Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 12 febbraio 2014
CHE GELIDA MANINA - Marco Travaglio - Il Fatto Q.-12 febbraio 2014
Il ceffone sferrato dall’onorevole questore Stefano Dambruoso alla deputata Loredana Lupo non è uno schiaffo, manrovescio, sberla, scapaccione, sventola, pizza, timpuluni.
Tecnicamente si chiama “contatto accidentale” nell’ambito di un “controllo attivo che fa carico a chiunque svolga un’opera di controllo”, frutto di “obbligo giuridico, oltre che morale” e “di coscienza”.
Anzi, lo sarebbe se fosse esistito.
Ma per fortuna s’è trattato di un’ “illusione ottica e percettiva” dovuta a “immagini” abilmente manipolate dalla Spektre grillina con “interruzioni” e “dilatazioni artificiali” che hanno allungato il braccio destro del questore, ingigantito la sua mano destra e abbreviato la distanza con la guancia sinistra della collega, dando l’impressione fuorviante di una violenza di cui la malcapitata ha creduto di avvertire le spiacevoli conseguenze.
Il fatto che ora giri con la faccia striata da cinque dita rosse non si spiega che con l’abile opera dei maestri pittori a cinque stelle.
È la memoria difensiva presentata dal questore Dambruoso all’Ufficio di Presidenza della Camera.
Il nostro eroe si dipinge vittima di un’odiosa “gogna mediatica” e di “esplicite minacce”, ragion per cui, dopo aver menato una deputata, la Camera ha dato la scorta a lui e non alla deputata.
Segue una minuziosa ricostruzione dei “fatti”. Una via di mezzo fra l’assalto a Fort Apache, la presa della Bastiglia e “Scene di caccia in bassa Baviera”. Il questore picchiatore ha dovuto “fronteggiare” con le nude mani “un vero e proprio assalto alla Presidenza e ai banchi del Governo”.
Qui s’impone una dotta digressione semantica sul “significato del verbo ‘ sovraintendere’”. Già, perché a norma di regolamento i deputati questori “sovraintendono al mantenimento dell’ordine e della sicurezza”.
E lui, modestamente, ha sovrainteso.
Scudo umano del governo di larghe sovraintese, ha interpretato il verbo in senso “inequivocabilmente letterale”: “vigilare, controllare, assumere il mantenimento di determinata situazione”.
E “quando era ormai chiaro che l’aggressione aveva avuto un’escalation”, ha compiuto il suo “dovere”, sprezzante del pericolo.
Già, ma per far cosa?
A riga 95 si arriva finalmente al “contatto con la collega Lupo”:
“Devo fermamente ribadire che – come risulta dalle immagini – io non sono andato allo scontro con la collega, non io ho provocato o fomentato il contatto”.
Lui no, non lui. “Al contrario”: era “distante a sufficienza dal luogo della mischia, per non esserne coinvolto”.
È la guancia lubrica della provocatrice che, allargandosi verso di lui, ha provocato il suo braccino inerme tentando di “aggirare il muro creato a protezione della Presidenza”.
La cronaca è drammatica.
“Cerco di fermarla nell’atto di sfondamento.
Non ci riesco.
Quindi mi rimane solo una possibilità”.
Menarla?
Nossignori, non sia mai.
“Allungare il braccio in modo da creare un ostacolo tra lei e il banco del governo, dove peraltro si trova un rappresentante seduto”.
L’Erinni indiavolata l’avrebbe fatto a brandelli.
“Sono istanti”.
Poi l’ “illusione ottica e percettiva” del “contatto che tanto ha destato scalpore”, ma “non è certo frutto di azione intenzionale”.
Bensì “accidentale”.
A sua insaputa.
Gli è partito il braccio come al Dottor Strana-more.
Non in avanti, però: di lato.
“Pianificato e voluto” invece “l’atteggiamento eversivo” dei 5 Stelle che, “come riporta il dizionario Treccani, ‘ tende a rovesciare e sconvolgere l’assetto sociale e statale anche con atti rivoluzionari e terroristici’”.
Le Brigate Grille avevano studiato tutto nei minimi particolari: “l’occupazione prolungata dell’aula” fino alla “messa in fuga della Presidenza”.
