utilizzano derivati del petrolio, gas e carbone, che inquinano e producono emissioni di gas serra, come le centrali di Brindisi Sud e Fiumesanto o di San Filippo Mela, che rimangono accese solo perché ricevono generosi sussidi, altrimenti in larga parte sarebbero fuori mercato. Oppure centrali diesel nelle isole minori italiane che potrebbero essere sostituite da ben più economici ed efficienti impianti solari ed eolici, denuncia lo studio.

Sono sconti su tasse (accisa, iva e credito d’imposta) per una serie enorme di utilizzi di benzina, gasolio, gas, ecc. nei trasporti, nel riscaldamento, nelle industrie.

Per chiarezza – si precisa –  di questi sconti beneficiano famiglie e imprese, per cui un semplice taglio avrebbe effetti negativi da un punto di vista economico e sociale, per le famiglie più povere e le imprese più in difficoltà. Ma invece si può e si deve far diventare questi sconti sui consumi, incentivi verso investimenti in efficienza e nell’autoproduzione da rinnovabili, con risultati strutturali in termini di risparmio oltre che vantaggi ambientali. Sono canoni bassi per l’estrazione di materie prime, per l’imbottigliamento di acqua, sono tasse limitate per chi butta i rifiuti riciclabili in discarica. Sono anche finanziamenti ad autostrade, a componentistica, impianti per la fertilizzazione e fondi per la ricerca su carbone, gas e petrolio. In Italia e all’estero.

“Con questo lavoro vogliamo dare il nostro contributo nel dimostrare quanto sia urgente cambiare il sistema di sussidi di cui beneficiano tante attività inquinanti nel nostro Paese – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – Non tutto è cancellabile dall’oggi al domani ma è certo che serve intervenire, partendo dai finanziamenti più assurdi, inquinanti, a premio di rendite contro l’ambiente. I sussidi dannosi sono un macigno sulla possibilità di spingere una innovazione diffusa, nell’interesse del Paese; sono risorse sottratte a investimenti di cui c’è enorme bisogno per uscire dalla crisi: potrebbero andare a ospedali, scuole, ricerca, investimenti nella green economy e nella riduzione delle diseguaglianze. Esistono oggi alternative da fonti rinnovabili meno costose in tanti campi, mentre in altri si dovrebbe promuovere l’efficienza nell’uso dei combustibili invece di fare sconti”.

Settore energia.

Sono 15 i miliardi di euro destinati, nel 2019, a sussidiare il settore energetico fossile del nostro Paese; che diventano 15,8 miliardi per il 2020. Ventisei sussidi diversi, di cui almeno 14- secondo Legambiente –  potrebbero essere eliminati subito, per un valore pari a 8,6 miliardi di euro.

Sono invece 6,3 i miliardi euro di sussidi che andrebbero rimodulati, in quanto strettamente connessi con settori strategici produttivi o di consumo, come quelli delle isole minori o delle aree geograficamente svantaggiate o ancora la riduzione dell’iva per imprese e utenti domestici.

In particolare, le trivellazioni ricevono sussidi indiretti per 576,54 milioni di euro, dovuti all’inadeguatezza di royalties e canoni.

I contributi a centrali fossili e impianti sono costati, nel 2019, ai contribuenti italiani, 1.316,4 milioni di euro; di cui 412,4 milioni di euro sono andati ai cosiddetti “impianti essenziali” su terra ferma e nelle isole minori; 500 milioni di euro di indennizzo sono andati invece agli interconnector, linee elettriche finanziate da soggetti privati.

Al Capacity Market nel 2020 vanno 180 milioni di euro di sussidi diretti, mentre il CIP6 continua a ricevere sussidi per 682 milioni all’anno.

I prestiti e le garanzie pubbliche (CDP e SACE) per operazioni a sostegno di investimenti nell’Oil&Gas ammontano a 3.756 milioni di euro. Senza dimenticare gli assurdi sussidi che riceve la ricerca su carbone, gas e petrolio.

Settore trasporto.

Il settore è sussidiato complessivamente per 16,2 miliardi di euro. Di cui 5.154 milioni di euro per il differente trattamento fiscale tra benzina e gasolio e 3.757 milioni di euro per quello tra metano, gpl e benzina; l’esenzione dell’accisa sui carburanti per la navigazione aerea ammonta a 1.807,3 milioni di euro; 1.587,5 milioni vanno al rimborso delle accise sul gasolio per trasporti, 400 milioni sussidiano l’olio di palme nei biocarburanti.

