giovedì 12 ottobre 2023

Sapevi che l'intelligenza si eredita dalle madri? - JENNIFER DELGADO

 

Le persone intelligenti dovrebbero ringraziare le loro madri perché, secondo i ricercatori, le loro madri sono le principali responsabili della trasmissione dei geni dell'intelligenza. Pertanto, gli stereotipi di genere sopravvissuti per secoli stanno forse per scomparire. Le donne single che desiderano un figlio intelligente non hanno bisogno di cercare un premio Nobel presso la banca del seme più vicina ed è probabile che gli uomini inizieranno a vedere l'intelligenza delle donne come una parte importante della loro attrazione.

Alla base di questa idea si trovano i cosiddetti “geni condizionati” , che si comportano diversamente a seconda della loro origine. In sostanza, questi geni hanno una sorta di etichetta biochimica che permette di risalire alla loro origine e rivela anche se sono attivi o meno all'interno delle cellule discendenti. È interessante notare che alcuni di questi geni condizionati funzionano solo se provengono dalla madre. Se lo stesso gene viene ereditato dal padre, risulta disattivato. Ovviamente altri geni funzionano in modo opposto e si attivano solo se provengono dal padre.

I geni della madre vanno direttamente alla corteccia cerebrale, quelli del padre al sistema limbico.

Sappiamo che l'intelligenza ha una componente ereditaria, ma fino a qualche anno fa pensavamo che gran parte di essa dipendesse dal padre oltre che dalla madre. Tuttavia, diversi studi hanno rivelato che i bambini hanno maggiori probabilità di ereditare l’intelligenza dalla madre, perché i geni dell’intelligenza si trovano sul cromosoma X.

Uno dei primi studi in questo ambito è stato condotto nel 1984 presso l’Università di Cambridge, seguito nel corso degli anni da molti altri. In questi studi è stata analizzata la coevoluzione del cervello e il condizionamento del genoma, portando alla conclusione che i geni materni contribuiscono maggiormente allo sviluppo dei centri di pensiero nel cervello.

Nel corso del primo esperimento, i ricercatori hanno creato embrioni di ratti che possedevano solo i geni della madre o del padre. Ma quando arrivò il momento di trasferirli nell’utero di un ratto adulto, gli embrioni morirono. Si è così scoperto che esistono geni condizionati che si attivano solo se ereditati dalla madre e che sono vitali per il corretto sviluppo dell'embrione. D'altra parte, il patrimonio genetico del padre è essenziale per la crescita del tessuto che formerà la placenta.

A quel tempo, i ricercatori ipotizzarono che se questi geni fossero importanti per lo sviluppo dell'embrione, sarebbe anche probabile che potrebbero svolgere un ruolo importante nella vita degli animali e delle persone, forse addirittura potrebbero influenzare alcune funzioni cerebrali. Il problema era come dimostrare questa idea, perché gli embrioni con i geni di un solo genitore morivano rapidamente.

I ricercatori hanno trovato una soluzione: hanno scoperto che gli embrioni potevano sopravvivere se le cellule embrionali normali venivano mantenute e il resto veniva manipolato. In questo modo hanno creato diversi topi da laboratorio geneticamente modificati che, sorprendentemente, non si sono sviluppati allo stesso modo.

Quelli con una dose extra di geni materni sviluppavano una testa e un cervello più grandi, ma avevano corpi piccoli. Al contrario, quelli con una dose extra di geni paterni avevano cervelli piccoli e corpi più grandi.

Analizzando più approfonditamente queste differenze, i ricercatori hanno identificato cellule che contenevano solo geni materni o paterni in sei diverse parti del cervello che controllano diverse funzioni cognitive, dalle abitudini alimentari alla memoria.

In pratica, durante i primi giorni di sviluppo embrionale, qualsiasi cellula può apparire ovunque nel cervello, ma man mano che gli embrioni maturano e crescono, le cellule che avevano i geni paterni si accumulano in alcuni centri emotivi del cervello: l'ipotalamo, l'amigdala, il cervello zona preottica e setto. Queste aree fanno parte del sistema limbico, che è responsabile di garantire la nostra sopravvivenza ed è coinvolto in funzioni come il sesso, il cibo e l'aggressività. Tuttavia, i ricercatori non hanno trovato cellule paterne nella corteccia cerebrale, dove si sviluppano le funzioni cognitive più avanzate, come l'intelligenza, il pensiero, il linguaggio e la pianificazione.

Nuovi studi, nuove luci.

Naturalmente, gli scienziati hanno continuato a indagare su questa teoria. Robert Lehrke, ad esempio, ha rivelato che gran parte dell'intelligenza di un bambino dipende dal cromosoma X. Ha anche dimostrato che, poiché le donne hanno due cromosomi X, hanno il doppio delle probabilità di trasmettere caratteristiche legate all'intelligenza.

Recentemente, ricercatori dell’Università di Ulm, in Germania, hanno studiato i geni coinvolti nei danni cerebrali e hanno scoperto che molti di questi, soprattutto quelli legati alle capacità cognitive, si trovano nel cromosoma X. Non è infatti un caso che la disabilità mentale sia 30 % più comune nei maschi.

Ma forse uno dei risultati più interessanti in questo senso arriva da un’analisi longitudinale condotta dalla Medical Research Council Social and Public Health Sciences Unit di Glasgow, in Scozia. In questo studio, a partire dal 1994, sono stati intervistati ogni anno 12.686 giovani di età compresa tra i 14 e i 22 anni. I ricercatori hanno preso in considerazione diversi fattori, dal colore della pelle, all'istruzione, allo stato socio-economico. Hanno scoperto che il miglior predittore dell’intelligenza era il QI della madre. In effetti, il QI dei giovani variava in media solo di 15 punti da quello delle loro madri.

La genetica non è l’unico fattore

Oltre alla genetica, troviamo anche altri studi che rivelano che la madre svolge un ruolo importante nello sviluppo intellettuale dei bambini, attraverso il contatto fisico ed emotivo. In effetti, alcuni studi suggeriscono che un legame sicuro è intimamente legato all’intelligenza.

