Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 30 novembre 2024
Beppe Grillo. - Editoriale di Marco Travaglio
In omaggio al caro amico Simone Alaimo.
In preparazione alla Solennità dell’Immacolata Concezione, un concerto a Lei dedicato. Siete tutti invitati.
Alerio Montalbano è con Simone Alaimo.
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Avvistati tre "mostri galattici" nell'Universo primordiale che potrebbero mettere tutto in discussione. - Nicoletta Fersini
Il James Webb Space Telescope (JWST) continua a indagare le galassie formatesi già nei primi miliardi di storia cosmica. Parliamo in particolare del progetto Fresco, che analizza sistematicamente un campione di Elg (emission line galaxies), quindi galassie con forti righe di emissione nei loro spettri. In base a queste, i ricercatori sono in grado di valutare la loro distanza e la quantità di stelle in esse contenute. Il risultato? Tre di queste – i “Mostri Rossi” – si sono distinte per il loro contenuto stellare, mettendo così in discussione i modelli di formazione delle galassie: la formazione stellare nell’Universo primordiale sarebbe molto più efficiente di quanto pensassimo.
Il nuovo studio.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati nell’articolo Accelerated formation of ultra-massive galaxies in the first billion years, sulla rivista Nature, lo scorso 13 novembre e si riferiscono al lavoro di un team internazionale di esperti guidato dall’Università di Ginevra.
“Recenti osservazioni del James Webb Space Telescope (JWST) hanno rivelato un’inaspettata abbondanza di galassie massicce candidate nell’Universo primordiale – si legge nell’abstract -, che si estendono ulteriormente nello spostamento verso il rosso e a una luminosità inferiore rispetto a quanto precedentemente trovato dalle indagini submillimetriche”. L’abstract prosegue spiegando che gli studi su questi “candidati” finora si erano basati principalmente su “dati ultravioletti del frame di riposo”, mancando quindi i “dati spettroscopici” per confermare lo spostamento verso il rosso.
I tre “Mostri Rossi” nell’Universo primordiale.
Lo studio si riferisce in particolare a 36 galassie massicce, nell’ambito del progetto Fresco del JWST. Ci si aspettava che nel primo miliardo di anni dopo il Big Bang vi fossero solo galassie giovani e piccole, eppure alcune di quelle appena scoperte sembrano diverse, più grandi e “mature”. Tre di queste, in particolare, sono state ribattezzate “Mostri Rossi” per via dell’elevato contenuto di polvere e del conseguente colore rossastro che assumono nelle immagini del James Webb e hanno una massa simile alla nostra Via Lattea.
I ricercatori hanno notato una efficienza quasi doppia rispetto di successiva formazione per quanto concerne il contenuto stellare. Qualcosa di inaspettato, dunque, che non ribalta del tutto le teorie cosmologiche standard (in particolare il modello Lambda Cold Dark Matter) ma comunque pone nuovi interrogativi sull’Universo primordiale.
“Trovare tre bestie così massicce nel campione rappresenta un bel rompicapo. Molti processi nell’evoluzione delle galassie tendono a introdurre una fase che limita l’efficienza con cui il gas può convertirsi in stelle, ma in qualche modo questi mostri rossi sembrano aver eluso rapidamente la maggior parte di questi ostacoli”, ha affermato Stijn Wuyts dell’Università di Bath. Come spiega Maura Sandri su Media Inaf, “finora si riteneva che tutte le galassie si fossero formate gradualmente all’interno di grandi aloni di materia oscura, in grado di catturare gas (atomi e molecole) in strutture legate dalla gravità” e che “al massimo il 20% di questo gas viene trasformato in stelle“. I tre “mostri rossi”, invece, ci dicono che le galassie massicce nell’Universo primordiale “potrebbero essere cresciute in modo molto più rapido ed efficiente”.
“Quando studieremo queste galassie in modo più approfondito, esse offriranno nuovi spunti di riflessione sulle condizioni che hanno plasmato le prime epoche dell’Universo. I ‘Mostri Rossi ‘sono solo l’inizio di una nuova era nella nostra esplorazione dell’Universo primordiale, ha affermato l’autore principale dello studio Mengyuan Xiao.
https://tecnologia.libero.it/avvistati-tre-mostri-rossi-universo-primordiale-95645
mercoledì 27 novembre 2024
Omochiralità.
