Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 5 febbraio 2016
007 REVOLUTION: VIA 86 DIRIGENTI, IL VERTICE DELL’AISE (SICUREZZA ESTERNA) CAMBIA TOTALMENTE. - Franco Bechis
007 REVOLUTION: VIA 86 DIRIGENTI, IL VERTICE DELL’AISE (SICUREZZA ESTERNA) CAMBIA TOTALMENTE- ALL’ORIGINE DEL RIBALTONE UN VIDEO CON LE BANCONOTE CHE SAREBBERO STATE PAGATE PER LA LIBERAZIONE DELLE 2 RAGAZZE RAPITE IN SIRIA E LE DIFFICOLTÀ NEL RISOLVERE UN SEQUESTRO IN LIBIA.
L’operazione avvenuta con l’imprimatur del sottosegretario Minniti, che ha per delega la vigilanza sugli 007 nazionali - Una girandola di posizioni che avrebbe avuto come elemento scatenante la gestione delle operazioni estere sui connazionali rapiti in zone di guerra e la connessa gestione dei fondi riservati..
Marco Minniti
È davvero uno tsunami quello che sta accadendo all’Aise di Alberto Manenti, e assume sempre più le caratteristiche di un maxi-repulisti all’interno del servizio segreto militare italiano avvenuto con tanto di imprimatur del premier Matteo Renzi e soprattutto del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Marco Minniti, che ha per delega la vigilanza sugli 007 nazionali.
Sono state infatti 86 le sostituzioni di dirigenti, capo reparto, responsabili di zona avvenute nelle ultime settimane. È stata cambiata quasi tutta la struttura apicale dell’Aise, sia attraverso una rotazione delle poltrone, sia attraverso un ritorno obbligato ai corpi o alle amministrazioni di provenienza.
Una girandola di posizioni che avrebbe avuto come elemento scatenante, secondo le indiscrezioni filtrate, la gestione delle operazioni estere sui connazionali rapiti in zone di guerra e la connessa gestione dei fondi riservati che al di là dei possibili riscatti (che tutti negano di parlare) servono comunque a spesare le informazioni e le operazioni di intelligence su quei territori.
Un groviglio di responsabilità difficile da sbrogliare,perché su quel settore sovraintendeva prima ancora dell’arrivo di Manenti (che è stato nominato da Renzi nell’aprile 2014) Nicola Boeri. Con la nuova guida dell’Aise la funzione di Boeri era stata in qualche modo duplicata con la scelta di riportare quel settore a un uomo del nuovo capo del servizio, Giuseppe Bruni.
Alberto Manenti NicolaBoeri
Proprio per questo è difficile ricostruire con certezza l’origine di diverbi e contrasti interni che hanno causato il grande ribaltone in corso (non è detto che la girandola di sostituzioni si fermi qui).
Se fino alla scorsa estate Boeri era un dirigente considerato assai preparato, ma non di fiducia di Manenti, e Bruni al contrario era il referente diretto del nuovo direttore dell’Aise che aveva anche il compito di controllare Boeri, il ribaltone appena avvenuto sembra avere mischiato tutte le carte. Boeri è stato sì spostato,ma a guidare il delicato settore analisi al posto di Ester Oliva, rientrata nella amministrazione di appartenenza.
Ad uscire dal servizio segreto con una pensione anticipata è invece Bruni, che era l’uomo di fiducia di Manenti. Si sono invertite le parti? O forse è lì che è scoppiato un contrasto insanabile, risolto con il sollevamento di entrambe le posizioni dalle funzioni ricoperte?
Secondo le indiscrezioni,comunque, è su due vicende che quel contrasto sarebbe nato.
La prima, come riferivamo ieri, è la gestione fino alla sua conclusione del rapimento avvenuto in Siria di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Le due ragazze che si erano avventurate clandestinamente in zona di guerra sono state lasciate dai carcerieri dopo una lunga trattativa la cui regia è stata sicuramente dell’Aise.
