giovedì 30 luglio 2020

“Polemica assurda”. Così Arcuri punta a riaprire le scuole. - Virginia Della Sala

“Polemica assurda”. Così Arcuri punta a riaprire le scuole

Nega l’emergenza a settembre.

Attendere e vedere come va: poi, in caso, se ne riparla. Il commissario all’emergenza, Domenico Arcuri, insiste sulla correttezza della gara pubblica per la fornitura dei banchi monoposto per le scuole e, va detto, mostra anche un discreto ottimismo. Si vedrà tra un paio di giorni, poi, se sia tattico oppure se dipenda dal fatto che la soluzione esiste (magari dall’estero). O, ancora, si vedrà se sia ottimista perché, qualora la gara pubblica andasse deserta sul lato italiano, dimostrerebbe che i produttori nostrani non vogliono in realtà mettere a disposizione neanche i pezzi che hanno in deposito e quelli che avrebbero potuto produrre dall’avvio delle pratiche, magari consorziandosi come prevede il bando. Oggi, il commissario sarà in audizione alla Camera per parlare appunto dell’avvio dell’anno scolastico 2020/21 e delle misure “di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica nelle scuole”. E ci va nei giorni in cui è assediato dalle accuse dei produttori italiani di arredi scolastici che, come avete potuto leggere nel pezzo qui accanto, non sembrano essere intenzionati a partecipare alla gara.

Alle polemiche, racconta chi gli è vicino, risponde con quelli che ritiene fatti inconfutabili. “La scuola deve riaprire, per garantire distanziamento abbiamo previsto un bando di banchi monoposto”. Classifica le polemiche come “surreali”. Pur ammettendo che il bando superi di gran lunga la capacità produttiva nazionale, oggi spiegherà che è per questo che è stata bandita una gara europea, proprio per permettere anche ad aziende estere di partecipare. E se è vero che i tempi sono troppo stretti (“innegabile”) è anche vero che il Comitato Tecnico Scientifico ha deliberato a inizio luglio con le indicazioni sul distanziamento per gli alunni. Impossibile per la struttura commissariale sapere prima di cosa avrebbero avuto bisogno le scuole.

Arcuri non ama le polemiche. I dubbi, le osservazioni, le richieste di spiegazioni – come ha potuto notare chi lo segue sin dai suoi primi interventi nell’emergenza da Coronavirus – vengono spesso derubricati a mero scontro tra parole e fatti, tra polemizzare e lavorare. Il punto: il problema della scuola, ora, riguarda la disponibilità dei prodotti e su questo le aziende italiane potrebbero e dovrebbero cercare di dare il massimo. La distribuzione e lo smaltimento (a carico delle aziende), poi, rappresentano un passo successivo. E non si può escludere possa essere una fase supportata dallo Stato proprio come già avvenuto per la, seppur contestata, distribuzione dei dispositivi di protezione (anche se sarebbe utile ricevere qualche segnale a tal proposito) per i quali, oltretutto, sono state attivate nuove gare quando la richiesta non è stata soddisfatta. Per il commissario, comunque, l’atteggiamento verso la necessità di partecipare ai bisogni del Paese da parte delle aziende non sembra essere dei migliori. E dall’esterno la sensazione è che se i produttori dovessero decidere di non partecipare alla gara neanche per i pezzi che hanno a disposizione, per il governo sarà solo loro responsabilità.

Nell’attesa di sciogliere il nodo banchi, oggi Arcuri racconterà cosa invece è già stato fatto: ci saranno 11 milioni di mascherine al giorno distribuite in 43mila istituti, gel igienizzante, test sierologici gratuiti per il personale docente e non e test molecolari a campione sugli studenti. Ieri è stata poi firmata una ordinanza che permette al docente positivo al sierologico di contare come giorni di malattia quelli tra il sierologico e il tampone. La riapertura delle scuole si incontra, poi, con la necessità di prolungare lo stato d’emergenza al 15 ottobre sostenuto ieri dal premier Giuseppe Conte, tanto più se dovessero esserci questioni irrisolte, dal rafforzamento dei presidi sanitari al potenziamento dei braccialetti elettronici per il sovraffollamento delle carceri.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/07/29/polemica-assurda-cosi-arcuri-punta-a-riaprire-le-scuole/5883554/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-07-29

Gettoni in pieno lockdown. Indaga la Corte dei Conti. - Giacomo Salvini

Gettoni in pieno lockdown. Indaga la Corte dei conti

Consigli regionali. I bonus agli eletti anche durante l’emergenza Covid-19 nel mirino dei magistrati contabili. In Toscana una delibera inguaia Giani.

