lunedì 9 novembre 2020

Zaia&C. lasciano solo Salvini: basta guerra al governo. - Giacomo Salvini

 

Toni distensivi. E lui blinda Fontana.

Il primo a commentare, a dpcm appena sfornato, è stato Luca Zaia secondo cui “quello delle aree non è un gioco a premi”. E ancora: “Legittimo protestare, ma l’obiettivo è uscire dalla crisi tutti insieme” ha detto il “Doge” che ieri al Corriere ha cercato di riportare il conflitto Stato-regioni verso un “percorso condiviso”. Giovedì mattina quando l’agenzia di Zaia è finita tra le mani di Matteo Salvini, che nel frattempo arringava i suoi governatori e i suoi follower al “riconteggio” dei dati contro le zone rosse e arancioni, il leader del Carroccio ha scrollato le spalle: “Luca dice così solo perché ha la zona gialla e poi ormai fa quello che vuole”. Insomma, certo, dal “Doge” che rivendica autonomia a ogni piè sospinto e si presenta come il volto moderato del Carroccio, nessuno nell’inner circle di Salvini si aspettava che facesse il barricadiero contro Roma quando da Roma, per una volta, avevano deciso di differenziare le restrizioni assecondando le richieste federaliste. Epperò, nessuno si aspettava le prese di posizione distensive di altri governatori leghisti con cui Salvini si confronta tutti i giorni come se fossero il suo braccio armato nei rapporti con il governo.

E quindi, come i governatori repubblicani degli Stati Uniti che hanno criticato Trump perché non stava accettando il voto popolare, l’umbra Donatella Tesei si affretta a condividere le misure del nuovo dpcm (“sono come le nostre in Umbria”) e invita a “trovare un’unità di intenti evitando polemiche sterili”. Lo stesso il ligure Giovanni Toti, che pur non essendo iscritto alla Lega è molto vicino a Salvini: “Questo non è il momento delle polemiche, non è una partita politica” va dicendo e ieri ha spiegato che l’idea di dividere l’Italia per fasce è “giusta” dicendosi anche disponibile ad accettare un passaggio della Liguria da gialla ad arancione (“Stiamo affrontando un momento difficile”). E così anche il presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti che si è adeguato al “lockdown light” del governo senza dire una parola, Arno Kompatscher a Bolzano (della Svp ma sostenuto dalla Lega) che dichiara zona rossa in tutta la Provincia fino al friulano Massimiliano Fedriga secondo cui sì, Conte deve “coinvolgere di più le regioni”, ma “non vogliamo riversare le responsabilità su Roma, adesso serve equilibrio”. Non proprio toni in linea con quelli del segretario. “Sono tutte regioni gialle con esigenze diverse dalle rosse Lombardia, Piemonte e Calabria” si smorza dallo staff di Salvini. Ma in realtà alcune di queste – Liguria e Umbria in primis – da oggi potrebbero retrocedere ad arancione. E quindi i toni durissimi di Salvini, che hanno fatto sobbalzare molti nel Carroccio, si possono inquadrare con una strategia precisa: fare quadrato intorno al governatore lombardo Attilio Fontana e quindi a sé stesso.

Salvini in estate voleva il rimpasto di giunta e ora ha di fatto “commissariato” la coppia Fontana-Gallera che si interfaccia direttamente con lui o con il segretario regionale Paolo Grimoldi. E quale migliore occasione se non la “chiusura” della Lombardia per difendere il proprio governatore contro gli assalti interni ed esterni? Poi c’è il fronte che lo riguarda in prima persona: nella Lega raccontano che Salvini sia molto preoccupato dagli ultimi sondaggi. Venerdì secondo la supermedia Agi/Youtrend, la Lega ha perso un altro 0,6% in due settimane arrivando al 24%, il punto più basso del Carroccio dal 2018. Silenzio tombale anche sulla sconfitta di Trump. Da qui la strategia di alzare i toni. Anche a dispetto dei suoi governatori.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/09/zaiac-lasciano-solo-salvini-basta-guerra-al-governo/5996587/

Più sbagliano più incassano. Lo strapotere delle “big four”. I signori dei conti. - Nicola Borzì

 

I revisori contabili sono travolti dagli scandali in cui non hanno visto nulla, ma i ricavi aumentano. Finora solo mini sanzioni e zero controlli. L’Ue vuole una svolta.