Non molto dopo la conclusione di quel rapimento, sono iniziate a circolare voci sul pagamento di un possibile riscatto, che era stato ipotizzato in 12milioni di euro. Il governo Renzi, anche per bocca del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ha sempre negato questa indiscrezione.
Gentiloni e Renzi
Nel novembre scorso un video della tv araba Al Jazeera, citando anche fonti di intelligence inglesi e americani, ha ricostruito il pagamento di quel riscatto, e anche di quelli che l’Italia avrebbe pagato per ostaggi negli anni passati (fra gli altri il rapimento dello skipper Bruno Pellizzari e della sua fidanzata da parte di pirati somali).
In quel video erano apparse immagini di banconote sigillate e raccolte in pile di sei mazzette su un tavolo di ufficio sotto la scritta «TaMaHo» e la data del 7 gennaio 2015. Secondo la ricostruzione quella foto sarebbe stata scattata in un ufficio di Forte Braschi, sede dei servizi italiani.
Ed è proprio quel video all’origine della tempesta interna al servizio. Perché la foto era genuina, e non avrebbe dovuto circolare all’esterno. E non è solo questo il problema: la foto sarebbe stata scattata su richiesta di un esponente apicale dell’Aise per evitare quel che era accaduto in passato: nell’eccessiva segretezza dell'operazione, parte di quelle banconote solitamente si perdevano per strada.
E non è mai stato chiaro se finivano nelle mani di improvvisi intermediari o fossero invece state sottratte in modo più “casalingo”. Secondo indiscrezioni attendibili, anche con le banconote lì fotografate, a qualsiasi cosa servissero, alla fine i conti non sarebbero tornati.
Il secondo caso all’origine del ribaltone è quello della gestione di un altro rapimento di connazionali su cui da troppo tempo è sceso il silenzio più assoluto. Si tratta dei quattro tecnici della Bonatti di Parma rapiti in Libia il 19 luglio scorso:Gino Pollicardo, Filippo Calcagno, Salvatore Failla e Fausto Piano. Qui ad essere messa in discussione è la bontà della rete di informazioni dei servizi, che avrebbero seguito per lungo tempo una pista fasulla attivando trattative che ovviamente non hanno portato a nulla.
Il caso è molto complesso e poco seguito anche dalla stampa perché si era chiesto assoluto silenzio in una fase che sembrava risolutiva della vicenda, e invece non lo è stata. Certo le informazioni erano più complicate anche grazie alla tensione che c’è sempre stata in questi mesi fra le due Libie.
Tanto è che nel novembre scorso Fradj Abu Hachem, portavoce del parlamento di Tobruk, aveva accusato del rapimento Fajir Libya, il raggruppamento di milizie islamiste che aveva conquistato invece il territorio diTripoli. I quattro in ogni caso erano ancora nelle mani dei rapitori, e a quanto sembra chi all’interno dell’Aise si era occupato della loro liberazione, non è venuto a capo di nulla. E ora non dovrà più occuparsene.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/007-revolution-via-86-dirigenti-vertice-dell-aise-sicurezza-esterna-117849.htm
IL LATITANTE AMEDEO MATACENA PUÒ STARE SERENO. - Ferruccio Sansa
L’ITALIA HA FIRMATO IL TRATTATO DI ESTRADIZIONE CON GLI EMIRATI ARABI MA IL PATTO È IN ATTESA (DA MESI) DI ESSERE RATIFICATO - L’EX PARLAMENTARE DI FORZA ITALIA È STATO CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA
Amedeo Matacena può stare tranquillo. Per ora nessuno toccherà l’ex parlamentare reggino di Forza Italia e armatore dello Stretto, per il quale finì nei guai l’ex ministro Claudio Scajola accusato di averne favorito il tentativo di fuga in Libano. Come Marcello Dell’Utri. Anche Matacena, del resto, è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, nel suo caso la ‘ndrangheta. Per un attimo ha tremato, quando l’Italia ha firmato il trattato di estradizione con gli Emirati Arabi.