Pare di vederli, la Boldrini e il fidanzato, avviati su un convoglio verso Brindisi come Vittorio Emanuele III e la regina Elena mentre Roma è messa a ferro e a fuoco dai nazi.
Fortuna che c’era lui, il questore che sovraintende, a “circoscrivere e sedare” con “sincera abnegazione”.
Una medaglia al valore è poco.
Ci vuole il Cavalierato di Gran Botte.
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martedì 11 febbraio 2014
Destinazione Italia, i comitati: “Contiene condono bonifiche e regalo a chi inquina”. - Manolo Lanaro
“Destinazione Italia è un decreto che contiene un condono per le bonifiche. Un vero e proprio regalo per gli inquinatori”. Questa la denuncia del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e altre associazioni ambientaliste.
Il Governo Letta e il Ministro Andrea Orlando – denunciano i comitati – tornano alla carica per sollevare gli inquinatori dagli oneri delle bonifiche nei Siti di Interesse Nazionale e nelle aree disastrate da decenni di veleni.
E inoltre con una norma contenuta nell’art. 4 del Decreto si arriva anche a finanziare i responsabili: “I proprietari delle aree, compresi i responsabili dell’inquinamento, se il disastro è stato compiuto prima del 30 aprile 2007 (praticamente tutti i siti nazionali di bonifica), potranno usufruire di un accordo di programma co-finanziato dallo Stato se propongono qualche percorso di re-industrializzazione – denuncia Augusto De Sanctis del forum Movimento per l’Acqua – Si potranno stipulare accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale individuati che prevedano anche i contributi pubblici e le altre misure di sostegno economico finanziario disponibili e attribuiti”.
Quel che ne consegue è che il proprietario dell’area inquinata potrebbe vedersi pagare dallo Stato non solo integralmente gli oneri delle bonifiche, ma addirittura gli investimenti per i nuovi impianti.
Fs, in arrivo dallo Stato 3 miliardi l’anno per la rete e 500 milioni per treni nuovi.
Per l'ad Mauro Moretti il gruppo non è più un'azienda di Stato, ma dalle casse pubbliche continuano a piovere soldi. E l'azienda vuole di più: "Così non basta per rispondere ai problemi dei pendolari".
“Siamo passati da azienda di Stato ad azienda punto e basta”, annunciava l’estate scorsa l’amministratore delegato delle Ferrovie, Mauro Moretti. Dalle casse pubbliche, però, continuano a piovere soldi per il gruppo controllato interamente dal ministero dell’Economia. “Tre miliardi l’anno arriveranno dallo Stato con il contratto di programma”, spiega Moretti annunciando che “nei prossimi giorni presenteremo il piano industriale con investimenti per 11 miliardi in autofinanziamento in cinque anni per l’acquisto di treni”.
I tre miliardi l’anno – precisano dall’azienda – saranno destinati all’implementazione e alla manutenzione della rete Rfi, società del gruppo Ferrovie dello Stato preposta alla gestione dell’infrastruttura. I nuovi aiuti dai contribuenti, però, non finiscono qui. “Da più di dieci anni non riceviamo un soldo da parte dello Stato per treni nuovi”, aggiunge Moretti. Ma il numero uno del gruppo si smentisce subito dopo. “Ora c’è stata quest’ultima iniziativa che questo governo ha fatto di 500 milioni per autobus e treni, 200 milioni per questi ultimi, che sono già un’inversione di tendenza ma non è sufficiente per rispondere ai problemi che i pendolari hanno”. Denaro che – precisano dall’azienda – sarà stanziato dal Tesoro come previsto dalla legge di Stabilità.
“Da parte del ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, è arrivata la conferma che i 500 milioni arriveranno”, conferma Moretti. Ma gli aiuti pubblici non sono mai abbastanza. “Bisogna poi capire cosa possono fare altri enti territoriali e le Ferrovie che fanno parte del progetto per un treno che sia al centro del Paese”, aggiunge, sottolineando che “le imprese devono garantire il massimo della produttività e dell’efficienza industriale nell’utilizzare risorse ma ci vogliono risorse perché le cose possano essere messe a livello della domanda”.