Con il termine omochiralità ci si riferisce, in chimica, a un gruppo di molecole non necessariamente uguali, ma con la stessa configurazione assoluta (R o S). In biologia alcune molecole costituenti gli esseri viventi sono omochirali. Praticamente tutti gli amminoacidi hanno configurazione L e tutti i carboidrati biologicamente rilevanti hanno configurazioni D.
L'origine dell'omogeneità chirale in natura non è ancora chiara come non è ancora chiaro se la vita avrebbe potuto evolversi nello stesso modo qualora al posto degli stereoisomeri presenti ci fossero state le loro immagini speculari, ad esempio se tutti gli amminoacidi fossero stati D e non L. In ogni caso, le strutture tridimensionali di macromolecole complesse, come le proteine, non potrebbero formarsi partendo dal racemo e non dagli amminoacidi otticamente puri. È stato dimostrato sperimentalmente che gli amminoacidi riescono a formare meglio aggregati partendo da substrati enantiopuri piuttosto che partendo da racemi.
Si pensa che l'origine dell'omochiralità sia avvenuta in tre passaggi sequenziali: una rottura della simmetria, che crea un piccolo eccesso enantiomerico, una amplificazione, in cui si ha un arricchimento di molecole di una data configurazione, e una trasmissione, in cui l'eccesso enantiomerico interagendo con altre molecole genera stereoselettivamente altre molecole chirali.
martedì 26 novembre 2024
Solidarietà, collaborazione.
Penso che: se magistratura, politica e Corte Costituzionale, invece di contrastarsi, lavorassero assieme, tutto andrebbe al suo posto e tutto funzionerebbe molto meglio!
Solidarietà e collaborazione sono le uniche armi che l'uomo possiede per amministrare bene e produrre progresso economico e sociale.
cetta
L’autonomia differenziata dopo la sentenza della Corte costituzionale. - Enzo Di Salvatore
Cosa accadrà al referendum contro l’Autonomia differenziata? Come interverrà il Parlamento? In attesa della pubblicazione delle motivazioni alla base della sentenza della Corte Costituzionale del 14 novembre, una cosa si può dire con certezza: la Corte ha voluto confermare, una volta per tutte, che l’autonomia riveste un ruolo essenziale ma non al punto di minare l’unità della Repubblica, la solidarietà tra le Regioni, l’eguaglianza tra i cittadini e la garanzia dei diritti fondamentali delle persone.
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni della legge Calderoli, rendendo, di fatto, inapplicabile la legge nella sua interezza. E questo comporta che il Parlamento debba ora intervenire di nuovo, sostituendo le disposizioni dichiarate illegittime con altre disposizioni, che siano conformi a quanto stabilito dalla Corte. Non solo: essa ha anche precisato che molte altre disposizioni della legge devono essere interpretate in un certo modo e non in un altro, pena l’illegittimità anche di queste. Il punto, in estrema sintesi, è il seguente: la legge Calderoli vorrebbe fare dell’autonomia differenziata un’autonomia speciale, consentendo che ciascuna Regione possa far man bassa (interamente) di tutte le materie elencate all’art. 117 Cost. (tranne quelle espressamente escluse); e questo non sarebbe possibile.
