Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 19 novembre 2013
La ricetta per salvare il cuore è il sugo.
Il trucco per un cuore sano e forte è nel sugo di pomodoro classico, con olio extravergine d'oliva e aromatizzato da cipolla o aglio. Una volta di più la scienza conferma i benefici per la salute delle preparazioni della dieta mediterranea. Lo studio è stato condotto dall'Università di Barcellona e pubblicato su Food Chemistry.
Grazie ai polifenoli - La salsa di pomodoro contiene circa quaranta sostanze antiossidanti (meglio note come polifenoli) che proteggono il cuore dallo stress ossidativo e quindi dall'invecchiamento.
Gli studiosi sottolineano: "Perché l'effetto "salva cuore" sia efficace, gli ingredienti che compongono il sugo vanno consumati insieme". Assunti separatamente, infatti, olio extravergine d'oliva, aglio, cipolla e pomodoro non darebbero gli stessi benefici, secondo i ricercatori spagnoli, che utilizzando una tecnica chiamata spettrometria di massa ad alta risoluzione hanno scoperto anche che il soffritto utilizzato come base per il sugo contiene oltre ai polifenoli anche altre sostanze antiossidanti, come i carotenoidi.
http://www.tgcom24.mediaset.it/salute/2013/notizia/la-ricetta-per-salvare-il-cuore-e-il-sugo_2010473.shtml
Mosca, Christian D'Alessandro libero su cauzione: potrà tornare in Italia.
MOSCA - Sarà rilasciato su cauzione l'attivista italiano di Greenpeace Christian D'Alessandro. Lo ha deciso oggi un tribunale di San Pietroburgo. L'annuncio è stato dato via Twitter da Greenpeace Russia.
Anche per D'Alessandro le condizioni per la liberazione sono uguali a quelle degli altri attivisti: il pagamento di una cauzione di due milioni di rubli (45mila euro) da versare entro il 27 novembre. La somma, in caso di urgenza, da quanto si è appreso, potrebbe essere anticipata dalla rappresentanza diplomatica italiana. Anche se poi a «saldare il conto» sarà Greenpeace International.
Gli attivisti stranieri di Greenpeace che saranno rilasciati su cauzione potranno lasciare la Russia in attesa del processo, ma saranno obbligati dalla legge a ritornare se convocati dagli investigatori. Lo ha dichiarato alla Reuters Alexander Mukhortov, legale di diversi attivisti. Tra loro anche l'italiano Christian D'Alessandro.
Nove attivisti della Artic Sunrise hanno ottenuto la libertà su cauzione da diversi tribunali di San Pietroburgo nella giornata di oggi. Fra loro, anche l'italiano Cristian D'Alessandro. Dopo i provvedimenti adottati ieri nei confronti di tre russi, sono così 12, su 30, gli attivisti di Greenpeace che potranno lasciare il carcere solo nei prossimi giorni, dopo il versamento, da parte dei loro legali, della cauzione (fino a ora non sono ancora state comunicato all'organizzazione ambientalista le modalità di pagamento). Il marconista della rompighiaccio, l'australiano Colin Russell, rimarrà in carcere fino al 24 febbraio prossimo, è stato invece stabilito ieri.
I provvedimenti cautelari adottati oggi riguardano, oltre a D'Alessandro, la brasiliana Ana Paula Maciel, gli argentini Miguel Orsi e Camila Speziale, il canadese Paul Ruzicky, il neozelandese David Haussmann, il polacco Tomasz Dziemianczuk. il francese Francesco Pisanu, e la finlandese Sini Saarela. «Si rifiutano di prendere i soldi», ha denunciato l'avvocato di Grrenpeace, Alexander Changli. «Quando ho chiesto loro le modalità di pagamento, mi hanno detto che considereranno la questione nei prossimi tre giorni», ha aggiunto precisando che l'organizzazione «è pronta a pagare e l'unico problema è il numero di conto su cui versare le cauzioni».