I ricercatori dell’Università del Minnesota, ad esempio, hanno scoperto che i bambini che hanno sviluppato un forte attaccamento con le loro madri sviluppano la capacità di giocare a giochi simbolici complessi all’età di due anni, sono più persistenti e mostrano meno frustrazione mentre risolvono i problemi.

Questo perché un legame forte dà ai bambini la sicurezza necessaria per esplorare il mondo e la fiducia necessaria per risolvere i problemi senza perdersi d’animo. Inoltre, queste madri tendono anche a dare ai propri figli un livello più elevato di supporto nella risoluzione dei problemi, contribuendo così a stimolare ulteriormente il loro potenziale.

L'importanza della relazione affettiva per lo sviluppo del cervello è stata dimostrata da ricercatori dell'Università di Washington, che hanno rivelato per la prima volta che un legame sicuro e l'amore della madre sono cruciali per la crescita di alcune parti del cervello . Per sette anni, questi ricercatori hanno analizzato il modo in cui le madri si relazionano con i propri figli. Hanno scoperto che quando le madri erano emotivamente di supporto e soddisfacevano adeguatamente i bisogni intellettuali ed emotivi dei loro figli, l’ippocampo dei ragazzi all’età di 13 anni era del 10% più grande di quello dei figli di madri emotivamente distanti. Vale la pena ricordare che l’ippocampo è un’area del cervello associata alla memoria, all’apprendimento e alla risposta allo stress.

Naturalmente, questo non vuol dire che il rapporto con il padre non dovrebbe essere così pienamente sviluppato, solo che a causa della nostra struttura sociale, compresi alcuni stereotipi di genere che ancora rimangono, di solito è la madre che trascorre la maggior parte del tempo con bambini piccoli.
Si può davvero parlare di intelligenza ereditaria?

Si stima che tra il 40 e il 60% dell'intelligenza sia ereditaria. Ciò significa che la percentuale rimanente dipende dall'ambiente, dagli stimoli e dalle caratteristiche personali. In effetti, ciò che chiamiamo intelligenza non è altro che la capacità di risolvere problemi. Ma il fatto curioso è che per risolvere problemi, anche semplici matematici o fisici, entra in gioco anche il sistema limbico, perché il nostro cervello funziona nel suo insieme. Quindi, anche se l'intelligenza è strettamente legata alla funzione del pensiero razionale, è influenzata anche dall'intuito e dalle emozioni, che geneticamente parlando, sono influenzate dal contributo del padre.

Inoltre, non dobbiamo dimenticare che anche se un bambino ha un QI elevato, dobbiamo stimolare quell’intelligenza e nutrirla per tutta la vita con nuove sfide. Altrimenti quell’intelligenza ristagnerà.

Nonostante ciò che può essere influenzato dalla genetica, i padri non dovrebbero scoraggiarsi perché anche loro possono contribuire molto allo sviluppo dei loro figli, soprattutto essendo emotivamente presenti. Il QI con cui nasciamo è importante, ma non decisivo.

 

Fonti:

Luby, JL et. Al. (2012) Il supporto materno nella prima infanzia prevede volumi ippocampali maggiori in età scolare. Giornale degli atti dell'Accademia nazionale delle scienze; 109(8): 2854–2859 .

Der, G. et. Al. (2006) Effetto dell’allattamento al seno sull’intelligenza nei bambini: studio prospettico, analisi delle coppie di fratelli e meta-analisi. BMJ; 333(7575): 945 .

Keverne, EB; Surani, MA et. Al. (2004) Coadattamento nella madre e nel bambino regolato da un gene impresso espresso paternamente. Proc Biol Sci.; 271(1545): 1303–1309 .

Zechner, U. et. Al. (2001) Un'alta densità di geni legati all'X per capacità cognitive generali: un processo in fuga che modella l'evoluzione umana? Tendenze Genet; 17(12): 697-701 .

Gécz, J. & Mulley, J. (2000) Genes for Cognitive Function: Developments on the X. Genome Res; 10: 157-163 .

Vines, G. (1997) Mamma, grazie per la intelligenza. Il mondo; 253 . 

Keverne, EB; Surani, MA et. Al. (1996) Imprinting genomico e ruoli differenziali dei genomi dei genitori nello sviluppo del cervello. Brain Res Dev Brain Res; 92(1): 91-100 .

Keverne, EB et. Al. (1996) Evoluzione del cervello dei primati, considerazioni genetiche e funzionali. Proc. R.Soc. Londra. (Biol); 264: 1-8 .

Allen, ND et. Al. (1995) Distribuzione delle cellule partenogenetiche nel cervello del topo e loro influenza sullo sviluppo e sul comportamento del cervello. Proc Natl Acad Sci US A. ; 92(23): 10782–10786 .

Surani, MA; SC Barton e ML Norris. (1984) Lo sviluppo di uova di topo ricostituite suggerisce l'imprinting del genoma durante la gametogenesi. Natura; 308: 548–550 .

McGrath, J. & Solter, D. (1984) Il completamento dell'embriogenesi del topo richiede sia il genoma materno che quello paterno. Cellula; 37(1): 179-183 .

Barton, Carolina del Sud; Surani, MA & Norris, ML (1984) Ruolo dei genomi paterni e materni nello sviluppo del topo. Natura; 311:374-376 .

Matas, L.; Arend, RA & Sroufe, LA (1978) Continuità dell'adattamento nel secondo anno La relazione tra la qualità dell'attaccamento e la successiva competenza. Sviluppo del bambino; 49: 547-556 .

Lehrke R. (1972) Una teoria del collegamento X dei principali tratti intellettuali. Sono J Ment Defic; 76: 611-619 .

https://psychology-spot.com/did-you-know-that-intelligence-is/

Sapevate che l'intelligenza dei bambini dipende da quella della mamma? - Virginia Di Marco

 

Madri e Figli

La madre degli imbecilli è sempre incinta. Ma se i bambini nascono intelligenti il merito è materno: ora ci sono le prove. 

