sabato 10 aprile 2021

Astrazeneca addio, l'Ue prenota 1,8 miliardi di vaccini mRna. - Angela Mauro

 

Via da Astrazeneca, che anche questa settimana sta ritardando metà delle consegne all’Europa. Via da Johnson&Johnson, che pure avrebbe scatenato alcuni rari casi di trombosi sui quali - questa è la novità - sta indagando l’Ema. Per il futuro, la Commissione europea punta sui vaccini a ‘Rna messaggero’, considerati anche dalla stessa Agenzia europea del farmaco più efficaci e con minori rischi di reazioni avverse. Palazzo Berlaymont è pronta all’acquisto di ben 900 milioni di dosi efficaci anche contro le varianti del coronavirus, con un’opzione contrattuale di altri 900 milioni di fiale, per l’approvvigionamento dei paesi membri nel 2022 e 2023.

Secondo fonti europee, la casa farmaceutica con cui la Commissione Europea potrebbe firmare un nuovo contratto nei prossimi giorni potrebbe essere la Pfizer-Biontech, che al momento ha maggiori capacità produttive. Ma possibili opzioni sono anche Moderna e Curevac. Il problema però è che fare ora con i richiami: dopo la Germania, anche la Francia ha deciso di non usare Astrazeneca per la seconda dose agli under-55.

Dopo l’altalena di decisioni sul vaccino di Oxford, responsabile anche secondo l’Ema dei casi di trombosi, pur rari ma gravi, riscontrati nelle utenze più giovani e soprattutto femminili, la via sembra segnata. Per il futuro, Bruxelles, in accordo e a nome degli Stati membri, non farà più affidamento su questo genere di vaccini, bensì su quelli a ‘mRNA’ che spingono il corpo umano a produrre una proteina che imita parte del virus, innescando una risposta immunitaria. Mentre AstraZeneca, come anche il prodotto di Johnson&Johnson, utilizza una versione innocua e indebolita del virus del raffreddore comune di uno scimpanzé per fornire istruzioni per generare una risposta immunitaria e prevenire l’infezione.

Ma questo è il futuro.

Il problema è il presente, non semplice da gestire mentre incalzano le varianti del virus e la campagna vaccinale resta lenta in tutta l’Ue e in particolare in Italia. L’Ue ha un disperato bisogno di vaccini ora. Dopo che diversi Stati membri tra cui Germania, Italia, Francia, Spagna, Belgio e altri hanno scelto di raccomandare l’uso di Astrazeneca solo a chi ha più di 55 o 60 anni, alla luce delle nuove indicazioni dell’Ema sui “forti legami” tra le trombosi e l’inoculazione di questo vaccino, il problema è gestire i richiami, per chi ha già ricevuto la prima dose del siero anglo-svedese.

In Italia il governo raccomanda di usare comunque Astrazeneca, sostenendo che non ci sono segnalazioni di complicazioni dopo la seconda dose. Il punto è che sui richiami non ci sono sufficienti dati scientifici, perché in grandissima maggioranza non sono stati ancora effettuati, come hanno spiegato anche i tecnici dell’Ema in conferenza stampa martedì scorso

In Francia invece, l’autorità sanitaria francese (la ‘Has’, Haute Autorite de la Sante) ha deciso che gli under-55 interessati ai richiami verranno vaccinati con un siero a ‘Rna messaggero’, Pfizer o Moderna, optando dunque per un mix tra prima e seconda dose, pur in assenza di sperimentazioni a riguardo ma fidandosi degli studi condotti sugli animali e su altre malattie. La Germania è stato il primo paese a orientarsi in questo senso, sebbene l’Organizzazione mondiale della Sanità abbia avvertito che non ci sono dati per raccomandare di “mescolare e abbinare” diversi vaccini tra prima iniezione e richiamo. Thomas Mertens, capo della Commissione vaccinale tedesca ‘Stiko’, è invece convinto che mescolare due diversi vaccini potrebbe rivelarsi più efficace che somministrare due dosi dello stesso siero. “In primo luogo, sono sicuro che non ci siano rischi per la sicurezza dei vaccinati - dice a Reuters Television - In secondo luogo, sono personalmente convinto che l’immunità alla fine sarà altrettanto buona, forse anche migliore”.