http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/ESTERI/greenpeace_alessandro_libero_cauzione/notizie/364982.shtml
Ciclone Sardegna, “malagestione territorio e allerta in ritardo hanno distrutto l’Isola”. - Monica Melis
“L’attenzione è sempre per i morti e non per i vivi che anche questa volta non saranno aiutati a gestire il territorio“. Per volontà, disattenzione o semplice speculazione. Così il geologo Fausto Pani traccia il quadro del disastro causato dal ciclone ‘Cleopatra’. Pani ha collaborato alla redazione del Pai, il Piano d’assetto idrogeologico, e studiato praticamente tutto il territorio isolano. Dove quasi la totalità dei paesi, l’81 per cento ( ben 306 Comuni) ha un territorio ad alto rischio idrogeologico, come ricordano ciclicamente sia l’Ordine dei geologi sardi, sia la Coldiretti.
“Passata l’emergenza – sostiene Pani – si continuerà a costruire dove non si dovrebbe. E soprattutto a dimenticare che l’acqua riesce sempre a ritrovare il suo vecchio percorso. Anche se coperto dal cemento, come è successo a Olbia. E come è già successo nel 2008 a Capoterra, nel Cagliaritano“.
“Ancora una volta – dice Pani – si ripetono gli stessi errori. A furia di espanderci e ridurre i corsi d’acqua ci si fa del male. E non tutto, purtroppo, è recuperabile. Bisognerebbe abbattere interi quartieri e lottizzazioni. Mentre in Olanda si allargano gli argini per dare respiro, qui si tappa tutto”. Si riferisce alle zone paludose dell’Oristanese, come a Terralba, dove gli abitanti fino a qualche mese fa addirittura protestavano in nome della “crisi dell’edilizia” contro il Piano stralcio delle acque che definiva ‘altamente pericolosa’ la zona di espansione. E i fatti lo dimostrano. In duecento ieri hanno dormito fuori casa. E l’alveo di un torrente si è improvvisamente allargato di due metri per parte, portando via tutto quello che ha trovato”.
Il caso da manuale resta comunque quello di Olbia, spiega il geologo: “Il vecchio nucleo, il centro storico, non ha subito i terribili danni delle periferie. Perché prima si costruiva con cognizione, rispettando anche i piccoli torrenti. Ora non più”. La parte nord, per esempio: “Le aree pianeggianti sono quelle di pregio, non si riflette più sul fatto che i sedimenti sono stati trasportati proprio da un corso d’acqua, ed ecco le conseguenze”. Le mappe geologiche e urbanistiche segnalano i punti a rischio e addirittura i livelli di esondazione. Ma poi, appunto, tutto resta nella carta. E forse nemmeno più sulla carta.
Perché, come segnala lo stesso Pani i tagli colpiscono anche gli studi e addirittura uno strumento ritenuto indispensabile come il Piano d’assetto idrogeologico. “La Regione ha di recente tagliato ben un milione e mezzo di euro tra il silenzio generale”.
L’Isola, da Nord a Sud , è devastata, non solo le città ma pure le campagne. La Gallura quella più colpita, ma ovunque ci sono frane, smottamenti e paesi isolati. E se per Olbia le ragioni si trovano nel disordine urbanistico e nell’espansione forzata, per il resto il discorso è diverso. “Il territorio è dimenticato – spiega Pani – dai privati e dall’amministrazione pubblica”. Manca la manutenzione ordinaria di contadini e pastori, anche per via del continuo spopolamento, e i piccoli comuni hanno difficoltà a gestire i piani di Protezione civile. “Alcuni non hanno nemmeno questo piano, non sanno dove le persone di devono riunire in caso di estrema emergenza, come questa. Da qui il panico”.
E poi, ancora una volta, i difetto di comunicazione secondo il geologo: “Dal 15 ottobre ho visto previsioni catastrofiche, da brivido. Ma l’allerta della Protezione è arrivata solo il 17. E perché non si inviano sms per celle? Chi si trova in zona a rischio sa quel che sta per succedere e cosa deve fare”. Tutto ciò sempre con il senno di poi, mentre si contano ancora i morti, gli sfollati e i danni. E in queste ore, a Olbia, l’esercito inizia a operare nelle strade diventate paludi di fango.
lunedì 18 novembre 2013
Uccello pesca con l'esca e ci riesce!
