domenica 22 agosto 2021

Superbonus, quando la nuova Cilas 110% non vale per tutti i bonus. - Giuseppe Latour e Luca Rollino

 

Ostacoli operativi e fiscali per gli interventi misti. L’attivazione della nuova Cilas, a partire dallo 5 agosto, non ha risolto tutti i problemi che committenti, imprese, contraenti generali e progettisti devono affrontare in materia di superbonus. Restano, infatti, diverse complicazioni da considerare quando un intervento non rientri completamente nel perimetro del 110% ma abbia al suo interno contemporaneamente più tipologie di incentivi fiscali.

Quali sono le conseguenze della coesistenza di interventi che hanno un trattamento giuridico e fiscale differente? Il quaderno illustrativo dell’Anci dà una prima risposta a questa domanda e dice che «per gli interventi che prevedono contemporaneamente opere soggette a benefici fiscali di cui al superbonus e altre opere non rientranti in tali benefici, occorre comunque presentare sia la Cila superbonus, sia attivare il procedimento edilizio relativo per le opere non comprese, anche contemporaneamente». C’è quindi, un inedito livello multiplo sul quale muoversi: la Cilas può convivere con una Cila ordinaria, una Scia o con permessi di costruire.

I problemi.

Questa convivenza, però, rischia di essere problematica, per diversi aspetti. Anzitutto, perché ci si trova a gestire contemporaneamente più procedimenti amministrativi. La Cilas, come si legge nel nuovo modulo, costituirà «integrazione alla pratica edilizia presentata», relativa «ad interventi edilizi non soggetti a superbonus». Quindi, ad esempio, la Cilas andrà a integrare una Scia o un’altra Cila.

Sul fronte fiscale, l’effetto è che la parte dei lavori che, nel nostro esempio, rientra nella Scia non accede alla clausola di favore introdotta all’articolo 119 del Dl Rilancio, limitata al 110%, per la quale sono solo quattro i casi che portano alla decadenza del beneficio.

Non solo. Anche sul fronte edilizio-urbanistico la situazione rischia di essere piuttosto complicata. Solo per la Cilas, infatti, la legge prevede che non ci sia attestazione dello stato legittimo. In caso di presentazione di altri titoli abilitativi, si torna al punto di partenza: lo stato legittimo dovrà essere attestato sempre in caso di Scia, in alcuni Comuni anche per la Cila, diluendo di molto la semplificazione. Addirittura, si possono creare delle situazioni particolarmente complesse in cui si deve essere molto attenti a operare.

Possibile decadenza.

Al di fuori della Cilas, l’attestazione dello stato legittimo dell’immobile è sempre richiesta per la Scia e, in alcuni Comuni, anche per la Cila, mentre è sempre esclusa per gli interventi in edilizia libera. Inoltre, l’articolo 49 del Dpr 380/2001 sancisce la decadenza dei benefici fiscali (escludendo il superbonus) nel caso in cui vi siano violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure prescritte.

Le agevolazioni saltano, poi, in caso di mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione.

I tre scenari.

Questo implica che vi siano tre possibili situazioni, qualora si affianchino agli interventi da 110% altre opere:

1) L’intervento aggiuntivo non richiede attestazione dello stato legittimo e non vi sono abusi che generino la decadenza dei benefici: si può operare senza alcun timore;

2) L’intervento aggiuntivo non richiede attestazione dello stato legittimo ma vi sono abusi che generano la decadenza dei benefici: in questo caso si può procedere dal punto di vista amministrativo, ma è assai rischioso. Il committente deve essere quantomeno informato, poiché in caso di controllo successivo alla fine del cantiere potrebbero essere revocate le agevolazioni ordinarie di cui ha fruito;

3) L’intervento aggiuntivo richiede attestazione dello stato legittimo: si deve fare accesso agli atti e verificare la conformità edilizio urbanistica, con il rischio di dover sanare eventuali abusi e, sicuramente, con il pericolo di un allungamento dei tempi di diversi mesi. In questo caso, si perderebbero le sinergie operative derivanti da un unico cantiere in cui far convergere interventi che fruiscono del superbonus e interventi che vanno con aliquote ordinarie.

