“Stiamo valutando una sperimentazione nei prossimi giorni”. Sui farmaci a base di anticorpi il neopresidente dell'Agenzia ha impresso la svolta. “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti". Ma l'ente difende la sua inerzia ricostruendo a suo modo l'occasione lasciata cadere nel nulla di sperimentarli gratis già a novembre. "Mai arrivata proposta di cessione gratuita", ma perché l'Aifa stessa non l'ha più chiesta. "Arrivata solo quella di autorizzazione alla vendita". Ma il ministero della Salute ormai poteva solo comprare il Bamlanivimab. Ecco come sono andate le cose.
“L’Aifa ha interesse a sperimentare i monoclonali”. Sui farmaci a base di anticorpi Giorgio Palù ieri ha impresso la svolta all’agenzia che presiede dal 4 dicembre. Dopo le rivelazioni del Fatto ha messo il punto all’ordine del giorno riaprendo la strada che, per ragioni poco chiare, era stata chiusa: “Sono un sicuro presidio nel momento in cui non riusciremo a fare il vaccino a tutti. Stiamo valutando una sperimentazione nei prossimi giorni”. In verità lo sostiene da sempre, ma per riaprire il discorso tocca cancellare la macchia: l’occasione mancata di sperimentare già a novembre 10mila dosi di Bamlanivimab, il farmaco sviluppato da Eli Lilly contro il Covid-19, a beneficio di altrettanti pazienti e a costo zero.
Nicola Magrini, dg dell’Aifa, s’intesta la smentita di una storia che il Fatto ha ricostruito – in forza di documenti e testimonianze dirette – e di cui prima nulla si sapeva. Magrini, che mai ha accettato di parlarne, parla ora di “una generica disponibilità a collaborare” della multinazionale di Indianapolis. Sostiene che l’agenzia non ha ricevuto alcuna proposta di “cessione gratuita delle dosi” bensì una richiesta di autorizzazione alla vendita, non alla sperimentazione. E che in ogni caso: “Non è vero che abbiamo rifiutato l’accesso in Italia”.
Racconta tutt’altro la documentazione in nostro possesso. Tutti i decisori pubblici coinvolti, a partire dallo stesso Magrini, fin dal 7 ottobre erano chiamati a valutare esclusivamente la proposta di un “trial clinico-pragmatico” gratuito che avrebbe garantito al nostro Paese ormai schiacciato dalla seconda ondata l’accesso a una delle poche cure disponibili al mondo contro il virus. Nessun documento di quelli visionati parla di vendita: un’opzione che l’Italia ha valutato solo quando il tergiversare dell’Aifa sulla sperimentazione ha reso impossibile la cessione, perché il 9 novembre il farmaco è stato autorizzato negli Usa ed è entrato in commercio.
“Il 7 ottobre il virologo Guido Silvestri da Atlanta chiamò me”, racconta ora la senatrice M5S Elena Fattori. “Mi parlò della possibilità di far avere all’Italia almeno 10mila dosi di quel medicinale a costo zero”. La senatrice chiama subito il capo segreteria di Speranza, Massimo Paolucci. “Il ministero mi diede immediato riscontro. Da lì in poi la palla passò all’Aifa dove la cosa evidentemente si è arenata, non so perché”. Una versione che coincide con quella del viceministro Pierpaolo Sileri: il giorno stesso, nel giro di 16 minuti, girò la proposta all’Aifa per le opportune valutazioni del caso: a distanza di due mesi e mezzo non ha avuto risposta. L’aspettano anche i senatori M5S della Commissione Sanità: due giorni fa hanno depositato un’interrogazione al ministro Speranza in cui chiedono, alla luce della notizie emerse, cosa intenda fare. Il presidente Palù ha risposto nei fatti, travolgendo resistenze mai chiarite a un trial clinico di monoclonali già in uso all’estero.