La questione ‘richiami’ produce dunque altre differenziazioni tra gli Stati Ue. Ma la novità che preoccupa di più nell’immediato è l’apertura di un’indagine dell’Ema su 4 casi di trombosi riscontrati negli Usa dopo la somministrazione di Johnson&Johnson, autorizzato dall’Agenzia europea ma ancora non in distribuzione nel continente (dovrebbe partire questo mese). Si tratta di trombosi dello stesso tipo riscontrato con Astrazeneca. Uno dei quattro casi è stato fatale. Finora Johnson&Johnson è stato somministrato a 4,5 milioni di persone nel mondo. L’incidenza delle reazioni avverse è dunque bassissima, ma la nuova indagine Ema aggiunge un elemento significativo alla nuova ‘manovra’ europea di puntare sui vaccini a ‘Rna messaggero’ per il futuro.

Naturalmente, anche le quotazioni in Borsa delle varie case farmaceutiche offrono un’istantanea di quanto sta avvenendo. La nuova indagine dell’Ema su Johnson&Johnson influisce sul fatto che nella City la ‘rivale’ Astrazeneca guadagni 7.287 punti, mettendo a segno un +0,61 per cento. Al Nasdaq volano le azioni di Biontech e Moderna, che salgono rispettivamente del 4,03% a 119,10 dollari (sui massimi dallo scorso dicembre) e del 7,2% a 143,52 dollari.

Il punto è che man mano che si chiarisce la via vaccinale del futuro, si acuiscono i dubbi sul presente, sui richiami per le persone sotto i 55-60 anni. Che fare ora di Astrazeneca e del prossimo in arrivo Johnson&Johnson?

Huffpost

Il passante del Consiglio. - Marco Travaglio

 

Giovedì sera ci siamo coricati con la certezza che Draghi avesse fatto una bella gaffe a cazziare gli “psicologi di 35 anni senza coscienza” che “saltano la lista” e si vaccinano “lasciando esposto chi ha più di 65 anni o una persona fragile”, quando è stato proprio lui a obbligarli a farlo, all’articolo 4 del decreto Draghi n. 44 del 1° aprile. Pena la perdita dello stipendio e la sospensione dall’esercizio della professione fino al 31 dicembre. Poi ieri abbiamo scoperto dal nostro faro Claudio Tito (Repubblica) che non di gaffe si trattava, ma di “distacco dal Conte-2”: “Il cambio di rotta è tracciato”, “si apre la fase 2 del governo Draghi”, “per la prima volta prende forma la discontinuità più concreta”. In effetti anche noi notiamo una certa discontinuità: quando Conte diceva una cosa giusta tutti lo lapidavano e quando Draghi fa una gaffe tutti lo leccano. Per carità, una gaffe può capitare a chiunque, specie se non è abituato a un fuoco di fila di domande su tutto lo scibile umano (e fortuna che “colleghi” hanno perso la fissa del Mes). Ma una gaffe resta una gaffe. Invece ieri non ce n’era traccia in alcuna prima pagina di alcun quotidiano, tutte impegnatissime sbavare sul meraviglioso “urlo di Draghi” (contro se stesso) sui “furbi” o “furbetti” o “salta-fila”. Come se Draghi avesse la scienza infusa e, di conseguenza, gli psicologi che obbediscono al decreto Draghi fossero dei lestofanti.

