giovedì 3 ottobre 2019

Il Papa nomina l’ex procuratore di Roma Pignatone presidente del tribunale Vaticano.

Il Papa nomina l’ex procuratore di Roma Pignatone presidente del tribunale Vaticano

La nomina dell'esperto magistrato - in pensione dal maggio scorso - arriva nel day after dell'ultimo scandalo che ha sconvolto lo Stato Pontificio. Ieri cinque dirigenti vaticani sono stati sospesi a seguito dell’inchiesta sulle operazioni finanziarie illecite a San Pietro.
C’è un nome d’alto profilo che varcherà i confini dello Stato Pontificio per andare a presiedere il tribunale di Città del Vaticano. È quello di Giuseppe Pignatone, l’ex procuratore della Repubblica di Roma. Papa Francesco ha deciso di affidare al magistrato siciliano il posto del precedente presidente Giuseppe Dalla Torre. Una nomina che arriva nel day after dell’ultimo scandalo che ha sconvolto lo Stato Pontificio. Ieri cinque dirigenti vaticani sono stati sospesi a seguito dell’inchiesta sulle operazioni finanziarie illecite a San Pietro. Solo due giorni fa erano arrivati i sequestri effettuati dai pm della Santa Sede su documenti e apparati elettronici negli uffici della prima sezione della Segreteria di Stato e dell’Autorità di Informazione Finanziaria.
Ieri a essere sospesi dal Vaticano “cautelativamente dal servizio” sono due dirigenti apicali e tre dipendenti. Si tratta di monsignor Mauro Carlino, recentemente nominato da Papa Francesco capo ufficio informazione e documentazione della Segreteria di Stato; Tommaso Di Ruzza, direttore dell’Autorità d’Informazione Finanziaria, genero dell’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, di cui ha sposato la figlia Valeria Maria; Vincenzo Mauriello, minutante dell’ufficio del protocollo della Segreteria di Stato; Fabrizio Tirabassi, minutante dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato; e Caterina Sansone, addetta di amministrazione della Segreteria di Stato.
È in questi giorni convulsi che in Vaticano arriva il magistrato che a Roma ha scoperto e portato a processo Mafia capitale “Cosa farò da domani? E chi lo sa? Di sicuro avrò tanto tempo a disposizione per leggere, ma non si escludono sorprese”, aveva detto Pignatone nell’ultimo giorno di lavoro prima di andare in pensione, l’8 maggio scorso. La fine di una carriera lunga 45 anni, dedicata alla lotta alla mafia: da Cosa nostra a Mafia capitale. In mezzo la condanna dell’ex governatore della Sicilia, Totò Cuffaro, la svolta sul caso di Stefano Cucchi e la forte volontà di far luce sul sequestro e l’uccisione di Giulio Regeni in Egitto. Nato a Caltanissetta nel 1949, Pignatone entra in magistratura nel 1974: prima pretore nella sua città natale, poi sostituto procuratore a Palermo a partire dal 1977. Dove negli anni ’80 mette sotto inchiesta il sindaco Dc Vito Ciancimino, poi condannato per mafia a sette anni.

Franza o Spagna - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 3 Ottobre:

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Da quando esistono i 5Stelle, lo sport preferito dei giornaloni è annunciare “rivolte”, sommosse, fughe di massa, esodi biblici, fino alla morte sicura del Movimento, poi regolarmente rinviata a data causa bel tempo.

Certo, ogni tanto qualcuno se ne va, spontaneamente o spintaneamente. E chi rimane spesso mugugna a favore di telecamera. L’altro giorno abbiamo intervistato la senatrice Gelsomina Vono, passata senza fare un plissè dal M5S a Renzi perché lei è “oltre Di Maio”, ma già anche “oltre Renzi” e trova appetitose pure le idee di Salvini.

Franza o Spagna purché se magna, e lei di certo magnerà meglio, potendo finalmente tenersi lo stipendio intero. Vicenda doppiamente penosa: sia perché fu selezionata da Di Maio (come tutti i 5S all’uninominale) non tra gli iscritti, ma tra gli indipendenti della “società civile” (veniva dall’IdV); sia perché, essendo un’avvocata e non una scappata di casa, sapeva bene di candidarsi nel movimento più incompatibile col renzismo (schiforma costituzionale, giustizia, grandi opere, ambiente, politiche sociali).

Un po’ come il prode capitano Gregorio De Falco, altro indipendente eletto col M5S, poi passato al gruppo misto e firmatario ad agosto della mozione Sì Tav della Bonino, come se avesse scoperto solo allora che i 5Stelle sono No Tav.

O come Gianluigi Paragone, che scopre con alti lai la politica delle alleanze annunciata da Di Maio addirittura nel 2017 e non aveva mosso un sopracciglio nel 2018 quando fu offerto un contratto al Pd prima che alla Lega.