Nella sostanza, una verifica di conformità edilizio urbanistica in caso di interventi aggiuntivi al superbonus conviene sempre farla, a tutela del proprio committente.

Progetti e cantiere.

Vi sono dubbi anche dal punto di vista operativo. Se nella Cilas si può descrivere sinteticamente l’intervento, ed è facoltà del tecnico aggiungere ulteriori documenti progettuali, nei procedimenti edilizi ordinari la documentazione richiesta è abbondante, e spesso soggetta a richiesta di integrazioni.

Da non sottovalutare, poi, le possibili complicazioni lato sicurezza generate da un cantiere unico in cui vi siano più procedimenti amministrativi attivi: è da chiarire se, in questo caso, si possa effettuare un’unica notifica preliminare e se il responsabile dei lavori e i coordinatori per la sicurezza debbano essere unici per entrambe le attività o possano differire.

(Illustrazione di Maria Limongelli/Il Sole 24 Ore)

IlSole24Ore

Il bicarbonato è il miglior rimedio naturale contro le formiche?















Hai problemi con le formiche, e stai cercando una soluzione naturale che le possa eliminare, senza dover utilizzare pericolosi prodotti chimici che potrebbero arrecare danno a te e alla tua famiglia?

Il bicarbonato di sodio, è il rimedio naturale migliore per eliminare le formiche, senza rischiare di danneggiare nessuno.

Anche gli animali, non devono temere il bicarbonato di sodio, infatti, per essere tossico deve essere ingerito in grandissime quantità. 

Il bicarbonato di sodio è in grado di uccidere le formiche ? 

Anche se il bicarbonato di sodio da solo può uccidere le formiche, devi mescolarlo con lo zucchero a velo per farlo funzionare.

Oltre l’agente tossico, bisogna trovare una sostanza che possa attirare l’attenzione delle formiche sul bicarbonato di sodio.

E questo può avvenire solamente, se uniamo il bicarbonato di sodio allo zucchero a velo.

Per avere la sicurezza che le formiche vengano attirate sulla “trappola”, utilizza sempre l’abbinamento bicarbonato di sodio e zucchero. Mi raccomando !

Cosa dice la scienza ?

Non sei ancora convinto che del semplice bicarbonato di sodio, possa essere un rimedio naturale eccellente per eliminare il problema delle formiche ? Ti sembra troppo bello  per essere vero?

Cerchiamo di spiegarlo brevemente in modo scientifico.

Il bicarbonato di sodio riesce a modificare il ph del corpo.

Anche se non arreca nessun danno agli esseri umani, il bicarbonato di sodio è una sostanza altamente mortale per le formiche.

ECCO COME AGISCE.

Quando le formiche ingeriscono il bicarbonato, i prodotti digestivi della formica interagiscono con questa sostanza alcalina, producendo grandi quantità di anidride carbonica, e causando la morte dell’insetto.

Ma, perchè questa sostanza dovrebbe causare l’uccisione di tutta la colonia di formiche ?

Bene, per rispondere a questa domanda, bisogna analizzare il sistema gerarchico delle formiche.

Le formiche si dividono in colonie, e ogni tipologia di formica ricopre un determinato ruolo. 

Le formiche operaie che escono per cercare cibo riportano quel cibo alla colonia per nutrire le altre formiche.

Quindi, quando raccolgono la tua miscela di bicarbonato di sodio e zucchero  e la riportano al loro nido, ti stanno aiutando ad uccidere tutte le altre formiche della loro colonia.

Se sei fortunato, uccideranno la regina. Quando la regina muore, non dovrai minimamente preoccuparti di affrontare ulteriori infestazioni, almeno da quella colonia.

Perchè il bicarbonato di sodio è il miglior rimedio per eliminare le formiche?

Cosa rende il bicarbonato di sodio un’alternativa migliore all’utilizzo di pesticidi o repellenti chimici per insetti ?

A differenza dei prodotti chimici, non è tossico.

È una sostanza naturale, utilizzata in moltissimi prodotti ad uso comune, come i dentifrici, e viene utilizzato per pulire la frutta e la verdura in modo sano e sicuro.

