martedì 30 gennaio 2018

Il Leggendario Averno, Il Porto Julius E La Grotta Di Cocceio. - Enzo Di Paoli



Durante il periodo delle guerre civili tra Ottaviano e Sesto Pompeo il lago d’Averno fu il Portus Julius del futuro Augusto. Molte furono le installazioni militari e molte furono le opere affidate al genero Agrippa e realizzate dall’architetto Lucio Cocceio Aucto.

Questo in particolare è l’ingresso della crypta che metteva in comunicazione il lago d’Averno con Cuma attraversando il Monte Grillo. L’utilizzo di maestranze altamente qualificate e una tecnica consolidata nei secoli permise la costruzione di questa galleria lunga circa un chilometro e perfettamente rettilinea. Illuminata da numerosi pozzi di luce durante tutto il percorso permetteva il cammino di due carri provenienti da opposte direzioni. L’utilizzo dei pozzi di luce e di aerazione disposti in verticale ed in taglio obliquo consentiva la visibilità in ogni suo tratto creando altresì una serie di fantastici giochi di luce e di ombre. Tutto ciò contribuì non poco ad alimentare le leggende legate al mondo degli Inferi ed alla Sibilla
In realtà questa opera di alta ingegneria realizzata nel I sec.a.C. fu una galleria viaria che in quel travagliato periodo servì principalmente come asse di comunicazione tra Cuma ed il Lucrino-Averno sede del porto militare di Ottaviano, in particolare l’Averno era il bacino di carenaggio della flotta e la sede dei cantieri per la costruzione delle navi il cui legname, tagliato nella vicina Silva Gallinaria, era trasportato fino al lago utilizzando la crypta.
Più volte interrata nel corso dei secoli e varie volte esplorata è detta anche Grotta della Pace dal nome dell’avventuriero spagnolo che nel XVI secolo la esplorò in cerca di un tesoro. Nel corso della II guerra mondiale i tedeschi in fuga vi lasciarono una grande quantità di materiale esplosivo. La leggenda del tesoro nascosto si è mantenuta sempre viva nei secoli tanto che nei primi anni cinquanta del ‘900 un gruppetto di ragazzi in cerca di avventure vi si introdusse, durante il percorso si imbatterono nel materiale lasciato dai tedeschi e manipolandolo le casse cercando il favoleggiato oro causarono una tremenda esplosione, le cronache del tempo ci raccontano che vi furono sette morti.
Recentemente bonificata e messa in sicurezza si attende ora la riapertura al pubblico di quella che fu una delle più grandi opere ingegneristiche della nostra antichità classica.


Gentiloni chi? Primo giorno nella pelle del PdR: Renzi va dalla D'Urso e guarda caso non nomina il premier




