sabato 20 maggio 2023

I giovani non possono permettersi di studiare e pagarsi l’affitto? Sono degli smidollati. - G.Middei

 

I giovani non possono permettersi di studiare e pagarsi l’affitto? Sono degli smidollati.

«Piagnucolano», sostiene il giornalista Nicola Porro, «perché fare il pendolare impedisce loro di uscire a bere con gli amici!» Ecco, caro Nicola, lei non ha mai avuto evidentemente il problema di pagarsi un affitto e di far «quadrare i conti a fine mese», perché se sapesse cosa significa per uno studente che non proviene da una famiglia agiata pagare novecento euro al mese per permettersi di studiare, non avrebbe detto parole tanto superficiali e fuorvianti. E se vedesse con i suoi occhi questi bugigattoli che spacciano per «case», converrebbe con me che dai tempi di Dostoevskij non è cambiato nulla.

Ma davvero lei crede che questi ragazzi protestano perché poi non possono uscire la sera con gli amici? Vadano a lavorare, viene detto loro! I giovani non vogliono fare sacrifici, è questo il messaggio che volete far passare! E sa una cosa?

Io ne ho abbastanza! Non esito a dirlo. Avete il coraggio di parlare ai giovani di lavoro? Voi che avete fatto dello sfruttamento un’arte e del precariato uno stile di vita, avete il coraggio di parlare di sacrifici ai giovani? Eh sì perché quando si tratta di finanziare le guerre e l’apparato bellico, i soldi non mancano. E per gli stipendi dei parlamentari, neanche lì mi sembra che qualcuno abbia troppo da ridire.

E quando si trattò di aiutare le banche, perché i poveri banchieri di mezz’Europa con la speculazione del mercato immobiliare capirono di aver fatto un cattivo affare, sessanta miliardi di euro, sessanta miliardi avete capito bene, non parvero una spesa eccessiva. Ma lo sa, caro Nicola, quanti alloggi avreste costruito, quanti affitti a prezzo calmierato avrebbero potuto esserci con una piccolissima percentuale di questi milioni? In Danimarca, in Svezia, in Norvegia è la prassi, ma evidentemente hanno capito il concetto che «l’istruzione non deve essere un lusso, un privilegio».

G.Middei, 

anche se voi mi conoscete come Professor X 

#scuola #istruzione #filosofia #cultura #giovani 

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venerdì 19 maggio 2023

Archeologi scoprono tunnel durante la ricerca della tomba di Cleopatra: ‘È un miracolo geometrico’. - Angelo Petrone

 

Taposiris Magna fu fondata intorno al 280 a.C. da Tolomeo II, figlio del rinomato generale di Alessandro Magno e uno degli antenati di Cleopatra (lei stessa governò dal 51 a.C. fino alla sua morte per suicidio nel 30 a.C.). Il tempio, secondo il team, era dedicato al dio Osiride e alla sua regina, la dea Iside. Sono state scoperte anche monete con i nomi e le sembianze di Cleopatra e Alessandro Magno, oltre a statuette di Iside. Nel tempio sono stati trovati anche pozzi funerari contenenti sepolture greco-romane. È possibile che Cleopatra e suo marito Marco Antonio siano stati sepolti in tombe simili. La prossima tappa sarà l’esplorazione del vicino Mar Mediterraneo. Tra il 320 e il 1303 d.C., infatti, una serie di terremoti colpì la costa, facendo crollare parte del tempio e inghiottito dalle onde. Inoltre, gli scavi avevano precedentemente rivelato una rete di tunnel che si estendeva dal lago Mariout al Mediterraneo. Indipendentemente dal fatto che le tombe siano state trovate o meno, uno scavo approfondito di queste rovine potrebbe dirci di più sulla misteriosa città antica. Il tunnel ha già restituito alcuni tesori: pezzi di ceramica e un blocco rettangolare di calcare. Come disse 13 anni fa l’allora ministro delle Antichità Zahi Hawass , “Se scopriamo la tomba di Cleopatra e Marco Antonio, sarà la scoperta più importante del 21° secolo. Se non scopriamo la tomba di Cleopatra e Marco Antonio, abbiamo comunque fatto importanti scoperte dentro e fuori il tempio“.

