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mercoledì 21 aprile 2021

Avrà 50 miliardi dal Recovery Plan: è partita la guerra per la guida di FS. - Marco Palombi

 

La guerra non tanto fredda per la guida di Ferrovie dello Stato è ormai aperta anche in pubblico. Ieri nientemeno che il Financial Times ha ripreso una notizia pubblicata mesi fa sulla stampa italiana (da Il Domani per la precisione): l’esistenza di un’inchiesta a Roma sui rapporti tra FS e Generali nell’ipotesi che la compagnia assicurativa sia stata favorita in questi anni come fornitore della società pubblica; in questo contesto – altro fatto noto – si parla di due risarcimenti per malattia pagati all’ad Gianfranco Battisti, all’epoca a capo dell’Alta velocità, per oltre 1,7 milioni di euro. Effettivamente un’enormità, ma l’attuale numero 1 di Ferrovie, in corsa per la riconferma a maggio, non era indagato mesi fa e non è indagato ora, come specifica anche il FT.

E allora perché un’inchiesta vecchia di mesi e un fatto (i risarcimenti a Battisti) che fu oggetto di interrogazioni parlamentari di Matteo Renzi e soci addirittura nell’ottobre 2019 finisce ora sul più importante quotidiano finanziario europeo? Perché entra nel vivo la partita delle nomine pubbliche: il cda di Ferrovie dello Stato, attorno a cui da oltre un anno e mezzo si combatte una battaglia senza esclusione di colpi, va in scadenza a maggio ed è una poltrona che oggi fa persino più gola di prima. Come raccontato sul Fatto di lunedì, Rfi – cioè la società di Ferrovie che costruisce e gestisce le linee – ha progetti d’investimento di suo per 79 miliardi nei prossimi anni, mentre nella versione del Recovery Plan del governo Conte c’erano investimenti in ferrovie per 26,7 miliardi, che saranno pressoché raddoppiati – secondo indiscrezioni – dall’extradeficit da 30 miliardi in sei anni voluto dall’esecutivo Draghi. Non solo: “Cresce ancora la quota delle Ferrovie”, ci informava ieri Il Sole 24 Ore senza spiegarci di quanto. Il motivo per cui “cresce”, però, è assieme chiaro e bizzarro: “Le ferrovie sono considerate da Bruxelles un investimento 100% green e il rafforzamento di questo capitolo aumenta la possibilità per l’intero piano di superare ‘l’esame’ di ecologia”. In sostanza a Bruxelles ritengono che ogni investimento ferroviario sia un bene per l’ambiente: un non sequitur da antologia di cui nessuno dovrebbe stupirsi visto che è alla base, per dire, del sì all’alta velocità Torino-Lione.

In sostanza, Ferrovie dello Stato sarà il principale investitore singolo del Piano di ripresa italiano, motivo per cui la poltrona di amministratore delegato fa oggi ancora più gola di prima: al netto di eventuali appetiti illegittimi, per così dire, è un posto dal quale si può disegnare un pezzo del futuro del Paese e, ovviamente, aggregare un non disprezzabile sistema di potere. Battisti – che finora è stato discretamente speranzoso nella riconferma, al contrario del suo nemico interno, il presidente Gianluigi Castelli – è figlio della stagione “gialloverde” e fu nominato in quota M5S: da allora Matteo Renzi e l’area a lui più vicina del Pd, prima e dopo la scissione, gli hanno fatto la guerra sognando il ritorno dell’ex amministratore delegato Renato Mazzoncini, ahi lui azzoppato da un paio di disavventure giudiziarie, o almeno di qualcuno a lui vicino (c’è chi fa il nome del dirigente Fabrizio Favara).

Per quanto imbarazzante, va registrato che il nuovo articolo con vecchia storia del FT non ha scatenato il solito profluvio di dichiarazioni. A sera – piccolo segnale – l’unico dichiaratore risultava il capogruppo Pd in commissione Trasporti della Camera Davide Gariglio, piemontese e pasdaran pro-Tav, già renziano, oggi nella riserva degli ex detta Base riformista (Lotti, Guerini, etc.): “Le indagini sugli indennizzi milionari versati per infortuni occorsi ai manager del Gruppo Ferrovie dello Stato gettano un’ombra sull’operato degli attuali vertici dell’azienda”, la sua stentorea presa di posizione.

