I miei fichi, le mie susine.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 9 luglio 2015
Una nuova Banca di sviluppo anti Fmi.
Brics. In corso in Russia il VII Vertice dei cinque grandi emergenti.
Si conclude domani a Ufa, in Russia, il VII Vertice dei Brics, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica: il 40% della popolazione mondiale e oltre il 30% del Pil globale.
A Mosca tocca la presidenza di turno, dopo il precedente incarico del Brasile, che ha ospitato il summit dell’anno scorso. E il ministro dello Sviluppo economico russo, Anton Siluanov è il governatore della nuova Banca dello sviluppo, grande invenzione dei Brics. L’altro ieri, le banche centrali dei cinque grandi emergenti hanno firmato un accordo operativo che regola il funzionamento del fondo di riserve monetarie comune, pari a 100.000 milioni di dollari. La Cina metterà 41 miliardi di dollari, Russia, India e Brasile 18 miliardi ciascuno e il Sudafrica 5 miliardi. La sede sarà a Shanghai, ma un altro centro regionale si troverà in Sudafrica. La Banca è dotata di un consiglio di amministrazione, il cui primo presidente è Siluanov, di un direttivo a conduzione brasiliana e da una presidenza, a cui è stato nominato l’indiano Kundapur Vaman Kamath, affiancato da 4 vicepresidenti degli altri 4 paesi. La nuova Banca di sviluppo comincerà ad essere operativa entro la fine di aprile del 2016. Obiettivo del fondo comune sarà quello di concedere prestiti ai paesi partecipanti in caso di problemi con la liquidità in dollari.
La decisione di dotarsi di una banca è stata presa dai Brics l’anno scorso, durante il vertice di Fortaleza, in Brasile. Se ne discute però dal 2009, con il primo vertice dell’organismo. Ora, l’intenzione dei cinque paesi è quella di farne un organismo finanziario globale «specializzato in progetti di infrastruttura»: il disegno di una nuova architettura finanziaria, alternativo al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale (che ha un patrimonio di 490 miliardi di dollari), egemonizzati dagli Usa. I Brics hanno dichiarato la loro disponibilità ad incorporare altri stati fondatori, ma le modalità sono ancora da definire.
L’indirizzo è però dichiarato: una logica di prestiti senza il cappio al collo degli aggiustamenti strutturali richiesti dall’Fmi, presso cui i Brics hanno solo il 10,3% del diritto di voto. Un atteggiamento importante dato il dislivello esistente all’interno dei paesi membri, ove l’economia cinese è 28 volte quella del Sudafrica, e date le differenti modalità di governo adottate dai singoli paesi.
Verso la fine dell’egemonia del dollaro?
Intanto, i Brics ragionano sull’istituzione di una moneta comune.
Intanto, costituiscono una sponda per la Russia colpita dalle sanzioni.
E potrebbero lanciare un salvagente anche all’economia greca, nell’ottica di una politica di Atene a più dimensioni, in cui i Brics giocherebbero un ruolo principale. A fine maggio, la Grecia ha manifestato interesse per la nuova Banca di sviluppo. E anche se Atene non potrà certo apportare contributi iniziali, potrebbe ricevere un credito non condizionato e un appoggio finanziario significativo. Di recente, il presidente russo Vladimir Putin ha detto che la crisi greca è fuori dall’agenda della Banca di sviluppo, ma non da quella del vertice, e che se ne dovrebbe discutere in una colazione di lavoro, insieme ad altri temi di interesse internazionale come l’Ucraina o la minaccia del Califfato. L’anno scorso, l’Argentina ricattata dai fondi avvoltoio, posizionati a Washington, è stata presente a Fortaleza e la presidente Cristina Kirchner ha posto decisamente l’esigenza dei paesi del sud di impostare un sistema finanziario alternativo. Presenti anche i presidenti dei paesi socialisti latinoamericani, che — Venezuela in testa — hanno inaugurato una logica solidale alternativa negli scambi sud-sud.
Domani, sempre a Ufa, si svolge anche un altro importante vertice finanziario, quello dell’Organizzazione di cooperazione di Shanghai (Ocs), che attualmente include Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, e prevede l’entrata di India e Pakistan per configurarsi come un nuovo G8.
http://ilmanifesto.info/una-nuova-banca-di-sviluppo-anti-fmi/
Borsa europee in rialzo, Shangai record.
Rimbalzo sprint, per indice maggior balzo giornaliero dal 2009.
