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lunedì 6 settembre 2021

Da Siena alle garanzie di Stato: Amco fa fruttare le “sofferenze”. - Nicola Borzi

 

“La scopa del sistema”. L’ex Sga di BancoNapoli si prepara al post-Covid con il piano sul recupero dei finanziamenti assistiti.

La scopa del sistema (bancario). È il ruolo di Amco, la società di recupero crediti del ministero delle Finanze in grado di acquistare, digerire e trasformare in incassi – e utili – le sofferenze (i crediti ormai inesigibili di aziende insolventi) e le inadempienze probabili (i crediti di clienti incamminati verso l’insolvenza). L’ex Società gestione attivi (Sga) deve assicurarsi grandi masse da lavorare per mantenere le proprie economie di scala. Le dimensioni contano: in base ai dati al 30 giugno 2020, è sesta per masse in Italia tra gli operatori attivi nei crediti non performing e seconda per quanto riguarda le inadempienze probabili (unlikely to pay, Utp) e i crediti scaduti (past due). L’ex bad bank sorta nell’89 per gestire 36mila posizioni creditizie a rischio che gravavano per 6,4 miliardi di euro sui conti del Banco di Napoli, poi passata al SanPaolo Imi e da questi a Intesa Sanpaolo che nel 2016 l’ha ceduta al Mef, ha una storia di successi: ha recuperato il 90% dei crediti che acquisì da BancoNapoli al 70% del loro valore, tanto che a fine 2015 contava su 469 milioni cash e 214 milioni di crediti residui. Oggi ha chiesto l’accesso al dataroom di Mps per giocare un ruolo nel piano di cessione a UniCredit della banca di Siena. Conti che Amco d’altronde già conosce bene: di Siena è parte correlata perché entrambe sono controllate dal Tesoro. Ma si prepara a giocare da protagonista anche nello scenario post-pandemico.

Dopo anni di calo, con la recessione dovuta al Covid la marea dei crediti malati sta per tornare a salire in Italia. Il 2020 ha visto cessioni di crediti a rischio dalle banche per un valore lordo totale di 40 miliardi. Così lo stock di incagli che gravano sul settore è calato da 135 a 99 miliardi (-27%) . Per la prima volta, le sofferenze (47 miliardi a fine 2020) sono state superate dalle inadempienze probabili (49). Il processo di deleveraging è proseguito anche nei primi sei mesi di quest’anno, con operazioni per 2 miliardi, ma in calo dai 6 dello stesso periodo del 2020. A frenare le cessioni sono le garanzie e moratorie pubbliche, che ritardano l’emersione di incagli e sofferenze: i crediti assistiti sono ancora 83 miliardi, di cui 64 a carico di piccole e medie imprese. Ma le moratorie, che scadranno a fine anno, sono volontarie e valgono solo per la quota capitale, mentre incombono le nuove regole europee che ne prevedono la verifica e la copertura con tempi certi nei bilanci delle banche. Così si prevede che nei prossimi due anni e mezzo emergeranno tra 80 e 100 miliardi di nuovi crediti a rischio.

Amco si candida a gestire questa nuova ondata in un mercato sempre più competitivo, tra tassi di recupero in calo e prezzi di cessione dei crediti deteriorati notevolmente aumentati. L’operatore pubblico ha infatti esperienza sia nel recupero delle sofferenze che, soprattutto, nella possibilità di erogare direttamente fondi per consentire continuità e rilancio di imprese con inadempienze probabili e crediti scaduti. A un aumento di capitale da 1 miliardo nel 2019 e bond già emessi per 2,8 miliardi ha affiancato un piano per emettere obbligazioni per altri 6 miliardi. D’altronde nel 2018 ha acquisito in gestione due portafogli da 16,7 miliardi di 90 mila debitori delle liquidazioni del 25 giugno 2017 di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Le acquisizioni sono poi proseguite con portafogli di crediti targati Banca del Fucino, Credito Sportivo, Carige, con la creazione della prima piattaforma di crediti a rischio immobiliari, da Creval (447 milioni lordi totali in più tranche), Carige (281 milioni totali), poi ancora Fucino, Banca Igea, Banco Bpm (600 milioni), Popolare di Bari (2 miliardi), operazioni immobiliari e cartolarizzazioni varie da sola e insieme a terzi. Il salto è arrivato a fine 2020 con il compendio da 7,7 miliardi di crediti deteriorati acquisito da Mps.

Oggi così Amco gestisce 34 miliardi di crediti dubbi lordi con circa 230 mila controparti, 45 mila delle quali sono imprese, per lo più piccole e medie. Il 58% sono sofferenze, il 42% inadempienze probabili. Il 74% sono gestiti in house da 287 dipendenti a Milano, Napoli, Vicenza, 88 dei quali provenienti da Mps, il resto in outsourcing. Il 2020 si è chiuso in utile per 76 milioni, in crescita dell’80% sul 2019 grazie al contenimento delle spese (il rapporto costi/ricavi è calato dal 45,9% del 2019 al 25,8%), anche grazie al raddoppio dei ricavi per il boom delle masse gestite. Ora il piano al 2025 della ad Marina Natale prevede di mantenere i 30 miliardi di masse tramite nuove acquisizioni. La società è vigilata da Banca d’Italia, Corte dei Conti e Direzione Concorrenza della Commissione Ue che mira a scoprire e bloccare eventuali aiuti di Stato.