Ma le manette possono attendere: il patto è ancora lì, in attesa da mesi di essere ratificato. Gli Stati arabi restano il paradiso di latitanti che hanno messo su ristoranti. Gente che può contare su amicizie nel centrosinistra come nel centrodestra.
A settembre il ministro Andrea Orlando è volato negli Emirati per firmare l’accordo. Con i soliti toni trionfalistici. Cosa è successo da allora? Niente, l’accordo non è ancora operativo, contrariamente a quanto promesso da Orlando. “Noi abbiamo fatto la nostra parte, ora tocca alla Farnesina”, rispondono al ministero della Giustizia. Ma se chiami gli Esteri, strabuzzano gli occhi: “Veramente a noi risulta che toccherebbe a loro”. Alla fine si trova una risposta: “La questione deve essere calendarizzata. Toccherà alla Farnesina portarla in Parlamento, ma si farà in tempi brevi”.
C’è una data? Macché. Intanto i latitanti dormono fra due guanciali. A Dubai ha trovato rifugio anche Samuele Landi, inseguito da ordini di arresto e due condanne non definitive a complessivi 15 anni legate al crac di Eutelia, la compagnia telefonica di cui era amministratore delegato. Il più noto però resta Matacena: “Faccio il maître in un ristorante”, ha raccontato l’ex parlamentare. Quale ristorante? Secondo gli investigatori potrebbe essere uno dei locali aperti da Andrea Nucera, re del mattone a Savona, un altro latitante a Dubai.
Tra i suoi clienti c’è anche un ambasciatore italiano. Cin cin, un brindisi alla giustizia. Difensore di Simona Musso, compagna di Nucera e anche lei latitante negli Emirati, è stato Franco Vazio (Pd), vicepresidente della commissione Giustizia della Camera che deve occuparsi della ratifica dell trattato.
“A novembre ho dismesso l’incarico”, assicura Vazio. Ma che dire di Enrico Nan, un passato da onorevole del centrodestra, poi passato a Futuro e Libertà e infine sfilatosi dalla politica? Nan è stato l’avvocato storico di Nucera. Non solo, era anche vicepresidente e consigliere di Carisa, gruppo Carige. Per i finanziamenti della banca ligure a Nucera (quando ormai si apriva la voragine di un crac da 400 milioni) a Savona è in corso un processo (Nan non è indagato).
E ancora: Nucera nel 2006 –quando non era ancora un latitante, ma un imprenditore riverito da tutta Savona, con tanto di aereo privato – vendette un appartamento in un suo palazzo, nella centrale piazza Diaz, a Federico Berruti, commercialista (nonché socio della moglie di Vazio) e soprattutto sindaco della città. Nello stesso palazzo comprò anche Luciano Pasquale, recordman delle poltrone: è stato presidente della Carisa, della Camera di Commercio, nonché direttore dell’Unione industriali di Savona.
Ma l’affare più incredibile lo fece con l’Agenzia delle entrate: nel 2010 – come ha scritto Mario Molinari sul sito Ninin – l’Agenzia delle Entrate siglò un contratto di sei anni (ancora in corso) con una società di Nucera per affittare un immobile di 2.090 metri quadrati da usare come uffici a Genova. Canone annuo 315 mila euro. All’epoca non era ancora latitante, ma già doveva allo Stato milioni di euro (in tutto sarebbero 100). Ammise in parte lui stesso in una lettera del 2011: “Ires anni 2008 e 2009 per euro 5.098.958,00 e Irap anni 2008 e 2009 per euro 1.304.440,00”.