Amore - Simposio di Platone sul tema.

 


Riassunto del Simposio di Platone — Fonte: Getty-Images

Nel Simposio, dialogo di Platone, il filosofo tratta il tema dell'amore (Eros). Simposio, letteralmente significa ''banchetto'' e proprio in uno dei questi, organizzato da Agatone, si discute del tema dell'amore.

Presso i greci era prassi comune, infatti, scegliere un tema di cui ogni ospite doveva dare una propria opinione, facendolo un piccolo monologo. Il tema era sempre scelto dall'ospitante.

A questo banchetto partecipano oltre a Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane, Agatone (dopo di lui c'è un piccolo intervento di Alcibiade, ex allievo di Socrate) e infine Socrate, il maestro tanto lodato di Platone.

I DISCORSI DEGLI OSPITI  

Il primo a parlare e a scegliere il tema è Fedro: secondo lui Eros è un dio antichissimo (come Gea, Urano e Cromo) ed è annoverato nei miti di creazione; è molto importante poiché ha proporzionato e armonizzato il mondo (lo ha abbellito).

Il secondo è Pausania: egli distingue un Eros buono, quello di Afrodite-Urania (misurato, senza eccessi o difetti) e un eros cattivo, venereo, passionale ed eccessivo.

Per il medico Erissimaco, il terzo, Eros è un sentimento (paragonato a un farmaco) che cura le anime più inquiete e travagliate, ma può renderle folli: bisogna quindi usarlo con il giusto dosaggio.

Il commediografo Aristofane è il quarto a prendere parola e racconta il mito dell'androgino.

Prima degli uomini c'erano degli altri esseri, i mostri androgini (due esseri umani attaccati tra loro, attraverso il petto), i quali potevano essere composti da due uomini, due donne oppure un uomo e una donna.

Erano molto veloci e potenti perciò sfidarono gli dei; Zeus però non fu d'accordo, li divise in due (l'ombelico è il segno di questa divisione) e disse se non avessero smesso li avrebbe divisi ulteriormente.

La conclusione è la seguente: l'amore non è altro che la ricerca dell'altra metà, la nostalgia dell'unità perduta.

Il tragediografo Agatone è il quinto a parlare e fa un discorso serio che però non ha molto effetto sui presenti.

Egli afferma che: l'amore può avere come oggetto solo il bene e chi ama deve per forza essere bellissimo; bene e bello sono identici e chi è bello ama il bene: tipica concezione del mondo greco, dove la persona più bella e più virtuosa di quella fisicamente brutta, l'aspetto esteriore “mostra” quello interiore.

A questo punto irrompe nella sala Alcibiade che, ubriaco, afferma il suo odio per il maestro: dichiara di averlo amato; Socrate aveva avuto atteggiamenti ambigui, lo aveva illuso ma non si era concesso.

E' l'unico a non fare un discorso su eros. L'ultimo e proprio Socrate, il quale, dopo essersi attirato la simpatia dei commensali, riferisce cosa gli aveva detto Diotima, sacerdotessa di Mantinea: l'amore è una relazione, un rapporto, e in quanto tale prevede la partecipazione di un amante (A) e un amato (B).

L'amore è soprattutto nell'amato che non è bello, perché all'amante manca qualcosa (l'amato). Perciò per Socrate l'amore è la ricerca continua nell'altro di ciò che non si ha.

All'inizio, l'amante ama il corpo, l'anima e le idee dell'amato, quindi l'amore è l'ascesa intellettuale della bellezza di un corpo (anche definita “Scala di Eros”), anche secondo Platone.

Amore del corpo (bello)
Amore dell’anima (bella)
Amore del sapere (bello)
Amore dell’idea di bellezza (del bello in sé)

Altro argomento contenuto nel Simposio è il mito dell’origine di Eros, secondo il quale questo dio è nato in un giorno di festa (il compleanno di Afrodite) da Poros e Penia (due dèi poco noti).