Il gruppo, intanto, pianifica lo sbarco a Piazza Affari. “Sull’eventuale quotazione, su cui siamo disponibili a lavorare come abbiamo già detto altre volte, stiamo verificando qual è la soluzione migliore, visto che mettere sul mercato una società come il gruppo Ferrovie è qualcosa di abbastanza complesso, ma ci sono delle opportunità sicure che possono essere sviluppate”, ha detto Moretti alla fine di gennaio, annunciando che “crediamo che nel giro di sei mesi potremo arrivare a proporre una soluzione in merito”.
E a chi gli chiedeva se si pensava di quotare l’intero gruppo, Moretti ha risposto: “Stiamo pensando a varie possibilità, al gruppo o alle società, ma questa è una discussione che dovremo fare con l’azionista”. E ha ribadito: “Noi siamo in grado in sei mesi di poter fare delle proposte per dare all’azionista la possibilità di scegliere”.
Sicilia, i nomi e le foto dei 15 dipendenti regionali arrestati: hanno rubato 800.000 euro.
Sono quindici le persone arrestate nell’ambito dell’operazione “Iban” dei carabinieri del Comando provinciale di Palermo che hanno smascherato una truffa ai danni della Regione siciliana. Al centro dell’indagine le forniture dell’Assessorato alla Formazione professionale. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Palermo su richiesta della locale Procura, nei confronti di due imprenditori e tredici dipendenti regionali ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di peculato, truffa aggravata nei confronti dello Stato, turbata liberta’ degli incanti e falsita’ materiale ed ideologica. L’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare conclude una complessa attivita’ investigativa sviluppata dai Carabinieri della Sezione di Polizia giudiziaria della Procura, coordinati dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dal sostituto Alessandro Picchi.
I provvedimenti sono stati notificati a Emanuele Currao, 46 anni, di Palermo, funzionario direttivo dell’amministrazione regionale, che e’ finito in carcere; all’imprenditore Mario Avara, 49 anni, di Palermo, anche lui condotto in carcere. Mentre sono finiti ai domiciliari Concetta Cimino, 67 anni, di Caltanissetta, dirigente dell’amministrazione regionale in pensione; Marco Inzerillo, 49 anni, di Lucca Sicula (AG), funzionario direttivo regionale; Gualtiero Curatolo, 47 anni, di Palermo, cassiere regionale; Maria Concetta Rizzo, 49 anni, di Palermo, istruttore direttivo regionale; Maria Antonella Cavalieri, 52 anni, di Palermo, istruttore direttivo regionale; Federico Bartolotta, 60 anni, di Palermo, istruttore direttivo regionale; Vito Di Pietra, 43 anni, di Palermo, collaboratore regionale; Giuseppina Bonfardeci, 51 anni, di Palermo, istruttore direttivo regionale; Giampiero Spallino, 43 anni, di Palermo, collaboratore amministrativo regionale; Carmelo Zannelli, 46 anni, di Palermo, collaboratore amministrativo regionale; Michele Ducato, 54 anni, di Palermo, funzionario direttivo regionale; Marcella Gazzelli, 48 anni, di Palermo, collaboratore amministrativo regionale; l’imprenditore Amedeo Antonio Filingeri, 51 anni, originario di Borgetto (PA).
Ammonta ad oltre 800.000 euro la truffa scoperta dalla Procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto di 15 persone, tra cui tredici dipendenti regionali siciliani. E’ quanto confermano il Procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo e dal Procuratore aggiunto Leonardo Agueci nel corso della conferenza stampa in corso in Procura. Si tratta di soldi publici distratti a favore degli indagati. Uno degli arrestati, Emanuele Currao, avrebbe anche realizzato con parte degli introiti, come spiegano i magistrati, un appartamento a Sciacca (Agrigento) che e’ stato sequestrato.