Non mi stupisce.

Del resto, io lo dico da sempre. E finalmente ora anche lo scienza lo conferma.

Diversi studi provano che, geneticamente, i bambini ereditano l’intelligenza da parte materna.

Un detto popolare assicura che la madre degli imbecilli è sempre incinta. Ma pure i figli intelligenti devono dire grazie alla loro mamma.   

Ce lo conferma, per esempio, anche questo articolo pubblicato sul blog scientifico Psychology Spot (con una lunga coda bibliografica che potete spulciare con calma).  

Ma se noi donne lo abbiamo sempre saputo, come fanno invece i ricercatori a provare che l’intelligenza si eredita da mammà?

L'intelligenza si eredita dalla madre

La risposta è nei “geni condizionati”.

In sostanza - e per non sbagliare qui cito direttamente, traducendolo, l’articolo che vi ho segnalato - si tratta di geni che hanno una sorta di etichetta biochimica che consente di tracciare le loro origini e che rivela anche se sono attivi o no all’interno delle cellule dei discendenti.

La cosa interessante è che alcuni di questi geni sono attivi solo se ereditati per via materna. Se lo stesso gene è ereditato dal padre, viene disattivato. Allo stesso modo, altri geni lavorano in senso opposto e vengono attivati solo se ereditati dal papà.

Ora: l’intelligenza è ereditaria e comunemente si credeva che fosse trasmessa da entrambi i genitori. Ma non è così: ci sono ormai parecchie ricerche che dimostrano che l’intelligenza è situata nel cromosoma X.

E il portatore del cromosoma X è - rullo di tamburi! - la mamma!

Alla faccia, viene da dire, del patriarcato e dei più odiosi (e purtroppo recidivi) stereotipi di genere.

L'intelligenza risiede nel cromosoma X

Da decenni ormai la ricerca si muove in questa direzione.

Robert Lehrke è il ricercatore che per primo ha teorizzato che l’intelligenza fosse un dono materno. 

Più recentemente, un altro studio (realizzato dall'Università di Ulm) ha studiato i geni coinvolti nei danni cerebrali e ha scoperto che la maggior parte di essi, in particolare quelli connessi con abilità cognitive, si trovano nel cromosoma X.  

Un altro studio tedesco ha dimostrato che il miglior indizio per predire il quoziente intellettivo di un bambino è il QI della madre.

Certo, l’ereditarietà non è l’unica componente per determinare l’intelligenza di un individuo.

Nello specifico, il bagaglio genetico pesa per circa il 50-60% (gli studi al momento non sono concordi sulla percentuale esatta). Il resto è determinato da cause di natura ambientale.

Dunque il QI che ci regala la mamma alla nascita è solo il punto di partenza.

Importante, molto importante. Ma non decisivo.

Ancora una volta, l’educazione è centrale.

Parafrasando il maestro dell’aforisma moldavo Efim Tarlapan, possiamo concludere che fare figli potenzialmente intelligenti è procreazione; ma educarli e crescerli realmente intelligenti è la vera creazione.  


https://tg24.sky.it/salute-e-benessere/2018/11/27/sapevate-che-l-intelligenza-dei-bambini-dipende-da-quella-della-#:~:text=Ora%3A%20l'intelligenza%20%C3%A8%20ereditaria,%2D%20la%20mamma!

mercoledì 11 ottobre 2023

“È il pensiero che genera la materia” - LIDIA MARIA GIANNINI


“Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia” asserisce il filosofo Giordano Bruno in pieno ‘500.  

Siamo in un momento alquanto critico per la storia umana, si assiste d’un tratto all’inesorabile crollo di quelle certezze universali sulle quali si erano fondati e consolidati nel corso del medioevo la conoscenza ed il sapere: l’Europa non è più il centro del mondo, il mondo non è più al centro dell’universo, tutto è nuovamente messo in discussione. La scoperta dell’America prima ha posto definitivamente fine all’Eurocentrismo, molteplici sono i popoli e molteplici le culture, e il “De revolutionibus” di Copernico irrompe infine sulla scena a incrementare confusione e disorientamento. “Maledetto sia Copernico!”, dirà Mattia Pascal, celebre protagonista del romanzo pirandelliano Il fu Mattia Pascal, “siamo o non siamo su un’invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino impazzito che gira e gira, senza saper perché, senza pervenir mai a destino (…)? (…) Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo”.  

È il 1900 e un autore quale Pirandello ha ancora ben presente una questione sorta secoli e secoli prima, c’è solo da immaginarsi quale fosse stata la portata della scoperta, o meglio dell’intuizione copernicana, nel 1400. È infatti un’intuizione quella di Copernico, il quale, analizzando i calcoli dei matematici e dei naturales, degli aristotelici, ravvede in essi un sì gran numero di discrepanze da tentare di operare una “sostituzione” ideale della terra con il sole, osservando, sgomento, come quelli stessi calcoli andassero in tal modo a convergere, come per magia. Egli stesso comprende la portata rivoluzionaria delle proprie teorie, bisognoso di trovare conforto interroga gli antichi pensatori, va alla ricerca di possibili riflessioni simili maturate, appellandosi con parziale sollievo ai pitagorici, i quali avevano individuato la presenza di un fuoco luminoso centrale intorno a cui dovevano muoversi vari corpi e dal quale sarebbero andati a dipendere vari fenomeni, e ad Eraclito, sostenitore della creazione dell’universo a partire da un grande fuoco primordiale.  