In sostanza, Amco compra crediti dubbi a prezzi di mercato e poi cerca di incassarli, evitando però di mandare in fallimento le imprese debitrici che hanno qualche possibilità di risollevarsi. Lo fa attraverso l’analisi delle garanzie e l’ottimizzazione dei recuperi attraverso modelli matematici e negoziazioni. Qualche incidente di percorso non è mancato: la relazione della Corte dei Conti sul bilancio 2019 segnala la mancata erogazione di due corsi di formazione finanziati da fondi inter-professionali a consulenti esterni con costi non corrispondenti alle prestazioni ricevute. Le irregolarità sono state sanate con provvedimenti disciplinari e l’azione di contrasto è stata valutata positivamente dalla magistratura contabile.

Sempre la Corte dei Conti segnala che, a 4 anni e 3 mesi dalla liquidazione di Vicenza e Veneto Banca, Bankitalia non ha ancora varato le regole per favorire il recupero delle “operazioni baciate”: crediti a rischio per 1,8 miliardi finanziati dalla banche venete stesse per sostenere surrettiziamente il patrimonio, attraverso l’acquisto di azioni o obbligazioni subordinate proprie. Nel 2019 Amco ha comunque lavorato 855 delle 900 posizioni “baciate” totali per un valore lordo di 1,6 miliardi, incassando però appena 14 milioni.

Da inizio anno è operativa una nuova divisione immobiliare e, da aprile, Amco fornisce garanzie su cartolarizzazioni sintetiche. Ora la società controllata dal Tesoro lavora alla due diligence di Mps per valutarne i crediti deteriorati classificati “stage 2”. Sono le esposizioni con il rischio più elevato di deterioramento, anche se al momento risultano ancora “in bonis”. La valutazione dei crediti “stage 2” sarebbe legata ad alcune clausole sulla retrocedibilità dei crediti di Mps che potrebbero essere acquistati da UniCredit, se si dovessero deteriorare rapidamente dopo la cessione. Si tratta dello stesso percorso di garanzia ottenuto nel 2017 da Intesa Sanpaolo su PopVicenza e Veneto Banca.

Come scrive Amco nei suoi bilanci, nel contratto con il quale a giugno 2017 acquisì per 2 euro la parte “in bonis” delle due banche venete, Intesa si riservò il diritto di retrocedere ad Amco, tra il 26 giugno 2017 e la data di approvazione del suo bilancio al 31 dicembre 2020, i crediti delle due banche venete originariamente “in bonis” che in seguito fossero riclassificati “ad alto rischio”. Intesa ha esercitato questa facoltà sette volte: tre nel 2018 , due nel 2019 e due ad aprile e giugno 2020. Nell’operazione sul Monte, ora UniCredit vuole, insomma, che il Mef le conceda lo stesso trattamento di favore erogato alla sua concorrente.

Se sul fronte di Mps fonti finanziarie fanno sapere che per Amco le ipotesi sono ancora tutte sul tavolo, la bad bank si sta però muovendo rapidamente sul progetto Glam: vuol gestire lo stock di 148 miliardi di finanziamenti “in bonis” garantiti dal Medio Credito Centrale attraverso il Fondo Pmi. Amco avrebbe presentato alle banche diverse ipotesi in ottica win-win: gli istituti potrebbero deconsolidare dai propri bilanci i crediti garantiti, riducendone i costi relativi all’assorbimento di capitale e Amco si garantirebbe un enorme flusso di masse da gestire anche per i prossimi anni. La “scopa del sistema” fa progetti a lungo termine per assicurarsi il futuro.

ILFQ

martedì 11 luglio 2017

Banche: con le sofferenze al 19% il sistema bancario ha un buco da 60 miliardi (e uno scudo statale di 20) - Marta Panicucci

Atlante
Una statua del titano Atlante nei Paesi Bassi Deror_avi via Wikimedia Commons