domenica 9 febbraio 2014
LA GRANDE BRUTTEZZA – IL COMUNE DI ROMA, PUR ESSENDO PROPRIETARIO DI 60MILA BENI IMMOBILI, PAGA LA BELLEZZA DI 74 MILIONI L’ANNO PER GLI AFFITTI (CHISSA’ CHI LO HA PERMESSO). - Sergio Rizzo
ANGIOLA ARMELLINI
Questo dato sconcertante oggi possiamo conoscerlo grazie a una norma di tre righe sfornata dal governo di Mario Monti appena prima di andarsene – Invece di prendersela con i nomi dei soliti noti Armellini e Scarpellini perché non si domanda ai vari sindaci perché l’hanno permesso?…
Cinquantadue euro e 46 centesimi al mese.È la pigione media che il Comune di Roma incassa da ciascuno dei suoi 43.053 alloggi: moltissimi dei quali, ed è comprensibile, affittati a prezzo politico ai cittadini meno abbienti. Ma pur tenendo conto di questo non trascurabile dettaglio, è una miseria. Tanto più scandalosi, quei 27,1 milioni l’anno, al confronto con la somma che lo stesso Campidoglio tira fuoriper affittare da costruttori
e immobiliaristi privati 4.801 appartamenti da assegnare agli sfrattati o alle famiglie in difficoltà: 21 milioni 349.652 euro.
e immobiliaristi privati 4.801 appartamenti da assegnare agli sfrattati o alle famiglie in difficoltà: 21 milioni 349.652 euro.
Di questi 21,3 milioni, per inciso, 4 milioni 242 mila finiscono nelle tasche di una società che si chiama Moreno Estate srl. Che fa capo ad Angiola Armellini, figlia dell’ex re dei palazzinari romani Renato Armellini, una signora che ha guadagnato qualche giorno fa l’onore delle cronache dopo che le hanno fatto tana: ha 1.243 appartamenti sui quali secondo la Guardia di Finanza non pagava Ici e Imu. Il bello è che l’hanno scoperto le Fiamme gialle e non il Comune di Roma, che da lei ha in affitto quasi tutti quegli appartamenti. Esattamente, 1.042.
Ma in quanto a immobili affittati al Campidoglio non è da meno sua sorella Francesca Armellini, cui sono riconducibili alcune società proprietarie di altre 388 case e vari stabili a uso commerciale che fruttano complessivamente, tenetevi forte, 9 milioni 922.374 euro l’anno. Pagati sempre dal Comune di Roma. Perché l’amministrazione capitolina, che oltre a 43.053 appartamenti è proprietario di altri 16.413 beni immobili con diversa destinazione d’uso (!) debba spendere tutti quei soldi per affittare uffici dai privati, sembra incomprensibile.
Anche se forse la spiegazione è nell’elenco dei beneficiari. Un paio di casi? Il sempre citato immobiliarista Sergio Scarpellini incassa 15 milioni 594.841 euro l’anno: 9 e mezzo per il solo immobile che ospita le commissioni del Consiglio comunale, a sua volta preso in affitto dall’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, per poco più di 2 milioni. Domenico Bonifaci, proprietario del quotidiano romano «Il Tempo», intasca invece un milione 89 mila euro per i locali del Municipio XIV. E ci fermiamo qui, non senza chiudere questo capitolo con un numero: 74.063.805.
È la cifra che il Comune di Roma, pur essendo proprietario di 59.466 beni, paga ogni anno per le locazioni passive. Questo dato sconcertante oggi lo conosciamo grazie a una norma di tre righe sfornata dal governo di Mario Monti appena prima di andarsene.
Articolo 30 del decreto 14 marzo 2013, numero 33: «Le pubbliche amministrazioni pubblicano le informazioni identificative degli immobili posseduti, nonché i canoni di locazione o di affitto versati o percepiti». Ed è la dimostrazione del potere devastante della trasparenza. Certo, in un Paese come l’Italia nel quale prima di essere applicate le leggi si interpretano, dipende molto proprio dall’interpretazione.
C’è chi lo fa in senso estensivo, come il Comune di Roma che accanto ai canoni pagati pubblica diligentemente i nomi dei beneficiari. E chi, invece, visto che la norma di cui abbiamo parlato non lo prevede esplicitamente, semplicemente li omette.