Liste 'quasi' chiuse, 'nuovo' inizio. Quasi perché nelle ultime ore Matteo Renzi sta provando a recuperare Gianni Cuperlo, che ha lasciato il collegio a Sassuolo, in polemica, territorio non suo, sgarbo alla base. Ma comunque, nel suo primo giorno nella pelle del PdR (Partito di Renzi), il segretario del Pd fa un consulto con le nonne - le sue "spin doctor" per la campagna elettorale, il suo nuovo bigliettino di visita 'family style' - e poi va a 'festeggiare' in casa di Barbara D'Urso su Canale 5. L'atmosfera ovattata dello studio di 'Domenica live' è perfetta per celebrare la nuova creatura politica risultante dalla difficile composizione del puzzle delle candidature per le politiche 2018. Perfetta per presentare la nuova squadra: se prima Paolo Gentiloni sembrava il capitano, adesso la figura del premier ne esce alquanto ridimensionata. Dalla D'Urso Renzi non lo nomina nemmeno.
Ci si era abituati a sentirlo lodare il premier: "Schiero la squadra migliore, il premier e i ministri", diceva Renzi la settimana scorsa, prima della prova di forza sulle liste. Adesso che è riuscito nell'intento di plasmare a sua immagine e somiglianza il partito che verrà fuori dal voto, il segretario si rimette in prima fila, petto in fuori a rivendicare il suo capolavoro. La squadra cambia pelle: ci sono Renzi, i suoi fedelissimi e i suoi prescelti in lista.
E' come se per l'ultimo mese di campagna elettorale non gli servisse più tanto il 'garante Paolo', colui che dallo scioglimento delle Camere in poi si era messo di buzzo buono a fare campagna elettorale dal governo. Renzi ne era uscito un po' oscurato: ecco, ora si riprende il palcoscenico.
E lo fa da Barbara D'Urso, come ai tempi migliori, come quando lanciò l'idea degli 80 euro in busta paga. "Sono quattro anni che ci sono: agli 80 euro vogliamo aggiungere un contributo esteso in base al numero dei figli, come elemento per avere uno sconto fiscale", dice, riprendendosi la campagna elettorale finora appaltata a Palazzo Chigi.
La stessa schiera di gentiloniani doc in Parlamento appare sfoltita dalle liste Pd. Non c'è Ermete Realacci e il capogruppo al Senato Luigi Zanda, molto legato a Gentiloni, è riuscito a strappare a fatica un posto sicuro nel proporzionale a Roma: Renzi voleva spedirlo in Sardegna dove per lui aveva pensato una candidatura del tutto incerta per la Camera. E non per Palazzo Madama, che Renzi invece vuole conquistare come suo territorio di azione per la prossima legislatura. Non è riuscito ad abolirlo, ora vuole farne il suo fortino: ci si candida lui stesso e poi i fedelissimi Andrea Marcucci, Matteo Richetti, Francesco Bonifazi, Ernesto Carbone. In tutto almeno 10 renziani doc: saranno l'intendenza che guiderà il resto dei parlamentari Pd, da Palazzo Madama, la 'Camera maledetta', quella che doveva essere abolita dalle riforme, fosse passato il referendum 2016, la Camera che anche al prossimo giro controllerà i numeri del governo che verrà. A Montecitorio invece restano Lotti, Boschi e pochi altri renziani della prima ora.
E dunque 'Gentiloni chi?'. Se era rimasto nelle retrovie per un anno intero o comunque almeno dal congresso Pd, ora Renzi torna sulla front-line. Della serie: se vinco, vinco con il mio Pd. Se perdo, perdo ma sempre con il mio Pd. Taglia cortissimo sulla rivolta interna al partito: "Ho candidato solo persone vicine a me, fedeli? Io rispondo con il fatto che a Napoli il primo candidato che abbiamo individuato è Paolo Siani, un medico, che non viene dal Pd, viene dalla lotta alla camorra".
"E' vero che ho un caratterino - dice a una Barbara D'Urso che continua a sbattere le ciglia, accomodante - ma bisogna averlo per cambiare le cose. Se vi va bene continuare con quelli che si mettono d'accordo sempre e comunque, va bene. Invece bisogna metterci il cuore, la passione, si può perdere e sbagliare ma bisogna farlo...".
Nei primi giorni della settimana Renzi dovrebbe finalmente presentare il programma di 'cento punti'. A 'Domenica live' intanto per la prima volta ammette che il Jobs act ha anche creato posti di lavoro precari: "Su 1 milione di nuovi posti di lavoro, il 53 per cento è a tempo indeterminato, il resto è determinato o precario. Con il Jobs act è aumentata la quantità di lavoro ma non la qualità...".
L'intento è di non promettere mare e monti: "Salario minimo per uscire dalla precarietà: 9 euro lordi l'ora per ogni lavoro saltuario". Una miseria insomma. "Un piccolo passettino in avanti - dice lui - Se poi volete credere alle promesse che dicono 'da domattina non ci saranno più lavori precari, è una presa in giro...". Le promesse di Berlusconi valgono "200 miliardi di euro", quelle del M5s "120 miliardi di euro". "Noi pensiamo di fare un pezzettino alla volta".
E' sempre Renzi, ma si sforza di fare il realista, prendendo effettivamente in prestito un pezzetto del modo di fare di Gentiloni. La partita per 'il premier che verrà' è più aperta che mai, a questo punto, anche, se parlando in termini realistici, lo schema su cui giocano Pd e Forza Italia è sempre quello delle larghe intese. Il grande 'non-detto' della campagna elettorale.

