martedì 30 gennaio 2018

Gentiloni chi? Primo giorno nella pelle del PdR: Renzi va dalla D'Urso e guarda caso non nomina il premier




Liste 'quasi' chiuse, 'nuovo' inizio. Quasi perché nelle ultime ore Matteo Renzi sta provando a recuperare Gianni Cuperlo, che ha lasciato il collegio a Sassuolo, in polemica, territorio non suo, sgarbo alla base. Ma comunque, nel suo primo giorno nella pelle del PdR (Partito di Renzi), il segretario del Pd fa un consulto con le nonne - le sue "spin doctor" per la campagna elettorale, il suo nuovo bigliettino di visita 'family style' - e poi va a 'festeggiare' in casa di Barbara D'Urso su Canale 5. L'atmosfera ovattata dello studio di 'Domenica live' è perfetta per celebrare la nuova creatura politica risultante dalla difficile composizione del puzzle delle candidature per le politiche 2018. Perfetta per presentare la nuova squadra: se prima Paolo Gentiloni sembrava il capitano, adesso la figura del premier ne esce alquanto ridimensionata. Dalla D'Urso Renzi non lo nomina nemmeno.
Ci si era abituati a sentirlo lodare il premier: "Schiero la squadra migliore, il premier e i ministri", diceva Renzi la settimana scorsa, prima della prova di forza sulle liste. Adesso che è riuscito nell'intento di plasmare a sua immagine e somiglianza il partito che verrà fuori dal voto, il segretario si rimette in prima fila, petto in fuori a rivendicare il suo capolavoro. La squadra cambia pelle: ci sono Renzi, i suoi fedelissimi e i suoi prescelti in lista.
E' come se per l'ultimo mese di campagna elettorale non gli servisse più tanto il 'garante Paolo', colui che dallo scioglimento delle Camere in poi si era messo di buzzo buono a fare campagna elettorale dal governo. Renzi ne era uscito un po' oscurato: ecco, ora si riprende il palcoscenico.
E lo fa da Barbara D'Urso, come ai tempi migliori, come quando lanciò l'idea degli 80 euro in busta paga. "Sono quattro anni che ci sono: agli 80 euro vogliamo aggiungere un contributo esteso in base al numero dei figli, come elemento per avere uno sconto fiscale", dice, riprendendosi la campagna elettorale finora appaltata a Palazzo Chigi.
La stessa schiera di gentiloniani doc in Parlamento appare sfoltita dalle liste Pd. Non c'è Ermete Realacci e il capogruppo al Senato Luigi Zanda, molto legato a Gentiloni, è riuscito a strappare a fatica un posto sicuro nel proporzionale a Roma: Renzi voleva spedirlo in Sardegna dove per lui aveva pensato una candidatura del tutto incerta per la Camera. E non per Palazzo Madama, che Renzi invece vuole conquistare come suo territorio di azione per la prossima legislatura. Non è riuscito ad abolirlo, ora vuole farne il suo fortino: ci si candida lui stesso e poi i fedelissimi Andrea Marcucci, Matteo Richetti, Francesco Bonifazi, Ernesto Carbone. In tutto almeno 10 renziani doc: saranno l'intendenza che guiderà il resto dei parlamentari Pd, da Palazzo Madama, la 'Camera maledetta', quella che doveva essere abolita dalle riforme, fosse passato il referendum 2016, la Camera che anche al prossimo giro controllerà i numeri del governo che verrà. A Montecitorio invece restano Lotti, Boschi e pochi altri renziani della prima ora.
E dunque 'Gentiloni chi?'. Se era rimasto nelle retrovie per un anno intero o comunque almeno dal congresso Pd, ora Renzi torna sulla front-line. Della serie: se vinco, vinco con il mio Pd. Se perdo, perdo ma sempre con il mio Pd. Taglia cortissimo sulla rivolta interna al partito: "Ho candidato solo persone vicine a me, fedeli? Io rispondo con il fatto che a Napoli il primo candidato che abbiamo individuato è Paolo Siani, un medico, che non viene dal Pd, viene dalla lotta alla camorra".
"E' vero che ho un caratterino - dice a una Barbara D'Urso che continua a sbattere le ciglia, accomodante - ma bisogna averlo per cambiare le cose. Se vi va bene continuare con quelli che si mettono d'accordo sempre e comunque, va bene. Invece bisogna metterci il cuore, la passione, si può perdere e sbagliare ma bisogna farlo...".
Nei primi giorni della settimana Renzi dovrebbe finalmente presentare il programma di 'cento punti'. A 'Domenica live' intanto per la prima volta ammette che il Jobs act ha anche creato posti di lavoro precari: "Su 1 milione di nuovi posti di lavoro, il 53 per cento è a tempo indeterminato, il resto è determinato o precario. Con il Jobs act è aumentata la quantità di lavoro ma non la qualità...".
L'intento è di non promettere mare e monti: "Salario minimo per uscire dalla precarietà: 9 euro lordi l'ora per ogni lavoro saltuario". Una miseria insomma. "Un piccolo passettino in avanti - dice lui - Se poi volete credere alle promesse che dicono 'da domattina non ci saranno più lavori precari, è una presa in giro...". Le promesse di Berlusconi valgono "200 miliardi di euro", quelle del M5s "120 miliardi di euro". "Noi pensiamo di fare un pezzettino alla volta".
E' sempre Renzi, ma si sforza di fare il realista, prendendo effettivamente in prestito un pezzetto del modo di fare di Gentiloni. La partita per 'il premier che verrà' è più aperta che mai, a questo punto, anche, se parlando in termini realistici, lo schema su cui giocano Pd e Forza Italia è sempre quello delle larghe intese. Il grande 'non-detto' della campagna elettorale.

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