Le Borse europee sono tutte ben intonate, in quella che appare una seduta di maggior fiducia sulla Grecia e di minori apprensioni sulla Cina. L'Euro Stoxx sale dello 0,88%, Londra dello 0,51%, Parigi dello 0,85% e Francoforte dello 0,61%. A Milano l'indice Ftse Mib avanza dello 0,78%. A livello settoriale sono in progresso i titoli dell'auto (+1,57% il Dj Stoxx del comparto). A Milano, bene le banche con Bpm e il Banco in rialzo dell'1,8%, Unicredit e Ubi dell'1,6%. Pesante Saipem
Lo spread tra Btp e Bund apre in calo a 149,6 punti dai 154 punti della chiusura di ieri con un rendimento al 2,18%.
Rimbalzo record alla Borsa di Shanghai. L'indice Shanghai Composite ha chiuso con un rialzo del 5,76% a 3.709 punti in quello che appare come il maggior balzo giornaliero dal 2009.
mercoledì 8 luglio 2015
Wall Street si ferma, timori di un attacco hacker. In tilt anche alcuni voli della United Airlines.
Sono temporaneamente sospese le contrattazioni di tutti i titoli quotati sul New York Stock Exchange, meglio noto come NYSE. Ad annunciarlo è la stessa piattaforma di trading statunitense, che ha anche cancellato tutti gli ordini. Non si esclude che la causa sia dovuta a un attacco hacker
La sospensione è iniziata alle 11.32 ora di New York (17.32 ora italiana). Il NYSE ha dichiarato che ulteriori informazioni in merito saranno rilasciate ”al più presto possibile” e che le azioni quotate sulla sua piattaforma continuano ad essere scambiate in altre sedi come il Nasdaq e il BATS Global Markets.
Curiosamente, anche il sito del Wall Street Journal è andato in tilt. Per qualche istante sulla home page è apparsa la scritta “”Oops, 504! Something did not respond fast enough, that's all we know...”. Il quotidiano online ha successivamente ripristinato il servizio, anche se in forma ridotta, parlando di “difficoltà tecniche”.
Da rilevare che oggi il colosso dei cieli United Airlines ha bloccato per due ore tutti i decolli negli Stati Uniti per problemi informatici.
Sui strani disservizi sta indagando anche il Dipartimento per la Sicurezza nazionale.
L'Fbi sta controllando da vicino la situazione al New York Stock Exchange. La polizia federale ha anche fatto sapere che non servono interventi delle autorità al Nyse che comunque ha escluso la possibilità di un attacco hacker. Il New York Stock Exchange ha infatti detto di essere al lavoro per risolvere «un grave problema tecnico». Intanto la Casa Bianca ha fatto sapere che il presidente americano Barack Obama è stato informato di quanto sta avvenendo a Wall Street in queste ore.
Si è trattato di un problema tecnico e non di un attacco hacker. Così la borsa di New York ha spiegato la sospensione delle contrattazione, scrivendo su Twitter che «si tratta di una questione tecnica interna e non è il risultato di un cyber attacco». «Abbiamo deciso di sospendere le operazioni alla Borsa di New York - si legge sul social network - per evitare che dei problemi potessero derivare dalla nostra questione tecnica. I titoli quotati continuano ad operare inalterati su altri centri di mercato».
Ma i dubbi di un massiccio attacco hacker su larga scala ancora restano.
http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/ESTERI/wall_street_hacker_wall_street_journal_united_airlines/notizie/1453378.shtml
martedì 7 luglio 2015
Grecia, Merkel: “Tsipras faccia proposte precise”. Da Atene trattativa con Mosca. - Paolo Fior
Se l’Europa continua a mostrarsi sorda a ogni ipotesi di compromesso e i falchi spingono per la Grexit e per una drammatizzazione della crisi, Atene – forte della vittoria del “no” al referendum – ha iniziato a giocare apertamente su due tavoli: da un lato spinge sui partner europei per ritornare al più presto al tavolo negoziale e chiudere l’accordo, dall’altro colloquia con Vladimir Putin informandolo sullo stato dell’arte dei negoziati. A darne notizia con malcelata soddisfazione è Iuri Ushakov, consigliere diplomatico del presidente russo, che ha riferito di una telefonata in cui il premier greco Alexis Tsipras ha detto a Putin che le trattative con i creditori (per ora) proseguiranno.