Sempre di questo (non di vendita) si parla ancora nella riunione del 29 ottobre tra i vertici mondiali della Lilly, il gruppo regolatorio dell’Aifa, Gianni Rezza per il ministero, Giuseppe Ippolito (Cts e Spallanzani) e lo stesso professor Silvestri che da Atlanta aveva dato impulso all’iniziativa. La conferma definitiva che quello fosse l’oggetto, mai la vendita, arriva proprio da Ippolito: in una lettera al Fatto del 18 dicembre il direttore dello Spallanzani parla appunto di “sperimentazione”, non di offerte di acquisto.
La smentita dell’Aifa gioca però con le parole, usa a sua discolpa i propri atti mancati. Sostiene, ad esempio, di non aver mai ricevuto la proposta di sperimentazione gratuita. E questo è assolutamente vero, ma non l’ha ricevuta per il semplice fatto che al termine della riunione citata l’ha lasciata cadere per palese disinteresse. La multinazionale, contattata dal Fatto nei giorni scorsi, aveva confermato: “L’interlocuzione sul trial clinico gratuito è stata interrotta allora”. Aifa però rimarca d’aver ricevuto la richiesta di autorizzazione alla vendita. Facendo così passare il sospetto che alla fine di questo si trattasse: “In data 20 novembre – si legge – l’azienda Eli Lilly ha presentato all’Aifa una offerta per l’acquisto del farmaco da parte dell’Ssn, consegnando una ipotesi di contratto alla Struttura Commissariale all’emergenza Covid-19 il giorno 25 Novembre”.
Quello che la smentita non dice è che in realtà, persa l’occasione, non poteva accadere altrimenti. Il 9 novembre l’Fda americana autorizza l’uso d’emergenza del Bamlanivimab e da quel giorno, col prezzo fissato in 1200 dollari per le prime 300mila dosi, la casa madre di Indianapolis non può più cederne 10mila gratis a un altro Paese. Tuttavia l’Italia all’improvviso è disposta anche a pagare il farmaco che poteva avere gratis: il 16 novembre il ministero della Salute riporta la multinazionale al tavolo con Arcuri per l’unica opzione rimasta: trattare il prezzo.
L’Aifa infine torna sui limiti regolatori che sono la foglia di fico di tutta la storia. “Gli anticorpi monoclonali – si legge nel comunicato – necessitano di una approvazione europea, mentre l’azienda Eli Lilly ha proposto una procedura di approvazione del farmaco in deroga a tali procedure”. Ricorda poi che Ema ha espresso un giudizio assai cauto sulle possibilità di approvare il Bamlanivimab sulla base dello studio di fase 2 che evidenziava benefici moderati e ha richiesto ulteriori dati a supporto”. Non spiega però perché quei risultati siano bastati agli altri Paesi. Gli Stati Uniti hanno acquistato un milione di dosi, in Canada ne arriveranno altre migliaia dallo stabilimento di Latina. L’Ungheria fa parte dell’Unione dal 2004 e ha autorizzato il farmaco senza aspettare l’Ema. La Germania è sulla stessa scia.
E’ stato chiarito che in Italia si poteva autorizzare senza violare la legge, bensì applicandola: la 648/1996 è stata fatta apposta per autorizzare medicinali innovativi autorizzati in altri Stati, ma non in Italia, e quelli non ancora autorizzati dall’Ema ma in corso di sperimentazione clinica. La legge è sul sito dell’Aifa, per altro, con l’elenco dei farmaci. Nel 2005, ad esempio, Aifa autorizzò il trastuzumab per il trattamento del tumore alla mammella un anno e mezzo prima dell’Ema: ed è un anticorpo monoclonale, proprio come il Bamlanivimab. Adesso, dopo l’inchiesta, la posizione dell’Aifa è cambiata. È una vera fortuna. Potevamo essere i primi d’Europa, potremmo rischiare di non arrivare ultimi. Questa, alla fine, è la storia.