Insomma, l’Agenzia creditrice per milioni pagava il canone all’imprenditore che le doveva una fortuna. “Se Nucera tornasse, potrebbe rispondere a domande sulle sue frequentazioni con politici, banchieri e magistrati che hanno fatto carriera”, sorride Christian Abbondanza della Casa della Legalità, “Forse, per evitare tanti mal di pancia, qualcuno preferisce che faccia il ristoratore”.
giovedì 4 febbraio 2016
Il pericoloso declino del ceto medio. - Carlo Carboni
Nella letteratura socioeconomica internazionale si è ormai diffuso lo scenario di declino/crisi dei ceti medi nel Primo Mondo: un bel guaio dato che, da Aristotele in poi, si è condivisa l’idea che «la comunità politica migliore è formata dai cittadini delle classi medie. Il declino e poi l’aperta crisi hanno conosciuto tempi diversi tra i paesi.
Negli Usa i mr. Smith sono già sottopressione dagli anni Novanta, tanto che Krugman, nel 2003, scrisse “Requiem per la gloriosa classe media”.
Cosa era successo? Fondamentalmente che le nuove tecnologie labour saving della new economy avevano iniziato a erodere non solo i posti e le retribuzioni dei blue collar workers, ma anche quelli dei white collars durante il take off della nuova economia.
Si trattava di classe medie inferiori, ma sempre ceto medio era.
Al contrario di mr. Smith, il sig. Rossi d'Europa ha conosciuto un processo che è andato più a rilento e ha iniziato a barcollare seriamente (dopo più di un decennio rispetto agli Usa) con la crisi economico finanziaria, con la riduzione dei privilegi per chi dispone di una solida attività lavorativa Gli arretramenti dei welfare e le politiche austere di bilancio, più che la computerizzazione traversale dei settori occupazionali, sono cause delle penalizzazioni subite dai ceti medi europei e, in particolare, dallo strato inferiore di lavoro dipendente e indipendente.
A esempio, in Italia il Sig Rossi ha visto diminuire l'occupazione dipendente, perdere e poi stagnare le retribuzioni e, infine, la pesante revisione delle pensioni. Anche il sig. Rossi microimprenditore (l'Italia ha un vasto ceto medio produttivo autonomo) è stato fortemente colpito dalla crisi dei consumi e del credito. A conti fatti, i ceti medi europei per ora hanno perso meno di quelli statunitensi, ma il futuro è più impervio visto il vantaggio tecnologico indiscusso degli Usa (occupazione in nuovi settori).
Il declino/crisi dei ceti medi procede pari passo non solo con l'automazione, con l'intelligenza artificiale o con la globalizzazione dei mercati del lavoro, ma anche con l'aumento delle disuguaglianze: più forte è la disuguaglianza, maggiore è la distanza tra upper middle class e la lower middle. Questo si è verificato negli States ben prima della crisi, a causa di un'intensa innovazione tecnologica (connessione e automazione) e un mercato del lavoro che risentiva del clima globale. In Europa la disuguaglianza ha invece conosciuto un aumento solo dal 2008: non ha solo ridotto di un 4-10% l'incidenza delle famiglie di ceto medio negli anni di crisi, ma ha rispecchiato dinamiche retributive stagnanti. In questo scenario, il crollo della percezione delle famiglie di appartenere ai ceti medi (meno 20-30%) dipinge uno stato d'animo peggiore di quel dovrebbe essere.
A dare pensiero, non c'è, dunque, solo la faglia della disuguaglianza socio-economica che spacca a metà i ceti medi, ma c'è anche una percezione di appartenenza - termometro dell'emotività sociale - che indica delusione. Ingannati nelle tradizionali speranze, i ceti medi di oggi hanno più difficoltà forse a sbarazzarsi del proprio glorioso fantasma che a risolvere il loro status di reale deprivazione. Quello che prima andava bene per quel lavoro routinario nella società tecnologica non va più bene: un guaio quasi esistenziale, irreversibile, che non puoi certo tamponare con gli 80 euro o con l'abolizione dell'IMU. Anche perché si aggiunge ad altri guai che il Sig. Rossi ha attraversato con il sistema creditizio prima nella veste di microimprenditore in sofferenza e, poi, come piccolo risparmiatore punito dalla privatizzazione del rischio bancario. Delusi dalla scuola e dall'università che a stento “fanno la differenza” sul mercato del lavoro per i propri figli, i ceti medi, soprattutto nell'Europa meridionale, si sono spinti fino a scaricare i loro umori in piccoli terremoti elettorali, dando nuova linfa all'astensione e all'indignazione, a un certo orientamento ambivalente che premia il radicalismo sia di esperienze come Podemos in Spagna e il M5S in Italia sia di partiti nazionalpopulisti.