Dell’altra frase improvvida, quella su “Erdogan dittatore”, con prevedibile incidente diplomatico incorporato, non parliamo perché il tizio fa ribrezzo pure a noi, ma non osiamo immaginare che avrebbero detto i laudatores del premier se l’avesse pronunciata Di Maio, noto “bibitaro”. Il guaio è che entrambe le uscite denotano una questione di fondo: il presidente del Consiglio, per quanto autorevolissimo e stimatissimo, tende a parlare come un passante, un opinionista, un ospite di talk show. Senza gli obblighi che impone la diplomazia né la responsabilità di chi i problemi non li deve denunciare: li deve risolvere. Le campagne contro i salta-fila le fanno i giornalisti: chi governa deve cambiare le regole sulle file. Anche perché, salvo casi singoli, i salta-fila non esistono: esistono persone di alcune categorie chiamate dalle Asl a vaccinarsi e si mettono in fila. L’eventuale colpa non è loro, ma di chi le chiama. E del governo che non risolve il problema. Anzi, lo aggrava. Chi ha ordinato alle Regioni, in diretta tv, di “vaccinare chi passa”? Un presidente di Regione? Il leader del Sindacato Salta-fila? No, il Comm. Str. Gen. C.A. F. P. Figliuolo. E le Regioni hanno subito obbedito. Fortuna che quella scemenza non l’ha detta Arcuri, sennò Draghi l’avrebbe già sostituito con un generale.

IlFattoQuotidiano

venerdì 9 aprile 2021

Morto principe Filippo, la regina Elisabetta piange “l’amato marito”: i funerali nei prossimi 10 giorni ma non di Stato.

 

L'annuncio di Buckingham Palace: "Sua Altezza Reale il Principe Filippo, Duca di Edimburgo, spirato pacificamente stamattina nel Castello di Windsor". Secondo le regole previste per i funerali della Casa Reale, le esequie del principe Filippo si svolgeranno nei prossimi 10 giorni nella St Georgès Chapel in 'forma ristretta'.

Poche righe toccanti per esprimere il dolore di una perdita dopo 73 anni di vita insieme: così la regina Elisabetta II ha annunciato oggi la morte del principe consorte Filippo di Edimburgo, nato a Corfù il 10 giugno 1921 e scomparso a 2 mesi dal traguardo del compleanno numero 100. “È con profonda tristezza – vi si legge – che Sua Maestà la Regina annuncia la morte del suo amato marito, Sua Altezza Reale il Principe Filippo, Duca di Edimburgo, spirato pacificamente stamattina nel Castello di Windsor. Ulteriori annunci saranno dati a tempo debito. La Famiglia Reale si unisce alle persone che nel mondo sono in lutto per la perdita”.

Secondo le regole previste per i funerali della Casa Reale, le esequie del principe Filippo si svolgeranno nei prossimi 10 giorni nella St Georgès Chapel, sempre a Windsor, in ‘forma ristretta’, come ha chiesto lo stesso consorte della Regina Elisabetta. Per lui niente funerali di Stato: lo riferiscono fonti di palazzo alla Bbc, precisando che la cerimonia sarà di natura privata, pur con gli onori del caso, “nel rispetto delle consuetudini e delle volontà” del defunto. Il corpo resterà nel castello di Windsor fino al rito religioso, che si svolgerà nell’adiacente cappella di St George – dove si sono sposati fra gli altri Harry e Meghan – alla presenza della famiglia reale e d’una rappresentanza di ospiti. Le regole del distanziamento e i divieti di assembramenti vigenti per il Covid imporranno dei cambiamenti al programma già elaborato dal Palazzo dei funerali, che ha come nome in codice “Operation Forth Bridge”.

A Buckingham Palace la Union Jack è a mezz’asta. La bandiera britannica è stata fatta calare in questi minuti dopo l’annuncio dato dalla regina Elisabetta che è stato anche incorniciato e appeso sul cancello di Buckingham Palace. La folla che si è radunata davanti al palazzo però, ha costretto i funzionari reali a rimuovere l’annuncio della scomparsa del principe Filippo, per evitare assembramenti. Lo riporta il Telegraph, precisando che l’afflusso dei sudditi che vogliono rendere omaggio al consorte della regina sta creando preoccupazione, nonostante il successo della campagna vaccinale in corso in Gran Bretagna.