Settore agricoltura.

Alla PAC vanno sussidi per 2.117,47 milioni di euro. Le esenzioni e riduzioni ai prodotti energetici ammontano a 939,2 milioni. Tra i sussidi indiretti, la SACE eroga prestiti e garanzie per 155,6 milioni per un impianto di fertilizzanti in Russia.

Settore edilizia.

Il credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali, secondo Legambiente generalmente associati a elevati consumi energetici ed emissioni, vale 617 milioni di euro. L’esenzione dell’IMU per nuovi fabbricati ammonta a 38,3 milioni di euro, sussidiando il consumo di suolo anziché incentivare le ristrutturazioni.

Settore canoni e concessioni.

L’inadeguatezza di concessioni e canoni equivale a un sussidio di 509 milioni, tra acque minerali (262), demanio marittimo (150) e cave (97).

Le richieste di Legambiente al governo.

La situazione deve cambiare ora; Legambiente chiede al governo di smettere di fare rinvii su questo tema fondamentale per far uscire l’Italia dalle crisi economica, sociale e ambientale. Il consumo di fonti fossili è non solo la causa dei cambiamenti climatici ma anche dell’inquinamento delle città, con drammatiche conseguenze sulla salute, per l’esposizione al PM2,5, ozono, diossido di azoto che vengono stimate in 60 mila morti all’anno in Italia dall’Agenzia europea dell’ambiente.

Sono tre le scelte da prendere nei prossimi mesi: inserire nel Recovery plan le scelte di cancellazione di tutti i sussidi alle fossili entro il 2030, eliminare subito i sussidi diretti alle fossili e per lo sfruttamento dei beni ambientali e aggiornare il Catalogo dei sussidi, rivedere subito la tassazione sui combustibili fossili per portare trasparenza e legare la fiscalità alle emissioni di gas serra.

1. Inserire nel Recovery plan le scelte di cancellazione di tutti i sussidi alle fossili entro il 2030. Il primo intervento da realizzare dovrebbe essere di chiarire la tassazione sui diversi tipi di combustibili fossili e di cancellare tutte le esclusioni dalle accise esistenti, secondo il principio “chi inquina paga” legando la fiscalità alle emissioni di gas serra. Il secondo intervento deve essere di trasformare gli esoneri dalle accise per i consumi di benzina e gasolio nei trasporti, per l’accisa e l’Iva dei consumi di gas nel riscaldamento civile e nell’industria in incentivi a interventi di efficienza energetica per produrre una riduzione dei consumi e autoprodursi l’energia da rinnovabili.

2. Eliminare subito i sussidi diretti alle fossili e per lo sfruttamento dei beni ambientali e aggiornare il Catalogo dei sussidi. Il governo deve accelerare i lavori della Commissione del ministero dell’Ambiente istituita lo scorso anno e allargare il campo dei sussidi da tagliare subito, perché non ha senso considerare solo quelli che riguardano i combustibili. Sono ampi quelli di cui beneficia il settore dell’oil&gas, come quelli per i canoni per l’estrazione di materiali, tutti i finanziamenti pubblici attraverso il gruppo SACE, gli essenziali, i fondi per la ricerca su gas, carbone e petrolio. Fuori dal settore energetico, ci sono il trattamento fiscale differente tra benzina e gasolio o le agevolazioni IVA per i prodotti fitosanitari o tutti i canoni agevolati nelle attività di estrazione. Nel nostro dossier individuiamo 13,8 miliardi su cui si può intervenire da qui al 2025. Senza dimenticare di aggiornare il Catalogo dei sussidi inserendo le 13 voci mancanti per un totale di 11,7 miliardi euro

3. Rivedere subito la tassazione sui combustibili fossili per portare trasparenza e legare la fiscalità alle emissioni di gas serra. In Italia la tassazione di combustibili e carburanti non è legata alle emissioni di gas serra. L’obiettivo delle politiche energetiche e dei trasporti deve essere di ridurre le emissioni di CO2 prodotte. Per questo la tassazione deve essere legata alle emissioni di carbonio fossile in ogni passaggio fiscale (dalla tassa di proprietà per gli autoveicoli, all’acquisto di combustibili per il trasporto e di fonti per il riscaldamento, ecc.).