Fatto sta che – altro che maledetto Copernico – è proprio grazie a lui che gli uomini hanno potuto finalmente aprire gli occhi, abbandonare il dogmatismo, proiettarsi verso una nuova era. L’era della rivoluzione scientifica sarà quella che seguirà, era di filosofi e scienziati, che si porranno l’obiettivo di analizzare mondo e universo in maniera obiettiva e veritiera, che si metteranno alla prova nel tentativo di disvelare le leggi di natura così estremamente affascinanti e allo stesso tempo misteriose. Come giungere a conoscere le leggi intrinseche dei fenomeni? Come coglierne l’essenza? Quale metodo dovrà adottare la nuova scienza? 

Certo è che, passato lo sgomento iniziale, la terra non può essere di certo ritenuta un “granellino impazzito” privo di leggi, che ruolo avrebbe in tal modo la scienza? Gli interrogativi umani risulterebbero del tutto vani. Bernardino Telesio con il suo De rerum natura iuxta proria principia analizzerà l’aspetto finalistico della natura, le cui norme risulterebbero, a suo parere, da ricercare nella natura stessa. Nessun dio né demone a influenzare l’universo, la ragione perde con Telesio ruolo conoscitivo, al pari dell’anima, a favore della percezione sensoriale, unica capace di entrare in diretto contatto con il reale.  

Ma nulla si genera dal nulla, il mondo, gli uomini, la natura, è tutto così perfetto, così magico e razionalmente impeccabile. Ecco il motivo per cui il contemporaneo Bruno individuerà un “pensiero” generatore della materia, un’intelligenza superiore causa e principio dell’intero universo. La materia è materia animata, l’universo un grande organismo vivente al pari dei pianeti: Dio è in tutto, posizione panteistica, e tutto è espressione di Dio, secondo la visione panenteistica. Vero e proprio ilozoismo quello di Bruno nel considerare la natura dotata di un principio vitale intrinseco, coglibile tramite l'”eroico furore”, passione umana volta alla conoscenza, al superamento dei propri limiti, alla contemplazione del divino nel reale. Pur se i protagonisti della rivoluzione scientifica abbandoneranno del tutto eroici furori e vitalità, Bruno è considerato tra essi per la convinzione rivoluzionaria dell’esistenza di una pluralità di mondi e di un universo infinito, privo di centro o periferia. In realtà egli non sarà metodologico, non sarà neppure scienziato, ma sarà proprio la magia di Bruno la sua reale grandezza… 

Nel tentativo di stabilire un efficace metodo d’indagine, non affrontato concretamente da Bruno, Bacone nel 1620 pubblicherà il suo Novum Organum. Intento del pensatore, poiché anch’esso non sarà mai realmente scienziato, è operare una demolizione della logica aristotelica, puramente speculativa e astratta, contrapponendosi all’Organon di Aristotele. Necessario è “distruggere” gli idola, i pregiudizi propri della mente umana, per poi passare alla “costruzione” del sapere, adottando un metodo induttivo scientifico che, dall’esperienza particolare, giunga gradatamente a ipotesi universali, verificabili tramite esperimenti e un’accorta osservazione del reale. “Scientia est potentia”, “la scienza è potenza”: Bacone è fiducioso, è convinto che la scienza fornirà all’uomo la capacità di cogliere le essenze dei fenomeni, le loro cause prime, permettendogli di soggiogare la Natura e influenzarne il corso, perciò tralascerà il sapere matematico, esercitando la continua esperienza. Ciò che il filosofo non giungerà a comprendere è quanto, pur nella sua grandezza e pluralità di doti, l’uomo non potrà mai e poi mai avere una certezza delle cause originarie, fonte dei vari fenomeni, potrà formularne solo ipotesi, astrazioni, ma come sperimentarle?  

Inseguire l’essenza è cosa vana per la scienza, ce lo ricorda Galileo Galilei: l’uomo può unicamente limitarsi a indagare il “come” avviene un dato fenomeno, a analizzarlo a fondo, a stabilirne leggi fisiche, ma la sua causa prima resterà necessariamente un mistero. Galileo sarà il vero fondatore del sapere scientifico moderno: tutto ciò che si può affermare con certezza, sulla base di prove di verità. “Bruno credeva, Galilei sapeva”, dirà Karl Jaspers, filosofo e psichiatra del ‘900. Per Bruno le tesi copernicane sono una sorta di verità di fede, teme di ritrattarle, poiché asserirne la validità è la sua unica certezza: morrà, da martire. Galileo abiurerà, terminando il suo discorso con la celebre sentenza “Eppur si muove”. “La verità che io posso dimostrare può sussistere anche senza di me, essa è universalmente valida, non è storica, non dipende dal tempo”, continua Jaspers. Ed è proprio dimostrando che Galileo compirà il lento “funerale” della fisica aristotelica.  

“La natura è un libro scritto in caratteri matematici”, sostiene Galileo. La matematica riacquisisce quel ruolo di primaria importanza sottrattole in precedenza da Bacone. Potenziati strumenti quali il cannocchiale, lo scienziato giungerà a compiere osservazioni inaudite, abbattendo definitivamente le differenze qualitative tra mondo terrestre e mondo celeste e trovando giustificazione e spiegazione fisica alle intuizioni copernicane. La luna presenta avvallamenti e monti proprio come la terra, vi è una sostanziale unità tra mondo sub e sovra lunare; implausibile sarebbe pensare a un universo che si muova, in tempo diurno, con la sua immensa mole, intorno alla Terra; ben più plausibile sarebbe pensare a una terra che ruoti su se stessa, un moto rotatorio, combinato con quello traslatorio, considerando che “qualunque moto venga attribuito alla terra, è necessario che a noi, come abitatori di quella e in conseguenza partecipi del medesimo, ei resti del tutto impercettibile e come s’e’ non fusse”. Nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo Galileo esporrà principi fondamentali della fisica, il principio di inerzia, il principio di composizione del moto, il famoso principio di relatività, principi che permetterebbero agli esseri viventi di non avvertire alcun moto terrestre.  