Inossidabile punto di riferimento della corte britannica per decenni, il duca di Edimburgo aveva celebrato a novembre i 73 anni di matrimonio con la quasi 95enne Elisabetta II. Avrebbe compiuto 100 anni a giugno. Aveva trascorso un mese in ospedale all’inizio di quest’anno prima di essere dimesso il 16 marzo e fare ritorno al Castello di Windsor. Filippo, noto anche come il duca di Edimburgo, sposò Elisabetta nel 1947 ed è stato il consorte più longevo nella storia britannica. Si è ritirato dalla vita pubblica nel 2017. Era un membro della famiglia reale greca: nato sull’isola greca di Corfù nel 1921, era un appassionato sportivo che amava le attività di campagna. Aveva quattro figli, otto nipoti e nove pronipoti.

IlFattoQuotidiano

Ma con chi ce l’ha? - Marco Travaglio

 

Diversamente da Michela Murgia, che ne è spaventata, devo confessare che a me il Comm. Str. Gen. C. Arm. F. P. Figliuolo non fa paura: fa ridere. Più che un generale golpista, mi ricorda un generico cabarettista. Lo so che non c’è niente da ridere, trattandosi dell’Uomo che, a suon di “svolte”, “blitz”, “raid”, “piani”, “task force” e “accelerazioni”, ci salverà dalla pandemia con la mirabolante campagna da 500mila vaccini al giorno. Ma che dico 600mila: 700mila! Ma che dico 600mila: 700mila, e ci mettiamo sopra anche una batteria di padelle antiaderenti! Quindi non lo faccio apposta, anzi mi sforzo allo spasimo per prenderlo sul serio. Ma è più forte di me. Prendete i suoi motti secchi e perentori come raffiche di mitra riassunti l’altra sera da Floris: “Sono abituato a vincere”, “Svolta o perderemo tutto”, “Chiuderemo la partita”, “Daremo fuoco a tutte le polveri”. Più che un colonnello greco o un generale argentino, richiamano il colonnello Rampaldo Buttiglione di Alto Gradimento, poi promosso da Mario Marenco a Generale Damigiani, protagonista di tanti b-movie di Castellano&Pipolo. L’altro giorno, reduce dalle grandi manovre in Lombardia, ha scandito: “Nuovo fiato alle trombe”. E il pensiero è corso commosso a Mike Bongiorno: “Fiato alle trombe, Turchettiiii! Allegriaaaa!”. Ma qui c’è poco da stare allegri: Astrazeneca oggi è vietato ai maggiori e domani ai minori, le case farmaceutiche fanno a gara a tagliarci le dosi per rivendersele a sei diversi committenti e le Regioni continuano a fare come pare a loro anche dopo la “scossa” di Draghi&Figliuolo e la “centralizzazione dei vaccini” (a proposito: in quale legge, decreto, dpcm, ordinanza, delibera è scritto che la campagna vaccinale è stata tolta alle Regioni e affidata al governo? No, perché a noi, malgrado un centinaio di titoli sui giornaloni, non risulta).

Ieri poi il generalissimo è tornato alla vecchia gag dei “500mila vaccini al giorno”, perché “il piano non cambia” (tanto ci può scrivere quello che vuole ed è già sicuro che non si avvera) e “dobbiamo arrivarci a fine mese” (fino all’altroieri era a metà mese, ora a fine mese, ma lui furbo non dice mai di quale mese, quindi vale pure per novembre, per dire). E mi sono domandato: ma a chi si rivolge, esattamente? Non ce l’avrà mica con me? Perché personalmente non ho nulla in contrario, anzi ne sarei felice, così prima o poi tocca pure ai 56enni. Ma, per quanti sforzi faccia, temo di non poter fare nulla di utile. A volte sospetto di essere stato nominato io, commissario straordinario anti-pandemia, a mia insaputa. Nel dubbio, prima di finire punito in fureria, conviene rispondere: “Signorsì, signore! Come ha detto? 500mila al giorno? Mo’ me lo segno”.