(tabelle e rapporto nel link qui sotto)

https://www.qualenergia.it/articoli/litalia-spende-357-miliardi-lanno-in-sussidi-alle-fossili-o-che-danneggiano-lambiente/?fbclid=IwAR0esVqH4tdgpdjFnOL8nOHDdT95EX9l0fgYKG0AR4r5Gmp2ioDZIn11raQ

Recovery plan, “chi ha deciso come suddividere i fondi”? Lo schema delle bozze è orientato da paletti e raccomandazioni della Commissione Ue. Ecco quali. - Chiara Brusini

 

Gli attacchi di Renzi a Conte trascurano un particolare non da poco. Il margine di manovra del governo nel preparare l'ossatura del piano era limitato: tutti i Paesi devono rispettare le linee guida dettate da Bruxelles per assicurare che il Next generation Eu raggiunga gli obiettivi, a partire da lotta al cambiamento climatico e transizione digitale, a cui va destinata una quota ben precisa di fondi. In più occorre proporre misure che affrontino i punti deboli elencati nelle Raccomandazioni pubblicate ogni anno per ogni Paese. Fuori dalle maglie restano solo i circa 13 miliardi di React Eu, che il governo punta a usare per il taglio dei contributi per i lavoratori del Sud.

Definirle scelte obbligate forse è un eccesso. Ma di sicuro il margine di manovra del governo nel preparare la bozza del Piano nazionale per la ripresa e resilienza era molto limitato. Le polemiche politiche di queste ore – Matteo Renzi nel suo discorso al Senato si è chiesto “chi abbia deciso” dove mettere le risorse – non tengono conto del fatto che tutti i Recovery plan devono rispettare i rigidi paletti fissati dalla Commissione europea. Regole necessarie per assicurare che i 750 miliardi del Next generation Eu raggiungano gli obiettivi stabiliti da Bruxelles, a partire da lotta al cambiamento climatico e transizione digitale, a cui va destinata una quota ben precisa di fondi. Non solo: ogni Paese è anche tenuto a proporre misure con cui “affrontare efficacemente” i punti deboli rilevati dal Consiglio nelle sue raccomandazioni specifiche pubblicate ogni anno. Per l’Italia la lista è lunga: dalla lentezza della giustizia civile alla bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, passando per i risultati scolastici “tra i peggiori dell’Ue” e l’insufficiente offerta di asili nido. Tutti problemi a cui (cercare di) rimediare con il Piano. Risultato: la quasi totalità dell’ossatura della bozza era “già scritta” o quasi. Fuori dalle maglie restano solo i circa 13 miliardi dell’iniziativa React Eu, che il governo punta a usare per il taglio dei contributi per i lavoratori del Sud.

44 pagine di linee guida fissano i paletti – Le linee guida dello staff della Commissione sono state pubblicate lo scorso 17 settembre: 44 pagine ricche di esempi di “tipiche riforme e investimenti” ritenuti adeguati ai fini della transizione verde e delle altre priorità dell’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen, che è stata tra i grandi sponsor del fondo straordinario per la ripresa post Covid finanziato – per la prima volta nella storia – con l’emissione di bond europei per centinaia di miliardi. “Gli Stati hanno bisogno di una guida chiara per assicurare che i 672 miliardi della Recovery facility (il “cuore” del Next generation Eu, ndr) siano investiti sia per la ripresa immediata sia per una crescita sostenibile e inclusiva di lungo termine“, ha spiegato la presidente durante la presentazione del documento. E il punto è proprio questo: quelli che arriveranno all’Italia, primo beneficiario del piano, non sono fondi “svincolati” e da usare a piacimento per i settori scelti dal governo. Servono per costruire l’Europa del post pandemia secondo un progetto di ampio respiro messo a punto a Bruxelles.

Quattro obiettivi: dalla coesione alla transizione digitale e green – Dopo aver ricordato che i Piani nazionali vanno presentati entro il 30 aprile 2021 e discussi informalmente “appena possibile” con la task force europea – l’Italia ha iniziato a farlo a metà ottobre – le linee guida entrano nello specifico. Mettendo nero su bianco i quattro obiettivi generali che gli Stati membri devono tenere presenti, indicando come il loro piano contribuirà a raggiungerli: al primo posto c’è la promozione della coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione, seguita dal rafforzamento della resilienza economica e sociale, dalla mitigazione dell’impatto sociale ed economico della crisi e dal supporto alla transizione verde e digitale. A prima vista le descrizioni sono vaghe, ma è solo l’inizio. Perché il punto 4, sulla base di quanto deciso da Commissione e Consiglio nei mesi scorsi, ricorda che almeno il 37% delle risorse va speso per progetti “verdi”: per l’Italia significa almeno 72,5 miliardi. In più è richiesto “un livello minimo del 20% di spesa legato al digitale“: fanno altri 39 miliardi e passa. La bozza italiana rispetta l’indicazione e va un po’ oltre, visto che alla transizione green vanno, stando alle tabelle, 80 miliardi pari al 40,8% dei 196 miliardi che sono la cifra complessiva degli stanziamenti della Rrf per l’Italia (stima ancora provvisoria), mentre al digitale ne vengono assegnati 45 (23%). E così il 64% del totale è già assegnato.

