Il report dell'Esma: la stragrande maggioranza delle azioni e specialmente delle obbligazioni quotate sui mercati europei non registrano scambi. E i rischi sono in mano a chi detiene i titoli.
Sui mercati finanziari, l’illiquidità è una delle peggiori trappole per gli investitori e i risparmiatori. Se un titolo non viene scambiato, perché non è quotato oppure perché domanda e offerta non sono sufficienti o i loro prezzi sono talmente distanti da non riuscire a incontrarsi, il rischio di quell’azione o di quell’obbligazione, come anche di tutti gli strumenti costruiti su di esse, resta saldamente ancorato nei portafogli dei detentori. Ne sanno qualcosa i risparmiatori italiani che negli anni scorsi sono rimasti “incastrati” nei crac della Popolare di Vicenza, di Veneto Banca, della Popolare di Bari e di molte altre società, senza riuscire più a liberarsi dei loro titoli. Non a caso le autorità pubbliche di controllo sui mercati finanziari, come l’italiana Consob, hanno emesso regole specifiche per gli strumenti illiquidi. Ma le norme spesso non bastano. L’Esma, l’Associazione europea delle autorità di controllo finanziario, nei giorni scorsi ha lanciato un allarme contenuto nel suo primo rapporto annuale sui mercati finanziari del Vecchio Continente: la stragrande maggioranza delle azioni e specialmente delle obbligazioni scambiate sui mercati europei sono illiquidi. L’enorme volume delle transazioni si concentra su un numero ridottissimo di strumenti finanziari.
Il 18 novembre Esma ha reso noti i dati su tutte le operazioni realizzate in Europa su 430 mercati regolati (135 Borse, 223 sistemi di scambi online, 72 sistemi organizzati) e 216 internalizzatori sistematici, i software usati da società finanziarie per realizzare scambi “interni”. Il volume degli scambi finanziari realizzati l’anno scorso è stato enorme: il valore ha raggiunto i 27mila miliardi sul mercato azionario, nel quale vengono trattati 28mila titoli, il 75% dei quali azioni e un altro 20% sotto forma di Etf (fondi comuni passivi) e addirittura i 101mila miliardi sul mercato obbligazionario. Ma queste cifre non devono trarre in inganno.
Come segnala la stessa Esma, su 28mila titoli azionari solo 2.105, appena il 7% del totale, erano considerati liquidi. Si trattava di 1.356 azioni e 732 Etf. Il 90% delle azioni liquide era stato emesso da società grandi o medio-grandi, appartenenti principalmente al settore finanziario (il 23% del totale delle azioni liquide) e a quello dei beni di consumo (il 22% delle azioni liquide). Il numero dei titoli liquidi era sì cresciuto del 24% rispetto al 2018, ma rappresentava ancora una minoranza ridottissima.
Ma la situazione è ancora peggiore sul mercato obbligazionario. Tra i 173.656 bond disponibili a investitori e risparmiatori, dei quali 53% corporate e 5% sovrani, nonostante il dato sia triplicato rispetto al 2018, a fine 2019 solo 595 erano liquidi: si trattava di un invisibile 0,3% del totale. Delle 595 obbligazioni considerate liquide, il 61% erano titoli di Stato e appena il 19% obbligazioni societarie (corporate bond). Una simulazione utilizzata per valutare la liquidità delle obbligazioni ha rivelato che il ridottissimo numero di obbligazioni liquide rispetto all’enorme mole di quelle disponibili è frutto, almeno in parte, dalla scarsa frequenza di negoziazione degli strumenti obbligazionari.
Alcune analisi contenute nel rapporto contraddicono molte pretese certezze. Ad esempio, è emerso che la liquidità sul mercato secondario è stata inferiore per gli Etf azionari rispetto a quella delle singole azioni: solo il 52% degli Etf disponibili è stato negoziato almeno una volta al mese rispetto al 64% delle azioni. La maggiore liquidità delle azioni sul mercato secondario si riflette anche nel numero di strumenti non negoziati. In media, ogni mese il 20% delle azioni disponibili per la negoziazione non è stato scambiato, un dato che è rimasto stabile durante tutto l’anno. Invece la percentuale di Etf non negoziati su base mensile varia dal 30% di gennaio al 35% di dicembre.
Quanto al settore obbligazionario, è caratterizzato da una bassa liquidità del mercato secondario, con una quota mensile di strumenti non negoziati che nel 2019 pari in media al 63% per le obbligazioni societarie e al 47% per le obbligazioni sovrane. Questa elevata percentuale di strumenti non negoziati è rimasta stabile durante il corso dell’anno. Solo il 17% delle obbligazioni societarie disponibili per la negoziazione è stato scambiato almeno una volta al mese. La liquidità è ancora più bassa per i covered bond (obbligazioni garantite), con appena il 39% degli strumenti disponibili nel 2019 che sono stati scambiati durante l’anno, dei quali solo il 13% è stato scambiato almeno una volta al mese. L’analisi condotta sulla durata residua dei titoli ha poi confermato che sul mercato secondario la liquidità tende a concentrarsi all’inizio e alla fine della vita delle obbligazioni.
Per i risparmiatori è quindi fondamentale analizzare le informazioni obbligatorie di trasparenza introdotte dal pacchetto di direttive Mifid2 e Mifir. Chi vuol investire sul mercato secondario deve monitorare la “storia” del titolo, in modo da verificare preventivamente che l’azione, l’obbligazione o il fondo passivo sul quale si intende puntare abbiano dimostrato in passato sufficiente liquidità. Attenzione però: ciò che è stato vero ieri potrebbe non esserlo più domani.