giovedì 19 novembre 2020

Mediaset si salva ancora grazie alla “sinistra”. - Gad Lerner



All’indomani della visita del segretario Ds a Cologno Monzese, per non lasciare adito a equivoci, così titolava L’Unità del 5 aprile 1996: “Pace D’Alema-Mediaset”. E l’articolo esordiva: “Mediaset è un patrimonio di tutti gli italiani. La vostra azienda non corre nessun rischio”. Niente di nuovo sotto il sole? L’ho pensato leggendo su Il Fatto dell’altroieri la giustificazione fornita da Luigi Di Maio all’emendamento salva-Mediaset proposto al Senato dalla maggioranza M5S-Pd-Iv-LeU e votato da tutti con la sola astensione della Lega: “Nessuno scambio. C’è stata un’azione molto chiara da parte del ministero dello Sviluppo economico per tutelare un’azienda italiana, come abbiamo sempre fatto”.

La retorica sulla difesa dell’italianità delle imprese, che tanti danni ha prodotto in Alitalia, mal si applica al settore delle telecomunicazioni e in particolare dei network tv, già penalizzato da gravi distorsioni della libera concorrenza. Vedremo come il governo se la caverà in sede di ricorsi alla Commissione e alla Corte di giustizia europea preannunciati dall’azionista francese Vivendi, appoggiato da Macron (che in materia di nazionalismo economico è più agguerrito di noi). Restiamo in attesa degli esiti del braccio di ferro sul futuro di Mediaset e sul parallelo coinvolgimento di Berlusconi nelle scelte governative. Ma intanto vale la pena di interrogarsi anche sulla parte che svolgerà Mediaset nel dare voce al riassetto della destra italiana; costretta a fare i conti col fallimento delle spallate di Salvini.

Significativa, in merito, è la repentina giravolta della Lega: dopo aver votato in commissione contro l’emendamento salva-Mediaset, si è vista costretta a far parlare in aula lo stesso Salvini per scongiurare una rottura che non può certo permettersi. Come è noto, l’imprevisto sorpasso leghista ai danni di Forza Italia nelle elezioni politiche del 2018 fu assai favorito dallo spazio concesso da Rete 4 alle quotidiane esibizioni populiste dello stesso Salvini. Tanto che, a latte versato, per un’intera stagione i conduttori artefici di quella offensiva propagandistica videro sospese le loro trasmissioni. Salvo poi, dati gli ascolti modesti conseguiti da personalità più moderate, rilanciare con successo le trasmissioni dei vari Del Debbio, Giordano, Porro. E le ospitate fisse dei vari Belpietro, Maglie, Capezzone, Meluzzi. La rapida marcia indietro parlamentare di Salvini evidenzia come egli non possa fare a meno del supporto delle reti Mediaset. Tanto più che nel frattempo la Bestia social coordinata da Luca Morisi ha visto affievolirsi il suo impatto mediatico, imitata da rivali che hanno imparato a far propri gli stessi metodi grevi.

Per quasi un trentennio Mediaset è stata la principale artefice della formazione del senso comune di destra nel nostro Paese. Non so se le tv berlusconiane avranno ancora la capacità di plasmare il prossimo leader di quell’area, passando dal salotto di Barbara D’Urso agli strepiti dei talk show in cui spesso i pochi ospiti di sinistra assolvono involontariamente alla funzione di mere caricature. Può darsi che Mediaset decida di investire sulla maggior presentabilità di Giorgia Meloni o che vadano in cerca di figure alternative di qui al 2023. Si tratta di una partita aperta, resa ancor più incerta dal probabile ridimensionamento dell’influenza della destra nel riassetto di potere interno alla Rai, dove gli ascolti del Tg2 e dei conduttori orientati a destra restano deludenti.

Può aiutarci, nell’immaginare le future strategie della comunicazione nazionalpopulista italiana, seguire l’evoluzione in corso negli Stati Uniti prima e dopo la sconfitta elettorale di Trump. Archiviate le disastrose performance di Steve Bannon, sentendosi tradito da Murdoch e dalla sua Fox News Channel, nonché delegittimato su Twitter, Facebook e YouTube, il presidente sconfitto punta a riorganizzare la sua forza d’urto mediatica ricorrendo a network tv e social alternativi. Come ha ben raccontato Massimo Gaggi sul Corriere, The Donald ha cominciato a dirottare i fan verso altre reti tv disposte a trasmettere acriticamente la propaganda dei suoi “fatti alternativi” (quasi sempre bugie belle e buone). Una migrazione sarebbe in corso anche su nuovi siti dell’estrema destra, a cominciare da Parler, di proprietà della miliardaria Rebekah Mercer, che in una settimana ha visto raddoppiare da 5 a 10 milioni i suoi utenti. Questa pericolosa deriva della comunicazione politica, frazionata in compartimenti stagni nei quali ciascuno può sentirsi ripetere ciò in cui crede senza verifiche di realtà, è un fenomeno che da noi Mediaset sta già assecondando. Dubito che vi rinunci.

Ps. Una curiosità. L’articolo del 1996 sulla pace fra D’Alema e Mediaset era firmato da Fabrizio Rondolino che, quattro anni dopo, ritroveremo autore e capo della comunicazione del Grande Fratello.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/19/mediaset-si-salva-ancora-grazie-alla-sinistra/6008681/

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