Il finanziere Jim Chanos, che per le sue speculazioni al ribasso si è guadagnato il soprannome di “Darth Vader di Wall Street”, la chiama “la regola del tre”: “Se leggi tre volte il bilancio di una società e non riesci ancora a capire come fanno i loro soldi, di solito c’è un motivo”. Eppure anche chi per lavoro legge i bilanci centinaia di volte l’anno talvolta non vede da dove arrivano o dove finiscono i soldi. Negli scandali finanziari, come l’ultimo della tedesca Wirecard, sul banco degli imputati finiscono anche le società di revisione, chiamate per legge a controllare i conti. Nel mondo a fare da padrone in questo settore sono quattro “grandi sorelle”: Deloitte, PriceWaterhouseCoopers (PwC), Ey e Kpmg. Questi network mondiali controllano la stragrande parte del business e nell’ultimo esercizio, tra revisione e consulenza, hanno fatturato 157,58 miliardi di dollari, in crescita del 2,35% su base annua, dando lavoro a oltre un milione e 130mila dipendenti. Anche in Italia nell’ultimo esercizio la sola revisione ha fruttato alle “big four”, che controllano l’88% del mercato, ricavi per un miliardo. A questa attività si affianca – seppure formalmente distinta – la consulenza, con alti rischi di potenziali conflitti di interesse. Che spesso, per assurdo ma non troppo, finiscono per premiare proprio chi sbaglia di più.

Chanos vent’anni fa fu tra i pochi a scommettere sul crollo della Enron, all’epoca un gigante Usa del trading di energia apparentemente solidissimo, e guadagnò una fortuna quando questa il 2 dicembre 2001 implose in un gigantesco scandalo contabile. La Arthur Andersen, una delle “big five” della revisione dell’epoca, era il controllore di Enron e chiuse i battenti. “La Enron ha derubato la banca”, disse il deputato James Greenwood, ma “la Andersen le ha fornito l’auto per scappare e si è messa al volante”. Anche in Italia le società di revisione spesso “non hanno visto” i buchi delle società dalle quali sono pagate per asseverare i rendiconti. L’elenco degli scandali dell’ultimo ventennio è lunghissimo: solo per restare ai principali si comincia con Parmalat e si prosegue con Cirio, Giacomelli, FinPart, Italease, Finmatica, Finmek, Cerruti Finance, Olcese, La Veggia Finance, Mariella Burani Fashion Group, UniLand, Carige, Banca Etruria, Banca Marche, Carife, CariChieti, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Mps e Bio-On, per finire con la Popolare di Bari. Erano tutte dotate di revisori eppure sono finite in crac. Secondo Federconsumatori il conto dei collassi è costato un centinaio di miliardi a due milioni di risparmiatori.

Ma com’è possibile che così spesso i revisori non vedano le frodi e non avvisino per tempo le autorità? Un indizio arriva dai dati della Consob, che insieme al ministero dell’Economia è il controllore nazionale delle società di revisione. Secondo la Commissione, nel 2019 le società di revisione “hanno dichiarato l’impossibilità a esprimere un giudizio sui bilanci per otto emittenti quotati”: nel 2018 erano stati 7 ma nel 2013 ben 13. Sempre l’anno scorso “non hanno espresso giudizi negativi né con rilievi”, mentre era avvenuto in tre casi nel 2018 e in otto nel 2013. Infine, “i giudizi con richiami di informativa” espressi sui bilanci quando servono spiegazioni più dettagliate nel 2019 sono stati appena sei, ma erano 20 l’anno prima, 52 nel 2013 e addirittura 330 nel 1996. O le società quotate ormai scrivono bilanci perfetti oppure i revisori sono diventati miopi.