Per non parlare dei grillini che ora tuonano contro la piattaforma Rousseau, cui devono l’elezione. O contro il capo politico, come se lo eleggessero loro e non gli iscritti, che hanno plebiscitato Di Maio due volte in due anni. O contro le intese col Pd per il governo e per l’Umbria, come se la prima non fosse stata approvata all’unanimità dai gruppi parlamentari e dall’80% degli iscritti e la seconda dal 60%.

Chi scrive non s’è mai iscritto neppure a una bocciofila perché già fatica a rispettare il Codice penale e quello della strada, e non sopporta altre regole. Ma chi s’iscrive a una bocciofila, un club, un circolo, un movimento, un partito, ne accetta le regole. Se poi cambia idea, dovrebbe fare mea culpa sul proprio petto, non su quello altrui; e rinunciare ai soldi e ai privilegi che, grazie a quelle regole, ha accumulato.

C’è però una lezione anche per chi quelle regole le scrive. Si possono aprire le porte agli esponenti della società civile, poi si può minacciarli con tutte le multe perché non voltino gabbana. Ma resta un problema insormontabile: i candidati saranno sempre italiani.

mercoledì 2 ottobre 2019

Il gamberetto verde che non cambia più sesso per il cambiamento climatico. - Pasquale Raicaldo



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Fotografia di Valerio Zupo.

Gli studi della stazione Anton Dohrn sull’Hippolyte inermis, a Ischia, indicano che l’acidificazione oceanica incide sulle microalghe e sul loro rapporto con i piccoli invertebrati.


Il gamberetto di prateria (Hippolyte inermis) rischia di non riprodursi più: i cambiamenti climatici cui il pianeta va incontro potrebbero impedirgli di cambiare sesso, come invece accade regolarmente nel caso di questo invertebrato che si mimetizza tra le foglie delle piante marine.

E’ quanto emerge dall’ultima scoperta del centro di ricerca di Ischia della Stazione Zoologica Anton Dohrn, impegnata da sempre nello studio degli effetti dell’acidificazione marina, legata nel mare dell’isola ai “vents”, l’emissione di anidride carbonica effetto del vulcanesimo secondario dell’effervescente sottosuolo ischitano.

A Ischia, in soldoni, si creano naturalmente le condizioni a cui gli oceani vanno incontro per effetto delle emissioni di anidride carbonica. E sotto la lente di ingrandimento dei ricercatori è finito il rapporto tra un gamberetto e le microalghe delle quali si nutre, le diatomee epifite tipiche degli ambienti costiere, in particolare il genere Cocconeis, fondamentali per la vita, lo sviluppo, l’inversione sessuale e la riproduzione di molti piccoli animali invertebrati.

L'ambiente dei vents a Ischia, dove le emissioni di CO2 portano all'acidificazione del mare. Fotografia di Pasquale Vassallo.

Su loro è incentrato un lavoro pubblicato sulla rivista scientifica “Plos One” da Mirko Mutalipassi, in collaborazione con Valerio Mazzella e il ricercatore Valerio Zupo. In sostanza, il metabolismo della microalga del genere Cocconeis viene condizionato dall’acidificazione – naturale a Ischia, indotta dall’uomo nel pianeta – e inizia a non produrre i composti, o produrre in modo meno significativo, i composti che servono ai gamberetti, e ad altri organismi marini, per sopravvivere.


Diatomea, fotografia di Valerio Zupo

«Proprio così – conferma Zupo – perché l’alterazione dei rapporti chimici tra organismi e l'ambiente porta la modifica dei metaboliti secondari, con un impatto sul sistema di chemio-recezione degli organismi marini».

L’acidificazione del mare genera un effetto a catena, di cui i gamberetti sono solo alcune delle possibili vittime: con soli esemplari maschi, la specie rischierebbe l’estinzione. Ed è uno degli effetti sistemici più significativi sin qui scoperti dal Dohrn, che proprio con Valerio Zupo porta avanti anche un promettente studio sull’efficacia di un metabolita prodotto dalla diatomea su alcune tipologie di cancro. Ma l’acidificazione, a quanto pare, potrebbe ostacolare, insieme alla riproduzione del piccolo Hippolyte inermis, anche l’identificazione delle molecole più interessanti per gli scopi farmacologici.


Un primo piano del gamberetto di prateria. Fotografia di Valerio Zupo

Quel che è certo, grazie all’ultimo studio, è che il gambero sia una specie-sentinella in grado di mostrare come i rapporti tra organismi cambino, in modo drastico, in relazione ai cambiamenti climatici. Un tema sul quale la stazione Anton Dohrn è particolarmente attenta: a Ischia, come anticipato dal presidente Roberto Danovaro, aprirà infatti un Centro di ricerca sull’impatto dei cambiamenti globali sugli ecosistemi marini. E del resto “l’acidificazione del mare è l’altra faccia del problema dell’immissione di CO2 in atmosfera e del cambiamento climatico: una minaccia sempre più seria per le specie che popolano gli oceani e per gli ecosistemi”, spiega Maria Cristina Gambi, che con Nuria Teixido studia da anni l’adattamento delle specie animali all’acidificazione.