Non basterà la restituzione, ex post, dei rimborsi spese incassati dai consiglieri regionali di tutta Italia durante il lockdown, nonostante non dovessero spostarsi per andare in aula. Adesso, sulla questione anticipata sabato dal Fatto, si stanno muovendo i giudici contabili con l’ipotesi di danno erariale: in Friuli-Venezia Giulia la procuratrice della Corte dei Conti Tiziana Spedicato ha aperto un fascicolo sul “bonus trasferte” riscosso dai 49 consiglieri durante e da ieri un’inchiesta è stata avviata anche in Toscana. Nel mirino della procuratrice, Acheropita Rosaria Mondera, c’è la delibera dell’Ufficio di Presidenza del 25 maggio che, fissando le regole delle sedute telematiche, stabiliva che per i rimborsi forfettari dei consiglieri valessero le stesse regole delle sedute in presenza. Anche quelli relativi agli spostamenti verso Firenze, la sede del consiglio regionale. I giudici contabili stanno facendo tutti i conti per capire se si possa ipotizzare un danno erariale e individuare le relative responsabilità amministrative di quell’atto. Un fascicolo che potrebbe preoccupare non poco Eugenio Giani, candidato governatore del Pd alle prossime Regionali, e che da presidente del consiglio regionale quell’atto ha firmato. Lui sulla questione, è lapidario: “Era pienamente legittimo” spiega al Fatto.

Nel frattempo spunta un’altra delibera, successiva di un mese a quella del 25 marzo, che crea altri imbarazzi in Toscana. Non contento del primo atto, il 4 maggio l’Ufficio di presidenza stabilisce le modalità delle nuove sedute in presenza per la “fase 2” e conferma tutte le “disposizioni” di quelle via telematica già messe nero su bianco un mese prima. La delibera riguarda le quattro commissioni che, per rispettare le regole anti-Covid, si sarebbero riunite quasi tutte via Skype. Continuando quindi a incassare anche il “rimborso spese” anche se collegati da casa. Da inizio marzo ad oggi, i 40 consiglieri toscani si sono riuniti via computer 36 volte per partecipare a sedute di commissione per un totale di circa 3mila euro di “rimborsi chilometrici” per ogni seduta. Fino a luglio, le indennità dei consiglieri arrivavano a un totale di 229 mila euro su 2 milioni di stipendio totale. Ad agosto poi, quando il consiglio regionale chiuderà per ferie, come ogni anno i 40 rappresentanti continueranno a prendere un rimborso spese, nonostante la fine delle attività istituzionali: 40 mila euro che, per cinque anni di legislatura, portano il totale a 200 mila euro. Non pochi spiccioli. Intanto ieri, nella penultima seduta della legislatura, si è discusso del caso e tutti i consiglieri si sono dimostrati filantropi, ex post: molti hanno annunciato di aver già fatto donazioni con quei soldi ma Giani non ci sta e ha chiesto a tutti di restituire quei soldi entro 15 giorni. “In un momento in cui chiediamo sacrifici ai toscani, è stato inopportuno prendere quei rimborsi” ammette ora il candidato governatore dem. Il M5S, unico gruppo ad aver donato 85 mila euro, tramite la candidata Irene Galletti attacca: “Non basta, quei soldi vanno rendicontati”. La patata bollente passa al prossimo consiglio. Dopo le elezioni.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/07/29/gettoni-in-pieno-lockdown-indaga-la-corte-dei-conti/5883540/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-07-29#