La notte del Pd. - Alessandro De Angelis



Lacrime, rabbia, suppliche e litigi per le liste: così Renzi si è fatto il partito di Renzi.


La notte che trasforma il Pd. Anzi, la notte del Pd. Alle cinque di mattina Andrea Orlando è distrutto. Chiede, con voce tesa: "Si possono almeno avere le fotocopie delle liste? Fateci almeno sapere dove ci avete messo. Un'ora di tempo e riprendiamo". Emanuele Fiano ha l'incarico di rispondere che non c'è tempo.
Poco dopo inizia la direzione, sette ore dopo la prima convocazione. E dalla presidenza, per la prima volta nella storia, le liste vengono solo lette. Un lungo elenco di sommersi e salvati. Paolo Gentiloni, arrivato alle due di notte, è visibilmente imbarazzato. Soprattutto quando non viene pronunciato il nome di Claudio De Vincenti, il suo sottosegretario a palazzo Chigi. Uomini di governo, gente con una lunga storia alle spalle, anche di provata lealtà apprendono solo a quel punto il proprio destino. Senza un colloquio, un sms, un contatto col Capo. Al termine del lungo elenco, nero su bianco non resta nulla, alimentando nelle ore successive il sospetto di aggiustamenti, limature, ulteriori sostituzioni nonostante il passaggio ufficiale. Poche ore dopo, a metà mattinata il sole illumina il "partito di Renzi". Dal Nazareno escono mano per mano la neo candidata Francesca Barra, giornalista che conquistò Renzi con una non indimenticabile intervista a palazzo Chigi, col suo compagno Claudio Santamaria, il popolare attore che prima si schierò con Virginia Raggi, tranne poi dichiarare poco tempo fa la sua delusione.
La grande epurazione è compiuta, in un clima terrore. Il secondo piano per tutta la notte è un bivacco di anime perse: segretari regionali, parlamentari, dirigenti che col passare delle ore cercano di capire dove sono finiti, quali sono i criteri, i motivi, il perché. Matteo Renzi è asserragliato al terzo piano nella sua stanza, quella che fu del tesoriere Luigi Lusi, porta blindata con codice di accesso. In pochi riescono ad entrare. Inserisce nomi, stronca con un tratto di penna carriere politiche, disegna collegio per collegio il "suo" partito di fedelissimi. La renzizzazione di un partito che, del vecchio, mantiene solo il simbolo, chissà per quanto. Opposizioni decimate, e prima ancora umiliate. "Parlaci tu con Orlando, io ho altro da fare", dice a Piero Fassino. Per due giorni il Guardasigilli, leader della minoranza interna, chiede invano di essere ricevuto. Cuperlo apprende di essere candidato a Sassuolo alle tre di notte via sms. E rinuncerà ventiquatt'ore dopo. 
Mentre Orlando alle quattro di notte apprende che la sua corrente è smontata: "Piero – dice all'ex segretario – sui numeri possiamo ragionare, ma non potete scegliere voi le persone. Quelle spetta a me indicarle". Niente da fare. Cadono i nomi di Andrea Martella, parlamentare di lungo corso stimato, molto stimato da Walter Veltroni e anche del giovane Marco Sarracino, il portavoce della mozione, 28enne, il più giovane di tutti. Urlano i suoi parlamentari: "Ditelo che non volete il rinnovamento, ma un partito yes man!".