Cariferrara ha ceduto ad Atlante 2, il fondo gemello del primo, 343 milioni di sofferenze con un prezzo pari al 18,9% cioè a 65 milioni di euro. Buona notizia per la piccola banca, un po’ meno per il sistema bancario in generale.
Cariferrara, insieme a banca Etruria, Carichieti e Marche, è stata oggetto del decreto Salvabanche del novembre 2015, quello che ha azzerato azionisti e obbligazionisti e diviso la parte buona delle attività bancarie da quella malata. A quel punto si è aperta la vendita delle quattro Good bank: tre sono andate a UBI per un euro e la quarta, Cariferrara è destinata a BPER, ma prima di convolare a nozze doveva ripulirsi dei crediti deteriorati.
La cessione ad Atlante 2 quindi è un passo fondamentale per portare a compimento l’acquisizione di Cariferrara da parte della banca popolare dell’Emilia Romagna. Altro discorso riguarda invece tutto il sistema bancario. Le sofferenze di Cariferrara sono state valutate al 19% una cifra bassissima, meglio solo di quel 17% con il quale furono vendute le sofferenze delle quattro banche in occasione del piano di salvataggio. Tutti il sistema bancario, pochi esclusi, deve affrontare la pulizia dei conti: i crediti deteriorati sono cresciuti a vista d’occhio negli anni della crisi economica e le banche hanno i bilanci pieni di inadempienze probabili, crediti con coperture incomplete, leasing e vere e proprie sofferenze.
Secondo le stime dell’ABI al 31 dicembre 2016 le sofferenze nette delle banche italiane si attestano a 86,9 miliardi di euro (già calate di qualche miliardi per alcune operazioni dei primi mesi dell’anno come la cessione di un pacchetto da parte di UBI). Comunque sia se prendiamo 87 miliardi di sofferenze e li vendiamo prezzandoli al 19% il risultato sono 21,8 miliardi di incasso e quindi 65 miliardi di “buco”.
In poche parole se il 19% fosse il prezzo valido per tutte le operazioni di pulizia delle banche, il sistema bancario si troverebbe con un buco da oltre 60 miliardi, e, non ci dimentichiamo, che il Fondo stanziato dal Governo Gentiloni per il comparto bancario vale appena 20 miliardi. Qui la faccenda si complica.
Cariferrara verso BPER
È l’ultima delle quattro sorelle del decreto Salvabanche ad essersi accasata. Lo scorso anno, se vi ricordate, il presidente delle Good bank, Roberto Nicastro aveva aperto il bando per la vendita delle banche sane con l’obiettivo di ricavare 1,6 miliardi e rimborsare così il prestito attivato per il salvataggio, ma le uniche offerte arrivate alla scadenza sono state quelle di Lone star e Apollo inferiori ai 500 milioni. Saltate la vendita si sono valutate altre strade.
Alla fine tre banche, Etruria, Carichieti e Marche sono finite sotto il marchio UBI banca dopo essere state ripulite e ricapitalizzate a dovere e ora stanno subendo un drastico taglio di dipendenti e filiali. Cariferrara ha trovato il suo pretendente in Emilia Romagna, ma le condizioni sono le stesse: prima pulizia e ricapitalizzazione poi acquisizione.
Nei giorni scorsi è arrivata la notizia della cessione del pacchetto di sofferenze ad Atlante 2: 343 milioni pagati 65 milioni. Questa somma sarà sottratta dal capitale fresco che il Fondo di risoluzione dovrà iniettare nella banca ferrarese per rafforzare il capitale prima delle nozze. Cedute le sofferenze e fatta la ricapitalizzazione mancheranno soltanto le autorizzazioni di BCE e del dipartimento concorrenza dell’Unione europea.
Sistema bancario a rischio buco
Se la cessione ad Atlante 2 delle sofferenze è una buona notizia per Cariferrara, è allo stesso tempo un pessimo segnale per il comparto bancario. È vero che ogni pacchetto di sofferenze ha una storia a parte e ogni cessione è preceduta da un’attenta valutazione delle garanzie e della salute dei crediti, ma resta il fatto che le ultime operazioni hanno visto un deciso crollo del prezzo.
Qualche mese fa i 2,2 miliardi di nuovi crediti deteriorati di Etruria, Marche e Chieti, ceduti prima del passaggio a UBI, sono stati acquistati sempre da Atlante al 32,5% di valore facciale: avevano caratteristiche simili a quelle di Nuova Carife anche se erano molto giovani e quindi, sulla carta, più semplici da gestire. Il portafogli di sofferenze di Cariferrara è composto sia da inadempienze probabili che da crediti deteriorati e sofferenze, con un 48% di crediti garantiti da immobili e per il rimanente 52% da crediti unsecured con una componente di leasing che arriva da Commercio e Finanza.

Comunque sia il prezzo è veramente basso e nettamente inferiore rispetto a quello messo a bilancio dalle banche. Gli 86,9 miliardi di sofferenze nette registrate a fine anno da Bankitalia saranno da una parte diminuiti con le operazioni fatte nei primi mesi del 2017, ma, allo stesso tempo, aumentate con nuovi crediti malati accumulati nel primo semestre. Preso quindi questo dato per buono e calcolando un prezzo del 19% ballano 60 miliardi. Se le banche italiane cedessero le sofferenze il sistema avrebbe un buco di circa 60 miliardi a fronte di uno scudo statale per le banche in difficoltà da 20 miliardi. Nonostante i tentativi di nascondere la polvere sotto il tappeto, la montagna di sofferenze sovrastimate che le banche hanno in bilancio resta lì e prima o poi quando verranno fuori saranno dolori per tutti.