Siamo giunti qui alla maturazione del sapere scientifico: la natura è movimento, le leggi della natura altro non sono che leggi del moto. “Un corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme”: Newton consegnerà dignità di status anche al moto, scardinando la tendenza aristotelica a ritenere i corpi tendenti unicamente alla quiete. Sono condizioni, queste, sperimentali, verificabili unicamente in presenza di determinate condizioni specifiche, ma fondamentali per spiegare l’evolversi dei fenomeni contingenti. Newton opererà consapevolmente una perfetta sintesi tra considerazioni galileiane e osservazioni di Keplero: il mondo di Newton è un mondo in cui vige la legge di gravitazione universale, un modo fatto di numeri e atomi, particelle con molta probabilità indivisibili, che si muovono nel vuoto secondo meccanismi ben precisi. Una visione meccanicistico-materialistica del reale che sarà abbracciata all’unanimità dagli scienziati nei secoli successivi.  

Ma proprio quando un sapere sembra una certezza, proprio come accaduto per la fisica aristotelica, ecco il sopraggiungere di nuove scoperte: all’interno dell’atomo vi sono una serie di particelle subatomiche, protoni, neutroni, elettroni, composte non di materia, bensì di energia! Heisenberg, De Broglie, Schrodinger, indagando la natura ondulatoria degli elettroni, daranno vita, nel corso del XX secolo, alla meccanica quantistica, basata sullo studio di quanti, discreti quantitativi energetici presenti in ogni singola particella della materia. La materia, dunque non sarebbe più materia, bensì energia? E da dove proverrebbe tale energia? Non possiamo qui ricorrere a alcun tipo di leggi. “L’universo comincia a sembrare più simile a un grande pensiero che non a una grande macchina”, dirà James Jeans, fisico e astronomo del ‘900. Ecco il magico della natura, quel principio vitale intrinseco in tutto presente, quella forza inesauribile che Bruno, nel lontano ‘500, aveva già individuato e con umiltà contemplato, grazie al proprio “eroico furore”. 

Lidia Maria Giannini

Foto di WikiImages, a cui vanno i nostri ringraziamenti, attinta da Pixabay

http://www.educationduepuntozero.it/racconti-ed-esperienze/04-40217313733.shtml

“Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia” Giordano Bruno. - Stefano Scaccianoce

 

Guida pratica per la realizzazione del futuro.

Ben trovati, ci siamo lasciati con un semplice quesito matematico per calcolare approssimativamente il numero di pensieri che fino ad oggi abbiamo generato. Se avete fatto questa semplice moltiplicazione vi sarete resi conto dell’enorme quantità di pensieri finora prodotta.

Quindi noi pensiamo ogni giorno e se il pensiero è energia, possiamo renderci conto di quanta potenza potremmo gestire? Quanto bene potremmo fare alla nostra vita e a quella delle persone a noi collegate?

Producendo pensieri tristi, pessimisti, pensieri di sfiducia e di paura invece che cosa generiamo?

Il pensiero disciplinato, indirizzato al meglio con la nostra forza di volontà, produce gioia ed entusiasmo, genera nell’organismo una chimica che spinge ad azioni costruttive, coraggiose.

Conosciamo gli esercizi da mettere in pratica, uno su tutti la meditazione, discipliniamo quindi i nostri pensieri. Cogliamo le opportunità che ci si presentano per migliorare la nostra vita.

A volte, troppo spesso, entriamo in un circolo vizioso: i pensieri vanno in profondità a cercare conferme, pescano nel passato ricordi di situazioni che ci hanno visti tristi, abbattuti e iniziano a rafforzare questo tipo di energia. Questo come già detto è dovuto all’errato modo di percepire il tempo in 3ªD, come un loop.

I nostri pensieri producono vibrazioni energetiche che hanno una determinata frequenza. Sono una forza energetica capace di agire sul quotidiano, di innestarsi nella realtà. Tutta la realtà è una vibrazione.

Deve essere chiaro che il nostro pensiero condiziona il nostro sentire, l’umore, le azioni che siamo disposti a compiere.

Se voglio generare per me un buon futuro sarà determinante sganciare tutto il potenziale energetico di bassa frequenza che il loop temporale (i ricordi) genera in continuazione.

Per esempio, se ci focalizziamo sul pensiero costante che a noi le cose vanno sempre male, che siamo vittime di ingiustizie, emaniamo una certa frequenza energetica che si assesterà su frequenze simili. Questo farà sì che la realtà ci darà ragione e sarà facile che le cose continuino ad andare male.

Ma il passato esiste nel nostro vissuto e quindi nella nostra realtà, come facciamo a lasciar andare? Dobbiamo comprendere che ciò che ricordiamo è solamente la nostra interpretazione della realtà e sapere che le emozioni negative e le promiscue bloccanti hanno formato il pensiero negativo che cresce per anni, decenni fino a condizionare il nostro presente. Generiamo così sempre lo stesso futuro auto avverante ma se è una nostra interpretazione è possibile cambiarla, bonificarla, pulirla.

Concentrazione, disciplina, volontà, pazienza, fiducia, umiltà, amore verso il prossimo, assenza di giudizio, responsabilità sono alcuni dei più importanti strumenti per la gestione dei pensieri.

Quando il pensiero si disciplina, si potenzia la capacità di gestirlo, ci si concentra sulla nostra capacità di cambiare, cominciamo a essere consapevoli della possibilità di essere sereni. Se poi lo sosteniamo con la visualizzazione, le emozioni positive e le promiscue attivanti (seguirà a brevissimo un articolo che farà chiarezza sulle emozioni), la vibrazione prodotta sarà di alto livello e richiamerà vibrazioni della stessa tipologia.

Il pensiero determina il nostro agire questo è: dalle azioni nasce il destino e non il contrario.

Sul pensiero dobbiamo essere sempre attenti, mai abbassare la guardia.

Non permettiamo alla mente di tracciare il cammino, diventiamo noi i registi della nostra vita. Si tratta, come già detto, di creare buone abitudini.

Prendiamoci il nostro tempo, certo ma agiamo, non chiudiamo con la paura il cuore: da lì nasce il desiderio, i sogni sul futuro, la speranza. 