Poros gli ha dato l’intelligenza e la sagacia, mentre Penia gli ha dato la bruttezza, quindi Eros è sempre alla ricerca della bellezza.

Perciò riassumendo i discorsi degli ospiti:

Fedro: argomento mitologico (un dio antichissimo),

Pausania: Civico politico-etico (eros buono e cattivo),

Erissimaco: scientifico (farmaco),

Aristofane: mitologico (il mito dell'androgino, amore=desiderare),

Socrate: relazione tra l'amante e l'amato (ricerca continua).


https://www.studenti.it/riassunto-del-simposio-di-platone.htm

giovedì 18 maggio 2023

El Tajín, La città perduta di un popolo misterioso. - Ed Welan


Negli ultimi decenni molte città perdute sono state scoperte da archeologi o esploratori. Uno dei più misteriosi è l'antica città di El Tajín nello stato di Veracruz, in Messico . La città è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO negli anni '90 poiché tutti i monumenti di El Tajín, compreso il paesaggio circostante, sono sopravvissuti praticamente inalterati nel corso dei secoli, nascosti all'uomo dalla giungla tropicale.

Il mistero di El Tajín

La città fu costruita e abitata tra l'800 a.C. e il 1200 d.C. da una cultura molto probabilmente influenzata dagli Olmechi , anche se chi fossero esattamente rimane sconosciuto. Alcuni credono che fossero gli antenati dei Toltechi o che fossero un ramo del potente popolo Maya . Alcune prove suggeriscono che i costruttori di El Tajín fossero gli antenati del popolo Huastec , che vive ancora nello stato di Veracruz.

Le prove archeologiche suggeriscono che la città fosse ricca e che fosse la capitale di un regno che dominava gran parte del sud-ovest del Messico. Si trovava a cavallo di importanti reti commerciali ed era una città multietnica.  

Al suo apice, a El Tajín vivevano circa 20.000 persone, principalmente nelle colline circostanti. La città e il suo entroterra sono sopravvissuti al crollo sociale del periodo classico, ma El Tajín ha continuato a prosperare. Nel 1300, tuttavia, la città fu invasa da un popolo nomade noto come Chitimec, che viveva nell'attuale Messico settentrionale. Fu parzialmente distrutto e abbandonato e gli abitanti stabilirono un'altra città a una certa distanza. La città abbandonata era nota ai Toltechi e successivamente agli Aztechi , che associarono le rovine al soprannaturale e al regno dei morti. Dopo la conquista spagnola la città fu dimenticata. Questo era probabilmente collegato al crollo del popolo Huastec a causa di guerre e malattie. 

La riscoperta della città perduta di El Tajín

El Tajín si trova su un altopiano semi-tropicale e fu presto ricoperto da alberi. Era nascosto nella fitta giungla e fu scoperto solo nel 1785 da un funzionario del governo alla ricerca di piantagioni di tabacco illegali.

Modello in scala di El Tajín (Dodd, G / Public Domain)

Modello in scala di El Tajín (Dodd, G / Public Domain )

La notizia della scoperta della città perduta fece scalpore, ma fu solo nel XX secolo che la città fu scavata. La scoperta del petrolio ha aperto l'area agli archeologi che, insieme ad altri, hanno ripulito la giungla dalla città perduta. Ad oggi solo il 50% del sito è stato indagato ed è stato dichiarato parco archeologico nazionale per proteggere le sue numerose rovine.

Le meraviglie di El Tajín, Messico

La parte più antica della città è il Gruppo Aroyo, che è una piazza circondata da una disposizione di piramidi a gradoni che sono state recuperate dalla giungla. In cima ci sono i templi.

Fino alla caduta della città, la piazza fu utilizzata come mercato che ospitava anche molte statue. Forse l'edificio più importante di El Tajín è la Piramide delle Nicchie. La piramide prende il nome dalle numerose nicchie in ogni livello e rappresentava le grotte che simboleggiavano le porte degli inferi. Questa costruzione è fatta di lastre di pietra ed è alta sette piani. Si compone di tre lati inclinati e una parete verticale, tipica della Mesoamerica .