mercoledì 29 luglio 2020

Bandito il futuro: solo l’indicativo presente è valido. - Antonio Padellaro

Andiamo Imparare l'italiano?: I Verbi - INDICATIVO

Aderisco alla proposta del collega Mario Giordano che vuole l’abolizione del futuro prossimo e anteriore, oltreché del gerundio, nelle dichiarazioni dei politici, soprattutto se di governo. Quelle per capirci del tipo: faremo (o stiamo facendo), serve, servirà, ci impegniamo a. Con tutte le forme verbali legate a promesse, auspici, impegni, assicurazioni. Divieto assoluto per “spero, promitto e iuro”, che infatti reggono l’infinito futuro. Mentre si raccomanda caldamente l’uso del tempo passato, in tutte le sue forme, e con la possibilità seduta stante di una verifica fattuale. Quindi non sarà sufficiente dire: abbiamo fatto questo o quello se non si potrà dimostrarlo tangibilmente.

Giordano, alfiere di un’opposizione di destra disorientata dai 209 miliardi ottenuti dal premier Giuseppe Conte a Bruxelles, prima di ammettere il successo del detestato avversario aspetta (giustamente) che tutti quei soldi vengano immessi, presto e con risultati positivi, nell’economia reale del Paese. E dunque vuole vedere cammello (anche se per convincerlo temiamo che di mammiferi gobbuti non gliene basterebbe un’intera mandria). Tuttavia non ha torto quando pone la questione della credibilità del linguaggio politico, di fatto ormai azzerato (dal consumo delle parole vuote) se non immediatamente riscontrabile nella realtà delle cose. È la ragione per cui Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno così fortemente osteggiato la sfilza di Dpcm targati Conte durante il lockdown: perché si rendevano conto di quanto fosse tremendamente efficace l’esercizio di governo senza mediazioni in una situazione eccezionale. E di quanto la popolarità del premier se ne giovasse, come infatti ne ha giovato. Adesso però l’accatastarsi di Stati Generali, commissioni bicamerali e comitati vari sul come meglio distribuire gli aiuti europei, se non rapidamente operativi rischia effettivamente di procrastinare all’anno del poi un’emergenza che non può certo attendere. Ecco perché, caro Mario, potremmo accontentarci di un governo che intanto comunica con l’indicativo presente: tempo che indica generalmente un’azione che si svolge, e si completa, al momento dell’enunciazione. O non ti basta?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/07/29/bandito-il-futuro-solo-lindicativo-presente-e-valido/5883560/

Vale tutto. - Marco Travaglio

Le voci dei commentatori di calcio - Dance Like Shaquille O'Neal

Ogni tanto mi diverto a scorrere i commenti sulla mia pagina Facebook e provo pena non tanto per le persone raziocinanti sopraffatte dai dementi che delirano sulle mie cause perse con l’Innominabile (mai perso una causa con lui), sui soldi che mi versa Casaleggio (che mi ha fatto causa), sui milioni che il Fatto incassa dallo Stato (mai un euro in 11 anni) e sul simpatico giochino del “Parlaci di Bibbiano” se scrivi di Salvini, “Parlaci di Salvini” se scrivi di Bibbiano, “Perché non critichi i 5Stelle?” se hai appena criticato i 5Stelle. Ma quello è un mondo a parte: il dessert della legge Basaglia e l’antipasto dell’Era del Mitomane prossima ventura. Il guaio è che ormai vale tutto anche sui media tradizionali. Su La7 si parla di Fontana e una poverina tira in ballo l’ex fidanzato di Casalino: come se un cameriere cubano (privato cittadino non indagato) che si fa fregare 18mila euro (soldi suoi) col trading online c’entrasse qualcosa col presidente di Regione (pubblico ufficiale indagato) che mente una dozzina di volte sull’appalto da 513mila euro (soldi nostri) senza gara alla ditta del cognato e della moglie, poi camuffato da donazione gratuita quando Report lo scoprì, gratuita mica tanto perché tentò di girare 250mila euro al cognato dai 5,3 milioni trasferiti dalle Bahamas su un conto svizzero. E, su Repubblica, scarica elegantemente le colpe su sua madre, ovviamente morta.