La risposta esatta pare la seconda. Tra il settembre 2014 e il febbraio scorso la Consob ha erogato sanzioni alle società di revisione in 9 dei maggiori scandali finanziari recenti per un totale di 2,64 milioni. Deloitte è stata multata per 280mila euro per non aver notate le falle nei bilanci di Carige e Carife. Kpmg ha dovuto sborsare un milione per non aver visto i derivati Santorini e Alexandria di Mps, i buchi dei conti della Popolare di Vicenza e le copie fantasma del Sole 24 Ore. PwC ha pagato 1,36 milioni per non aver intercettato i disastri di Banca Etruria, Banca Marche, Veneto Banca e Microspore. Le società di revisione hanno perso tutti i ricorsi in appello contro le multe, tranne Deloitte che ha ottenuto uno sconto da 300 a 200mila euro per la vicenda Carige. A fronte di danni rilevanti, però, quelli della Consob sono buffetti. Che diventano irrilevanti se si pensa che EY nell’ultimo esercizio noto ha incassato 314,8 milioni per la revisione che sono saliti a 650 con l’attività di consulenza, mentre per la sola revisione Kpmg ha incassato 242,8 milioni, PwC 224 e Deloitte 167,8.

Tra le autorità non si muove solo la Consob. A novembre 2017 l’Antitrust sanzionò per 23 milioni le “big four” svelando che avevano fatto cartello per spartirsi la gara bandita dalla Consip per il supporto alla pubblica amministrazione nelle gestione dei programmi cofinanziati dall’Unione Europea. Il 17 settembre il Consiglio di Stato ha definitivamente confermato le sanzioni (lo leggete a destra). Poi fioccano le cause per danni. L’avvocato Giuseppe Santoni che cura il fallimento di Banca Etruria ha portato in causa a Roma PwC chiedendo danni per 112 milioni. A Montebelluna 149 risparmiatori coinvolti nel crac di Veneto Banca hanno citato i revisori della PwC. Altri 121 ex azionisti della Popolare di Vicenza chiedono il conto a Kpmg.

Situazioni che non avvengono solo in Italia. Negli Stati Uniti, dopo Enron, ci son stati i casi WorldCom, Adelphia e Tyco. In Germania a giugno è esploso lo scandalo Wirecard, il gigante dei pagamenti digitali tedesco finito in bancarotta dopo la scoperta dell’ammanco di 1,9 miliardi di liquidità dai suoi conti bancari. Per anni analisti e stampa avevano segnalato incongruenze, ma non sono stati creduti. La società di revisione EY ha fatto spallucce, nonostante già nel 2016 un whistleblower avesse avvertito i vertici del network di controllo di trucchi contabili e tentativi di truffa. D’altronde per tre anni EY non aveva controllato i depositi bancari di Wirecard. Ma tanta miopia pare un ottimo biglietto da visita: nonostante lo scandalo nel 2021 per la prima volta EY avrà la revisione di 7 delle 30 principali società quotate tedesche.

Serve una riforma. Uno studio sulle ricadute di vigilanza dello scandalo Wirecard, richiesto dalla Commissione economia del Parlamento Europeo e realizzato a ottobre dall’ufficio studi dell’Europarlamento per mano di Beatriz Garcia Osma, Ana Gisbert e Begoña Navallas delle Università Carlo III e autonoma di Madrid, ha messo a nudo i problemi dei sistemi di controllo pubblico della Ue sui revisori basati sul Comitato degli organismi europei di controllo della revisione contabile (Ceaob) e sulla rete delle autorità nazionali. La ricerca scrive che il caso Wirecard suggerisce che il sistema di supervisione europeo delle società di revisione è “frammentato e complesso, ostacolato da un processo decisionale lento e da vincoli di risorse. Le competenze appaiono duplicate o delimitate in modo poco chiaro tra diversi organismi, creando lacune in cui le violazioni dei comportamenti o le frodi possono passare inosservate”. Secondo l’indagine, “c’è poca chiarezza su chi dovrebbe guidare i controlli, sulla condivisione delle informazioni e sul coordinamento della vigilanza tra gli organi competenti”. Pare di leggere Barbaglio d’Argento, il giallo scritto nel 1892 da Arthur Conan Doyle: Sherlock Holmes risolve un caso a partire dallo “strano incidente del cane” che, pur essendo di guardia, non ha abbaiato. Perché conosceva sin troppo bene il colpevole.