La tabella con la ripartizione dei fondi contenuta nella bozza del Recovery plan italiano

Le sette iniziative chiave a cui contribuire – Ma il “foglietto di istruzioni” di Bruxelles è solo all’inizio. Subito dopo i Paesi vengono “invitati a fornire informazioni su quali componenti del loro Recovery plan contribuiranno alle sette iniziative” definite “fiori all’occhiello europei”, che fanno parte della strategia annuale per la crescita sostenibile: si tratta di piani per l’accelerazione nell’uso delle energie rinnovabili, la riqualificazione degli edifici, la promozione di tecnologie per la mobilità pulita, la diffusione di banda larga e 5G, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, lo sviluppo di processori più efficienti insieme al raddoppio della percentuale di aziende che usano big data e servizi cloud avanzati, l’aumento delle competenze digitali e della formazione sul lavoro. Di qui la necessità di un’infornata di progetti in queste aree.

Gli investimenti in infrastrutture? Solo se realizzabili entro il 2026 – Quanto agli investimenti in infrastrutture, è lo stesso manuale europeo a specificare che il loro orizzonte temporale deve essere coerente con quello del piano europeo, che si esaurirà nel 2026: dunque “gli Stati dovrebbero evitare investimenti la cui implementazione non può essere assicurata nell’arco di vita della Facility ed essere cauti nel considerare investimenti che richiederebbero impegni fiscali permanenti che richiederebbero economie di bilancio nei budget nazionali”. Cosa che spiega la scelta di concentrarsi sul rafforzamento e l’estensione di alcune tratte ferroviarie e la realizzazione dell’alta velocità al sud – che già sarà una sfida – e non aggiungere nel calderone altre grandi opere inventate ex novo. Gli investimenti già decisi saranno finanziati con i prestiti, riducendo così la necessità di indebitarsi ulteriormente sul mercato, mentre le sovvenzioni a fondo perduto andranno a coprire le spese addizionali.

Le raccomandazioni Paese da seguire – Il quadro si completa con la richiesta che il Recovery plan affronti anche le sfide identificate delle raccomandazioni Paese che Bruxelles invia tutti gli anni. Le linee guida ne ricordano alcune che ritengono valide per tutti, tra cui le riforme per migliorare il cosiddetto “business environment” – la facilità di fare impresa – e garantire l’efficacia della pubblica amministrazione. Aggiungendo le richieste specifiche fatte all’Italia, che nel 2019 e 2020 hanno riguardato tra il resto il coinvolgimento di giovani e donne nel mercato del lavoro, gli investimenti per migliorare i risultati scolastici, il rafforzamento delle competenze digitali e la riduzione della durata dei processi civili, il menù è completo.

Poche indicazioni sulla sanità – La bozza italiana recepisce tutte le indicazioni ed è peraltro modellata sulle linee guida italiane scritte dal Comitato interministeriale affari europei, approvate in cdm e discusse in Parlamento a ottobre. Per quanto riguarda uno degli aspetti più discussi, gli “scarsi” fondi alla sanità, va detto che quel comparto non è tra i punti principali del documento della Commissione visto che i Paesi, sulla carta, possono finanziarlo anche con le risorse del Mes. Le linee guida si limitano dunque a consigliare che scuole e ospedali siano in cima alla lista degli edifici pubblici da riqualificare e modernizzare – e il Recovery italiano lo prevede – e come esempi di interventi per affrontare le vulnerabilità dei sistemi sanitari cita il “miglioramento dell’accessibilità” e il rafforzamento dell’assistenza di lungo termine. Il piano italiano, partendo dalle criticità emerse durante la pandemia, punta su assistenza territoriale e digitalizzazione, capitolo che comprende la telemedicina per l’assistenza domiciliare ai pazienti anziani ma anche l’ampliamento dell’accesso dei laureati in medicina alle specializzazioni che sono risultate più scoperte, a partire da anestesia e terapia intensiva.