Da non crederci… avete mai visto andare a pesca qualcuno? Allora vi spiego due cosette riguardo alla tecnica della pasturazione.
Quando un pescatore va a pesca prima attira le sue prede “pasturando” cioè gettando nell’acqua della pastura, del cibo che possono essere pezzetti di pesce, mais, pane…. Quando i pesci si accorgono del cibo gratuito che viene loro elargito, iniziano ad arrivare a frotte e il pescatore può così sedersi in riva e attendere che qualcuno di loro abbocchi alla sua lenza….
Bene questo metodo non è proprio un bel metodo per pescare dal punto di vista etico, anzi sarebbe meglio non pescare affatto… ma quando a farlo è un uccello… bhè potreste anche non crederci fino a quando non lo avrete visto, ma questo uccello pastura!!!
E come lo fa bene!! Getta la sua esca… attende un attimo, arrivano i pesciolini, la riprende, la rigetta e… a voi scoprire come finisce!!!
Cosa sta succedendo davvero agli ulivi pugliesi. - Lisa Signorile
Piante di ulivo vicino Monopoli. Fotografia di Paul Williams - Funkystock/imagebroker/Corbis
Nelle ultime settimane si è molto parlato della moria delle piante di ulivo in Puglia, ma la situazione sembra più complessa di come è stata descritta.
Si chiama "Complesso del disseccamento rapido dell'olivo" (CDRO) l’ultima minaccia ecologica che ha recentemente suscitato grandi preoccupazioni tra gli addetti ai lavori e i semplici ammiratori di queste piante secolari. Quanto c’è però di vero?
Siamo davanti a una catastrofe ecologica o si tratta di una esagerazione mediatica?
La moria degli ulivi è cominciata in sordina nel Salento leccese, nell’area intorno a Gallipoli, un paio di anni fa. I primi focolai, di modesta estensione, erano stati scambiati per attacchi di una malattia localmente endemica, nota come "lebbra delle olive", causata da un fungo. Il CDRO è invece esploso improvvisamente negli ultimi mesi, interessando, al momento, un’area di circa 80 km2.
Ciononostante, il danno è circoscritto, così da rendere difficile trovare persone che ne possano parlare per conoscenza o competenza diretta.
La malattia incomincia con il disseccamento della chioma a zone, estendendosi via via a tutto l’albero e terminando con la morte della pianta. La coltivazione dell’ulivo in Salento, spiega Nicola Iacobellis, batteriologo vegetale dell’Università della Basilicata, è
ancora praticata con metodi tradizionali e la poca attenzione rivolta agli ulivi, spesso secolari, è uno dei fattori che hanno portato a dare l’allarme in ritardo. “Nella zona d’interesse”, aggiunge Giovanni Martelli, fitopatologo dell’Università e del CNR di Bari, “sono proprio le piante secolari a soffrire e morire. Nella zona colpita non ho visto impianti recenti”.
Le cause della malattia
Le cause di questa moria improvvisa hanno dato un bel grattacapo ai ricercatori di Bari, in quanto non sembra esserci una causa unica. "Il CDRO”, spiega ancora Giovanni Martelli, a capo del laboratorio che si sta occupando delle indagini sulla causa della malattia, “è verosimilmente il risultato dell'azione di tre diversi attori: il lepidottero Zeuzera pyrina (rodilegno giallo), le cui larve scavano delle gallerie nel tronco e nei rami dell'olivo che facilitano l'ingresso del secondo attore, un complesso di funghi microscopici del generePhaeoacremonium. Il terzo attore è il batterio Xylella fastidiosa.
La sintomatologia e la rapidità della diffusione della malattia mi avevano fatto pensare al possibile coinvolgimento del batterio e le analisi molecolari effettuate hanno confermato che l'intuizione era corretta. La presenza del batterio nei tessuti fogliari degli olivi malati è stata poi confermata da osservazioni al microscopio elettronico che lo hanno identificato nei vasi legnosi”.