Ambiente dei vents a Ischia. Fotografia di Pasquale Vassallo

Stress ambientali che influiscono diversamente da specie a specie. «Non tutte le specie – conferma il biologo Marco Munari, che coordina il centro ischitano del Dohrn - rispondono allo stesso modo agli agenti di stress ambientali: è importante quindi studiarne gli effetti su più specie e non solo, ma anche come possono cambiare le interazioni tra le diverse specie, e quindi il funzionamento stesso di un ecosistema, per prevedere e prevenire danni sia di tipo ecologico che economico». Come quelli di un piccolo gamberetto verde che potrebbe smettere di riprodursi.

http://www.nationalgeographic.it/natura/animali/2019/09/25/news/il_gamberetto_verde_che_non_cambia_piu_sesso_per_il_cambiamento_climatico-4558458/

Hong Kong: il video dello sparo diffuso dagli studenti.




Mafia, Vito Nicastri condannato a 9 anni. "Ha finanziato la latitanza di Messina Denaro".- Salvo Palazzolo

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Il "re" dell'eolico era accusato di concorso esterno. Da alcuni mesi collabora con i pubblici ministeri, ma ha sempre escluso rapporti con le cosche trapanesi. Condannato anche il fratello Roberto.

Il "re" dell'eolico, Vito Nicastri, l'imprenditore di Alcamo in affari con Paolo Arata, l'ex consulente di Matteo Salvini, è stato condannato oggi pomeriggio a nove anni di carcere dal gup di Palermo Filippo Lo Presti. Per concorso esterno in associazione mafiosa. I sostituti procuratori Gianluca De Leo, Giacomo Brandini e il procuratore aggiunto Paolo Guido gli contestavano di aver intrattenuto rapporti spregiudicati con esponenti delle cosche, quelli più vicini al superlatitante Matteo Messina Denaro, imprendibile dal giugno 1993. Per Nicastri, accusato dalla Dia di Trapani di intestazione fittizia e corruzione nell'ambito del caso Arata, è la prima condanna per mafia. Nonostante già negli anni scorsi avesse subito una maxi confisca di beni per un milione e trecento mila euro.

Da maggio, dopo l'arresto per la vicenda Arata, l'imprenditore collabora con i magistrati della procura di Palermo, ha svelato alcuni episodi di corruzione di pubblici funzionari, chiamando in causa il suo socio coculto Arata, ma ha sempre negato di avere avuto rapporti con esponenti mafiosi. Ora, questa sentenza lo smentisce. Il gup ha condannato anche il fratello di Vito, Roberto, pure lui a 9 anni, per concorso esterno in associazione mafiosa.


Era stato il pentito Lorenzo Cimarosa, cugino di Messina Denaro, a svelare che Vito Nicastri avrebbe fatto avere "una borsa piena di soldi" agli uomini legati al latitante. L'anno scorso, il "re" dell'eolico era già agli arresti domiciliari, ma iniziò a fare affari con Paolo Arata, ex parlamentare di Forza Italia e allora consulente per l'energia della Lega. Affari che ad agosto sono stati raccontati nel corso di un incidente probatorio, al tribunale di Roma: Nicastri ha confermato di aver saputo di una mazzetta da 30 mila euro che il suo socio avrebbe promesso al sottosegretario Armando Siri, per piazzare un emendamento che doveva aprire le porte a molti finanziamenti. Per questo filone, indaga la procura di Roma, sotto inchiesta ci sono Arata e Siri, quest'ultimo rimosso dal presidente del Consiglio Giusepep Conte, nonostante le resistenze della Lega.


L'impero.
Negli anni Novanta, si vantava di essere uno dei pochi imprenditori puliti nel settore dell’energia alternativa. E invece era lui il perno del sistema di potere che ruotava attorno alle pale eoliche. Vito Nicastri, l’ex elettricista di Alcamo diventato in vent' anni un top manager, avrebbe avuto alle spalle uno sponsor potente: l’ultimo grande latitante di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro.
Per questa ragione, nel 2013, la sezione Misure di prevenzione del tribunale di Trapani gli aveva confiscato un impero economico: un miliardo e trecento milioni di euro, tanto valevano le 43 società di capitali che Nicastri utilizzava per gestire i suoi affari nel settore dell’eolico e del fotovoltaico; alcune con sede in Sicilia, altre in Lazio e Calabria. Sono passate tutte allo Stato. E con le società, anche un tesoro fatto da 98 beni immobili: Nicastri aveva investito in centinaia di terreni fra Trapani, Palermo e Reggio Calabria.