Il clima è da tregenda. Scoppia a piangere anche Deborah Serracchiani, una fedelissima, che in una prima bozza non compare nelle liste del Friuli: "Io ci perdo la faccia – sbotta in uno scatto di nervi – se non mi mettete in Friuli non mi candido". Alla fine ce la fa. Entrano e escono dalla stanza del segretario i pochi che hanno accesso. Nella lunga notte, la tensione è a fior di pelle. A un certo punto si sentono le urla di Renzi: "Adesso non mi rompete i ..., uscite tutti dalla mia stanza. Poco dopo si vedono varcare la testa Fassino, Franceschini, Lotti. Maria Elena Boschi, sempre presente, è in cabina di regia col Capo. Racconta più di un presente: "C'era un'aria fa funerale. Quando Minniti è arrivato a Mezzanotte, ha stretto qualche mano, sembrava consolasse chi poi effettivamente non ce l'ha fatta. È la fotografia di un partito che si prepara alla sconfitta, col leader che si fa i gruppi a sua immagine".
Fuori Lo Giudice, Damiano recuperato all'ultimo ma in collegio difficile a Terni, una decina scarsa i parlamentari di Orlando, catapultato a Modena senza collegio. Stessa sorte al vulcanico Emiliano, forse il solo che riesce a prendere di petto il segretario: "Tu non hai capito un ca.... Io queste liste te le straccio. Hai capito? Te le straccio. Se vai avanti così in Puglia non ti ci fanno neanche mettere piede". Il governatore riesce a salvarne solo tre dei suoi, tra cui Boccia, rimasto in bilico fino alla fine, perché troppo critico con Renzi. In Campania, dove sono blindati il figlio di De Luca e Alfieri, l'uomo delle fritture di pesce e delle "clientele come Cristo comanda" Michele Emiliano non riesce a tutelare nessuno dei suoi.
Le liste, vendetta postuma di chi è uscito, certificano l'inagibilità politica del Pd e, con essa, l'umiliazione di chi è rimasto dentro pensando che comunque ci fosse uno spazio e una quota per mantenere vivo un punto di vista. Sconcerto, sgomento, nella lunga notte, il pugno del comando è sbattuto dal Capo anche sui tavoli che riguardano i suoi, travolti anch'essi dal meccanismo di vendette e ricompense. Paolo Gentiloni non riesce a candidare il suo uomo di fiducia a palazzo Chigi, Antonio Funiciello e a salvare Ermete Realacci. Mentre ci vuole tutta la pazienza di Franceschini per tenere Luigi Zanda – un altro a cui non è arrivata una telefonata dal suo segretario - al Senato e non spostarlo alla Camera. Perché il disegno è chiaro. Al Senato andranno Renzi, Carbone, Bonifazi, Giuliano Da Empoli (Lotti e la Boschi non hanno l'età): con un partito sfondato nelle casse, dopo il referendum, e con quello alla Camera ridotto di più della metà, solo al Senato ci saranno un po' di risorse e di incarichi sistemare degli staff. A proposito, Maria Elena Boschi, oltre all'uninominale di Bolzano, sarà candidata in un proporzionale nel Lazio, sempre lontano da Arezzo.
"Questo non è più il Pd", "democratico", "plurale", piovono indignate agenzie, dirigenti come pugili suonati che avevano bisogno del ko per scoprire i muscoli di Renzi. Anche la quota di Delrio, volto del renzismo mite, è ridimensionata. In Emilia Richetti è al secondo posto dopo Valeria Fedeli e Delrio, candidato all'uninominale di Reggio Emilia, è l'unico ministro che non ha un paracadute proporzionale. Escluso Angelo Rughetti, sottosegretario alla Funzione Pubblica, ieri su tutte le pagine dei giornali per la chiusura dei contratti per le forze armate. Il senso di quel che è accaduto è nei numeri che i più attenti sanno leggere: su una stima di 200 eletti, Renzi ha 160 parlamentari suoi, i restanti 40 sono distribuiti tra Martina, Orfini, Franceschini, Orlando. Vai a chiedere un congresso il minuto dopo una sconfitta. Il partito di Renzi c'è, e nascerà in Parlamento. E ora è nelle liste, omericamente trasmesse a voce, prima di tornare sulla scrivania del Capo.