Per capire l’importanza del ruolo dei singoli patogeni saranno necessarie ulteriori analisi, già programmate. È quindi prematuro incolpare solo il batterio, come invece asseriscono invece alcuni media. I dati molecolari acquisiti dallo staff del CNR indicano che il ceppo salentino di Xylella fastidiosa è diverso da quello della variante americana che causa una malattia distruttiva della vite e il batterio non è stato ritrovato sulla vite neanche nel cuore della zona infetta salentina.
Le piante colpite sono poche
Per quanto la situazione descritta sia preoccupante, forse non è quindi drammatica come descritto. Occorre infatti fare una precisazione: le piante effettivamente uccise da questa misteriosa infezione sono poche. Leggendo I giornali ci si aspetterebbe una distesa di ceppaie morte che si estende a perdita d’occhio. Chiedendo però informazioni a una persona del posto mi è stato risposto “non saprei, l’oliveto di mio padre, a 4 km da Gallipoli (e quindi nell’area identificata come 'focolaio'), gode di ottima salute”. Questo ha fatto scattare la curiosità di informarsi presso chi sul territorio ci vive e ci lavora.
Secondo l’agronomo salentino Cristian Casili gli alberi morti per via di questa patologia sono una percentuale davvero minima dei 9 milioni di ulivi presenti in Salento, meno dell’1%, e l’infezione è comunque a macchia di leopardo, con poche piante gravemente colpite frammiste a piante sane o debolmente affette. “Bisogna tener presente”, ricorda Casili, “che l’ulivo è una pianta molto resistente e con una grande capacità di ripresa. Le piante colpite erano probabilmente indebolite da tecniche colturali errate o scarse, con potature estreme che favoriscono l’ingresso di patogeni e altri fattori antropici che avevano precedentemente colpito l’agroecosistema”.
Allo stato attuale delle conoscenze è dunque impossibile trarre conclusioni definitive sulla gravità dell’infezione. Siamo sicuramente agli albori e non c’è ancora nulla di paragonabile ad esempio ai danni del punteruolo rosso sulle palme del nostro paese. Questo però è il momento di cominciare a pensare a come limitare i danni.
La raccolta delle olive è infatti già in corso e andrà avanti ancora per almeno un mese. Anche gli alberi colpiti infatti hanno comunque prodotto frutti che vanno raccolti, in quanto sono una delle principali fonti di reddito della regione. Le norme profilattiche già messe in atto dal Servizio Fitosanitario della Regione Puglia impediscono gli spostamenti di piante e attrezzi agricoli fuori dalla zona focolaio, e hanno istituito una zona tampone che circonda l’area colpita. Non è chiaro però come queste procedure verranno fatte rispettare, anche perché occorre sia un monitoraggio completo sugli ulivi che sulle altre piante.
Una portaerei circondata da uliveti
Secondo quanto riporta Nicola Iacobellis, ad esempio, Xylella fastidiosa colpisce almeno 150 specie, sia arboree come ulivi, agrumi, querce e mandorli, sia erbacee. Non è chiaro però se questo particolare ceppo del batterio sia in grado di fare tutto ciò. Citando una metafora usata da Iacobellis, “l’Italia è una portaerei al centro del Mediterraneo, intorno a cui ci sono migliaia di ettari di uliveti”.
Se l’infezione fosse dunque seria questa è una frase che dovrebbe far riflettere, soprattutto considerando lo stato di incuria, o di cattiva gestione, a cui sono normalmente sottoposte queste piante così belle paesaggisticamente e così redditizie. Secondo Cristian Casili, ad esempio, è particolarmente grave il mancato rispetto delle norme di tutela europee a cui gli ulivi salentini dovrebbero sottostare, e per cui i proprietari ricevono incentivi comunitari.
Ciononostante, e malgrado la pioggia di cattivi presagi piovuti in questi giorni, gli esperti sono ottimisti, il che fa sperare che possa trattarsi solo di una fitopatologia come tante altre e non dell’inizio di una catastrofe. “Non credo di peccare di ottimismo”, dice Giovanni Martelli, “se dichiaro che il contenimento della malattia e della Xylella, il vero oggetto delle preoccupazioni, anche comunitarie, sia un obiettivo perseguibile”.