Non c'è dubbio che, con la crisi, sia andata peggio agli strati già in precedenza a disagio o ai nuovi esclusi, i giovani. Sta di fatto che i ceti medi hanno le loro melanconiche sofferenze e le loro delusioni da deprivazione. Continuare a ingoiarle produrrebbe risentimento e comportamenti cinici. Sarebbe un guaio per tutti.
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-02-02/il-pericoloso-declino-ceto-medio-081908.shtml?uuid=AC5uytLC
Banca Etruria, 25 mila conti sospetti: l'ombra del riciclaggio. - Antonio Castro
Spuntano 25mila conti fantasma - e l' inquietante prospettiva di utilizzare la banca in difficoltà per favorire il riciclaggio - nella vicenda della Banca Etruria.
L' inchiesta conclusa nel dicembre 2014 degli ispettori della Banca d' Italia - come riporta Il Sole 24 Ore di ieri - spalanca nuovi scenari in una vicenda già complicata dove ora, all' ipotesi che la Procura di Arezzo possa aprire un' inchiesta per truffa aggravata, si aggiunge anche la possibilità che si proceda ad approfondire il «rischio riciclaggio», come suggeriscono nella relazione finale gli ispettori di Via Nazionale.
Gli 007 di Palazzo Koch nella relazione ispettiva finale del 2014 (che porterà nel febbraio 2015 proprio al commissariamento dell' istituto di credito toscano), scrivono chiaramente che «ci sono conti correnti con titolari incerti o inesistenti, o senza adeguate verifiche». Il verbale ispettivo fa i conti di questa "opacità" e mette nero su bianco che «a dicembre 2014 permangono ancora circa 25mila rapporti da regolarizzare (di cui 5mila conti correnti e 5mila dossier titoli), sui quali sono state effettuate, nel secondo semestre 2014, circa 1.200 forzature con 360 operazioni di importo superiore a mille euro».
La normativa sulle movimentazioni bancarie - proprio in chiave antiriciclaggio e antievasione - giusto negli anni precedenti (governo Monti), è diventata sempre più stringente. Le movimentazioni consistenti e sospette vengono monitorate costantemente, così come la risultanza anagrafica dei titolari e degli intestatari dei conti. Il problema è che secondo gli ispettori in BancEtruria se ne sarebbero infischiati. Tanto che le operazioni "sospette" saltano all' occhio e neppure gli ispettori riescono a capire da dove arrivino i contanti sul alcuni di questi 20mila conti fantasma. Sarà pure un certo lassismo di provincia, dove procedure e verifiche lasciano il passo alle conoscenze personali e di famiglia, però gli uomini di Visco scrivono chiaramente che «non sempre è corretto l' utilizzo della forma semplificata di verifica... anche l' individuazione del titolare effettivo presenta anomalie: a dicembre scorso i rapporti continuativi per i quali il titolare effettivo è stato dichiarato inesistente ammontano a più di 20mila; peraltro da un esame campionario su circa 700 posizioni è emerso che nel 20% dei casi tale condizione era errata».
Non proprio la migliore delle premesse per la famigerata trasparenza bancaria tanto ventilata quanto - nei fatti - poco attuata.