Piramide delle nicchie, El Tajín (dominio pubblico)

Piramide delle nicchie, El Tajín ( Pubblico dominio )

Ciò che contraddistingue questa piramide, oltre a quelle più piccole, è l'uso di archi rampanti. Molti esperti ritengono che una volta la piramide fosse dipinta di rosso e fosse sormontata da un'enorme statua di una divinità. A differenza di tutti gli altri, il Tempio Azzurro, così chiamato perché dipinto con pigmento blu, non ha archi rampanti .

Un'altra area importante è il Tajín Chico, che è un complesso di edifici alcuni dei quali erano amministrativi. Questi sono tutti ben conservati e anche realizzati con lastre di pietra.

Campo da ballo El Tajín (di pubblico dominio)

Campo da ballo El Tajín ( Pubblico dominio )

Ci sono almeno 17 campi da baseball in città, dove i concorrenti hanno giocato un gioco che aveva un grande significato religioso. Si ritiene che questa tradizione derivi dai Maya poiché i perdenti del gioco della palla venivano decapitati e sacrificati alle divinità.

Come visitare El Tajín

Gli autobus collegano Poza Rica/Papantla alla città di El Tajín e sono disponibili alloggi nelle vicinanze della città antica. È possibile organizzare un tour a piedi del parco archeologico, ma i visitatori possono anche assumere una guida.

C'è un eccellente museo con molti manufatti come gli altari. I rilievi di monumenti come la Piramide delle Nicchie offrono una visione unica della società mesoamericana e delle sue credenze. Ogni anno a marzo c'è un festival che celebra la cultura e la musica indigene e la moderna città di Tajín ha punti di riferimento notevoli come la chiesa di Iglesias de la Asuncion.

Immagine in alto: El Tajín Fonte: Swigart / CC BY-NC-ND 2.0

Di Ed Whelan

https://www.ancient-origins.net/ancient-places-americas/el-tajin-0012184?fbclid=IwAR3GgdJ1lv7hQBUgMdhxHElJJb_TtLZod6aR7jS1DXnQXRxSgspOn_dmAHI

Socrate e la presunzione. - G.Middei,

 

Lo sapevate che… Socrate aveva una tecnica per smascherare la presunzione.

Come potete riconoscere un presuntuoso? Semplice, è sempre convinto di avere ragione. E i presuntuosi ad Atene non mancavano. Socrate però avvicinava il suo interlocutore, confessando la sua ignoranza. Il famoso detto socratico «so di non sapere» è il presupposto di ogni confronto. Se sei convinto di sapere qualcosa, perché mai dovresti metterti in discussione?

Socrate lasciava parlare il suo interlocutore, lo ascoltava con attenzione e poi gli poneva una semplice domanda: «ti esti?» Che cos’è? Questa domanda, questa semplicissima domanda, apparentemente innocua, inoffensiva, riusciva a far crollare qualsiasi retorica. Va bene parlare di giustizia, bene, ricchezza, onore, morte, ma cosa sono? Grazie a questa domanda venivano fuori uno ad uno pregiudizi, supponenza, vanità.

Ma ciò che davvero interessava a Socrate era la ricerca, tramite il dialogo, di una verità a cui il suo interlocutore doveva giungere da solo. «Io non sono stato maestro mai di nessuno; ma se c’è una persona che quando parlo, desidera ascoltarmi, non mi sono mai rifiutato.» Cosa vi sta dicendo Socrate? Non sono un maestro, non mi sento superiore a nessuno, accetto il confronto con chiunque, non importa chi sia il mio interlocutore: ricco o povero, ignorante o istruito. Credo nel dialogo e il dialogo era per Socrate l’essenza della filosofia, del pensiero.

È la parola stessa a dirvelo: dialogo viene da dia che significa “in mezzo a” e logos che significa “pensiero/ragione.” Dialogo significa che la ragione non sta mai solo da una parte, non è monopolio di questa o quella fazione, se qualcuno è convinto a priori di essere in possesso di una qualche verità assoluta, quella persona semplicemente non sta dialogando con voi e non sta pensando. Socrate invece voleva far pensare la gente, per questo era odiato dalla classe governante. Stimolava nei suoi interlocutori il dubbio e il senso critico, li spingeva a porsi continue domande. Tutto qui. Era pericoloso? A quanto pare sì, perché hanno voluto ammazzarlo per questo.