Particolare che segnala il vero problema di questa vicenda: non è chiaro su quali basi, discutendo con chi e attraverso che criteri Mario Draghi – che ha già fatto capire che nominerà da solo i vertici delle principali partecipate – sceglierà il prossimo ad di Ferrovie. Influirà un articolo del Financial Times, giornale con cui ha avuto storicamente ottimi rapporti e che ha ospitato il suo lungo intervento sulla pandemia?

IlFQ


venerdì 11 dicembre 2020

Cabina di regia per gli aiuti Ue, le balle di Renzi e le riunioni di Amendola: tutti sapevano, in 4 mesi 16 incontri con i ministeri. - Salvatore Cannavò

 

A ottobre Italia viva e Pd hanno pure votato le linee guida in Aula.

Dopo i rischi di “dittatura sanitaria” si è passati ai rischi di dittatura da Recovery Plan. I fatti parlano di riunioni pubbliche, tante, di deliberazioni del Parlamento, di un dibattito alla luce del sole.

Eppure Matteo Renzi ha ventilato l’ipotesi di una “dittatura” via Next Generation riferendosi a riunioni di governo “tenute in uno stanzino”, invocando il dibattito parlamentare adombrando sospetti su “manager con poteri sostitutivi rispetto al governo” e sullo stesso governo “sostituito da una task force”. Ha fatto anche riferimento a “35 miliardi messi dalla Germania sul turismo” mentre noi ne mettiamo solo tre. E via di questo passo, prontamente assistito da una pattuglia di giornalisti compiacenti che su vari quotidiani fanno passare lo stesso messaggio.

Per capire che si tratta di propaganda basta leggere delle carte. Si scopre così che la struttura deputata al piano, presso il ministero degli Affari europei, ha lavorato con riunioni periodiche aperte a tutti, che il processo è controllato rigidamente dalla Commissione europea e che se qualche critica può essere mossa andrebbe senz’altro in senso contrario alle politiche difese da Renzi e soci.

La guida europea.

Il controllo europeo è chiaro fin dalla Guida al Recovery plan (Guidance to member states, Recovery and Resilience Plans) redatta il 17 settembre, in cui oltre a ricordare le coordinate di fondo a cui il Recovery deve sottostare, si richiede affidabilità sull’uso delle risorse, sulle norme, soprattutto i dettagli sulle misure messe in atto “per evitare ogni rischio di frode, corruzione o cattiva amministrazione in genere nell’aggiudicazione dei contratti”.

Nelle linee guida si richiede l’indicazione di una “autorità politica” a livello ministeriale dotata delle necessarie misure di coordinamento e di applicazione delle riforme e degli investimenti. Guardando alla bozza di decreto che circola in queste ore, che probabilmente sarà rivista alla luce delle opposizioni renziane, lo schema scelto sembra esattamente quello richiesto dall’Europa.

L’autorità politica.

Al vertice del piano c’è chiaramente una autorità politica, il Comitato esecutivo istituito all’interno del Ciae, il Comitato interministeriale per gli affari europei. Questo è l’organismo politico di riferimento “con compiti di coordinamento, vigilanza e supervisione”. Nel Ciae ci sono di fatto tutti i ministri e nel Comitato esecutivo il presidente del Consiglio, il ministro dell’Economia e quello dello Sviluppo economico.

Si sostiene che Palazzo Chigi centralizzi tutto con il decreto di nomina dei Responsabili di missione, ma questo avviene comunque “su proposta del Comitato esecutivo”. I famigerati Responsabili di missione, i manager che rischiano di sostituire il governo, “controllano l’attuazione dei progetti e delle opere necessarie per l’attuazione del Pnrr, anche mediante l’esercizio dei poteri di cui al comma 15”. Vediamo dunque questi poteri.