Che gli uomini di via Nazionale abbiano scovato ben 25mila conti fantasma in BancEtruria - e migliaia di operazioni sospette - fa sorgere il dubbio che qualcuno, allentando dall' interno la griglia dei controlli obbligatori, possa aver favorito l' ingresso di clienti non proprio immacolati al fine di racimolare capitali anche in ambienti non proprio raccomandabili.
Non sarebbe la prima (e certamente non sarà l' ultima), che associazioni malavitose scelgono un piccolo istituto di credito di provincia e fuori dai circuiti più alla ribalta, per sciacquare i soldi sporchi. Sembra un giallo di provincia ma il sospetto è legittimo, e robusto se ha attirato anche l' attenzione dell' Ispettivo di Bankitalia.
Certo tra il 2013 e il 2014 le cose in banca non vanno benissimo. Tanto che (con in pancia oltre 2 miliardi di crediti deteriorati e 8 miliardi in titoli di Stato per mascherare i problemi), la dirigenza della banca toscana decide di spendere e spandere per premiare i dipendenti che collocano più titoli e pagare consulenze. Per una banca già in difficoltà, con gli ispettori ormai di casa da anni, è un po' bizzarro che vengano deliberati (il 27 settembre 2013) premi ai dipendenti per oltre 2 milioni. Nella relazione ispettiva 2014 di Bankitalia si parla di «2,1 milioni di premi per il conseguimento di importanti traguardi». Di quali importanti traguardi non si parla.
Insomma, non c' è un collegamento diretto con vendita di obbligazioni subordinate allo sportello, che soprattutto «nell' ultima tranche furono emesse però proprio nel 2013», ricorda sempre il quotidiano di Confindustria.
È proprio per le «carenze di governo, gestione e controllo dei rischi e connessi riflessi sulla situazione patrimoniale» è la «politica di remunerazione e incentivazione nelle banche e nei gruppi bancari», che 15 ex membri dell' ultimo cda della banca aretina, presieduto da Lorenzo Rosi, potrebbero essere sanzionati. E tra tra questi c' è anche il vicepresidente Pierluigi Boschi, padre della ministra Maria Elena Boschi. Pierluigi Boschi già nel 2012 (come gli altri consiglieri) fu sanzionato con 144mila euro di multa. Ora - dopo aver assunto il ruolo di vicepresidente - Boschi padre rischia una seconda e forse più pesante sanzione che, secondo indiscrezioni, potrebbe ammontare per i 15 consiglieri a 2,5 milioni (come la prima comminata nel 2012).
LA PASSIONE DI RENZI PER I BANCHIERI.
GLI ESPERTI DI PALAZZO CHIGI HANNO LAVORATO DI FINO: NEL DECRETO LEGISLATIVO CHE HA INIZIATO L’ITER ALLA CAMERA ARRIVA IL CODICILLO CHE AZZERA LE MULTE PER I BANCHIERI CHE AGGIRANO LE NORME SU RISPARMI E INVESTIMENTI: DOVRANNO SOLO SCUSARSI IN PUBBLICO.
Nel primo provvedimento salva banchieri, che aveva come beneficiario d’eccezione Pier Luigi Boschi, erano state azzerate azioni e obbligazioni subordinate dei quattro istituti sull’orlo del crac: il via libera alla «rivalsa» è stato infatti vincolato all’ok di Bankitalia. Non proprio un cavillo né tantomeno un banale dettaglio procedurale…
L’ultimo favore del governo alle banche - anzi: in questo caso direttamente ai banchieri - è nascosto tra le pieghe di un decreto legislativo che ieri ha iniziato l’iter parlamentare, alla Camera. Poche righe micidiali, che di fatto sterilizzano le multe per chi aggira le norme su risparmi e investimenti: gli esperti di palazzo Chigi hanno lavorato di fino. Si tratta di una sorta di doppio scudo per i manager degli istituti: ampi poteri discrezionali a Consob e Banca d’Italia nell’accertare le responsabilità dei banchieri; sanzioni pecuniarie sostituite da sostanziali (e ridicole) scuse in pubblico.