IlFattoQuotidiano

Draghi: «Su Alitalia non accetteremo discriminazioni da Bruxelles.» - Leonardo Berberi


Il presidente del Consiglio Mario Draghi scende in campo — o meglio: in pista — su Alitalia e manda un messaggio chiaro alla Commissione europea che in queste settimane sta valutando il progetto di rilancio della compagnia aerea. «Non possiamo accettare delle asimmetrie ingiustificate», spiega durante la conferenza stampa rispondendo a una domanda. «Se ci sono delle ragioni per trattare male Alitalia rispetto ad Air France, beh le vedremo perché non è arbitrario e non accetteremo quindi discriminazioni arbitrarie». Roma insomma non intende restare passiva nelle trattative per l’avvio di Italia Trasporto Aereo, la nuova società pubblica.

I negoziati.

Le trattative hanno subìto un forte rallentamento negli ultimi giorni per alcune richieste di discontinuità dell’Antitrust Ue che la delegazione italiana ritiene fortemente penalizzanti come quella di modificare il perimetro aziendale della newco o di cedere fino alla metà degli slot all’aeroporto di Milano Linate. Sacrifici che secondo Roma sono maggiori di quelli imposti ad altri vettori europei come Lufthansa e Air France per ricevere in cambio miliardi di euro di aiuti di Stato. Su Alitalia pendono due indagini comunitarie su 1,3 miliardi di prestiti ponte erogati nel 2017 e 2019.

La newco.

«Se la Commissione europea usa criteri apparentemente diversi è chiaro che dovrà giustificare se c’è un’asimmetria nel caso dell’Italia ed è chiaro che noi non possiamo accettare delle asimmetrie ingiustificate», dice Draghi. «Il punto centrale della trattativa è creare la compagnia ITA, che avrà necessariamente una forte discontinuità rispetto alla precedente Alitalia, e che parta immediatamente perché se perdiamo la stagione estiva non siamo messi bene — prosegue — e che parta e si regga sulle sue ali questa volta, che si regga da sola senza sussidi». Per questo ha auspicato che la «discussione con la Commissione europea su Alitalia «si risolva in senso positivo» perché «i ministri coinvolti Giorgetti, Giovannini e Franco stanno facendo di tutto e sono consapevoli come lo sono io dell’importanza della questione».


Addio al marchio?

Il presidente del Consiglio affronta anche il tema del nome della nuova società. «Mi spiace molto che non si chiami più Alitalia perché tutti noi che abbiamo viaggiato tantissime volte con quella compagnia la consideriamo come una cosa di famiglia. Una cosa un po’ costosa, ma di famiglia». Però aggiunge che ITA e la Commissione europea «stanno trattando sul logo se tenerlo o meno». Il nome Alitalia sparisce? Come spiegano al Corriere fonti istituzionali che lavorano al dossier il mantenimento del nome — e del marchio — è sì oggetto di trattativa, ma anche considerato come uno degli aspetti fondamentali per il decollo della newco, quindi salvo sorprese è destinato ad essere ereditato dalla nuova società. È probabile quindi che Draghi si riferisse al nome della società (ITA, appunto) più che di quello che ci sarà sugli aerei (cioè Alitalia).


I tempi.

Ma non c’è tempo da perdere, avverte Draghi. «Il punto è creare una società nuova che parta immediatamente, se perde la stagione estiva non siamo messi bene». Per questo chi sta lavorando al dossier punta a far decollare Italia Trasporto Aereo tra fine giugno e inizio luglio per poter intercettare quella ripresa — parziale — di traffico che è prevista soprattutto all’interno dell’Italia e nel Mediterraneo e, soprattutto, per non lasciare i cieli italiani ai rivali stranieri.