Come sa bene Giuseppe Valditara, ex senatore di An animatore del forum Crescita & Libertà, che ha avviato una battaglia civile contro gli sprechi, di cui le locazioni passive sono una delle manifestazioni più lampanti, scontrandosi con l’ottusità di certe amministrazioni. Difficoltà, peraltro, che siamo sicuri abbia incontrato anche il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli.
Sul suo tavolo c’è la tabella pubblicata in queste pagine, che dice quanto l’amministrazione centrale spende per gli affitti passivi. La somma è enorme: 730,6 milioni, per un totale di 8.652 contratti di locazione, che si portano dietro 27 mila atti. E senza contare le agenzie fiscali, che non scherzano. La sola Agenzia delle entrate dichiara nel proprio sito circa 480 contratti, per un totale di 178,6 milioni.
Il che già la dice abbastanza lunga sui problemi che deve affrontare chi ha il compito di disboscare questa giungla. Se non fosse, poi, che ai dati dello Stato centrale bisogna aggiungere quelli, ben più numerosi, di enti pubblici, Regioni, Province, Comuni nonché società controllate e altri soggetti quali fondazioni, consorzi… Le scuole, per esempio. Ce ne sono affittate 1.567, pari al 4,2 per cento degli edifici scolastici censiti. E sono quasi tutti contratti stipulati dalle Province.
Nella sola Sicilia ce ne sono 338, e poi 295 in Campania, 163 in Puglia, 120 nel Lazio, 119 in Calabria. «Da parlamentare – ricorda Valditara – denunciai il caso di Reggio Calabria, dove si affittavano edifici fatiscenti dai privati mentre una scuola nuova, mai inaugurata, stava andando in rovina. C’era costata 8 milioni». Una massa di cui nessuno conosce i confini esatti, che spinge il costo (e lo spreco) degli affitti passivi a livelli inimmaginabili. Secondo l’ex ministro Corrado Passera non lontani da una dozzina di miliardi l’anno.
Con la particolarità che mentre i dati dello Stato si possono conoscere, sia pure con qualche problema, le difficoltà per avere gli altri risultano talvolta letteralmente insormontabili. Già. Intanto la legge che obbliga alla trasparenza non prescrive che le informazioni debbano essere pubblicate in un unico sito. Cosicché, se pure l’agenzia del Demanio decide volontariamente di mettere a disposizione dei cittadini l’elenco delle locazioni passive (245 pagine che si possono consultare sul suo web) dell’amministrazione centrale, accanto a ogni voce non figura il canone pagato, né il proprietario dell’immobile. Non tocca a loro.
Ma c’è di più. Il ministero dell’Interno, per esempio, pubblica solo la lista delle prefetture prese in affitto: non ci sono né le stazioni di polizia né le caserme dei carabinieri e dei vigili del fuoco. Eppure sono le voci più consistenti: 275 milioni sui 381 totali. Con situazioni che non ha mancato di sottolineare il documento sulla spending review messo a punto da Piero Giarda nel marzo 2013, citando il caso di Crotone, dove il costo degli immobili affittati per la locale polizia stradale risulta di 44.961 euro per addetto, contro una media nazionale di 2.547.
Nel sito del ministero del Lavoro, a quasi un anno dall’entrata in vigore dell’obbligo di trasparenza, la lista non c’è: la pagina risulta ancora «in allestimento». Eppure Cottarelli sa che hanno 133 immobili affittati per 23,1 milioni. Mica bruscolini. Il ministero della Difesa, invece, espone un solo contratto: 210 mila euro per il tribunale militare di Napoli. Però nella tabella di Cottarelli di contratti ne figurano 30. Ancora. Il sito del ministero dell’Ambiente cita due immobili in locazione, per circa 5 milioni l’anno relativi alla sede centrale del ministero, senza specificare la proprietà.
Il secondo immobile è un appartamento nel centro di Roma concesso in comodato gratuito dalla Regione Lazio: sede di rappresentanza. Mentre in realtà di locazioni passive ne risultano 34, per un totale di 13,2 milioni. Il sito delle Infrastrutture, poi, specifica i nomi dei proprietari con dovizia di particolari: l’Immobiliare Marinella, l’Immobiliare Tiziana, l’Immobiliare Valentina, il fondo Idea Fimit (quello presieduto da Antonio Mastrapasqua)…. Il ministero della Giustizia, al contrario, no. Fa persino sorridere la frase che compare nella stessa pagina web: «Percorsi chiari e precisi, un tuo diritto».