Dal prossimo articolo parleremo dei possibili futuri “planetari”.

Nel frattempo vi chiedo di applicarvi senza avere in mente nessun obiettivo, nessun traguardo. Spostate i vostri pensieri da negativi a positivi ogni qual volta ve ne rendete conto.

Solamente così si potrà diventare artefici del nostro futuro. Generare il nostro futuro agendo sul presente, semplicemente diventando consapevoli dei nostri pensieri.


https://uniupe.it/blog/pensiero-genera-materia

martedì 10 ottobre 2023

La Materia è Pensiero: Giordano Bruno anticipò la Scienza.

 

“Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia”, scrive l’astrofisica Giuliana Conforto. “La Forza è la Vita Cosmica”. Giordano Bruno? “Non esprime filosofia, ma una scienza del futuro e una saggezza antica. Testimonia l’eterno presente e, con l’Arte della Memoria, indica il modo per viverlo”.


Di fatto, il grande pensatore rinascimentale bruciato vivo a Roma il 17 febbraio 1600, “anticipa la scoperta della Forza, la Vita Cosmica, e rivela il grande segreto della materia nucleare che la scienza non ha ancora compreso: la comunione diretta e quindi l’etica naturale di ogni essere umano con la Forza”. Fu questo, aggiunge la Conforto, il motivo vero della sua condanna, “perché rende vano il ruolo delle chiese come presunte rappresentanti di Dio”. Infatti, “la comunione diretta rivela la centralità dell’uomo e spiega il faticoso preludio al grande evento: la nascita dell’uomo nuovo che, per il fatto di ‘aver mutato intento’, diverrà cosciente, responsabile di sé e capace di creare un nuovo mondo”.

Da sempre, sulla Terra, sottolinea una studiosa come Manuela Racci, esistono esseri che indicano la via per edificare un ‘nuovo mondo’, per aprire il cammino all’umanità verso una nuova aurora: sono esseri di luce, accomunati dalla stessa forza ed energia, marchiati dalla stessa solitudine”. Forse “venuti troppo presto, nati postumi con la mente dinamite”, come direbbe Nietzsche.

Giordano Bruno potrebbe davvero considerarsi un nobile antesignano di questa specie chiamata “indaco”, giunta a edificare un nuovo mondoun mondo di luce per esseri di luce che vedono e sentono con gli stessi occhi e la stessa mente sia gli universi visibili che quelli invisibili”, scrive Manuela Racci, in una riflessione ripresa dal blog Visione Alchemica“Un grande pensatore, arso vivo per il vizio di pensare; un filosofo di una modernità quasi inquietante, ma soprattutto un uomo fuori del comune, uno spirito folletto, fantasioso, originale”. Quello che trasmetteva “non era solo un’immagine della vita, ma un’emozione del mondo”.

Giordano Bruno “era un grande: in lui albergava la conoscenza dei mondi paralleli, della metempsicosi, delle energie sottili”. Straordinario, per quei tempi. La sua profondità “non è quella che connota il pensiero tecnico-scientifico da secoli imperante in Occidente”. Va ricercata nell’inconscio della scienza stessa, “che è a un tempo ciò da cui la scienza scaturisce e ciò che la scienza rimuove”. Innegabili sono i miglioramenti che la scienza ha apportato alla vita dell’uomo occidentale. “Ma sotto l’aspetto della felicità, della ricerca di una pace interiore, di una quiete dell’anima in piena armonia con la natura e più ampiamente con il Tutto, risulta più difficile parlare di progresso”.

Per la professoressa Racci, sembra quasi che la scienza abbia sradicato l’uomo dal suo habitat naturale, la fusione con la natura, “facendolo sentire meno alienato di fronte a un computer che al cospetto di un tramonto”. Allo stesso modo, la religione, “per quanto antiscientifica possa sembrare”, ha sovente “cercato il connubio con la ragione, con l’evidenza e la chiarezza del “lumen” naturale, perdendo in realtà la sua vera ‘quidditas’, la sua dimensione sacrale”. Per questo Giordano Bruno fu messo al rogo: La sua ‘nova filosofia’ non era né scientifica, né strettamente religiosa, in quanto si fondava sulla ‘magia naturale’, sulla ‘prisca Aegiptorum sapientia’ “, l’antica sapienza egizia.

Bruno è infatti il vero sensitivo immerso nella ‘fusis’, convinto che si possano abbattere le barriere tra l’umano e il divino“. E attenzione: “Niente è più positivo dello sfondamento dei limiti, dello spostare le pietre di confine per arrivare alla comprensione che l’uomo, la Natura e Dio sono la stessa cosa. Nell’universo tutto è Vita, tutto è animato da uno stesso spirito vivificatore“. Letteralmente: “Tutte le cose sono nell’universo e l’universo è in tutte le cose”, in perfetta armonia.

È un’innegabile forma di animismo: per Bruno, tra le piante, gli animali, gli uomini non c’è differenza se non di grado. La differenza è nel “Dorso della Forma”, sono fenomeni di un’unica sostanza universale. Pensare che il mondo sia là solo per l’uomo è un grave errore: “Il filosofo esce così dalla cultura occidentale cristiana e modula il suo sentire sul registro affine a quello buddista”. Con l’ammirazione dovuta a chi sacrifica la vita per le proprie idee, “Bruno andrebbe inserito in una sfera iniziatica, riferendosi non tanto alla sua laicità, bensì alla sua sacralità, al suo vedere la presenza divina in ogni cosa, alla sua ansia di ricerca che trascende il raziocinio nel suo identificarsi nella natura, che è per lui un vero e proprio ‘indiamento’ cioè un’unione estatica tra l’umano e il divino. Si tratta di varcare il limite dell’homo sapiens per avviarsi ‘verso altra natura, altri corsi, altri mondi’ “.