Come se non fosse bastato il primo provvedimento salva banchieri, che aveva come beneficiario d’eccezione Pier Luigi Boschi, padre del ministro Maria Elena Boschi ed ex vicepresidente di PopEtruria, una delle quattro banche «risolte » col decreto del 22 novembre scorso. Proprio in quel provvedimento - lo stesso che ha azzerato azioni e obbligazioni subordinate dei quattro istituti sull’orlo del crac - era contenuta una limitazione all’azione dei creditori sociali contro gli ex manager: il via libera alla «rivalsa» è stato infatti vincolato all’ok di Bankitalia. Non proprio un cavillo né tantomeno un banale dettaglio procedurale. Ma tant’è.
A distanza di un paio di mesi, ecco un altro clamoroso blitz. Quasi a completare il cerchio e in qualche modo ad assicurare la massima protezione ai banchieri - o, nei casi peggiori, il danno minore - adesso arriva un colpo di spugna sulle multe.
Doppio, dicevamo. Il primo riguarda una serie di violazioni relative alle norme finanziarie e ai servizi di investimento: la norma del governo stabilisce che quando le violazioni sono «connotate da scorsa offensività o pericolosità e l’infrazione contestata sia cessata, Banca d’Italia o Consob, secondo le rispettive competenze, possono applicare, in alternativa alle sanzioni amministrative pecuniarie, una sanzione consistente nella dichiarazione pubblica avente a oggetto la violazione commessa e il soggetto responsabile».
Della serie: ti becco, ma la multa la straccio e se compri uno spazietto su un giornale, dichiarandoti responsabile, e chiedi in qualche modo scusa ai risparmiatori eventualmente traditi, la faccenda è chiusa. Il secondo scudo, come accennato, amplia il raggio d’azione di Consob e Bankitalia, cioè le due autorità competenti in campo finanziario.
La relazione spiega di che il decreto aggiunge «la valutazione dell’elemento soggettivo del trasgressore» e assegna «all’autorità di vigilanza» il compito» di apprezzare il grado della colpa».Nel dettaglio, il governo vuole che siano le authority a decidere se un banchiere che ha calpestato le regole - a esempio quelle sulla trasparenza,magari truffando migliaia di consumatori - abbia agito solo con colpa o anche con dolo, ipotesi più grave.
Una scelta, quella dell’esecutivo, che attribuisce un enorme prerogativa ai due enti guidati rispettivamente da Giuseppe Vegas e Ignazio Visco. Fatto sta che il decreto delegato prosegue il suo percorso: Camera e Senato devono pronunciarsi per il prescritto parere entro 60 giorni, poi il testo tornerà a palazzo Chigi per il semaforo verde definitivo. Il parere delle commissioni parlamentari non è vincolante, ma non tutti sono disposti a far passare questa norma in silenzio.
Il doppio scudo, in particolare, è finito sotto la lente di Alternativa Libera -Possibile,pronta a dare battaglia. «Anziché pensare a risolvere i problemi dei banchieri - denunciano i deputati Marco Baldassarre e Andrea Maestri - il governo pensi a inasprire le sanzioni contro chi non rispetta la legge e acceleri i risarcimenti in favore dei risparmiatori danneggiati dai fallimenti bancari». Chi saranno i primi a beneficiare dello scudo? Senza dubbio i vecchi amministratori di Banca Marche, Chieti, Carife e PopEtruria faranno esaminare con attenzione, ai loro avvocati, le carte del governo.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/passione-renzi-banchieri-esperti-palazzo-chigi-hanno-117806.htm
I soldi dei conti vip? All'ultimo... Banca Etruria, il terribile sospetto.