Sul Corriere il presidente di Confindustria Carlo Bonomi dà fiato alla bocca come nemmeno al bar: “Per il governo la fase 2 non è ancora iniziata” (se era per lui, manco la fase 1, visti i suoi ostruzionismi da presidente di Assolombarda contro la chiusura delle aziende mentre i lombardi morivano come le mosche); “mi aspettavo di vedere già scritto il Piano nazionale delle riforme” per il Recovery fund (tutti i Paesi Ue lo presenteranno a ottobre, ma lui deve pur dire qualcosa, visto che un mese fa chiedeva “un altro governo” perché questo non prende ordini da lui); “non potremo più confondere l’Europa con task force e stati generali” (dove parlò anche lui, tanto erano inutili); urgono le riforme di “burocrazia e fisco” (la prima appena fatta nel dl Semplificazioni, la seconda in cantiere da questa settimana); quanto al lavoro, “siamo alle solite” perché se ne occupa “un comitato” (pensa che le leggi si scrivano da sole, o che sia meglio fare come B. e l’Innominabile: Confindustria dettava e i governi scrivevano); “scostamento di bilancio da 25 miliardi per distribuire altre risorse a pioggia” (invece di regalarle tutte ai ricchi, si aiutano anche poveri e i disoccupati), anziché “eliminare” il blocco dei licenziamenti (giusto: mettiamo per strada milioni di persone come in America).

Del resto il giornale di Confindustria, il Sole 24 Ore, spara l’ennesimo allarme inesistente: “Scuola rischio caos per settembre” perché è “impossibile fornire 3 milioni di banchi” (come se oggi le scuole avessero zero banchi o il governo le obbligasse a cambiarli tutti). Intanto, non contenti di contar balle sulla condanna di B. facendo parlare un giudice morto che, da vivo, l’aveva firmata pagina per pagina, i giornali di destra se ne inventano un’altra: l’ex sindaco FI di Parma Pietro Vignali è stato “abbattuto dai giudici”, mentre era “pulito” come giglio di campo per sostituirlo col grillino Federico Pizzarotti, tant’è che “la sua posizione è stata archiviata dopo 10 anni” ed è stato “completamente riabilitato” (Giornale, Verità e Riformista, che confondono un’archiviazione-prescrizione per abuso d’ufficio col processo sulla Tangentopoli parmigiana che indusse la giunta Vignali a dimettersi nel 2011). Resta da spiegare come mai Vignali nel 2015 patteggiò 2 anni di carcere per peculato e corruzione, cioè per aver derubato il suo Comune, che infatti s’impegnò a risarcire con mezzo milione di euro: tipico caso di innocente che si crede colpevole.
Siccome vale tutto, si ascoltano squilibrati in Parlamento e a convegni No Covid che strillano alla dittatura per la proroga dello stato d’emergenza quando il virus è sotto controllo. Ma il virus è sotto controllo, almeno in Italia, proprio grazie alle misure adottate dello stato di emergenza. Eravamo già pronti ad assegnare il Cazzaro d’Oro a Salvini per il suo strepitoso “La mascherina non ce l’ho e non la indosso” (basta dire “non ce l’ho” o “non la indosso”, salvo spiegare come si potrebbe indossare una cosa che non si ha), per giunta pronunciato in Senato, cioè nel luogo dov’è stato approvato l’obbligo di mascherina nei luoghi chiusi senza distanziamento (con multe per i contravventori che però a Salvini, chissà perché, non vengono mai inflitte). Poi abbiamo scoperto che all’insigne consesso ha dato un imperdibile contributo il giudice emerito della Consulta Sabino Cassese, in arte Capannelle, con una perla di rara saggezza: “Non si può prorogare lo stato di emergenza perché l’emergenza non c’è più”. L’arzillo vegliardo dimentica che l’emergenza c’è molto più oggi di quando fu deciso lo stato d’emergenza: era il 31 gennaio e i contagiati erano appena 2 in tutt’Italia e i morti 0, mentre ora i positivi sono 12.609 (181 infetti e 10 morti solo ieri). E nel resto del mondo (anche in Paesi vicini come Spagna e Francia) oggi, non sei mesi fa, si registrano i picchi massimi di contagio, con rischi di focolai d’importazione. Quindi l’ambìto riconoscimento va all’emerito Capannelle: come nei Soliti ignoti, un bel baracchino di pasta e ceci.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/07/29/vale-tutto/5883531/

“Informai Fontana il 16 aprile” “I camici? Non servivano più”. - Davide Milosa

“Informai Fontana il 16 aprile” “I camici? Non servivano più”

L’inchiesta sul governatore. Le deposizioni L’assessore Cattaneo e il direttore di Aria Bongiovanni smentiscono il capo della Giunta.