La materia dunque non è inerte, ma viva, animata (pampsichismo) e costituisce uno dei centri archimedei del pensiero di Bruno: infatti, continua Manuela Racci, il filosofo perviene ad una concezione della materia universale come fonte dell’infinito prodursi di tutta la realtà: come la gestante che riscuote da sé la sua prole, la materia contiene in sé tutte le forme, è “cosa divina e ottima parente, genitrice e madre di cose naturali, anzi la natura tutta in sustanza”; è “fonte de l’attualità” di ogni cosa.

Per Bruno la materia è Vita, materia infinita, e tra l’anima dell’uomo e quella delle bestie non c’è alcuna differenza sostanziale. “Potremmo dire che la ‘magia naturale’ di Bruno si colloca in quella sotterranea corrente che prende il nome di ‘pensiero per immagini’ che, pur perdente in Occidente, costituisce la fonte segreta del sapere, fonte a cui si accede non per via logico-architettonica ma per pratica amorosa”. La concezione che Bruno ha della forza dell’Amore ribadisce la pregnanza e l’attualità di tale concetto in campo metafisico e metempirico: la forza “che move il sole e l’altre stelle”, di cui parla Dante, è “l’unica che muove infiniti mondi e li rende vivi”. E quella “magia naturale” che solo il vero saggio da sempre sente.

“L’amore, dice il filosofo, sa ‘comprendere’ ciò che la ragione non sa ‘spiegare’, là dove la scienza può spiegare tutto, senza nulla comprendere”. L’astrofisica Giuliana Conforto, in uno studio irrinunciabile sulla futura scienza di Giordano Bruno, evidenzia come il pianeta si sta trasformando e come il filosofo nolano sia uno dei grandi saggi che l’aveva previsto. “Quella di Bruno è scienza del futuro, coscienza delle infinite potenzialità dell’essere umano e soprattutto della sua immortalità. Egli annuncia la nascita dell’uomo nuovo, libero da tabù e paure, capace di ricevere e di riflettere nelle sue opere l’intero messaggio vitale, oggi noto come Dna, quindi di creare un nuovo mondo di pace e vera giustizia”.

In altre parole, “Bruno rivela il grande segreto, la magia della natura: la comunione naturale di ogni corpo con il messaggio genetico, che fu poi il motivo vero della sua condanna, perché vanifica il ruolo della Chiesa come intermediaria tra l’uomo e Dio: Bruno rivela il ruolo centrale di protagonista dell’uomo nel progetto cosmico, prevede i tempi attuali e l’evento che ristabilirà l’antico volto: il risveglio dell’uomo alla coscienza dell’infinita e vera realtà, l’Amore“.

Quella forza cosmica prende il nome, in Bruno, di “eroico furore”: L’uomo nuovo è il furioso, l’ebbro di Dio e arso d’amore che, con uno sforzo eroico (da eros) e appassionato, giunge a una sorta di sovrumana immedesimazione con il processo cosmico per cui l’Universo si dispiega nelle cose e le cose si risolvono nell’Universo, generando una sorta di copula d’amore tra lui e la Natura. Solo il fuoco dell’esperienza dell’Amore è in grado di aprire la strada alla visione di Dio, del Tutto, dell’unità. Scorrendo in particolare i suoi sette scritti magici, tra cui esemplare risulta essere la “Lampas triginta statuarum”, testo di eccezionale bellezza poetica e immaginativa, il lettore non può non cogliere questo moderno senso del divino nell’uomo come appartenenza al Tutto, scintilla perfetta di un Tutto unico e animato. Per Manuela Racci, è una affascinante concezione della metempsicosi di ascendenza orfico-pitagorica: la morte non è altro che una dissoluzione di legami, ma nessun spirito o nessun corpo celeste perisce; è solo un continuo mutare di complessione e combinazioni. Affiora un “senso etico di giustizia cosmica”, che spinge le anime “a comunicarsi a corpi sempre diversi, in una sorprendente affinità con il Karma delle religioni orientali, nella commossa intuizione che l’anima possa istituire innumerevoli legami tra piani dell’universo”.

Prima ancora dello stesso movimento romantico, Giordano Bruno ha quindi riportato l’attenzione sull’intima connessione del Tutto rispetto all’analitica scansione delle parti, in cui il pensiero logico-razionale per natura trattiene se stesso, smarrendo i vincoli che legano tra loro tutte le cose. Dunque, “non essendoci nell’universo parte più importante dell’altra, non è concesso all’uomo quel primato che lo prevede possessore e dominatore del mondo, ma semplice cooperatore dell’operante natura”.

All’enfatizzazione del soggetto, Bruno contrappone un percorso opposto: non il primato dell’uomo, ma “il primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra soggetto e oggetto, tra uomo e natura”. La sua “magia”? “Non è potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo dell’invisibile armonia”. Ed è la proposta filosofica di Bruno, “antitetica sia alla matematica sia alla religione”. Alla legge dell’uomo occidentale sul Tutto, la “magia” bruniana si volge alla legge del Tutto: siamo parte della natura, non i suoi dominatori. E la nostra possibilità di felicità risiede nella complementarità attraverso cui possiamo combaciare con altri esseri, al tempo stesso naturali e divini.

Tra le idee straordinarie che Bruno ha consegnato alla modernità, aggiunge la Racci, è impossibile non citare le due opere in chiave ermetica che si presentano come veri trattati di arte della memoria, la mnemotecnica (“De umbris idearum” e “Cantus circaeus”). Ne sviluppa un’analisi sottile Gabriele La Porta, nel suo libro “Giordano Bruno. Vita e avventure di un pericoloso maestro del pensiero”: le immagini descritte dal filosofo non avrebbero solo il compito di potenziare e raffinare la memoria visiva, ma rivestirebbero anche un significato propriamente “magico”. “Infatti la loro contemplazione e la loro rammemorazione porterebbero in contatto con energie cosmiche primordiali, con la vera ‘quidditas’ delle cose, con le realtà supreme e archetipiche, infondendo nell’animo pace, quiete, serenità“. Secondo La Porta, Bruno si propone di suscitare una sorta di rivoluzione spirituale: “Seguendo le vie di un sapere esoterico, che ha tutti i caratteri di un’illuminazione, l’uomo si libera dai pregiudizi, dalle passioni negative, dagli egoismi, per diventare saggio, cioè in grado di percorrere la via della Forza, quella Forza che è trasparenza, libertà, verità”.