Siamo davanti a una catastrofe ecologica o si tratta di una esagerazione mediatica?
La moria degli ulivi è cominciata in sordina nel Salento leccese, nell’area intorno a Gallipoli, un paio di anni fa. I primi focolai, di modesta estensione, erano stati scambiati per attacchi di una malattia localmente endemica, nota come "lebbra delle olive", causata da un fungo. Il CDRO è invece esploso improvvisamente negli ultimi mesi, interessando, al momento, un’area di circa 80 km2.
Ciononostante, il danno è circoscritto, così da rendere difficile trovare persone che ne possano parlare per conoscenza o competenza diretta.
La malattia incomincia con il disseccamento della chioma a zone, estendendosi via via a tutto l’albero e terminando con la morte della pianta. La coltivazione dell’ulivo in Salento, spiega Nicola Iacobellis, batteriologo vegetale dell’Università della Basilicata, è
Le cause della malattia
Le cause di questa moria improvvisa hanno dato un bel grattacapo ai ricercatori di Bari, in quanto non sembra esserci una causa unica. "Il CDRO”, spiega ancora Giovanni Martelli, a capo del laboratorio che si sta occupando delle indagini sulla causa della malattia, “è verosimilmente il risultato dell'azione di tre diversi attori: il lepidottero Zeuzera pyrina (rodilegno giallo), le cui larve scavano delle gallerie nel tronco e nei rami dell'olivo che facilitano l'ingresso del secondo attore, un complesso di funghi microscopici del generePhaeoacremonium. Il terzo attore è il batterio Xylella fastidiosa.
La sintomatologia e la rapidità della diffusione della malattia mi avevano fatto pensare al possibile coinvolgimento del batterio e le analisi molecolari effettuate hanno confermato che l'intuizione era corretta. La presenza del batterio nei tessuti fogliari degli olivi malati è stata poi confermata da osservazioni al microscopio elettronico che lo hanno identificato nei vasi legnosi”.
Per capire l’importanza del ruolo dei singoli patogeni saranno necessarie ulteriori analisi, già programmate. È quindi prematuro incolpare solo il batterio, come invece asseriscono invece alcuni media. I dati molecolari acquisiti dallo staff del CNR indicano che il ceppo salentino di Xylella fastidiosa è diverso da quello della variante americana che causa una malattia distruttiva della vite e il batterio non è stato ritrovato sulla vite neanche nel cuore della zona infetta salentina.
Le piante colpite sono poche
Per quanto la situazione descritta sia preoccupante, forse non è quindi drammatica come descritto. Occorre infatti fare una precisazione: le piante effettivamente uccise da questa misteriosa infezione sono poche. Leggendo I giornali ci si aspetterebbe una distesa di ceppaie morte che si estende a perdita d’occhio. Chiedendo però informazioni a una persona del posto mi è stato risposto “non saprei, l’oliveto di mio padre, a 4 km da Gallipoli (e quindi nell’area identificata come 'focolaio'), gode di ottima salute”. Questo ha fatto scattare la curiosità di informarsi presso chi sul territorio ci vive e ci lavora.
Secondo l’agronomo salentino Cristian Casili gli alberi morti per via di questa patologia sono una percentuale davvero minima dei 9 milioni di ulivi presenti in Salento, meno dell’1%, e l’infezione è comunque a macchia di leopardo, con poche piante gravemente colpite frammiste a piante sane o debolmente affette. “Bisogna tener presente”, ricorda Casili, “che l’ulivo è una pianta molto resistente e con una grande capacità di ripresa. Le piante colpite erano probabilmente indebolite da tecniche colturali errate o scarse, con potature estreme che favoriscono l’ingresso di patogeni e altri fattori antropici che avevano precedentemente colpito l’agroecosistema”.
Allo stato attuale delle conoscenze è dunque impossibile trarre conclusioni definitive sulla gravità dell’infezione. Siamo sicuramente agli albori e non c’è ancora nulla di paragonabile ad esempio ai danni del punteruolo rosso sulle palme del nostro paese. Questo però è il momento di cominciare a pensare a come limitare i danni.