D’altra parte, se la specialità è considerata al primo comma dell’art. 116 Cost. (e riguarda solo le cinque Regioni ivi elencate), mentre la differenziazione è disciplinata al terzo comma dello stesso art. 116 Cost., ciò vuol dire che specialità e differenziazione non sono la stessa cosa: per rendere speciali le altre quindici Regioni (Abruzzo, Marche, Lazio, ecc.) non sarebbe sufficiente una legge ordinaria, ma occorrerebbe una legge di revisione dell’art. 116 Cost. Ragion per cui, non ha senso che parte della classe politica continui a capovolgere la lettura della pronuncia e a ripetere che i giudici costituzionali abbiano inteso confermare la bontà della differenziazione in sé e che, pertanto, sia ora sufficiente apportare qualche ritocco qua e là alla legge. Esattamente il contrario: tra quanto stabilisce la Costituzione e quanto vorrebbe la legge Calderoli la distanza resta profonda. Vero è che il Parlamento per poter intervenire dovrà attendere necessariamente che la sentenza della Corte sia pubblicata e così pure i commentatori per dare della stessa un giudizio più approfondito. Il comunicato stampa ci fa sapere che quella legge è illegittima e ci dice anche perché, ma non ci dice quale sia stato il ragionamento seguito dalla Corte. Per esempio, non è chiaro come la Corte sia arrivata a stabilire che la legge Calderoli, nell’affidare al governo la determinazione dei LEP, sia priva di idonei criteri direttivi e che per questa parte essa limiterebbe «il ruolo costituzionale del Parlamento»: non è chiaro, cioè, in che modo questo rilievo si colleghi all’interesse delle Regioni ricorrenti e alla lamentata invasione della competenza regionale da parte dello Stato.
Quello che, tuttavia, l’opinione pubblica si chiede ora è cosa accadrà con il referendum: si terrà? non si terrà? Anche in questo caso occorrerà attendere e vedere cosa stabilirà l’Ufficio centrale per il referendum (presso la Corte di Cassazione). Sempreché i quesiti proposti siano ammissibili in sé, l’Ufficio centrale, infatti, dovrà stabilire se, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, il referendum sia, per così dire, ancora attuale e conforme all’obiettivo perseguito dai promotori: nel caso del quesito referendario di abrogazione parziale della legge, l’Ufficio dovrà verificare se le disposizioni oggetto del referendum siano state dichiarate illegittime; nel qual caso dichiarerà che le operazioni relative non avranno più corso (art. 39, legge n. 352 del 1970); nel caso dei quesiti referendari di abrogazione totale della legge, il discorso si fa, invece, più complicato. In via di principio (e, come si diceva, a condizione che l’abrogazione totale della legge sia ammissibile in sé), non vi sarebbero problemi a consentire che il referendum si celebri comunque, poiché se la sentenza della Corte si muove sul piano della legittimità della legge, l’abrogazione referendaria prescinderebbe da ciò: l’obiettivo dei promotori è quello di abrogare la legge nel significato politico che esprime e non già perché essa sia presumibilmente illegittima.
Ma il problema è proprio questo: dalla proposta di abrogazione totale non è possibile ricavare un significato politico univoco e, dopo la pronuncia della Corte, quel significato potrebbe anche essere mutato: tanto più alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte. Quello che al momento sappiamo – e che la Corte una volta per tutte ha voluto confermare – è che entro la forma di Stato italiana l’autonomia gioca certo un ruolo essenziale, ma non al punto da porre a repentaglio l’unità della Repubblica, la solidarietà tra le Regioni, l’eguaglianza tra i cittadini e la garanzia dei diritti fondamentali delle persone. Non è molto, si dirà, ma non è neppure pochissimo.
Professore ordinario di Diritto costituzionale Università degli studi di Teramo. Ha scritto su diritto dell’ambiente, federalismo, Unione europea.
È direttore del Centro di ricerca “Transizione ecologica, sostenibilità e sfide globali” presso l’Università degli Studi di Teramo e Presidente del corso di laurea in diritto dell’ambiente e dell’energia presso la stessa Università.
La politica, molto spesso, legifera senza consultare Costituzione e leggi varate in precedenza dai propri predecessori.
cetta
Se il Potere non gradisce i magistrati. - Domenico Gallo
Lunedì in Consiglio dei ministri arriva la norma che prevede azioni disciplinari per i magistrati che prendono posizioni pubbliche su un argomento di cui si occupano o di cui si occuperanno.
“Elon Musk ha ragione, toghe rosse andatevene”. È il testo di uno striscione esposto nella notte tra il 19 e il 20 novembre di fronte ai tribunali di Firenze, Prato, Lucca e Pistoia. Sono note le reazioni furiose seguite ai provvedimenti della magistratura che non hanno convalidato il ricorso alla procedura accelerata di frontiera adottata nei confronti di alcuni richiedenti asilo, provenienti da paesi strumentalmente dichiarati sicuri, facendo naufragare nel ridicolo il c.d. modello Albania, di cui questo Governo ha menato gran vanto. A ben vedere l’aggressione politica e mediatica nei confronti dei giudici esprime l’insofferenza di questo potere politico nei confronti del controllo di legalità e ne smaschera la pulsione autoritaria. Quanto sia profonda quest’insofferenza ce lo dimostra il fatto che adesso si scatena la piazza contro i Tribunali.