Il 20 maggio scorso, Andrea Dini, patron della Dama Spa, con un’email avverte l’allora direttore generale di Aria che la fornitura di camici per l’emergenza Covid si fermerà a 49 mila invece dei 75 mila iniziali e sarà trasformata in donazione. Il dg della centrale acquisti della Regione Lombardia, Filippo Bongiovanni, prende atto e ringrazia.

Perché non fece presente a Dini la differenza di 26 mila camici ancora da consegnare secondo l’accordo siglato il 16 aprile? La domanda è stata posta dalla Procura al dirigente ed ex finanziere durante l’interrogatorio della scorsa settimana. Secondo quanto ricostruito dal Fatto, Bongiovanni ha spiegato ai pm che in quel momento – siamo ancora in piena emergenza – i camici non servivano più. Questa, secondo l’accusa, la spiegazione dell’ex dirigente oggi indagato per turbata libertà del contraente e frode in pubbliche forniture. Posizione curiosa visto che pubblicamente, più volte, la Regione ha spiegato in questi mesi di aver necessità di 3 milioni di camici al mese, circa 50 mila al giorno. I camici mancanti – hanno ricostruito i pm – saranno oggetto di un tentativo di vendita separata da parte di Dini a un’azienda del Varesotto a un prezzo di 9 euro, 3 in più rispetto all’offerta iniziale fatta ad Aria. La scelta di bloccare la fornitura a 49 mila camici fu poi dettata dall’intervento di Fontana, che chiese al cognato di rinunciare al compenso. Denaro che lo stesso governatore tenterà di risarcire con un bonifico di 250 mila euro da un suo conto svizzero. E proprio sui camici mancanti ieri sera la Guardia di finanza ha eseguito una perquisizione lampo alla sede della Dama dove sono stati trovati i camici e altro importante materiale probatorio.

Non è però solo questa l’unica incongruenza che emerge dalle indagini. Una seconda riguarda il periodo in cui il governatore, indagato solo per frode in pubbliche forniture, è venuto a conoscenza del rapporto commerciale tra Dama e Aria. Secondo Bongiovanni la notizia arrivò sul tavolo del capo segreteria Giulia Martinelli domenica 10 maggio, secondo Fontana, che ne ha parlato lunedì in Consiglio regionale, il 12 maggio ovvero il giorno prima dell’intervista fatta a Report. C’è però una terza versione ed è quella messa a verbale dall’assessore regionale all’Ambiente, Raffaele Cattaneo, sentito a sommarie informazioni e non indagato. Durante l’emergenza Covid, Cattaneo ha diretto la task force per gli approvvigionamenti di mascherine e altro. Ai pm, per quanto risulta al Fatto, spiega che informò Fontana di un possibile rapporto commerciale tra Dama e la Regione prima che la società di Andrea Dini sottoscrivesse il contratto retrodatando il tutto a metà aprile, cioè un mese prima rispetto alla versione di Fontana. Una ricostruzione involontariamente confermata dallo stesso presidente, quando in Consiglio ha spiegato: “Sapevo che Dama si era dichiarata disponibile a rendersi utile. L’assessore Cattaneo aveva interpellato Dama e altri imprenditori sul territorio disposti a dare una mano”. Nessuna delle altre aziende, spiega la Procura, ha fatto donazioni ad Aria, ma solo offerte. Del resto, in una lettera poco prima del 12 aprile, giorno di Pasqua, già pubblicata dal Fatto, lo stesso Dini invia a Bongiovanni l’offerta commerciale di 75mila camici per 513 mila euro. Qui Dini scrive: “Egregio dottor Bongiovanni, come da indicazioni del dottor Cattaneo le invio la nostra proposta”. Dopodiché chiude con un “Buona Pasqua”. Il contratto viene siglato il 16 aprile. Insomma ben poco torna nelle ricostruzioni del governatore Fontana. Incongruenze che, secondo la Procura, corroborano e chiudono il cerchio attorno alla vicenda-camici dove Fontana è accusato di frode in pubbliche forniture. Accusa legata al suo “ruolo attivo” nel far retrocedere il cognato Dini dal rapporto commerciale con la Regione per tutelare la sua immagine. Ciò provocherà una inadempienza nella fornitura.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/07/29/informai-fontana-il-16-aprile-i-camici-non-servivano-piu/5883534/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-07-29