I poteri dei manager.

“Poteri di impulso e coordinamento operativo per favorire la realizzazione, da parte dei soggetti attuatori, dei progetti al fine di garantire il rispetto dei tempi; poteri di vigilanza e monitoraggio nei confronti dei soggetti attuatori; poteri sostitutivi alle condizioni di cui al comma 16”.

I poteri sostitutivi sono i grandi inquisiti, anche perché vengono esercitati mediante “ordinanze” che rispettano, di fatto, solo il codice penale e l’antimafia. La loro ratio è quella di “risolvere situazioni o eventi ostativi alla realizzazione delle opere”, un modo per evitare “gli ingorghi” come dice il ministro degli Affari europei, Enzo Amendola, e che obbedisce alla logica europea che sta a monte.

Le coordinate Ue.

Se Renzi avesse letto tutti i documenti saprebbe anche che la Commissione ha stabilito delle coordinate per lo stanziamento dei fondi. Il 37% del Recovery deve essere infatti destinato al settore “Green”, il 20 per cento ai piani di digitalizzazione. C’è una chiara spinta a garantire fondi all’ammodernamento delle imprese o alla Coesione sociale e le linee guida dettano in dettaglio anche i modi in cui i fondi possono essere impiegati. Ad esempio indicando come priorità “l’efficientamento energetico delle residenze private e pubbliche” a cui va la parte più rilevante pari a circa 40 miliardi.

I fondi per la Salute.

Questo esempio aiuta a chiarire meglio il caso dei fondi per la Salute che secondo Renzi, ma anche secondo il ministro Roberto Speranza, sono sottodimensionati. Quando si parla di efficientamento energetico si indica la priorità “a scuole e ospedali” quindi in quella voce ci sono anche spese per la Sanità. Così come nella digitalizzazione. I dati riaggregati delle varie voci non sono disponibili, ma i conti andrebbero fatti in questo modo.

Il Parlamento ha discusso.

Che ci siano delle coordinate europee da seguire sarebbe stato chiaro a Italia Viva se avesse preso sul serio il Parlamento che il 13 ottobre ha discusso e approvato le “Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Al Senato intervenne proprio Renzi che, a parte un po’ di battute e la solita sparata sul Mes, sul Recovery disse questo: “Noi abbiamo apprezzato i suoi toni, le affidiamo il messaggio che Alessandro Baricco lascia in Oceano mare, quando le due persone dialogano e lei dice a lui: ‘Ogni tanto mi chiedo cosa mai stiamo aspettando’. E lui risponde: ‘Che sia troppo tardi, madame’”. Il personaggio è questo.

Incontri al ministero.

Quello che però Renzi e i suoi non possono non conoscere è il percorso di costruzione del Piano con diversi appuntamenti, a partire dalle riunioni del Comitato tecnico di Valutazione costituito presso il Ciae, formato da rappresentanti dei vari ministeri, ma anche di Regioni, Comuni e Province.

Andando sul sito del ministero si possono leggere anche i resoconti. Dal 29 luglio al 2 novembre ci sono state ben 16 riunioni, l’ultima presieduta dallo stesso Amendola. In quelle occasioni, si è sempre discusso della struttura del piano, del crono-programma, delle richieste della Ue e di quelle delle varie amministrazioni. Se si fosse voluto discutere seriamente le occasioni di confronto non sono mancate.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/11/le-balle-di-renzi-e-le-i-riunioni-di-amendola/6033354/

Renzi, l'ibrido politico che non ha un'ideologia politica sua, lancia messaggi ai buoni intenditori, ma viene irrimediabilmente, costantemente sbugiardato.
Lui sa da che parte stare, non avendo un indirizzo politico, lui fa il politico di professione solo per raggiungere i suoi scopi, pertanto si comporta da doppiogiochista; sta nella maggioranza ma vota contro, promette agevolazioni agli imprenditori per essere supportato economicamente, ma aderisce alle direttive del governo quando non può fare altrimenti, fregandosene altamente di ciò che aveva promesso agli uni ed agli altri.
c.