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Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio



Poro Joe. “#JoeBiden 46° Presidente degli Stati Uniti! Si apre una nuova pagina per gli Stati Uniti e per il mondo. Coesione, non lacerazione. Integrazione, non razzismo. Solidarietà, non egoismo. Multilateralismo, non arrogante solitudine. Con lui i democratici di tutto il mondo” (Piero Fassino, deputato Pd, Twitter, 7.11). Mi sa che questo dura meno di papa Luciani.

Poveretto, come s’offre. “Fratello Bergoglio, camminiamo insieme” (Fausto Bertinotti, Riformista, 7.11). Pronta la replica del Santo Padre: ho già tanti cazzi, come se avessi accettato, magari un’altra volta.

Labirintite. “Prima di linciare il governo, guardiamoci intorno e osserviamo cosa succede in mezzo mondo… Tutto sommato siamo più efficienti…. Conte va ringraziato per aver adottato misure fastidiose, liberticide, che però hanno salvato la pelle a tanta gente” (Vittorio Feltri, Libero, 8.10). “Giuseppe Conte è peggiore di Mussolini” (Vittorio Feltri, Libero, 6.11). Lui è così, va a mesi alterni. A dicembre dirà che Conte è meglio di Dio.

Ora et labora. “Maria Elena è una persona molto dolce, e mi ha colpito tantissimo la sua umanità. La prima sera in cui si è fermata a dormire da me mi ha chiesto di fare una preghiera per tutte le persone che in quel momento stavano soffrendo: me lo ha chiesto col cuore” (Giulio Berruti, fidanzato della senatrice Boschi, intervista a Verissimo, 31.10). Lei pensa sempre ai risparmiatori di Etruria.

Il Cazzaro Giallo. “I laburisti sono incoerenti, vogliono danneggiare il Paese con un lockdown nazionale di settimane” (Boris Johnson, premier conservatore britannico, 22.10). “Lockdown nazionale per quattro settimane” (Boris Johnson, 31.10). Non so a voi, ma a me ricorda qualcuno.

Il giureconsulto. “Signor Presidente, lei ha detto che il diritto alla salute è preliminare su tutti gli altri diritti costituzionali. Ma come si permette? I diritti costituzionali sono tutti importanti alla stessa maniera e, se per caso i numeri qualcosa contano, il diritto alla salute è al numero 32, il diritto al lavoro invece è al numero 4” (Claudio Borghi, deputato Lega, nell’aula della Camera, 2.11). Confonde la Costituzione con la Hit Parade.

Chi va con lo zoppo. “Accusa choc per l’avvocato Longo: ‘Violenza su una minorenne’” (Corriere della sera, 5.11). Mancava giusto lui.

Orologeria senza orologio/1. “Senza l’indagine su Open avremmo avuto il 10%, siamo stati danneggiati” (Matteo Renzi, senatore e leader Iv, 7.11). A me m’ha bloccato ‘a malattia.

Orologeria senza orologio/2. “Il tempismo politico delle toghe. L’‘avviso’ a Renzi alla vigilia di un vertice di maggioranza importante. Gennaro Migliore: ‘C’è un tentativo di condizionarci. Colpisce la puntualità…’” (Augusto Minzolini, il Giornale, 8.11). Al vertice di maggioranza si stavano scordando di invitarli. Poi è arrivato l’avviso di garanzia e si sono ricordati di Italia Viva.

Peggiore. “Il Fatto, noto quotidiano di satira…” (Gennaro Migliore, deputato ex Sel, poi Pd, ora Iv, Facebook, 3.11). Infatti ogni giorno ci serve un capocomico. E lui, modestamente, lo nacque.

Punt e Mes. “Cara Italia, è tempo di Mes” (Paolo Gentiloni, commissario Ue agli Affari economici, Il Foglio, 5.11). Mo’ me lo segno.