Per sé aveva fatto realizzare una sontuosa villa ad Alcamo, ma aveva acquistato anche decine di appartamenti e magazzini fra Trapani e Catanzaro. La confisca riguarda pure una grande passione di Nicastri: un catamarano di 14 metri per 8, costruito nel cantiere di Belleville, in Francia, nel 2009; è rimasto ancorato saldamente al porticciolo turistico di Castellammare del Golfo. L’imprenditore aveva una passione anche per le auto di grossa cilindrata, gli sono state sequestrate Mercedes e Audi. Infine, la Dia ha messo i sigilli a 60 rapporti finanziari, fra conto correnti, dossier titoli e polizze assicurative. Fu una delle confische più grande di tutti i tempi.


https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/10/01/news/mafia_vito_nicastri_condannato_a_9_anni_vicino_al_latitante_messina_denaro_-237431538/

Roma, 13enne giù dal balcone. I pm indagano per istigazione al suicidio. Ipotesi bullismo.

Roma, 13enne giù dal balcone. I pm indagano per istigazione al suicidio. Ipotesi bullismo

Inchiesta del procuratore aggiunto Monteleone sul caso della ragazzina morta domenica sera nella zona di Valle Aurelia dopo essere caduta dal nono piano. Polizia al lavoro su telefonino e pc per verificare alcuni messaggi ricevuti.
Dietro la decisione di togliersi la vita ad appena 13 anni lanciandosi dal nono piano di un condominio a Roma, potrebbe nascondersi una storia di bullismo e vessazioni. E’ il sospetto della Procura di Roma che sulla vicenda, avvenuta nel tardo pomeriggio di domenica nella zona di Valle Aurelia, hanno avviato una indagine ipotizzando il reato di istigazione al suicidio. Al momento il procedimento, coordinato dal procuratore aggiunto Maria Monteleone, è contro ignoti ma gli inquirenti hanno avviato una attività istruttoria ad ampio raggio per cercare di accertare il contesto in cui si è consumata la fine tragica della ragazzina. “E’ cresciuta in una famiglia in cui i genitori stavano attraversando un momento di crisi, come accade spesso – spiega chi indaga all’Ansa – ma dall’analisi del suo cellulare potrebbe emergere una realtà diversa”. Il riferimento è ai tanti messaggi trovati su un social network frequentato dalla minorenne in cui emergono insulti, frasi offensive. Parole cariche di odio scritte da utenti “anonimi” che prendono pesantemente di mira la 13enne. Qualche amica avrebbe però tentato anche di difenderla, schierandosi con lei, scrivendo messaggi pubblici di solidarietà e invitando i bulli a desistere, a farla finita. Ma quei comportamenti vessatori dei cyberbulli non sarebbero finiti e avrebbero potuto indurre la ragazza, secondo l’ipotesi dei pm, a farla finita.
I magistrati hanno affidato le indagini agli agenti del commissariato Aurelio che analizzeranno il telefonino e il pc della ragazza per cercare di risalire all’autore o agli autori dei messaggi e, parallelamente, proseguiranno nelle audizioni di parenti e amici al fine di delineare il “vissuto” della giovane.
La storia della ragazzina di Valle Aurelia non è l’unico episodio di questo tipo su cui sono al lavoro i pm di Roma del pool dei reati contro la persona. Verifiche infatti sono state disposte per il caso legato al tentato suicidio di una bimba di 10 anni avvenuto alcuni giorni fa. Il fatto risale al 25 settembre e la tragedia è stata evitata grazie all’intervento di due agenti della Direzione Centrale della Polizia Criminale che attratte da un capannello di persone che guardavano verso l’alto e dalle urla di aiuto di un’anziana donna, hanno subito capito la gravità della situazione. Entrate nell’appartamento e hanno afferrato la bimba evitando che si lanciasse nel vuoto.
Io non so quale sia stata la vera causa del folle gesto, ma temo fortemente per questa generazione che oserei chiamare "di cristallo". A questi ragazzi, che vivono di tecnologia, manca l'istruzione per l'uso, manca la capacità di reazione, manca la stima di se stessi, hanno costante bisogno di consenso, senza il quale non si sentono gratificati. Manca, forse, l'appoggio morale, una presenza stabile. La nostra è una società malata, priva di contenuti, dedita al consumo, all'apparire, all'estetica.
E non per colpa dei nuclei familiari o, quantomeno, non tutta, molta colpa è da attribuire alla società che costringe i nuclei a ritmi stressanti e frustranti nei quali c'è poco tempo da dedicare nel dovuto. C.

Angolini incantevoli.