Questo prodotto può essere toccato e ingerito, senza subire nessun effetto collaterale.

Anche i bambini piccoli sono al sicuro, in quanto non subiranno nessun danno toccando il bicarbonato di sodio.

A differenza di altri prodotti, il bicarbonato di sodio è economico, infatti una scatola costa solo 1 euro.

Nota bene: Abbiamo capito l’importanza di affiancare al bicarbonato lo zucchero. Non fare l’errore di acquistare lo zucchero semolato, in quanto ha una consistenza diversa dal bicarbonato, ma scegli sempre lo zucchero a velo, ideale per confondere le formiche. 

Come utilizzare il bicarbonato di sodio per uccidere le formiche ?

Sei pronto per eliminare una volta per tutte quelle fastidiose formiche in casa e in giardino?

ECCO COME PREPARARE LA MISCELA.

Prendi due parti uguali di bicarbonato e zucchero a velo. Es: 50 grammi di bicarbonato e 50 grammi di zucchero.

Mescola bene, e cerca di rendere le due sostanze perfettamente omogenee.

Versa la miscela in un recipiente poco profondo ( come il coperchio di un barattolo )

Posiziona il recipiente vicino alla zona dove hai notato le formiche.

Nota bene: Abbiamo detto recipiente, ma puoi semplicemente spargere la miscela in qualsiasi posto vicino ai tuoi “ospiti indesiderati”.( porte, davanzali, lavandini, armadietti e tutti quei posti  bui, umidi dovei tuoi ospiti trovano un riparo sicuro.)

Cospargi la miscela sulle piante dell’orto e in tutte quelle aree esterne dove le formiche possono costruire i loro nidi come  la base degli alberi e la legna accatastata.

Se vuoi invece formare una pasta solida, perchè hai notato dei strani movimenti in alcune fessure della casa, puoi mescolare la miscela con dell’acqua fino ad ottenere un composto solido.

Adesso ti basterà inserire il composto solido nella fessura, al fine di evitare che altre formiche possano entrare in quel buco. 

Alternative al bicarbonato di sodio.

Se in casa non hai il bicarbonato di sodio, e stai cercando delle valide alternative casalinghe per eliminare questo fastidioso problema puoi provare ad utilizzare:

  • Acqua e aceto: Puoi spruzzare questa soluzione in prossimità di porte e finestre per impedire alle formiche di entrare in casa.
  • Acqua bollente: Versare l’acqua bollente in un tumulo può ammazzare le formiche e se sei fortunato eliminare anche la  regina.

Cosa attira le formiche in casa?

Le formiche sono attirate dalle rimanenze di cibo, sopratutto di natura zuccherina, come la frutta e i dolci.

Quindi state molto attenti a non lasciare briciole sul pavimento o rimanenze di cibo sul tavolo o sulla mensola.

Se avvistate anche solo una formica in casa, prestate la massima attenzione in quanto la formica lascia sulla sua strada una scia olfattiva, che ha un duplice scopo:

  • ritrovare la via appena percorsa
  • richiamare altre formiche

Quindi anche la presenza di una sola formica, può essere un disastro !

Come entrano?

Data la dimensione minuscola di questi insetti, possono trovare una comoda entrata attraverso:

  • lievi crepe nelle fondamenta
  • finestre lasciate aperte
  • fessure sotto le porte
  • piccoli buchi nel muro
  • finestre sigillate male

Come prevenire un'infestazione ? 

Sarà utile mantenere una casa pulita, rimuovere la frutta o la verdura marcia e tenere i prodotti a base di zucchero, come le marmellate e le torte in contenitori sigillati. 

Prodotti naturali come il sale, la curcuma in polvere o la paprika spruzzati intorno ai punti di entrata possono scoraggiare le formiche.

Come trovare la direzione da cui provengono ?

Osserva attentamente il percorso effettuato dalle formiche, e la direzione da cui provengono. 

Considerazioni finali

Eliminare singolarmente le formiche non ha senso, per contenere l’infestazione ed eliminare velocemente la minaccia occorre eliminare la regina.

In questo articolo abbiamo scoperto che il bicarbonato di sodio è il miglior rimedio naturale contro le formiche.

