Scusate se rompo ancora l’anima con la storia del governo senz’anima (se non l’abbia mai avuta o l’abbia persa per strada, non si è ben capito). Ma ci sono sviluppi succulenti. L’altra notte, al vertice di maggioranza sulla Giustizia presieduto da Conte, s’è rischiata la crisi di governo perché il Pd e Forza Italia Viva pretendono di cancellare il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, che da un anno è legge dello Stato (la Spazzacorrotti) e vale per i reati commessi dal 1° gennaio 2020. Ufficialmente si dicono preoccupati perché, senza prescrizione, i processi non finiranno mai, ma sanno benissimo che è esattamente il contrario: è grazie alla prescrizione che i colpevoli, almeno i ricchi e potenti che possono mantenere l’avvocato a vita, allungano i processi per farla franca. Senza quell’aspettativa, i processi dureranno molto meno. Specie se, come previsto dalla riforma Bonafede, i giudici rischieranno l’azione disciplinare se sforeranno i termini di ogni grado di giudizio. Il bello è che chi teme processi eterni – il Pd e i renziani – sta bloccando la riforma della giustizia che li accorcia, con la scusa che prima bisogna bloccare la blocca-prescrizione accusata di allungarli. Roba da Comma 22.
Siccome però la blocca-prescrizione è già in vigore e scatta dal 1° gennaio, per bloccarla ci vuole un’altra legge, da approvare entro il 31 dicembre alla Camera e al Senato, fra l’altro impegnate sino a Capodanno con la legge di Bilancio. È già pronta quella del forzista Enrico Costa che ci riporta al vergognoso sistema precedente, quello che falcidia 200 mila processi e salva 3-400 mila colpevoli all’anno (gli innocenti che vogliono essere assolti nel merito rinunciano alla prescrizione e si fanno giudicare oltre i termini). Tra i quali guardacaso c’è il capo di Costa, Silvio B., nove volte prescritto per corruzione di giudici e di senatori, falso in bilancio e frode fiscale. Ora tenetevi forte: Pd e renziani annunciano che, se il M5S non ripristina la prescrizione fino alla Cassazione, voteranno la legge forzista. Per Costa sarà un momento epico: sono 13 anni, da quando il figlio d’arte albese entrò in Parlamento con FI, che il centrosinistra lo attacca per la produzione industriale di leggi ad personam. Nel 2009, per meriti acquisiti sul campo, fu relatore del “lodo Alfano” che bloccava i processi a quattro alte cariche dello Stato (soprattutto una). Poi purtroppo la boiata incostituzionale fu cancellata dalla Consulta. Lui ne partorì subito una nuova, con altri giuristi del calibro di Brigandì (il leghista appena condannato in primo grado a 26 mesi per patrocinio infedele e autoriciclaggio).
Cioè il presunto Legittimo impedimento che sospendeva i processi al premier e ai suoi ministri: anche quello, purtroppo, incostituzionale. Poi, non contento, fabbricò il bavaglio sulle intercettazioni. Poiché – come diceva Totò – il talento va premiato, Renzi se ne assicurò i servigi nel suo primo e fortunatamente unico governo, nominando Costa (nel frattempo trasvolato da FI a Ncd) viceministro della Giustizia. Gli elettori mostrarono di gradire, infatti nel 2014 il giovine Enrico si candidò a presidente del Piemonte e rastrellò un ragguardevole 2,98%. Il trionfo gli valse la promozione a ministro degli Affari regionali, delle autonomie e pure della famiglia. Poltrona che mantenne anche nel governo Gentiloni, che purtroppo lasciò dopo otto mesi per l’irrefrenabile richiamo della foresta forzista. Grande però fu la delusione quando B. pose il veto, costringendolo ad aderire a un altro movimento di massa: “Fare! (col punto esclamativo, ndr) -Pri- Liberali”, poi tramutatosi in “Noi con l’Italia”, detto anche la “quarta gamba del centrodestra” e popolato di altri noti frequentatori di se stessi tipo Fitto, Lupi, Zanetti e Tosi. A quel punto B., in vista delle elezioni 2018, decise che non si buttava via niente e si riprese la compagnia della buona morte. Così il Costa fu rieletto deputato. Un mese dopo mollò Noi con l’Italia (ormai ridotto a Lui per l’Italia) per tornare all’ovile forzista. E ricominciò a sfornare leggi salva-ladri e anti-giudici. Quando la Lega ingoiò e votò obtorto collo la Spazzacorrotti, con tanto di aumenti di pene, certezza del carcere, Daspo ai corrotti, confische più facili, trojan, agenti infiltrati e blocca-prescrizione, col contorno del fermo alla Svuotacarceri e al bavaglino di Orlando e del nuovo reato di voto di scambio, rischiò l’ictus (per empatia con B.): in un colpo solo cadevano come birilli 25 anni di Codice Silvio al servizio della criminalità e dell’impunità.
Ma non si diede per vinto e, battendo sul tempo anche i primatisti mondiali di leggi ad personam come Ghedini e Schifani, piazzò il colpaccio: un ddl che riporta la prescrizione ai fasti del passato. Ma in cuor suo temeva che non se lo sarebbe filato nessuno: Lega e M5S l’avevano appena cancellata e il Pd l’aveva sempre osteggiata. Ancora nel 2015, per dire, i dem volevano fermarla addirittura prima della sentenza di primo grado: discutevano se fosse meglio al rinvio a giudizio o alla richiesta del pm. E Renzi, quando finirono prescritti e impuniti i manager-killer di Eternit, tuonò: “Se la vicenda Eternit è un reato ma prescritto, vuol dire che bisogna cambiare le regole del gioco sulla prescrizione: non ci deve mai più essere l’incubo della prescrizione” (20.11.14). Insomma, il ddl Costa pareva mestamente avviato sul binario morto. Ma mai disperare nel Pd e nei renziani. Da quando si son messi a caccia dell’anima del Conte 2, hanno pensato bene di trovargliela loro. E, non avendone una prêt-à-porter l’hanno presa in prestito direttamente da B. e dal sottostante Costa. Un caso di trapianto d’anima che ricorda paurosamente le possessioni diaboliche. Qualcuno chiami l’esorcista.