Un’altra salvinata. - Tommaso Merlo



Il convegno negazionista sul coronavirus ha ribadito una certezza, con Salvini premier in Italia sarebbe finita davvero male. Al convegno hanno partecipato statisti e scienziati di fama internazionale tra cui Sgarbi, Siri e pure Bocelli. Davvero un panel di altissimo livello. Secondo gli illustri ospiti il virus è scomparso e loro non vogliono più indossare la mascherina perché gli dà fastidio. Quanto al lockdown fanno ancora i capricci talmente gli è rimasto sul gozzo. Tra i luminari presenti spicca Salvini ovviamente senza mascherina. La tesi dello statista padano è davvero arguta. “Il saluto col gomito è la fine della specie umana”. Sarebbe cioè la prevenzione ad essere letale. Anche sullo stato di emergenza Salvini non ha dubbi. La proroga la vuole solo quel liberticida di Conte per continuare a giocare al piccolo tiranno. Un convegno da film dell’orrore ma politicamente utile a ricordarci il pericolo scampato. Con Salvini premier avremmo fatto la fine degli Stati Uniti o del Brasile. 
Paesi in cui il coronavirus ha potuto scorrazzare liberamente causando una strage epocale di cui ancora non s’intravede la fine. Da quella parte dell’oceano avevano più tempo ed informazioni per reagire alla pandemia, ma sono finiti vittime del sovranismo. Con ducetti di cartone incapaci di abdicare alla scienza, incapaci di seguire l’esempio di altre nazioni, incapaci di smetterla di far propaganda e trastullarsi col proprio ego. 
Ma il sovranismo è culturalmente questo. Menefreghismo e arroganza che diventano coraggio. Provocazione e prepotenza che diventano forza. Egoismo che diventa un valore. 
Con l’arma della propaganda sempre puntata contro nemici creati per ogni occasione. Un assetto ottimo per lucrare sugli istinti peggiori e vincere le elezioni, un disastro per governare soprattutto crisi come quelle sanitarie che richiedono umiltà, prudenza, senso di responsabilità, cooperazione. La pandemia sta stroncando la carriera politica di Trump e Bolsonaro mentre Salvini è ammaccato ma ancora in pista perché fortunatamente per tutti era all’opposizione. Strada facendo Salvini ha perso però una marea di voti perché anche lui ha affrontato la pandemia in modo incosciente. Negando, minimizzando, lucrando. Eppure insiste. Imperterrito. Il solito dilemma di renziana memoria. O Salvini non vuole cambiare marcia per arroganza e cioè non vuole ammettere i propri errori e correggerli per non darla vinta a chissà chi. Oppure Salvini non riesce a cambiare marcia per il semplice fatto che un’altra marcia non ce l’ha. E cioè Salvini è quella roba lì ed è inutile aspettarsi altro. Dilemma complesso, di sicuro da quando la sua bolla si sta sgonfiando Salvini ha perso lucidità e sta piantando più salvinate del solito. Ma se sta precipitando è anche perché è cambiato il vento. I cittadini hanno avuto tempo e modo di conoscerlo meglio come uomo e come politico e di riflettere sul modello e sulle idee che propone. La pandemia ha certamente dato una mano a fare chiarezza come del resto i disastri compiuti dai suoi colleghi sovranisti in giro per il mondo. Quanto al prestigioso convegno negazionista è solo l’ultima salvinata che ci ricorda il pericolo scampato.

https://repubblicaeuropea.com/2020/07/28/unaltra-salvinata/

Fontana, si indaga in Svizzera per risalire ai soldi (del 1997). - Davide Milosa

Fontana, si indaga in Svizzera per risalire ai soldi (del 1997)