Obiettivi, tempi e risultati – Il piano vero e proprio, comunque, è ancora da scrivere: sarà molto più dettagliato e, stando allo schema proposto dalla Commissione, dovrà comprendere per ogni progetto specifici obiettivi descritti con numeri e dati, tappe da raggiungere strada facendo, risultati attesi in termini di impatto su quel settore. Ogni voce dovrà essere accompagnata dalla spiegazione di cosa, come, entro quando si punta a realizzare, chi è responsabile di farlo, perché è importante per il sistema Paese. La precisione e la chiarezza saranno cruciali, visto che è sulla base dell’effettivo raggiungimento di ogni target nei tempi previsti che la Commissione darà man mano il via libera al versamento dei fondi richiesti.

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Cabina di regia per gli aiuti Ue, le balle di Renzi e le riunioni di Amendola: tutti sapevano, in 4 mesi 16 incontri con i ministeri. - Salvatore Cannavò

 

A ottobre Italia viva e Pd hanno pure votato le linee guida in Aula.

Dopo i rischi di “dittatura sanitaria” si è passati ai rischi di dittatura da Recovery Plan. I fatti parlano di riunioni pubbliche, tante, di deliberazioni del Parlamento, di un dibattito alla luce del sole.

Eppure Matteo Renzi ha ventilato l’ipotesi di una “dittatura” via Next Generation riferendosi a riunioni di governo “tenute in uno stanzino”, invocando il dibattito parlamentare adombrando sospetti su “manager con poteri sostitutivi rispetto al governo” e sullo stesso governo “sostituito da una task force”. Ha fatto anche riferimento a “35 miliardi messi dalla Germania sul turismo” mentre noi ne mettiamo solo tre. E via di questo passo, prontamente assistito da una pattuglia di giornalisti compiacenti che su vari quotidiani fanno passare lo stesso messaggio.

Per capire che si tratta di propaganda basta leggere delle carte. Si scopre così che la struttura deputata al piano, presso il ministero degli Affari europei, ha lavorato con riunioni periodiche aperte a tutti, che il processo è controllato rigidamente dalla Commissione europea e che se qualche critica può essere mossa andrebbe senz’altro in senso contrario alle politiche difese da Renzi e soci.

La guida europea.

Il controllo europeo è chiaro fin dalla Guida al Recovery plan (Guidance to member states, Recovery and Resilience Plans) redatta il 17 settembre, in cui oltre a ricordare le coordinate di fondo a cui il Recovery deve sottostare, si richiede affidabilità sull’uso delle risorse, sulle norme, soprattutto i dettagli sulle misure messe in atto “per evitare ogni rischio di frode, corruzione o cattiva amministrazione in genere nell’aggiudicazione dei contratti”.

Nelle linee guida si richiede l’indicazione di una “autorità politica” a livello ministeriale dotata delle necessarie misure di coordinamento e di applicazione delle riforme e degli investimenti. Guardando alla bozza di decreto che circola in queste ore, che probabilmente sarà rivista alla luce delle opposizioni renziane, lo schema scelto sembra esattamente quello richiesto dall’Europa.

L’autorità politica.

Al vertice del piano c’è chiaramente una autorità politica, il Comitato esecutivo istituito all’interno del Ciae, il Comitato interministeriale per gli affari europei. Questo è l’organismo politico di riferimento “con compiti di coordinamento, vigilanza e supervisione”. Nel Ciae ci sono di fatto tutti i ministri e nel Comitato esecutivo il presidente del Consiglio, il ministro dell’Economia e quello dello Sviluppo economico.

Si sostiene che Palazzo Chigi centralizzi tutto con il decreto di nomina dei Responsabili di missione, ma questo avviene comunque “su proposta del Comitato esecutivo”. I famigerati Responsabili di missione, i manager che rischiano di sostituire il governo, “controllano l’attuazione dei progetti e delle opere necessarie per l’attuazione del Pnrr, anche mediante l’esercizio dei poteri di cui al comma 15”. Vediamo dunque questi poteri.

I poteri dei manager.

“Poteri di impulso e coordinamento operativo per favorire la realizzazione, da parte dei soggetti attuatori, dei progetti al fine di garantire il rispetto dei tempi; poteri di vigilanza e monitoraggio nei confronti dei soggetti attuatori; poteri sostitutivi alle condizioni di cui al comma 16”.