Telefonata non di circostanza, che fa seguito a una richiesta di incontro immediato da parte dello stesso Putin, e da leggere come un chiaro segnale a partner europei e alleati: la Grecia vuole restare in Europa e nell’euro, ma con la Russia è in corso una vera e propria trattativa parallela. E’ il “piano B” che prende corpo tanto più Berlino si mostra intransigente e determinata nel voler mettere Atene all’angolo. D’altro canto Tsipras sembra avere idee molto chiare su tattica e strategia: da un lato vuole rilanciare le trattative con i creditori togliendo ogni alibi all’Europa. Per fare questo non solo ha sacrificato il “suo” ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, ma ha anche chiesto al presidente della repubblica greca di convocare una riunione con gli altri partiti per costruire un solido fronte nazionale a supporto del negoziato, incassando subito l’apertura di diversi partiti d’opposizione, primo fra tutti il Pasok.
Dall’altro lato il premier greco tratta con Mosca perché non può permettersi di perdere altro tempo dopo aver mancato il rimborso da 1,6 miliardi al Fondo monetario internazionale: altri prestiti sono in scadenza a luglio e per importi ben superiori, a partire dai 3,5 miliardi della rata dovuta alla Bce in pagamento il 20 luglio. Che tipo di sostegno Atene possa ottenere dalla Russia e a quali condizioni non è ancora chiaro, ma con ragionevole certezza si può dire che non si tratta di bluff, anche alla luce della crisi Ucraina e del ruolo che sta giocando un’Europa sempre più germano-centrica. Ovviamente non sfuggono le implicazioni geopolitiche di un avvicinamento della Grecia (Paese membro della Nato) alla Russia di Putin, ma l’Europa pare concentrata su altro e nient’affatto preoccupata delle conseguenze di una Grexit sull’economia e anche (e soprattutto) sull’Europa stessa.
Anche lunedì i tedeschi hanno ripetuto i loro mantra ossessivi sul debito greco, sul disaccordo totale ad ogni tipo di ristrutturazione (Schaeuble: “Il taglio del debito per noi non è un tema) e sulla scarsa serietà del governo Tsipras: “Al momento non ci sono i presupposti per nuove trattative su altri programmi di aiuto”, ha detto il portavoce di Angela Merkel prima che la cancelliera tedesca incontrasse il presidente Francois Hollande per discutere della crisi greca. Concetto poi ribadito dal vice cancelliere Sigmar Gabriel: “Se vorrà restare nell’euro la Grecia dovrà presentare un’offerta che vada al di là del passato e sia accettata dagli altri Paesi della zona euro. Mi manca la fantasia per immaginare”. Affermazioni che non aiutano certo il negoziato, sul quale invece il presidente francese Hollande ha fatto politicamente più di un’apertura, ribadendo che la ristrutturazione del debito greco non può e non deve essere un tabù.
Una sfumatura di pensiero molto diversa da quella della Merkel e motivata anche dalla debolezza della Francia che dalla fine dell’austerity pensa di trarre beneficio e spinge dunque per l’accordo. L’Italia, più della Francia, avrebbe tutto da guadagnare ad appoggiare il tentativo di Tsipras, ma – anche in quest’occasione – ha scelto la strada del silenzio e dell’acquiescenza con le posizioni del più forte. Un servilismo autolesionista che non è ripagato nemmeno da un aumento di prestigio in ambito europeo: anche questa volta l’Italia non è stata invitata al tavolo, così come non lo sono stati altri importanti Paesi dell’Eurozona. A che titolo Merkel e Hollande decidono e l’Eurogruppo è poi chiamato a ratificare? L’insofferenza per questa governance dell’Europa sta crescendo e mina alla base la fiducia dei cittadini che vedono prendere decisioni sopra le loro teste in un modo totalmente antidemocratico.
Grecia o non Grecia è questo un detonatore formidabile che potrebbe portare inesorabilmente il progetto europeo al fallimento e alla disgregazione. Non voler mettere sul tavolo ciò che anche per il Fondo monetario è ormai pacifico e necessario – ossia la ristrutturazione del debito greco – e al tempo stesso professarsi dispiaciuti per le difficoltà in cui versa il popolo al punto da proporre un piano di “aiuti umanitari” dà la misura di quanto la Germania, e con essa l’Europa, abbiano smarrito il senso della costruzione europea che a questo punto, per salvarsi, necessita di un profondo ripensamento. Se la Grecia avrà molto da perdere dall’eventuale Grexit e dall’abbraccio con Putin, noi abbiamo da perdere molto di più.