La Procura vuole riannodare il filo dei 5,3 milioni di euro di eredità “scudati” nel 2015 dopo vent’anni alle Bahamas.
L’inchiesta milanese sui camici prima venduti alla Regione dal cognato del governatore Attilio Fontana poi trasformati, su indicazione dello stesso, in un tentativo di donazione mai formalizzata e che vede indagato anche il presidente della Regione, ora vira sui soldi. La caccia è iniziata dopo la scoperta di un conto svizzero aperto presso la Ubs riferibile al governatore e dal quale Fontana ha tentato un bonifico (poi fallito) da 250mila euro in favore del cognato Andrea Dini e della società Dama Spa protagonista della vicenda dei camici. Obiettivo del bonifico, secondo i pm: risarcire il parente della fornitura non pagata. La Procura di Milano ha già intrapreso colloqui informali con le autorità svizzere e sta valutando una rogatoria per capire meglio il giro del denaro. Il quadro non è semplice, per questo è stato acquisito agli atti il fascicolo dell’Agenzia delle entrate al quale è allegata anche la voluntary disclosure con cui nel 2015 Fontana ha fatto emergere 5,3 milioni di euro ereditati dalla madre. Denaro dichiarato e oggi gestito dalla società milanese Unione fiduciaria che opera su un conto svizzero. Il denaro per quanto ricostruito dai pm era gestito fino allo “scudo fiscale” da un doppio trust aperto alle Bahamas. Un sistema societario e di schermatura nato tra il 1997 e il 2005 e riferibile alla madre di Fontana, ex dentista allora ultraottantenne. Fin dal 1997, così, Fontana, secondo la Procura, risulta beneficiario di quel conto poi appoggiato su uno strumento finanziario aperto in un paradiso fiscale.
Insomma la storia dei 75mila camici che Dama doveva fornire ad Aria, la centrale acquisiti della Regione, per 513mila euro mai pagati, sta diventando un giallo finanziario con al centro il governatore Fontana al momento accusato di frode in pubbliche forniture. Reato legato, secondo la Procura, non al denaro svizzero, ma al mancato adempimento della fornitura che, stando a una mail di Andrea Dini inviata il 20 maggio all’ex dg di Aria Filippo Bongiovanni (entrambi indagati per turbata libertà del contraente e di frode come Fontana), si è fermata a 49mila camici facendo mancare all’appello gli altri 26mila che Dini ha poi provato a vendere a una società della provincia di Varese a 9 euro (tre in più rispetto all’offerta fatta ad Aria). A dare il la all’indagine è però sempre il denaro. L’inchiesta parte, infatti, dopo una segnalazione sospetta della Banca d’Italia il 22 maggio. Tre giorni prima, il 19, Fontana chiede al cognato di trasformare la fornitura in donazione e fa richiesta alla Unione fiduciaria di fare il bonifico da 250mila alla Dama con la causale generica sulla fornitura camici ad Aria.
L’8 luglio i magistrati hanno acquisito il materiale detenuto dall’Unione fiduciaria. Da qui ripartiranno per riannodare il filo. Che inizia nel 1997 e prosegue con la creazione di due trust appoggiati alle Bahamas di cui lo stesso presidente risulta beneficiario ed erede dopo la morte del genitore. Del resto l’uso dei trust sembra una abitudine nella famiglia allargata di Fontana. La stessa Diva Spa che detiene il 90% della Dama è a sua volta controllata dalla Credit Suisse Servizi Fiduciari che amministra il Trust Diva e che ha attirato l’attenzione della Procura. Sul fronte fornitura camici si delinea meglio il reato contestato a Fontana e legato, secondo i pm, alla richiesta del presidente di trasformare quella fornitura in donazione per evitare danni di immagine. Sappiamo che la donazione mai è stata formalmente accettata dalla Regione e che soprattutto all’appello mancano 26mila camici. Fontana, ieri, in Consiglio regionale ha confermato di aver chiesto al cognato di passare alla donazione. Inoltre ha spiegato di essere venuto a conoscenza del contratto di Dama il 12 maggio. Circostanza che invece Bongiovanni retrodata al 10 maggio, una domenica, quando la notizia atterra sul tavolo del capo della segreteria del presidente Giulia Martinelli, ex compagna di Matteo Salvini.