Sergio Rizzo per il Corriere della Sera
Governo Letta, fatta la legge manca il decreto. Le 384 norme mai attuate. - Carlo Tecce
Enrico Letta l’ha giurato: “Io non voglio galleggiare”. E il governo non galleggia, no, non va né sopra né sotto perché resta immobile. I decreti ci sono, tanti, ampi e pure con l’etichetta per entusiasmare: “Fare Italia”, “Destinazione Italia”. Le intenzioni ci sono e, magia, in pratica non esistono. Perché i ministeri non producono le norme attuative necessarie per applicare le leggi: su 429 provvedimenti previsti soltanto 45 sono in vigore e 58 sono già scaduti, cioè sono carta straccia. La tradizionale scusa, ormai un ritornello, è sempre valida: la burocrazia. Il buco nero con protagonisti più o meno anonimi, fra capi di dipartimento, dirigenti e funzionari, che inghiotte le riforme, i ritocchi e annulla l’efficacia di Palazzo Chigi. Da Mario Monti a Enrico Letta, come ha osservato il Sole 24 Ore di ieri, riportando lo studio sul programma di governo, la situazione è peggiorata. Questa è la conseguenza di una ribellione silenziosa dei vecchi apparati e di un controllo insufficiente dei ministri.
A MAGGIO, poi a giugno e ancora a luglio, Letta ha annunciato le imperdibili occasioni per i giovani. Per smuovere un po’ lo stagno, dove non è salutare galleggiare, l’esecutivo ha pensato di stanziare un capitale, piccole indennità, per la partecipazione ai tirocini formativi e di orientamento. Il Tesoro ha inviato i documenti all’ufficio di competenza, la Ragioneria di Stato, ma il 27 agosto era già scaduto. Com’è scaduto, il 22 di ottobre, lo stanziamento per “mille giovani per la cultura”.
Quante volte s’è proclamata l’emergenza per le piccole e medie imprese? Ma il ministero per lo Sviluppo economico e il Tesoro non sono riusciti a creare il fondo di garanzia. E ancora non sanno, sempre al ministero di Fabrizio Saccomanni, come utilizzare i 20 miliardi per i pagamenti delle pubbliche amministrazioni. Nonostante l’ex direttore generale di Bankitalia abbia smantellato e reinstallato i vertici, la macchina non funziona: su 76 provvedimenti ne hanno emanati 16. Il ministro Maria Chiara Carrozza ha litigato con Saccomanni e impedito che gli insegnanti dovessero restituire dei soldi in busta paga, però non s’intravede il piano triennale per l’assunzione a tempo indeterminato. Non una cosina secondaria. E non facile. Anche perché l’Istruzione e la Cultura non ce le fanno neanche a calcolare i mancati introiti per consentire, come promesso, ai docenti l’ingresso gratuito nei musei.
Il colmo per la burocrazia, ovvio, è non fare nulla per alleggerire la pesantezza della burocrazia. Sta ancora in un cassetto, dunque, il piano nazionale per le zone a burocrazia zero. Un pasticcio. Il ministero di Flavio Zanonato, lo Sviluppo economico, ha risposto che “la norma è complicata da applicare perché sono previste aree esclusivamente non soggette a vincolo paesaggistico, storico e artistico”. Ma rassicurano: è in fase istruttoria. Come la pianta organica per l’esaurimento dei giudici ausiliari. Gli esempi da fare sono 384 come le norme ancora non attuate e le leggi tenute in sospeso o, semplicemente, decadute. La tabella accanto dimostra che l’intero sistema è paralizzato.
E ci sono dei ministeri capaci di non emanare neanche una norma. Coesione Territoriale: 0 su 5. Affari Esteri: 0 su 7. Pubblica Amministrazione: 0 su 8. Giustizia: 0 su 10. Salute: 0 su 16. Beni Culturali: 0 su 25. Non male, per chi non vuole galleggiare. Perfetto, per chi vuole affondare.
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