I poteri sostitutivi sono i grandi inquisiti, anche perché vengono esercitati mediante “ordinanze” che rispettano, di fatto, solo il codice penale e l’antimafia. La loro ratio è quella di “risolvere situazioni o eventi ostativi alla realizzazione delle opere”, un modo per evitare “gli ingorghi” come dice il ministro degli Affari europei, Enzo Amendola, e che obbedisce alla logica europea che sta a monte.

Le coordinate Ue.

Se Renzi avesse letto tutti i documenti saprebbe anche che la Commissione ha stabilito delle coordinate per lo stanziamento dei fondi. Il 37% del Recovery deve essere infatti destinato al settore “Green”, il 20 per cento ai piani di digitalizzazione. C’è una chiara spinta a garantire fondi all’ammodernamento delle imprese o alla Coesione sociale e le linee guida dettano in dettaglio anche i modi in cui i fondi possono essere impiegati. Ad esempio indicando come priorità “l’efficientamento energetico delle residenze private e pubbliche” a cui va la parte più rilevante pari a circa 40 miliardi.

I fondi per la Salute.

Questo esempio aiuta a chiarire meglio il caso dei fondi per la Salute che secondo Renzi, ma anche secondo il ministro Roberto Speranza, sono sottodimensionati. Quando si parla di efficientamento energetico si indica la priorità “a scuole e ospedali” quindi in quella voce ci sono anche spese per la Sanità. Così come nella digitalizzazione. I dati riaggregati delle varie voci non sono disponibili, ma i conti andrebbero fatti in questo modo.

Il Parlamento ha discusso.

Che ci siano delle coordinate europee da seguire sarebbe stato chiaro a Italia Viva se avesse preso sul serio il Parlamento che il 13 ottobre ha discusso e approvato le “Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Al Senato intervenne proprio Renzi che, a parte un po’ di battute e la solita sparata sul Mes, sul Recovery disse questo: “Noi abbiamo apprezzato i suoi toni, le affidiamo il messaggio che Alessandro Baricco lascia in Oceano mare, quando le due persone dialogano e lei dice a lui: ‘Ogni tanto mi chiedo cosa mai stiamo aspettando’. E lui risponde: ‘Che sia troppo tardi, madame’”. Il personaggio è questo.

Incontri al ministero.

Quello che però Renzi e i suoi non possono non conoscere è il percorso di costruzione del Piano con diversi appuntamenti, a partire dalle riunioni del Comitato tecnico di Valutazione costituito presso il Ciae, formato da rappresentanti dei vari ministeri, ma anche di Regioni, Comuni e Province.

Andando sul sito del ministero si possono leggere anche i resoconti. Dal 29 luglio al 2 novembre ci sono state ben 16 riunioni, l’ultima presieduta dallo stesso Amendola. In quelle occasioni, si è sempre discusso della struttura del piano, del crono-programma, delle richieste della Ue e di quelle delle varie amministrazioni. Se si fosse voluto discutere seriamente le occasioni di confronto non sono mancate.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/11/le-balle-di-renzi-e-le-i-riunioni-di-amendola/6033354/

Renzi, l'ibrido politico che non ha un'ideologia politica sua, lancia messaggi ai buoni intenditori, ma viene irrimediabilmente, costantemente sbugiardato.
Lui sa da che parte stare, non avendo un indirizzo politico, lui fa il politico di professione solo per raggiungere i suoi scopi, pertanto si comporta da doppiogiochista; sta nella maggioranza ma vota contro, promette agevolazioni agli imprenditori per essere supportato economicamente, ma aderisce alle direttive del governo quando non può fare altrimenti, fregandosene altamente di ciò che aveva promesso agli uni ed agli altri.
c.

Ue: c'è l'accordo sul Recovery e il Next Generation Eu.

 

Michel: 'Il nostro monumentale pacchetto di ripresa guiderà la transizione verde e digitale'.

I leader Ue hanno raggiunto l'accordo sul Recovery fund e il Next Generation EU: lo rende noto il presidente del Consiglio Ue Charles Michel.

von der Leyen, l'Europa va avanti  - "L'Europa va avanti!". E' quanto scrive la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen dopo l'accordo raggiunto al Consiglio europeo sul prossimo bilancio dell'Ue e sul NextGenerationEU . "1.800 miliardi per alimentare la nostra ripresa e costruire una Ue più resiliente, verde e digitale - aggiunge von der Leyen - Congratulazioni alla Presidenza tedesca del Consiglio".