lunedì 29 gennaio 2018

Partite Iva, da luglio addio alla scheda carburante. Le risposte a Telefisco. - Giuseppe Latour



Mancano pochi mesi. Dal primo luglio del 2018 i soggetti titolari di partita Iva dovranno dire addio alla cara, vecchia scheda carburante. Lo ha stabilito la legge di Bilancio 2018 (legge n. 205/2017), fissando un principio semplice, ma di grande impatto per la vita quotidiana di migliaia professionisti e imprese: le spese di carburante per autotrazione diventeranno, infatti, deducibili solo se sostenute tramite carte di credito, carte di debito o carte prepagate. Con relative difficoltà applicative. Anche su questo tema, allora, sarà possibile porre i propri quesiti agli esperti di Telefisco.
Cosa cambia dal primo luglio. Dal primo luglio si dovrà dire addio, insomma, alla scheda e ai timbri, dando grande spazio alla moneta elettronica. Con l’obiettivo di contrastare l’evasione. Perché i soggetti titolari di partita Iva non potranno più dedurre il costo relativo all’acquisto di carburante, né detrarre la corrispondente imposta sul valore aggiunto utilizzando il semplice contante.
La fatturazione elettronica. E non finisce qui. Sempre a partire dal primo luglio 2018, infatti, la stessa legge di Bilancio prevede che gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati da partite Iva presso gli impianti stradali di distribuzione dovranno essere obbligatoriamente documentati con la fattura elettronica. In pratica, sempre in chiave anti-evasione, diventa onere del benzinaio tutte le volte che effettua un rifornimento a un soggetto dotato di partita Iva emettere la fattura elettronica.
Il credito di imposta. Per chiudere il cerchio, infine, è prevista l’introduzione di un credito d’imposta pari al 50%, del totale delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate, a partire dal primo luglio 2018 tramite sistemi di pagamento elettronico. Il credito d’imposta sarà utilizzabile solo in compensazione tramite modello F24, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di maturazione.
Il Forum di Telefisco. Anche la fatturazione elettronica e gli acquisti di carburante saranno tra i temi sui quali sarà possibile porre domande agli esperti del Sole 24 Ore, in occasione dell’apertura del Forum speciale dell’Esperto risponde, abbinato a Telefisco. È possibile inviare le domande fino alle 18 di venerdì 2 febbraio. Le risposte saranno pubblicate sul quotidiano e da lunedì 5 febbraio sul sito. Inoltre, lunedì 12 febbraio sarà in edicola un numero speciale dell’inserto L’esperto risponde con una selezione dei migliori quesiti.

venerdì 26 gennaio 2018

George Soros contro Facebook e Google: "Pericolose per la democrazia, ma i loro giorni sono contati".

BLOOMBERG VIA GETTY IMAGES
George Soros, billionaire and founder of Soros Fund Management LLC, speaks at an event on day three of the World Economic Forum (WEF) in Davos, Switzerland, on Thursday, Jan. 25, 2018. World leaders, influential executives, bankers and policy makers attend the 48th annual meeting of the World Economic Forum in Davos from Jan. 23 - 26. Photographer: Simon Dawson/Bloomberg via Getty Images

Il finanziere a Davos attacca Trump: "Un pericolo per il mondo, ma è un fenomeno passeggero che sparirà nel 2020 o anche prima".