GRECIA, IL CONSIGLIERE DI VAROUFAKIS ACCUSA RENZI: “ITALIA È ANCORA IN CRISI E LUI SI SCHIERA CON L’UE: È FOLLE”
A poche ore dal referendum storico per la Grecia, da Atene stanno partendo bordate che mandano del tutto al diavolo ogni remora diplomatica contro i nemici del Paese ellenico. I nemici sono i creditori “terroristi”, come li ha definiti il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, nemico è anche il premier italiano Matteo Renzi che con la visita dello scorso lunedì a Berlino si è giocato i buoni rapporti che millantava con il governo di Alexis Tsipras.
Contro Renzi si è scagliato l’uomo-ombra di Varoufakis, il suo consigliere James Galbraith, docente all’università di Austin e amico strettissimo del ministro greco: “Ci ha delusi – ha detto all’Huffingtonpost parlando di Renzi – è stata una follia la sua presa di posizione di lunedì”. A far saltare i nervi del consigliere è stato il tweet di Renzi con il quale spiegava che votare no al referendum avrebbe voluto dire scegliere di uscire dall’euro. A Renzi è bastata una visita in casa della Merkel per abbracciare completamente la sua posizione: “Una minaccia vergognosa che Renzi ha deciso di sposare” ha rintuzzato Galbraith.
Non c’è da sorprendersi in fondo, visto che lo stesso consigliere ricorda come finora: “Tutti i partiti socialisti europei, incluso il Pd, hanno guardato con sospetto a Tsipras, sin dall’inizio. Il motivo – aggiunge – è semplice: sono affiliato con una forza, il Pasok, che è stato praticamente cancellato da Syriza”, il partito di Tsipras.
Al premier italiano, Galbraith non perdona l’ultimo atteggiamento avuto perché: “Una posizione del genere così dura potreva prenderla solo la Germania, ma non un Paese come l’Italia che sta ancora affrontando una crisi. E non è finita, secondo Bloomberg, i ministri delle Finanze europei sarebbero d’accordo su un sostegno alla Grdcia anche in caso di no.
Hanno capito – dice ancora il consigliere – che i costi di un’uscita di Atene dall’euro sarebbero enormi e maggiori di quelli da sostenere per mantenerla dentro. In altre parole, hanno sgonfiato la minaccia fatta da Renzi lunedì e ha reso la sua posizione veramente assurda, folle”.
lunedì 6 luglio 2015
KRUGMAN: LA GRECIA AL PUNTO DI NON RITORNO. - HENRY TOUGHA
Paul Krugman sul New York Times incoraggia i greci a votare “No” alle condizioni della Troika nel referendum di domenica — e a prepararsi ad uscire dall’euro. Se era evidente da subito che l’euro era un errore, l’uscita è stata forse frenata dal timore del caos finanziario. Ma questo caos, sottolinea il premio Nobel, ormai si è comunque concretizzato. E finalmente Krugman aggiunge un punto politico cruciale: non si tratta solo di economia, si tratta di democrazia: se i greci perdono questa occasione, consegnano definitivamente la propria indipendenza e le leve del potere ai funzionari (non eletti) della Troika.
di Paul Krugman, 29 giugno 2015
È diventato ovvio da tempo che la creazione dell’euro è stato un errore tremendo. L’Europa non ha mai avuto le precondizioni necessarie perché una moneta unica funzionasse con successo — su tutto, quel genere di unione fiscale e bancaria che, per esempio, garantisce che quando in Florida scoppia una bolla immobiliare, Washington protegge automaticamente gli anziani contro ogni rischio per le loro cure mediche o i loro depositi bancari.
Abbandonare un’unione monetaria, tuttavia, è una decisione molto più difficile e spaventosa che quella di non entrarvi fin dall’inizio, e ancora oggi perfino le economie più in difficoltà del continente europeo hanno fatto ogni volta un passo indietro da quel confine. Di volta in volta i governi si sono sottomessi alle pretese dei creditori di imporre un’austerità sempre più dura, mentre la Banca Centrale Europea è riuscita a contenere il panico sui mercati.
Ma la situazione della Grecia è arrivata ad un punto che sembra di non ritorno. Le banche sono state momentaneamente chiuse e il governo ha imposto controlli sui capitali — cioè ha imposto dei limiti sugli spostamenti di denaro verso l’estero. Sembra molto probabile che il governo dovrà presto iniziare a pagare pensioni e salari con dei certificati di credito fiscale, creando di fatto una moneta parallela. La prossima settimana il paese terrà un referendum per decidere se accettare le richieste della “troika” — le istituzioni che rappresentano gli interessi dei creditori — di una ancora maggiore austerità.