Perché poche settimane prima del decreto salvabanche molti conti correnti di Banca Etruria sono stati svuotati? Il sospetto dei magistrati, riporta il Corriere della Sera, è che qualcuno possa aver messo in allarme alcuni clienti vip che altrimenti avrebbero perso i propri risparmi e stanno quindi cercando di risalire all'identità dei titolari per verificare se siano stati in qualche modo favoriti.
Il sospetto è emerso dopo la relazione del commissario liquidatore Giuseppe Santoni che lunedì parlerà al tribunale di Arezzo. Si tratta del passo preliminare per ipotizzare il reato di bancarotta fraudolenta contro il presidente Lorenzo Rosi e i suoi vice Alfredo Berni e Pierluigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena, oltre ai componenti del Consiglio di amministrazione. Si legge: "La situazione di liquidità si presenta assai critica, atteso che secondo quanto emerge dalle informazioni dei commissari straordinari, le riserve liquide sono inadeguate, per effetto dei deflussi dei fondi che hanno interessato la banca. In particolare il saldo netto di liquidità alla data del 18 novembre scorso pari a 335 milioni, il 4,6 per cento del totale attivo, è diminuito di euro 288 milioni da inizio ottobre. La situazione è fortemente aggravata dall'elevato grado di concentrazione della raccolta, che espone la banca al rischio del ritiro dei depositi anche di singoli depositanti (i primi 16 clienti detengono circa il 16 per cento)".
mercoledì 3 febbraio 2016
I Boschi hanno venduto le proprie azioni prima del crac di Banca Etruria.
Le cifre le ha fornite a memoria, senza nemmeno leggere gli appunti che si era preparata la notte prima, la stessa Maria Elena Boschi il giorno in cui si è difesa alla Camera dalla mozione di sfiducia presentata su Bancopoli dal Movimento 5 stelle. «Come è noto», ha spiegato il ministro dei Rapporti con il Parlamento, «io posseggo, o sarebbe meglio dire possedevo, 1.557 azioni di Banca Etruria che ho acquistato. Mio padre possiede, o meglio possedeva, 7.550 azioni di Banca Etruria, mia madre 2.013, mio fratello Emanuele 1.847 e mio fratello Pierfrancesco 347».
Titoli schizzati a +60% dopo la decisione del governo di trasformare l’istituto in una Spa
In quel discorso – si legge su “Libero” – c’era di sicuro un passaggio non corrispondente alla verità: la legge non consentiva a nessun membro della famiglia Boschi di nascondere le informazioni su quelle azioni. Non perché familiari di un membro del governo (lì possono invocare la legge sulla privacy), ma perché componenti il nucleo familiare di un «soggetto che svolge funzioni di amministrazione, di controllo o di direzione in un emittente quotato». Quindi quelle azioni non avrebbe dovuto rivelarle la Boschi in aula solo una volta messa spalle al muro sullo scandalo. Ma era obbligatorio rendere pubblico ogni acquisto e ogni vendita compiuto fra il 2011 quando papà Boschi è entrato nel consiglio di amministrazione della Banca popolare dell’Etruria.
In 15 giorni il titolo dell’Etruria mise a segno un rialzo record del 68%
Il momento della vendita di quelle azioni non è indifferente, al di là del fatto che nessuno può essere diventato ricco con quello. Ma in quel periodo ci sono stati due rialzi extra dei titoli. Il primo in seguito alla presentazione di un’offerta pubblica di acquisto dell’Etruria ufficializzato dalla Banca popolare di Vicenza a un euro per azione. Fu proprio il cda di cui Boschi era vicepresidente a respingere quella proposta senza mai motivarne le ragioni, e senza convocare una assemblea degli azionisti per fare approvare la decisione. Il titolo crollò. Si è poi ripreso solo nella seconda metà di gennaio 2015 proprio grazie alle prime voci sul decreto Renzi che trasformava in società per azioni le banche popolari. In 15 giorni il titolo dell’Etruria mise a segno un rialzo record del 68%, doppio a quello registrato dalla migliore delle altre banche popolari coinvolte.
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