Michel, ora può partire l'attuazione  - "Accordo sul Next Generation EU e sul Recovery Fund. Ora possiamo cominciare con l'attuazione e la ricostruzione delle nostre economie. Il nostro monumentale pacchetto di ripresa guiderà la transizione verde e digitale": lo scrive su Twitter il presidente del Consiglio Ue Charles Michel.

Conte, ora dobbiamo solo correre - "Appena raggiunto in Consiglio europeo l'accordo definitivo sul NextGenerationEU. Questo significa poter sbloccare le ingenti risorse destinate all'Italia: 209 miliardi. Approvato anche il Bilancio pluriennale. Ora avanti tutta con la fase attuativa: dobbiamo solo correre!". Lo scrive su twitter il premier Giuseppe Conte.

Gentiloni, non avevo dubbi, superati i veti - "Non avevo dubbi. Alla fine i veti su NextGenerationEU sono stati superati. Un successo per la Commissione, il Parlamento e il Consiglio Ue. La firma è di Angela Merkel". Lo scrive su Twitter il commissario europeo Paolo Gentiloni.

Macron, Europa va vanti mantenendo i suoi valori  - "Lo storico piano di rilancio europeo deciso a luglio si sta ora concretizzando. Abbiamo appena adottato un solido accordo sul meccanismo da attuare, nel rispetto dello Stato di diritto. L'Europa sta andando avanti, unita e mantenendo i suoi valori". Così il presidente francese Emmanuel Macron su Twitter.

https://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2020/12/10/recovery-orban-siamo-ad-un-centimetro-dallaccordo_c498eeb4-863c-4a33-9511-208870539bb2.html

giovedì 10 dicembre 2020

Boschi-Gruber: cari renziani, far domande non è sessismo. - Selvaggia Lucarelli

 

Dalla ministra Bonetti al deputato Nobili raffiche di tweet contro la violenza sulle donne. La conduttrice “rea” di aver fatto il suo lavoro.

Martedì sera, a Otto e mezzo, si è consumato un pestaggio. Ma che dico pestaggio, un omicidio. Ma che dico omicidio, una mattanza. E la vittima, un’inerme, fragile Maria Elena Boschi è ora giustamente celebrata da chi le voleva bene. Anche io desidero ricordarla come una brava ragazza, una che disse “Se vince il no al referendum lascio la politica” e poi ha trovato più incisivo lasciare la riga da una parte per la frangetta.

In particolare, è stata compianta con affetto dai soldatini di Italia Viva, quelli che pensano, nella comunicazione, di doversi muovere sempre compatti, in gruppo, come gli gnu nel Serengeti.

L’hanno difesa – in effetti – da un atto vile e feroce: un’intervista di Lilli Gruber (da cui per giunta pare si fosse offerta di andare lei stessa). Un’intervista in cui la conduttrice ha osato dare prova di vivacità, vis polemica e sì, anche una certa ostilità di fronte alla vaghezza dell’intervistata che continuava a rispondere con la consueta verve dell’operatore telefonico automatizzato a domanda “Volete far cadere il governo?”, “Mi auguro di no”. Per poi ripetere come un mantra che a lei interessa come vengono spesi i soldi del Recovery Fund e la Gruber che insisteva sul fatto che il quesito prioritario fosse un altro, e cioè l’eventualità di far cadere il governo in un momento così difficile per il Paese.

Un confronto acceso, insomma, tra una giornalista che ha il diritto (ma volendo pure il dovere) di essere incalzante e una politica che ha il diritto di rispondere a tono. Tanto più che erano loro due, ad armi pari. Non ho intravisto i fratelli Bianchi da Colleferro dietro la Gruber.

Ma l’affronto più duro per la Boschi non è stata neppure la faccenda del Recovery Fund, a sentire i suoi solidali compagni di partito. No, il colpo basso è stato quel perfido mostrarle alcune foto uscite su Chi in cui lei e il suo compagno scattavano dei selfie senza mascherina, all’aperto. Un carognata senza precedenti, uno scheletro dall’armadio di quelli che fanno male e imbarazzano, mi rendo conto. E lì la Boschi, barcollante per l’umiliazione, ha risposto legittimamente che quello è un “suo congiunto”, che si sono tolti un attimo la mascherina all’aperto e poi l’hanno rimessa. Davvero una mortificazione senza precedenti che ha scatenato orde di tweet o dichiarazioni solidali nei confronti della povera Maria Elena, difesa così, per esempio, dal ministro (di Italia Viva) Elena Bonetti: “Da donna mi permetto di dire che l’accanimento sulla vita privata delle persone è sempre fuori luogo”. Accanimento? Ma il meglio viene dal deputato Luciano Nobili, che in risposta a me che scrivo un tweet scherzoso (sul fatto che la Gruber gliele abbia date e la Boschi le abbia prese), scomoda l’hashtag #25novembre come richiamo alla giornata contro la violenza sulle donne.