La Grecia dovrebbe votare “No”, e il governo greco dovrebbe essere pronto, se necessario, ad abbandonare l’euro.
Per capire perché dico così dovete rendervi conto che la maggior parte — non tutto, ma la maggior parte — di ciò che avete sentito dire sulla dissolutezza e l’irresponsabilità fiscale dei greci è falso. Sì, il governo greco ha speso al di sopra dei propri mezzi alla fine degli anni 2000. Ma fino ad allora aveva ripetutamente tagliato le spese e alzato le tasse. L’occupazione pubblica è stata ridotta di oltre il 25 percento, e le pensioni (che in effetti erano troppo generose) sono state tagliate fortemente. Se ci aggiungete tutte le misure di austerità, ciò sarebbe dovuto essere più che sufficiente per annullare l’iniziale deficit e trasformarlo in un grosso surplus.
Dunque perché questo non è accaduto? Perché l’economia greca è crollata, in larga parte a causa di quelle stesse misure di austerità, trascinandosi dietro il gettito fiscale.
E questo crollo, a sua volta, ha avuto molto a che fare con l’euro, che ha intrappolato la Grecia in una camicia di forza economica. Le storie sull’austerità che funziona, nelle quali i paesi limitano il deficit senza portare a una depressione, di solito implicano forti svalutazioni della moneta per rendere le esportazioni più competitive. Ciò è quanto è accaduto, per esempio, al Canada negli anni ’90, e in misura importante anche all’Islanda più recentemente. Ma la Grecia, non avendo la propria moneta, non ha avuto questa opzione.
Quindi sto sostenendo che ci debba essere il “Grexit” — l’uscita della Grecia dall’euro? Non per forza. Il problema del Grexit è sempre stato quello del rischio del caos finanziario, di un sistema bancario sconvolto da prelievi dettati dal panico, e di imprese in difficoltà a causa dei problemi bancari e dell’incertezza sullo stato legale dei debiti. Questo è il motivo per il quale un governo greco dopo l’altro ha ceduto alle richieste di austerità, e perché perfino Syriza, la coalizione di governo di sinistra, è stata disposta ad accettare l’austerità che era già stata precedentemente imposta. Tutto ciò che Syriza ha chiesto finora è stato, di fatto, di evitare ulteriori misure di austerità.
Ma la Troika non se l’è data per intesa. È facile perdersi nei dettagli, ma il punto essenziale adesso è che alla Grecia è stata fatta un’offerta “prendere o lasciare” che tutto sommato non è distinguibile dalle politiche condotte nei cinque anni precedenti.
Si trattava di — e forse è stata decisa proprio per essere — un’offerta che il premier greco Alexis Tsipras non poteva accettare, perché avrebbe distrutto la sua ragion d’essere politica. Lo scopo quindi deve essere stato quello di scacciarlo dalla sua carica, e questo è probabilmente ciò che avverrà se gli elettori greci dovessero avere tanta paura di un confronto con la Troika da votare “Sì” nell’imminente referendum.
Eppure non dovrebbero, per tre ragioni. Primo, adesso sappiamo che un’austerità sempre più dura è un vicolo cieco: dopo cinque anni la Grecia è in una condizione peggiore che mai. Secondo, molto e probabilmente la maggior parte del caos temuto nel caso di Grexit è già avvenuto. Con le banche chiuse e l’imposizione dei controlli di capitale, ora non restano molti altri danni da fare.
Infine, accettare l’ultimato della Troika rappresenterebbe l’abbandono definitivo di qualsiasi pretesa di indipendenza da parte della Grecia. Non fatevi ingannare da chi dice che i funzionari della Troika sono solamente dei tecnici che spiegano agli ignoranti greci cosa deve essere fatto. Questi supposti “tecnici” sono in realtà dei visionari che trascurano tutto ciò che sappiamo di macroeconomia, e che si sono dimostrati in errore ad ogni pie’ sospinto. Non si tratta di fare analisi, si tratta del potere — il potere che i creditori hanno di staccare la spina all’economia greca, potere che persiste fino a che si continua a ritenere che l’uscita dall’euro sia un’eventualità impensabile.
È venuto il tempo di mettere fine a questa impensabilità. In caso contrario la Grecia si troverà di fronte a un’infinita austerità, e a una depressione senza l’ombra di una conclusione.
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