La raccolta delle olive è infatti già in corso e andrà avanti ancora per almeno un mese. Anche gli alberi colpiti infatti hanno comunque prodotto frutti che vanno raccolti, in quanto sono una delle principali fonti di reddito della regione. Le norme profilattiche già messe in atto dal Servizio Fitosanitario della Regione Puglia impediscono gli spostamenti di piante e attrezzi agricoli fuori dalla zona focolaio, e hanno istituito una zona tampone che circonda l’area colpita. Non è chiaro però come queste procedure verranno fatte rispettare, anche perché occorre sia un monitoraggio completo sugli ulivi che sulle altre piante.
Una portaerei circondata da uliveti
Secondo quanto riporta Nicola Iacobellis, ad esempio, Xylella fastidiosa colpisce almeno 150 specie, sia arboree come ulivi, agrumi, querce e mandorli, sia erbacee. Non è chiaro però se questo particolare ceppo del batterio sia in grado di fare tutto ciò. Citando una metafora usata da Iacobellis, “l’Italia è una portaerei al centro del Mediterraneo, intorno a cui ci sono migliaia di ettari di uliveti”.
Se l’infezione fosse dunque seria questa è una frase che dovrebbe far riflettere, soprattutto considerando lo stato di incuria, o di cattiva gestione, a cui sono normalmente sottoposte queste piante così belle paesaggisticamente e così redditizie. Secondo Cristian Casili, ad esempio, è particolarmente grave il mancato rispetto delle norme di tutela europee a cui gli ulivi salentini dovrebbero sottostare, e per cui i proprietari ricevono incentivi comunitari.
Ciononostante, e malgrado la pioggia di cattivi presagi piovuti in questi giorni, gli esperti sono ottimisti, il che fa sperare che possa trattarsi solo di una fitopatologia come tante altre e non dell’inizio di una catastrofe. “Non credo di peccare di ottimismo”, dice Giovanni Martelli, “se dichiaro che il contenimento della malattia e della Xylella, il vero oggetto delle preoccupazioni, anche comunitarie, sia un obiettivo perseguibile”.
DISSECCAMENTO RAPIDO DELL’OLIVO. - Giovanni P. Martelli
Questa fitopatia che, come ne denuncia il nome, è caratterizzata da disseccamenti estesi e rapidi della chioma degli olivi che ne sono affetti e che ne muoiono, si è manifestata un paio di anni addietro nel Salento leccese, agro di Alezio, su di una diecina di ettari.
Essa si è poi diffusa rapidamente, specie nell'anno in corso, sì da interessare oggi un'area stimata di circa 8000 ha.
Il tipo di sintomi (disseccamento improvviso a "pelle di leopardo" che si estende progressivamente all'intera chioma e collasso delle piante) ha fatto supporre l'azione di agenti tracheifili, la cui localizzazione potrebbe ridurre, se non bloccare, il rifornimento idrico. Ed è lungo questa direttrice che si sono mosse le indagini condotte dal Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti dell'Università Aldo Moro di Bari e dalla Unità Operativa di Bari dell'Istituto di Virologia Vegetale del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Cosa si è appreso:
(1) il legno dell'annata delle piante deperenti è estesamente imbrunito e colonizzato da funghi tacheomicotici del genere Phaeoacremonium (gli stessi coinvolti nell'eziologia nel complesso del "Mal dell'esca" della vite) la cui specie più rappresentata è P. parasiticum. Gli imbrunimenti causati da questi miceti sono solitamente collegati alla presenza di gallerie del rodilegno giallo (Zeuzera pyrina) il cui ruolo nella insorgenza delle infezioni fungine non è stato ancora accertato;
(2) nelle piante sintomatiche di olivo (ma anche di mandorli ed oleandri con bruscature fogliari presenti nelle vicinanze degli oliveti colpiti) è stato identificato, sia con saggi molecolari che sierologici, un ceppo del batterio Gram-negativo Xylella fastidiosa, un agente da quarantena non segnalato in Europa e nel Bacino del Mediterrano (i reperimenti di qualche anno addietro in Kosovo su vite, ed in Turchia su mandorlo, mancano di conferma definitiva).