Ora, capisco che per quelli di Italia Viva talvolta esprimere a comando (e ad minchiam) solidarietà a una donna del loro partito sia qualcosa di molto moderno e chic tipo “ho molti amici gay”, ma qui le donne, la violenza, gli attacchi personali, il sessismo non c’entrano nulla. Qualcuno dovrebbe spiegare ai renziani la differenza tra un attacco sessista e una discussione politica con una donna. E al posto della Boschi mi sentirei profondamente offesa all’idea di essere difesa in quanto donna e non in quanto interlocutore politico.

Se qui si intravede del sessismo, al limite, è quello dei suoi compagni di partito che evidentemente la ritengono parte di una categoria fragile – quella femminile – dunque incapace di sopravvivere a un’intervista cazzuta. E se la Boschi non ha brillato, non è certo colpa dell’ostilità della Gruber. Ricordo un vecchio scontro tv Costamagna-Carfagna in cui alle domande dure e puntute della conduttrice, la Carfagna seppe replicare con vigore e stile, risultando più efficace della stessa Costamagna. E a proposito di fidanzati e gossip, si ricorda che la Gruber a Otto e mezzo ha chiesto a Di Maio della sua fidanzata, a Salvini della Isoardi e di compagnie esuberanti al Papeete e così via, e parliamo di esponenti di partiti piuttosto diversi. Che hanno risposto senza aria, anzi, frangetta accigliata.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/10/boschi-gruber-cari-renziani-far-domande-non-e-sessismo/6031953/

Ecco i giacobini del Covid-19: c’è poco da ridere. - Antonio Padellaro

 

Liberté, contagé, trapassé: guidati dal Robespierre lombardo Attilio Fontana (“comprendo chi viola divieti incomprensibili e assurdi”), i giacobini del Covid inneggiano alla rivoluzione contro le limitazioni festive del perfido Conte. Sventolano copie di Libero che incitano (istigano?) alla rivolta tuonando: “Importante è disobbedire”. Pendono dall’ugola sdegnata di Mario Giordano (e di Iva Zanicchi). Riscoprono gli affetti più cari, a cominciare dai nonnini di cui ignoravano l’esistenza in vita, e che adesso come non mai bramano di sbaciucchiare cantando Che sarà sarà.

Purtroppo c’è poco da ridere, e speriamo che non ci sia molto da piangere quando il 6 gennaio si faranno i conti con gli intrepidi patrioti del virus natalizio. Con l’augurio che non sia un bilancio salatissimo in termini di vittime, come dopo la scatenata estate del contagiatevi allegramente e così sia. C’è del metodo in questa follia, a cominciare dal presidente della Regione Lombardia, ormai sovrapponibile (col degno sodale Gallera) alla macchietta che ne fa Maurizio Crozza. Travolto dai camici del cognato, dai soldi nei paradisi fiscali, dal flop dei vaccini antinfluenzali, Fontana cerca rifugio presso il ribellismo di più bassa Lega, indegno di chi ricopre una così importante carica istituzionale.

Quanto poi all’odio per il premier, si può comprendere che si usino tutti i mezzi, anche i più biechi per disarcionarlo e mandarlo a casa. Si resta però di sasso quando per fomentare l’implacabile crociata ci si percuote appassionatamente gli zebedei. Perché, cari colleghi di Libero, si ha un bel dire che “basta il buon senso per evitare norme incomprensibili”.

Purtroppo il buon senso è criterio abbastanza opinabile. Così come tutto può essere “incomprensibile” per chi non possiede capacità di giudizio e di comprendonio. Dio non voglia che pur di ottemperare al vostro appello alla disobbedienza, qualcuno un giorno non vi (ci) starnutisca in faccia, sostenendo che la mascherina comprime i diritti costituzionali (sì, abbiamo letto anche questo). Infine, a sostegno del facciamo come ci pare, citate una frase di Indro Montanelli: “Più che comandare io preferisco disobbedire”. Che però risulta abbia anche detto: “Non c’è alleato più prezioso di un nemico cretino”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/10/ecco-i-giacobini-del-covid-19-ce-poco-da-ridere/6031985/