George Soros contro i giganti del web. Il finanziere attacca senza giri di parole Google e Facebook, soddisfatto dell'arrivo - almeno in Europa - di regole e tasse che frenano il loro strapotere. "I gruppi dei social media sfruttano il contesto sociale, tolgono autonomia di pensiero e inducono dipendenza", evitando al tempo stesso ogni responsabilità su quello che viene divulgato tramite le loro reti, ha detto a Davos al World economic forum.
Secondo Soros, Facebook e Google sono diventati monopoli che sono un ostacolo stesso all'innovazione da cui sono nati. Ora "influenzano il modo in cui le persone pensano e si comportano, senza che le persone se ne accorgono" e questo può avere gravi conseguenze per la democrazia, particolarmente sull'integrità delle elezioni. "La loro straordinaria redditività è in gran parte funzione del fatto che evitano responsabilità per i contenuti - che non pagano - delle loro piattaforme", ha continuato Soros. Le social media companies "ingannano i loro utenti manipolando la loro attenzione e dirigendola verso i loro obiettivi commerciali, provocando deliberatamente la dipendenza ai servizi che forniscono, il che è molto pericoloso soprattutto per gli adolescenti". Ma non è solo questo: "nella nostra era digitale le social media companies stanno inducendo le persone ad abbandonare la loro autonomia. E le persone senza libertà di pensiero possono essere manipolate con facilità. È un pericolo attuale e ha già svolto un ruolo importante nelle elezioni presidenziali americane".
Per fortuna, aggiunge ancora Soros, "Davos è un buon posto per annunciare che i loro giorni sono contati: sono in arrivo tasse e regole e la commissaria Ue alla Concorrenza Vestager sarà la loro nemesi".
Altro obiettivo di George Soros è Donald Trump. "Penso che l'amministrazione Trump sia un pericolo per il mondo. Ma la considero un fenomeno passeggero che sparirà nel 2020 o anche prima", ha detto il finanziere. "Riconosco che Trump ha motivato i suoi sostenitori in modo brillante, ma per ogni fan ha anche creato un numero maggiore di oppositori che hanno motivazioni ugualmente forti. Alle elezioni di mid-term di quest'anno mi aspetto una netta vittoria dei democratici", aggiunto Soros il finanziere e filantropo di origine ungherese.
...disse l'uomo più potente della terra che NON conosceva il significato della parola democrazia... I mass media invece, secondo il suo parere, non tolgono autonomia di pensiero, non inducono indipendenza? E che dire delle persone senza libertà di pensiero, è meglio manipolarle attraverso i mass media asserviti al suo potere?

giovedì 25 gennaio 2018

Moby Prince: Commissione, non fu nebbia.

 © ANSA

Procura Livorno condizionata, vite potevano essere salvate.