Parole sante. “Mai un governo di unità nazionale” (Claudio Durigon, deputato Lega, la Verità, 2.11). Grazie di cuore. Bacioni.

Love love love. “Virus cinese e odio dei Dem hanno fatto perdere Trump” (Antonio Socci, Libero, 8.11). Lui, sempre così amorevole con tutti.

Bertolesso/1. “Che facciano una fiction: prendano una famiglia con il Covid e facciano ogni giorno una bella soap opera per far vedere come ci si comporta in quelle condizioni” (Guido Bertolaso, Omnibus, La7, 31.10). Un posto al Covid.

Bertolesso/2. “Arcuri vive in un altro fuso orario” (Bertolaso, la Verità, 2.11). Quello dell’Aquila, della Maddalena o del Salaria Sport Village?

La Palamarata. “Adesso studio in che modo riformare davvero la giustizia” (Luca Palamara, ex pm radiato dalla magistratura, Libero, 4.11). Ecco, bravo, poi facci sapere.

Il titolo della settimana/1. “Conte, c’è un indecisionista alla guida: fatelo scendere” (Maurizio Belpietro, la Verità, 3.11). Ma non era un dittatore?

Il titolo della settimana/2. “Il costituzionalista: ‘Meno reati o il processo muore’” (Il Dubbio, 7.11). Bisogna assolutamente parlarne con i delinquenti.

Il titolo della settimana/3. “Capodanno ai Fori. E Spelacchio cerca uno sponsor” (Repubblica, 5.11). Se ne sentiva giusto la mancanza.

Il titolo della settimana/4. “’Non ci riapriranno più’. Un capo di gabinetto rivela a Libero i piani del premier” (Libero, 8.11). Questo dev’essere rimasto chiuso nel cesso.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/09/ma-mi-faccia-il-piacere-209/5996584/ 

“Scaricabarile, teoria e prassi Gli italiani, perfetti misirizzi”. - Antonello Caporale

 

Teoria e pratica dello scaricabarile. “È una forma profonda del nostro carattere. Noi siamo un popolo di misirizzi, il balocco che bascula, oscilla ma non cade perché ci troviamo sempre dall’altra parte della colpa. Lo scaricabarile è la nostra quintessenza, la radice, il genoma”.

Lei, professor Niola, ha scritto che l’italiano è il popolo della terza persona.

È sempre l’altro a dover fare, spiegare, e la responsabilità è sempre del precedente governo, e poi ancora di quello prima, e poi prima e prima ancora. Un modo perfetto per disconoscere, dimenticare, nascondersi, basculare dentro la nuvola dell’indeterminatezza. Il misirizzi perfetto.

Esiste una secrezione naturale delle responsabilità. La nostra società e la nostra burocrazia è costruita in modo che a nessuno venga mai in mente di associare il volto a un impegno, men che mai a una disfatta.

Esistono collettori prodigiosi di responsabilità. Se qualcosa va storto c’è sempre un presidio, naturalmente impersonale, che ha ostruito la nostra volontà. Una soprintendenza, o il sindacato, o i vigili urbani. Qualcuno – se non al di sopra – sicuramente al di fuori di noi. Lo scaricabarile diviene il passaggio essenziale per sopravvivere e continuare a patteggiare con la realtà.

Siamo come quegli studenti che si presentano impreparati all’interrogazione e poi si dolgono del quattro.

Esattissimo. L’insegnante, al pari dell’arbitro di calcio, è il perfetto parafulmine. Con questa aggravante: se negli anni passati i figli – nel ruolo di studenti caproni – non riuscivano a trovare sponda in famiglia, perché i genitori per principio assolvevano il maestro, oggi invece non c’è più barriera. Spesso la famiglia si coalizza e il colpevole è colui che dà i voti cattivi non il figlio impreparato.

Ci sono esempi limpidi di scaricabarile. Il presidente della Lombardia Fontana che con diecimila infettati al giorno accusa il governo di aver schiaffeggiato l’onore lombardo.