CorSera

Egitto, ritrovata a Luxor la 'città d'oro perduta'.


























Sarebbe il più grande insediamento urbano del Paese.

In Egitto è stata annunciata la scoperta di quello che viene descritto come il più grande insediamento urbano mai rinvenuto nel Paese attraverso un ritrovamento presentato quale il secondo più importante dopo quello della tomba di Tutankhamon. Come riporta la pagina Facebook del ministero delle Antichità egiziano, si tratta di una "città d'oro perduta" di quasi 3.000 anni fa e il ritrovamento è stato fatto da una missione guidata dall'archeologo-star egiziano Zahi Hawass sulla sponda ovest del Nilo nella zona di Luxor, nel sud dell'Egitto.

ANSA

The MOST Powerful, SAFEST Wind Turbine Ever - PowerPod by Halcium


Una piccola azienda nello Utah, la Halcium di Salt Lake City, negli Stati Uniti, sta lavorando alla messa in opera di PowerPod, una turbina eolica portatile che definisce la “turbina eolica più sicura e potente del mondo”.

Il proprietario, Nick Hodges, crede che la nuova turbina eolica sia la prossima grande innovazione nel campo dell’energia verde. Hodges afferma che il suo PowerPod è più economico dei pannelli solari e più efficiente in quei luoghi che hanno meno di 300 giorni di sole all’anno.

Progettata specificamente per ambienti urbani e residenziali, ogni turbina eolica da 1kW creerebbe fino a tre volte più potenza di una normale turbina montata. La potenza extra è dovuta a un avanzato sistema di pale nel pod, che aumenta la velocità del vento del 40%.

Di solito, le turbine eoliche sono montate su pali o su edifici e, sebbene generino energia pulita e verde, sono spesso criticate come piaghe da decubito nelle aree rurali.

Delle dimensioni di un grande barile di birra, il PowerPod può essere poggiato sul tetto, sulla recinzione o su un edificio pubblico, un camper, una barca a vela o qualsiasi superficie stabile.

Nelle aree in cui la velocità media può essere bassa, le normali turbine eoliche ricevono appena il vento sufficiente per iniziare a muoversi, ma generano pochissima elettricità. Ciò che fa invece questo PowerPod è accelerare la velocità del vento stesso, in modo che venga creata più potenza, più spesso.

Il pod prende aria e la convoglia in un’uscita più piccola rispetto a una normale turbina, che la accelera prima che colpisca la pala interna. Anche il vento può entrare da più direzioni contemporaneamente, cosa che spesso può causare la rottura delle normali turbine. L’aumento della velocità del vento riduce anche la necessità di installare i Powerpod su pali alti, che sono costosi da montare e occupano molto spazio.

I consumatori possono utilizzare un Powerpod da solo, collegandolo a un sistema di alimentazione allo stesso modo dei pannelli solari, con la stessa attrezzatura. Oppure, se si dispone già di un sistema solare, può connettersi senza problemi e fornire una fonte di alimentazione aggiuntiva e diversificata. La lama è contenuta interamente all’interno del guscio, il che significa che la turbina è sicura se c’è la presenza di bambini, animali domestici e animali selvatici.

Hodges ha creato una mappa che mostra la potenza media giornaliera generata da un PowerPod da 1kW, rispetto a un sistema solare da 1kW in diverse città del mondo. Mostra che i PowerPod hanno il potenziale per produrre una potenza uguale o maggiore rispetto alle loro controparti solari più costose.

L’intento di Hodges è quello di “produrne il maggior numero possibile. Ogni unità riduce la dipendenza dall’energia “sporca”, e questa è la mia più grande speranza”.

Il Blogdi Beppe Grillo