Ripubblicato per i nuovi lettori

G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X

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mercoledì 17 maggio 2023

Il Rosiconista - Marco Travaglio


Non tutti sanno che c’è un giornale, più che altro un ciclostile, con un editore imputato, Alfredo Romeo, e un direttore editoriale imputato, Matteo Renzi: il Riformista. Però va detto che la linea editoriale non risente minimamente dello status dell’editore e del direttore editoriale: infatti si dedica precipuamente a bombardare i magistrati che processano l’editore e il direttore editoriale, ma anche, ad abundantiam, quelli che non processano l’editore e il direttore editoriale (o non ancora: hai visto mai). L’editore è coimputato del padre del direttore editoriale, perché aveva scritto su un pizzino la cifra che intendeva devolvergli mensilmente in cambio di aiutini per gli appalti Consip: “30mila per T.”. Purtroppo fu beccato prima del bonifico, ma ora potrà pagare legalmente il figlio direttore editoriale, a sua volta imputato per i finanziamenti illeciti alla fondazione Open. Costui però, allergico com’è ai conflitti d’interessi, sta bene attento a non confondere la sua veste di direttore editoriale da quella di imputato: ieri, per dire, ha scritto un editoriale (“Open to Meraviglia”) per avvisare gli eventuali lettori che “anche oggi mi presenterò in tribunale, a Firenze, nell’ambito del ‘processo Open’”, frutto di “un’inchiesta nata da un pregiudizio ideologico” e da “scandalosi sequestri show”. Ma solo per precisare che “il Riformista non seguirà questa udienza preliminare”, nata peraltro da “una indagine assurda”. Infatti “questo giornale non è il luogo della mia difesa. Mi difendo da solo”: sul giornale che non è il luogo della sua difesa.


“Il Riformista parlerà invece degli altri errori giudiziari, quelli che riguardano cittadini comuni”, tipo lui che, “citando lo straordinario discorso di Enzo Tortora, so di essere innocente e spero che lo siano anche i magistrati che mi indagano ingiustamente”. Ma, sia chiaro, “questo giornale non può servire per regolare i miei conti”. Dunque nessuno, sul Riformista, si azzardi a parlare di lui, a parte lui, che si limita a precisare di aver “denunciato i magistrati che ritenevo responsabili”. Silenzio stampa assoluto anche sui suoi libri: sì, è vero, il suo libro “Il Mostro è stato un best seller”, ma non sta certo a lui dirlo, tantomeno sul suo giornale. Quindi, ricapitolando: a parte l’editoriale dell’imputato, “questo giornale non si occupa del processo Open perché parla di tutto il resto”. Un esempio a caso di tutto il resto: “le vergognose indagini fiorentine” sul caso Open, che “sarà ricordato come uno dei tanti flop”, anzi “più grave degli altri” perché l’imputato è il direttore editoriale.

Però ora basta parlare di Open. Sennò qualcuno penserà che il Riformista si occupi di Open, che il direttore editoriale sia imputato e che non l’abbia presa proprio benissimo.

FQ 13 maggio 

La spaventosa scoperta dell’artiglio di Mount Owen. - Lucia Petrone

 

Ecco la storia di questo incredibile ritrovamento.