Poi le dirò sull’uomo d’onore. È il presidente Fontana ad aver assestato uno schiaffo alla sua Lombardia per non aver saputo gestire al meglio una crisi comunque difficile. Però è certo che la Lombardia l’ha eletto con convinzione ed egli la rappresenta molto fedelmente. Oggi più che mai la classe politica è lo specchio integro della sequela di vizi della società civile (che infatti oggi non chiamiamo più così).

I napoletani ce l’hanno col governo per l’esatto opposto: avrebbero preferito la zona rossa.

Potevano bussare alla regione Campania, no? Oppure potevano comportarsi con più rigore per evitare questa disfatta. Sa che i quartieri a più alta incidenza di positivi sono quelli dove vive la borghesia napoletana? Chiaia e Posillipo. Una borghesia che non sa essere classe dirigente, che fa strame di regole e invoca l’altro. Lo invoca mostrandosi sorda a ogni responsabilità. Costoro compongono il più fenomenale quadro del tipico uomo d’onore.

Ah, l’onore italiano.

L’onore è tenuto alto solo in famiglia. Appena fuori l’uscio di casa esso assume i caratteri della devianza. Siamo il popolo dell’onore familistico, e siamo il popolo dell’indulgenza. Nessuna colpa è assunta, nessuna responsabilità pagata. Tutto patteggiato, perdonato, condonato. I protestanti sono nati come reazione alla società dell’indulgenza: l’individuo risponde in solitudine e pienamente dei propri atti.

Nonostante i nostri vizi e le collusioni, spesso ci indigniamo.

L’indignazione dura il tempo della fiammella di un cerino. La smemoratezza è un effetto collaterale del nostro essere misirizzi.

Non ci salveremo.

Ci salveremo, ma pagando un pegno più alto del necessario. Facciamo spesso il paragone con i tedeschi: con la loro efficienza e organizzazione. Se ci pensa la nostra considerazione non muove dalla volontà di emularli ma solo dalla scelta di autodenigrarci pur di assolverci. Non saremo mai come loro, non lo possiamo essere. E qui torniamo al punto di partenza.

Moriremo misirizzi.

Basculando di qua e di là.

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domenica 8 novembre 2020

Cosa resta dell’America dopo la caduta di Trump. - Furio Colombo

 

Donald Trump, un uomo ricco e senza reputazione, nelle elezioni presidenziali del 2016 si è messo alla testa dei repubblicani, con un linguaggio folle e un comportamento talmente volgare da attrarre di colpo una forte attenzione. Da allora quei repubblicani si sono rapidamente trasformati, come in una strana fiaba, da conservatori rigorosi, preoccupati della protezione della ricchezza e dunque duri con i nemici ma aperti ai buoni accordi col mondo, in un vasto corteo di gente in cerca di decisioni assolute, qui, adesso, in America, senza perdere tempo a cercare amici, portando in dono ossessioni e false credenze.

Primi sono arrivati i portatori di ossessioni che sembrano religiose (aborto, gay, gender). Ma è gente che, se necessario, uccide. Molti medici sono stati uccisi perché ginecologi laici. Arrivano subito i fondamentalisti di diversi cristianesimi che vogliono scuole senza Storia e senza Scienza, fondate su una loro interpretazione della Bibbia. Si arruolano frammenti di un oscuro e sommerso pensiero americano, come i QAnon, dediti alla invenzione di complotti, i Wolverine Watchmen, che secondo l’Fbi stavano preparando il rapimento della governatrice del Michigan, i ProudBoys, che Trump stesso ha citato, raccomandando loro di “tenersi pronti e restare in attesa” durante il primo dibattito con Biden. Intanto erano già entrate nel corteo di Trump due grandi forze delle rivolte popolari apparentemente improvvisate: il negazionismo – che è un rigetto violento della cultura e dell’informazione e adesso ha come nemico la pandemia che “non esiste” – e il vasto schieramento del razzismo.