Xylella ha una vasta gamma di ospiti, legnosi ed erbacei, che ne costituiscono il serbatoio naturale e di vettori (cicaline), alcuni dei quali vivono anche da noi. La sua presenza, pertanto, è fonte di giustificati timori anche per la gravità dei danni che il batterio infligge alla vite (Pierce's disease) nelle Americhe, ed agli agrumi (Citrus variegated chlorosis) in Sud America, colture di primaria importanza anche per la Puglia.
Se è pertanto comprensibile la preoccupazione che il reperto salentino ha provocato, lo è assai meno, perché basato su congetture totalmente prive del conforto di verifica alla fonte (Istituzioni che stanno indagando sulla malattia), il crescente allarmismo degli organi di stampa.
Titoli come: "X. fastiosa killer degli olivi ...", "Olivi in quarantena per il batterio killer"; "Identificato il killer degli olivi" ormai dilagano.
Si dà il caso che le indicazioni molecolari acquisite a Bari forniscano buoni motivi per ritenere che il ceppo salentino di X. fastiidiosa appartenga ad una sottospecie (o genotipo) che non infetta né la vite né gli agrumi, e che esperienze statunitensi (California) indicano come dotato di scarsa patogenicità per l'olivo.
Di ciò è stata data notizia al Servizio Fitosanitario Regionale ed al Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e se ne è parlato, sembrerebbe invano, nei numerosi incontri con tecnici ed agricoltori che si sono tenuti nelle zone colpite.
In conclusione, non vi sono al momento elementi che facciano ritenere X. fastidiosa come l'agente primario del disseccamento rapido dell'olivo. Essa è verosimilmente coinvolta nel quadro eziologico come compartecipe. E' quanto si vuole accertare attraverso l'isolamento (in corso) in coltura pura del batterio, che ne consenta la definitiva ed incontrovertibile identificazione e permetta la conduzione di prove di patogenicità che possano una volta per tutte accertarne il comportamento su olivo.
A ciò si aggiunga la ricerca dei possibili vettori, anch'essa in effettuazione.
In attesa delle risultanze degli studi in corso, che permettano la formulazione di un piano di contenimento e di lotta, si è suggerita al Servizio Fitosanitario Regionale l'adozione di interventi da intraprendere con immediatezza per:
(1) delimitare l'area contaminata,
(2) identificare una zona tampone;
(3) bloccare la movimentazione di piante e di materiali di propagazione nelle e dalle zone considerate.
Strage di ulivi in Puglia, l’Ue: “Sradicare le piante malate per evitare contagio”. - Tiziana Colluto
Per i ricercatori la moria rischia di propagarsi nel continente. L'Ue vuole risposte entro martedì ed è pronta ad imporre misure drastiche, ma servono soldi che nessuno vuole mettere.
Se finora l’Europa è stata risparmiata dal flagello è stata solo fortuna. E adesso rischia grosso. Il batterio infettivo che, assieme ad altre concause, sta annientando migliaia di ulivi nel Salento può fare strage di piante anche altrove. Bruxelles inizia a tremare. Chiede risposte, le pretende a stretto giro: già martedì, nella videoconferenza che il dirigente dell’Osservatorio fitosanitario della Regione Puglia, Antonio Guario, dovrà tenere con membri della Commissione Europea. Le certezze sul campo, però, sono ancora troppo poche. Di sicuro c’è che, negli anni, segnalazioni sono arrivate dal Kosovo e dalla Turchia, ma la malattia non si era mai radicata e diffusa come sta accadendo ora: nel Leccese ha già infestato, in poco tempo, 8mila ettari, un’area che nel complesso conta circa 600mila ulivi.