Nel 1980, un team di archeologi stava effettuando una spedizione all’interno di un grande sistema di grotte sul Monte Owen in Nuova Zelanda quando si sono imbattuti in qualcosa di spaventoso e insolito. Con poca visibilità nella caverna buia, si chiedevano se i loro occhi li stessero ingannando, poiché non riuscivano a capire cosa si trovasse davanti a loro: un enorme artiglio simile a un dinosauro ancora intatto con carne e pelle squamosa. L’artiglio era così ben conservato che sembrava provenire da qualcosa che era morto solo di recente. Il team archeologico ha recuperato con entusiasmo l’artiglio e lo ha preso per delle analisi. I risultati sono stati sorprendenti; il misterioso artiglio è risultato essere i resti mummificati di 3.300 anni fa di un moa di montagna, un grande uccello preistorico scomparso dall’esistenza secoli prima. Il moa di montagna (Megalapteryx didinus) era una specie di uccello moa endemico della Nuova Zelanda. Un’analisi del DNA pubblicata negli Atti della National Academy of Sciences ha suggerito che il primo moa è apparso circa 18,5 milioni di anni fa e c’erano almeno dieci specie, ma sono si sono tutte estinte. Con alcune sottospecie di moa che raggiungono un’altezza di oltre 3 metri, il moa era una volta la più grande specie di uccelli del pianeta. Tuttavia, il moa di montagna, una delle specie di moa più piccole, non superava i 1,3 metri. Aveva piume che coprivano tutto il corpo, tranne il becco e la pianta dei piedi, e non aveva ali né coda. Come suggerisce il nome, il moa di montagna viveva nelle parti più alte e più fresche del paese. La prima scoperta del moa avvenne nel 1839 quando John W. Harris, un commerciante di lino e appassionato di storia naturale, ricevette un insolito osso fossilizzato da un membro di una tribù indigena Māori, che disse di averlo trovato sulla riva di un fiume. L’osso fu inviato a Sir Richard Owen, che lavorava all’Hunterian Museum del Royal College of Surgeons di Londra. Owen è rimasto perplesso dall’osso per quattro anni: non si adattava a nessun altro osso che aveva incontrato. Alla fine, Owen giunse alla conclusione che l’osso apparteneva a un uccello gigante completamente sconosciuto. La comunità scientifica ha ridicolizzato la teoria di Owen, ma in seguito è stata dimostrata corretta con le scoperte di numerosi campioni ossei, che hanno permesso la ricostruzione completa di uno scheletro di moa. Dalla prima scoperta delle ossa di moa, ne sono state trovate altre migliaia, insieme ad alcuni notevoli resti mummificati, come l’artiglio di Mount Owen dall’aspetto spaventoso. Alcuni di questi campioni mostrano ancora tessuti molli con muscoli, pelle e persino piume. La maggior parte dei resti fossilizzati è stata rinvenuta in dune, paludi e grotte, dove gli uccelli potrebbero essere entrati per nidificare o per sfuggire alle intemperie, conservatisi per disseccamento quando l’uccello è morto in un luogo naturalmente asciutto (ad esempio, una grotta con una costante brezza secca che vi soffia attraverso).

Quando i polinesiani migrarono per la prima volta in Nuova Zelanda a metà del XIII secolo, la popolazione di moa era fiorente. Erano gli erbivori dominanti nelle foreste, negli arbusti e negli ecosistemi subalpini della Nuova Zelanda per migliaia di anni e avevano un solo predatore: l’aquila di Haast. Tuttavia, quando i primi esseri umani arrivarono in Nuova Zelanda, il moa divenne rapidamente in pericolo a causa della caccia eccessiva e della distruzione dell’habitat. “Poiché hanno raggiunto la maturità così lentamente, [essi] non sarebbero stati in grado di riprodursi abbastanza velocemente da mantenere le loro popolazioni, lasciandole vulnerabili all’estinzione”, scrive il Natural History Museum di Londra . “Tutti i moa erano estinti quando gli europei arrivarono in Nuova Zelanda nel 1760”.


L’aquila di Haast, che faceva affidamento sul moa per il cibo, si estinse poco dopo.Il moa è stato spesso citato come candidato alla rinascita attraverso la clonazione poiché esistono numerosi resti ben conservati da cui è possibile estrarre il DNA. Inoltre, poiché si è estinto solo diversi secoli fa, molte delle piante che costituivano l’approvvigionamento alimentare del moa sarebbero ancora esistenti. Il genetista giapponese Ankoh Yasuyuki Shirota ha già svolto un lavoro preliminare verso questi obiettivi estraendo il DNA dai resti di moa, che intende introdurre negli embrioni di pollo.


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