Moby Prince, sera del 10 aprile 1991: 140 morti dopo l'impatto del traghetto della Navarma con la petroliera Agip Abruzzo al largo del porto di Livorno. La più grande tragedia della marineria italiana. Che non è avvenuta per colpa della nebbia o per l'imprudenza di un comandante. C'è stata poi una "sostanziale assenza di intervento" di soccorso che avrebbe potuto salvare diverse vite. E l'indagine della procura livornese è stata "carente e condizionata da diversi fattori esterni".
E' un atto di accusa netto quello contenuto nella relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle cause del disastro, presentata oggi al Senato. "Una ferita ancora aperta, 27 anni dopo", l'ha definita il premier Paolo Gentiloni. Mentre il presidente del Senato, Pietro Grasso ha parlato di "dramma che sconvolse anche la coscienza del Paese, una pagina nera" per l'Italia. Ora, ha considerato il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, "grazie al grande lavoro della Commissione si alza un velo che fa sperare in una nuova pagina".
PETROLIERA ERA IN ZONA DIVIETO ANCORAGGIO - La nebbia, assente quella sera in mare, è stata quella dell'omertà e dei depistaggi. Una cortina che non accenna a disperdersi visto che, lamenta la Commissione, alcune persone ascoltate in audizione hanno "negato evidenze" e fornito "versioni inverosimili degli eventi". A distanza di tanti anni è così difficile una ricostruzione puntuale dei fatti. Ma i parlamentari - dopo due anni di lavoro ed oltre 110 riunioni - ritengono di aver fissato alcuni punti fermi: l'Agip Abruzzo si trovava quella sera in una zona di divieto d'ancoraggio e la sua posizione non è stata correttamente riportata nel corso delle indagini. C'è stata inoltre un'alterazione della rotta del Moby Prince tra le cause dell'impatto, "per fattori interni o esterni al traghetto".
SOCCORSI INESISTENTI, VITE SI POTEVANO SALVARE - Un tasto dolente è quello dei soccorsi. Secondo al Commissione la morte di passeggeri ed equipaggio del Moby Prince non è avvenuta entro 30 minuti dell'impatto per tutti e dunque alcune vite potevano essere salvate. Ma c'è stata una "sostanziale assenza di intervento nei confronti del traghetto" da parte della Capitaneria di porto di Livorno che durante "le ore cruciali apparve del tutto incapace di coordinare un'azione" ed "era priva di strumenti adeguati, come un radar".
FORTE OPACITA' ENI - LA Commissione definisce poi "connotato di forte opacità" il comportamento di Eni. La petroliera infatti, secondo la relazione, non proveniva da un terminal egiziano, ma da Genova e dunque il carico potrebbe essere stato differente da quello dichiarato, L'accordo assicurativo firmato tra i due armatori dopo solo due mesi dall'incidente pose però "una pietra tombale su qualunque ipotesi conflittuale sulle responsabilità tra l'Eni, che si assunse i costi dei danni della petroliera e dell'inquinamento e Navarma, che si assunse invece i costi del risarcimento delle vittime". Eni poté così far chiudere le indagini sulle attività a bordo della petroliera, sul suo carico ed ottenerne il dissequestro dopo soli 7 mesi avviandola alla demolizione.
INDAGINI CARENTI, PROCURA CONDIZIONATA - Nel mirino della commissione anche la procura di Livorno che per il processo di primo grado ha condotto un'attività d'indagine "carente e condizionata da diversi fattori esterni". In particolare, secondo la relazione, ha condizionato l'inchiesta il fatto di aver utilizzato parte dell'indagine sommaria svolta dalla stessa Capitaneria di porto, gli stessi soggetti direttamente coinvolti nella gestione dei soccorsi, alcuni dei quali coinvolti anche nelle vicende giudiziarie successive.
FIGLIO COMANDANTE, ORA REVISIONE PROCESSO - Contro i magistrati livornesi dell'epoca si scaglia anche Angelo Chessa, figlio di Ugo, il comandante del Moby Prince, tra le vittime dell'incidente. "Il processo di primo grado - osserva - è stato una vergogna per la giustizia italiana. Ora speriamo in una revisione in modo che si arrivi alla punizione dei veri colpevoli"
Ancora una tragedia dovuta a non si sa chi o che cosa dopo 27 anni dall'avvenimento. Siamo sfiduciati dalla mancanza di responsabilità di chi commette il reato e dalla carenza di volontà di risolvere le questioni in tempi adeguati da parte delle autorità competenti.

Roma, si spoglia nuda e fa il bagno dentro la fontana di piazza Navona.



Si è spogliata completamente tra la folla e si è immersa nella fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona, nel cuore di Roma. Protagonista della vicenda, questo pomeriggio, una donna di 33 anni, originaria di Siena ma senza fissa dimora. Ad intervenire, intorno alle 17 i Carabinieri della stazione di piazza Farnese che hanno rivestito portandola in caserma. La donna è stata denunciata per atti osceni.

http://www.ilmessaggero.it/roma/cronaca/roma_fontana_piazza_navona-3504757.html

Poverina, forse voleva farsi un bagno.
Francesco, più che blaterare, dovrebbe devolvere i milioni che percepisce lo stato del quale è rappresentante ai poveri senza tetto invece di darli a cardinali e vescovi che li spendono in lussi e beni terreni.