Il ginocchio del poliziotto sul collo del cittadino George Floyd, condannato a morte perché nero su un marciapiede di Minneapolis, resterà il simbolo delle elezioni americane del 2020. Mossa atroce e ben calcolata. I neri infatti si sono ribellati (Black Lives Matter) e la televisione poteva filmare afroamericani armati nelle strade d’America. Ci sono certo state persone prudenti che hanno deciso di non votare contro Trump, che, in circostanze difficili, è uno forte e sa intervenire. Nonostante ciò i democratici forse hanno vinto, contro la violenza aggressiva e la misteriosa malattia del presidente, curato solo da medici militari e salvato da una guarigione istantanea, come se il Walter Reed Hospital di Washington fosse Lourdes. Certo, nel progressivo affermarsi del partito democratico nel corso dello spoglio elettorale, la folla di Trump ha cominciato a sentire un odore per lei disgustoso di normalità: le frontiere con il Messico non erano più per gli Usa un pericolo così grave da rendere necessario l’invio di truppe e la crudeltà di strappare i bambini alle madri che tentavano di passare il confine. Certo, fuori della bottega di Trump piena di atomiche, c’era il resto del mondo, e la possibilità di tentare di ristabilire rispettosi legami.

Pensate come cambiano i rapporti se nel grande Paese che ha sconfitto il fascismo – il Paese di Roosevelt, di Kennedy, di Martin Luther King, di Barack Obama – viene rimossa la targa “Make America great again”, che identifica un Paese avaro, isolato, circondato di dazi, amico di Putin, con il debito nelle mani dei cinesi e neppure un sospetto che esistano l’Africa e l’America Latina. O anche solo l’Unione europea.

L’invenzione di Trump è stata quella di scatenare e tenere vivo un continuo scontro con il buon senso e la normalità psichica (“Ma lei non è lo zio matto, lei è il presidente degli Stati Uniti”, gli ha gridato una intervistatrice coraggiosa), mantenendo vivo il divertimento della sua folla. L’errore dei democratici è stato di comportarsi come se Trump fosse davvero il presidente degli Stati Uniti e non una persona fuori equilibrio, chiedendo troppo tardi una verifica dello stato mentale dell’uomo che stava recando danni irreversibili all’America. Nonostante la guarigione miracolosa, il Coronavirus è stato la buccia di banana su cui è scivolato il mago asserragliato nella Casa Bianca. Ha fallito nel negare l’epidemia, i suoi malati, le sue terapie intensive, i suoi morti. Ha fallito nel tentare di passare oltre. Lo ha scosso e spaventato la perdita del controllo divertito e assoluto di cui ha goduto. I democratici hanno vinto bene (senza perdere dignità) e hanno vinto male (non erano a fianco dei neri colpiti e non hanno fatto nulla per impedire le squadre armate e ricordare l’insegnamento di Luther King: “La nonviolenza è la strada”). E per questo ci saranno ben pochi neri proprio nel Parlamento per cui hanno rischiato. Biden, quando avrà vinto, governerà un Paese di macerie morali e istituzionali. Ma lascerà un segno per i futuri bambini delle scuole americane: da uomo inerme, con un partito malconcio, con le sue brevi corse al microfono dei “rallies” ha dato lo spintone a Trump.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/08/cosa-resta-dellamerica-dopo-la-caduta-di-trump/5995956/

Un fenomeno chiamato Zen De Baikal. - Marilena Loparco

 

Un fenomeno chiamato Zen De Baikal ...
Sulla superficie ghiacciata del Lago Baikal in Siberia, raffiche di vento portano pietre. Durante il giorno, il sole riscalda la parte superiore e i bordi della pietra. Il calore riflesso scioglie il ghiaccio formando una conca tutt'intorno alla pietra, tranne la parte inferiore che è sempre in ombra. La pietra poggia quindi in equilibrio su una sorta di piedistallo di ghiaccio.

Renzi ora accusa i pm “da ribalta” Poi ricatta Conte: “Senza noi è ko”. - Wanda Marra

 

L’inchiesta Open è “un assurdo giuridico” , ha creato “un danno pazzesco” a Italia Viva. Che è “decisiva” per la durata del governo e della legislatura. Appare in diretta Facebook poco dopo le 15 Matteo Renzi, da una terrazza di Roma, per la terza assemblea del partito che ha fondato un anno fa, convocata via Zoom (in streaming va solo il suo intervento, il resto è chiuso al pubblico). Assemblea convocata da tempo e non rimandata dopo che l’ex premier ha saputo di essere indagato, insieme a Maria Elena Boschi e a Luca Lotti per finanziamento illecito ai partiti in relazione ai fondi gestiti appunto da Open, la fondazione che organizzava la Leopolda.