Una vera e propria scienza futura, che i saggi come Bruno già conoscevano: “Una coscienza che comprende interamente il messaggio della Vita e soprattutto il ruolo cosmico, immortale dell’essere umano”Come non ricordare poi la sua vulcanica intuizione cosmologica? Giordano Bruno, aggiunge la Racci, fu il primo a dedurre che la vita intelligente è distribuita un po’ dappertutto nell’universo, “ponendo così le basi alla giustificazione dei trasferimenti di essa da pianeti in estinzione ma ad alto livello di tecnologia a pianeti non abitati ma tali da consentire la vita”. A ragione, Bruno viene visto come il primo ufologo“Oggi le sue osservazioni sono considerate il punto di partenza per la ricerca di altre forme di vita nell’universo”. Superando la rivoluzione copernicana, Bruno immaginava un universo infinito, popolato da un’infinità di stelle che, abbattute le muraglie del cielo fisso e finito, corrono per ogni dove. “Stelle come il nostro sole, ciascuna circondata da pianeti, su taluni dei quali prosperano altre intelligenze, creature viventi senzienti e razionali”.

“Apri la porta attraverso la quale possiamo osservare il firmamento senza limiti”, era il suo motto. “Così si magnifica l’eccellenza di Dio, si manifesta la grandezza de l’imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerevoli, non in una terra, un mondo, ma in duecentomila, dico in infiniti”. Un universo dunque senza limiti, dai caratteri divini: infinito lo spazio, infiniti i mondi, infinite le creature, infinita la vita e le sue forme. Per Manuela Racci si potrebbe chiudere questa riflessione, meramente propedeutica alla necessità di far risorgere le intuizioni bruniane, con un’asserzione efficace del geniale filosofo che più volte sostiene di essere la reincarnazione di Ermes, il messaggero degli dei, sceso per aprire gli occhi agli uomini. “L’umanità ha bisogno di persone che testimonino la possibilità della fratellanza, in nome della conoscenza e della ricerca”. Obiettivo: “Gettare i semi per piante che faranno frutti nel futuro”. Non è possibile dire quando, “ma è importante lasciare un segno, dire parole, formulare pensieri, viver in una dimensione di segno opposto a quella dell’attuale imbecillità. E soprattutto, non scoraggiarsi”.

Fonte: http://www.libreidee.org/2017/07/la-materia-e-pensiero-giordano-bruno-anticipo-la-scienza/

https://www.fisicaquantistica.it/scienza-di-confine/la-materia-e-pensiero-giordano-bruno-anticipo-la-scienza

Fragilità cosmica. - Filippo Bonaventura

 

Basta veramente niente. La parete di un vaso sanguigno che cede, un grumo di cellule che si riproduce in modo incontrollato. Una caduta da un’altezza sufficiente, un virus microscopico. Siamo fragili.

Se sopravviviamo è solo perché ci troviamo su questo minuscolo strato che chiamiamo “biosfera”, per il quale la selezione naturale e altri processi ci hanno altamente adattati. In qualunque altro punto del cosmo moriremmo quasi istantaneamente. Ci piace pensare che l’universo sia disegnato apposta per noi, ma l’universo è fatto di 400 milioni di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di km3 pronti a ucciderci all’istante, eccezion fatta per la superficie di un minuscolo sassolino sospeso nel vuoto, che un giorno verrà inghiottito dalla sua stessa stella madre.

Siamo come una matita in equilibrio sulla sua punta: un istante e tac, ci ritroviamo orizzontali e lì rimaniamo. Quando un astronomo dice «Betelgeuse esploderà tra poco» intende «entro il prossimo milione di anni». È vero che gli astronomi parlano in un modo tutto loro, ma è vero anche che i nostri tempi-scala sono ridicoli rispetto a quelli cosmici. Duriamo talmente poco che ci sembra di vivere in un universo immobile nonostante tutto sfrecci a milioni di km/h come tante schegge impazzite. Siamo come esserini che vivono per un nanosecondo in una cascata e non si accorgono nemmeno che l’acqua si sta muovendo.

Siamo apparentemente anche l’unica specie su questo pianeta a rendersi conto di tutto questo. Nessun altro con cui parlarne se non tra noi. Abbiamo anche provato a inviare messaggi nello spazio, senza mai ricevere risposta. Doppia spunta blu cosmica. Anzi, peggio: non sappiamo nemmeno se qualcuno ci sia, là fuori, in grado di ascoltarci.

Eppure ci piace disegnare linee immaginarie sulle mappe. Abbiamo il 99,9% del nostro genoma in comune con quello di qualunque altro essere umano. Se fossimo libri, la differenza tra me e te sarebbe di appena una lettera per pagina. Questa è la differenza tra chi odia e chi è odiato, tra chi ama e chi è amato. La verità è che siamo tutti vivi per miracolo, fragili come fibre di vetro e soli come cani sotto la pioggia. Ci piace disegnarle, quelle linee, ma sappiamo anche che sono immaginarie. Siamo tutti prodotti dell’eterno riciclo degli atomi nell’universo.

A partire dai quark la forza attrattiva nucleare ha generato i nuclei atomici. A partire dai nuclei atomici la forza attrattiva elettromagnetica ha generato gli atomi. A partire dagli atomi la forza attrattiva gravitazionale ha generato le stelle e i pianeti. Su questo pianeta ci siamo noi, e a partire da noi un’altra forza attrattiva, che però non sta nei libri di fisica, genera tutto ciò che di buono può venire dalla nostra specie.

https://www.chpdb.it/2022/03/17/fragilita-cosmica/