La situazione è “incredibilmente seria” e non c’è cura, né qui né altrove, di fronte agli attacchi del patogeno Xylella fastidiosa. Lo hanno ribadito ieri i ricercatori delle strutture regionali, del Dipartimento di Scienze del suolo dell’Università di Bari e dell’Istituto di Virologia del Cnr, dopo la lezione a tema tenuta presso la facoltà di Agraria. Con loro c’era anche Rodrigo Almeida, docente dell’Università di Berkeley, uno dei massimi esperti in materia. E’ rimasto di pietra anche lui di fronte allo scenario dei filari di piante ormai grigie, senza speranza, intorno a Gallipoli. Il suo occhio allenato in California, dove il batterio è stato riscontrato per la prima volta e impedisce la coltivazione delle viti, ha dettato la diagnosi più dura: “Abbiamo a che fare con una malattia molto grave. Alcuni aspetti sono compatibili ed altri no con Xylella fastidiosa. Parte di questa discrepanza è dovuta alla compartecipazione di altri patogeni come funghi (di specie Phaeoacremonium) ed insetti (rodilegno). La prima cosa da fare è cercare i vettori. La seconda è capire quali piante siano le sorgenti di inoculo”.
L’unico sospiro di sollievo è che il genotipo presente in Italia non colpisce la vite e gli agrumi. Per sciogliere il resto del rebus, bisogna aspettare. E il tempo non c’è. E’ a causa di questo scenario sfocato che la Puglia rischia realmente di schiantarsi contro il muro più imponente e di essere sacrificata sull’altare della patria. Entro fine novembre, la Commissione europea disporrà le misure da adottare obbligatoriamente. Non si andrà per il sottile: secondo la normativa comunitaria, la sola presenza di un batterio da quarantena impone già la distruzione delle piante. L’amarissimo calice da bere, per evitare il contagio. Per il Salento, in cui impera da secoli la monocoltura dell’olivo, sarebbe un disastro annunciato, sotto diversi punti di vista: produttivo, ambientale, paesaggistico, storico.
Le piante ormai completamente morte “devono essere estirpate perché non c’è più alcuna possibilità di recupero. Sulle altre con parziale disseccamento, stiamo aspettando i risultati della ricerca, ma sembra che anche quelle non potranno essere recuperate e quindi saranno eradicate”, spiega Anna Percoco, ricercatrice del Servizio fitosanitario regionale. “Noi vogliamo resistere a questa ipotesi, per questo stiamo acquisendo dati. Se dimostreremo che l’olivo è solo l’ospite terminale del patogeno, potremmo salvare gli alberi. Se, invece, appureremo che è a sua volta fonte di contagio, sarà difficile opporsi a quanto l’Europa chiede”. Giovanni Martelli, fitopatologo e professore emerito dell’Università di Bari, non nasconde i timori. E’ lui a tracciare la prospettiva, che, anche a voler essere ottimisti, è nera: “Le piante colpite sono condannate. Anche se alcune hanno ancora prodotto quest’anno, nella prossima stagione non lo faranno. E se l’epidemia si diffonde, altre si ammaleranno e quindi la produzione dell’olio calerà”.
Si serrano i ranghi. Nel primo trimestre del prossimo anno, è preannunciata la visita degli ispettori comunitari. Sul fronte interno, entro fine dicembre verrà conclusa la ricognizione di tutti i terreni pugliesi. Nel frattempo, si setacciano i registri dei vivai per analizzare importazioni ed esportazioni effettuate negli ultimi sei mesi, per capire se eventuale materiale infetto abbia varcato i confini regionali. Anche per evitare che possa accadere in futuro, è stato disposto formalmente da ieri il blocco della movimentazione delle piante a rischio nelle serre della provincia di Lecce. Si fa quel che si può. Ma in guerra contro il “complesso del disseccamento dell’olivo” si sta andando con le scarpe di cartone: ad oggi, per la ricerca ci sono poco più di 300mila euro di fondi regionali, cui sono stati aggiunti, in questi giorni, 2 milioni di euro per la pulizia dei canali di bonifica. La promessa di un contributo pari al 50% delle spese rimborsabili da parte della Commissione europea non è neppure nero su bianco. Da Roma, inoltre, è silenzio assordante. Tutte le spese di manutenzione degli oliveti, dalle drastiche potature agli abbattimenti e alla disinfestazione, sono a carico degli agricoltori. Di coloro che se lo possono permettere, almeno.
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