L’appuntamento di ieri diventa un “One man show”. Del fu Giglio Magico, Lotti è restato nel Pd, Boschi non interviene. Renzi parte dalle elezioni americane e dal vincitore, Joe Biden: “Ho avuto la fortuna e la possibilità di incontrarlo in più di un’occasione”, dice. Tanto da ricevere il racconto sul pizzaiolo del Delaware che lo accompagnava durante le sue prime campagne elettorali. Su Open sceglie la teoria del complotto. “Un anno fa stavamo puntando al 10% nei sondaggi e avevamo centinaia di migliaia di euro di finanziamento”. E poi? “Un pm di Firenze manda 300 finanzieri a casa di 50 persone per bene per chiedere se hanno contribuito alla Leopolda o alla fondazione Open: e certo che hanno contribuito, tutto alla luce del sole. Quella vicenda ci ha causato un danno pazzesco”. Il riferimento è alle perquisizioni della Guardia di Finanza del novembre 2019. Si tratta della stessa linea difensiva scelta in Senato, lo scorso dicembre, quando Renzi citò Aldo Moro e Bettino Craxi per sostenere che la magistratura aveva fatto un’invasione di campo, volendo decidere “cosa è un partito e cosa no”. Un anno dopo sembra passata un’era geologica e non solo per il Covid che ha cambiato il panorama mondiale. Iv si è dimostrata un’operazione fallimentare, il suo leader non può giocarsi molto altro che la carta del ricatto nei confronti del governo. Le parole sull’inchiesta sono meno fiammeggianti di allora. E peraltro si fanno forza con quanto stabilito dalla Cassazione, che a fine settembre aveva accolto il ricorso di Marco Carrai (già indagato) contro il sequestro di documenti e pc.

Dice Renzi: “Ci sono dei magistrati a cui la ribalta mediatica piace più che il giudizio di merito. La Corte di Cassazione, nel giudicare il sequestro preventivo fatto quella mattina di novembre, ha totalmente annullato il provvedimento, dando anche un chiaro segnale ai pm dell’accusa”. Insomma, “mi sarei aspettato una lettera di scuse e invece è arrivato un avviso di garanzia, che mi riguarda”. Poi annuncia una specie di dream team per la difesa di ciascun indagato: “La professoressa Severino per Maria Elena Boschi, il professor Coppi per Luca Lotti, il professor Di Noia per il dottor Carrai e il professor Caiazza per il sottoscritto”.

Ma è in realtà la parte politica del suo intervento quella a cui l’ex premier tiene di più. Con relativo avvertimento a Conte: “Iv c’è, decisiva in Parlamento, decisiva per la tenuta di questa legislatura, perché senza di noi non c’è maggioranza”.

E allora, “se sui temi c’è accordo la maggioranza va avanti fino al 2023, e potrà eleggere un presidente della Repubblica non sovranista”. Renzi si fa forte dei numeri in Senato e del tavolo politico che si è aperto giovedì, per il quale avverte che non c’è un tempo illimitato: fino a fine mese. Chiede un contratto di governo alla tedesca. Non a caso a puntellare le sue parole manda una scena di Gigi Proietti che scorre le pagine di un contratto, con il refrain “Qui te s’inculano. Qui ce l’inculamo”. Messaggi non esattamente sottili. Dopo di lui intervengono solo fedelissimi, che esprimono solidarietà a lui, alla Boschi e pure a Lotti. Ettore Rosato, i ministri Teresa Bellanova, Elena Bonetti. E i parlamentari Mattia Mor, Lisa Noja, Luciano Nobili. Tra deputati e senatori in molti aspettavano l’incontro di ieri per porre qualche problema politico. Ma la notizia dell’avviso di garanzia mette il silenziatore al dissenso. “Complotti” che funzionano al contrario.

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