Se l’aggressione contro i giudici del Tribunale di Roma e Bologna è una reazione irritata per provvedimenti giurisdizionali sgraditi, che hanno dato torto al Ministero dell’interno, l’intimidazione nei confronti della magistratura non si ferma qui. Molto più grave è l’aggressione portata nei confronti del procuratore della Repubblica aggiunto di Reggio Calabria, Stefano Musolino, segretario di Magistratura Democratica. Due Consigliere laiche del CSM, Isabella Bertolini (FI) e Claudia Eccher (Lega) hanno presentato un esposto, chiedendo l’apertura di una pratica per il trasferimento d’ufficio, muovendo a Musolino l’accusa di aver partecipato a un dibattito «avente una spiccata connotazione antigovernativa» con affermazioni «di contenuto politico». L’esposto è stato inviato anche alla Procura Generale della Cassazione sollecitando l’avvio di un procedimento disciplinare a carico del magistrato, reo di aver criticato il ddl sicurezza in un dibattito pubblico. Il fatto che un tale esposto non abbia alcun fondamento giuridico e sia destinato ad essere cestinato, non rende, per questo, l’iniziativa meno insidiosa. Dal punto di vista politico si tratta di una arrogante pretesa di “obbedienza” al governo rivolta al corpo dei magistrati, impedendo loro ogni forma di dissenso.
In passato questa aspirazione a mettere in riga i magistrati aveva trovato compiuta realizzazione con la legge 24 dicembre 1925 n. 2300, che consentiva al Governo di dispensare dal servizio quei funzionari pubblici che: «per ragioni di manifestazioni compiute in ufficio o fuori di ufficio non diano piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si pongono in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del governo». A ben vedere sembra trattarsi delle stesse censure sollevate da Bertolini ed Eccher nei confronti di Musolino. Senonché quelle censure sono cadute insieme a quel regime politico che le aveva generate. Una delle prime conseguenze della caduta del regime fascista fu la revoca del bavaglio imposto ai magistrati. Con la circolare 6 giugno 1944, n.285, il liberale Arangio Ruiz, Ministro di grazia e giustizia, restituì ai magistrati il diritto di esprimersi liberamente e di partecipare alla vita politica: «ho deciso di rimuovere il divieto che impediva al personale della magistratura e degli uffici giudiziari la pubblica professione della fede politica di ciascuno. Persuaso che nella presente situazione dell’Italia e nella perdurante necessità di difendere la libertà riconquistata, dopo così dure prove, la partecipazione alla vita politica sia un dovere civico, penso che sarebbe per i funzionari dell’ordine giudiziario un privilegio odioso il contrastare loro l’adempimento di questo dovere, limitando “a priori” nei loro riguardi l’esercizio dei diritti politici al semplice atto del dare il proprio voto nelle elezioni».
La direttiva del Guardasigilli liberale Arangio Ruiz, fu confermata, l’anno successivo, dal Guardasigilli comunista Palmiro Togliatti che, con la circolare del 18 agosto 1945, ribadì la libertà dei magistrati di partecipare alla vita politica. Adesso quel ciclo, apertosi con il ritorno alla democrazia liberale, rischia di chiudersi sotto le raffiche di vento di coloro che vogliono riscrivere la Storia.
Ritornano di attualità le parole di Fabrizio De André: «Ascolta/ una volta un giudice come me/ giudicò chi gli aveva dettato la legge:/ prima cambiarono il giudice/ e subito dopo/la legge».
Magistrato, giudice della Corte di Cassazione. Eletto senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell’arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare del conflitto nella ex Jugoslavia.
https://www.libertaegiustizia.it/2024/11/23/se-il-potere-non-gradisce-i-magistrati/