Scopri come il bicarbonato di sodio può eliminare il problema della bocca urente.

Scopri come il bicarbonato di sodio può migliorare il problema della dermatite atopica.

PortaleDelBenessere

Energia solare, ecco i buoni e i cattivi: corre l’Emilia Romagna, la Puglia frena. - Jacopo Giliberto

 

Mentre l’Alta Italia corre, nel Mezzogiorno si accentrano quasi tutti gli investimenti ma i progetti vengono bocciati. Studio di Elemens.

Gli impegni dai toni accorati, difendere il clima del pianeta, promuovere la transizione energetica, rafforzare la tutela del nostro territorio, salvare la Terra. Tutti pronti a esigere l’energia pulita da fonti rinnovabili, siamo ecologisti sì, ma l’energia solare fatela da un’altra parte.
Mentre l’Alta Italia e il Lazio corrono con il fotovoltaico, al contrario la Puglia dei tanti proclami o la Sicilia-isola-del-sole raggelano senza pietà tutti i progetti verdi. Con intonazioni e motivi differenti, sono le due regioni su cui si accentrano quasi tutti gli investimenti fotovoltaici e sono al tempo stesso le due Regioni che respingono con sdegno quasi tutti gli investimenti solari.
Dal 2019 al 30 giugno 2021 la Sicilia ha autorizzato appena il 2% dei progetti solari presentati.
La Puglia, dopo la corsa forsennata al rinnovabile dei tempi in cui era guidata da Nichi Vendola, raggiunto molti anni fa il primato solare in Italia, ormai non approva nulla; il numero di via libera agli impianti fotovoltaici rimane allo zero spaccato da molti anni e i soli progetti che arrivano alla realizzazione sono quelli centellinati dalle sentenze dei Tar che smontano i no regionali.

I migliori? Bravissima l’Emilia Romagna, bravi Veneto, Sardegna e Piemonte, ma interessante anche il caso del Lazio, una delle Regioni attiva per anni ma che si è bloccata solamente in queste settimane dopo una moratoria regionale contro le rinnovabili.
E poi zero approvazioni nelle Marche. Appena il 2% in Basilicata e il 4% in Calabria.
Nel frattempo diverse Regioni pongono limiti: oltre alla moratoria del Lazio ecco i vincoli della Toscana o il no della Calabria. Il centro studi Elemens — in associazione con Public Affairs Advisors e con un gruppo di aziende delle fonti rinnovabili — ha avviato l’osservatorio Regions 2030 che confronta dal 2019 il divario tra i progetti presentati dagli investitori e quelli poi autorizzati dalle Regioni. La prima edizione dello studio si intitola «Le Regioni italiane e lo sviluppo del fotovoltaico», nelle prossime settimane verranno diffuse le analisi relative alle altre tecnologie rinnovabili, come l’eolico.

La corsa degli investitori al Sud

Il Piano nazionale energia e clima prescrive che entro il 2030 l’Italia si doti di altri 30mila megawatt di solare oltre ai 22mila attuali per arrivare a circa 55mila megawatt fotovoltaici; i piani aggiuntivi delineati dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani traguardano fra meno di dieci anni un obiettivo aggiuntivo di altri 50mila megawatt rispetto a oggi.
Gli investitori corrono, nell’ultimo paio d’anni c’è la frenesia di oltre 20mila megawatt fotovoltaici, ma il via libera è arrivato per nemmeno un ventesimo di essi.

«Da circa 18 mesi osserviamo che vengono presentati alle autorità progetti d’investimento fotovoltaico pari a circa mille megawatt al mese», osserva Tommaso Barbetti del centro ricerche Elemens. «Però l’80% delle istanze per nuovi impianti fotovoltaici si concentra in due sole regioni, proprio le più intasate e lente: Puglia e Sicilia».

Il motivo della corsa verso Puglia e Sicilia è semplice. Sono le regioni con la massima insolazione, cui il fotovoltaico è sensibilissimo, e dove è ragionevole il costo dei terreni agricoli da convertire al solare, soprattutto per gli oliveti pugliesi disseccati dal batterio della xylella.
In Alta Italia i terreni agricoli sono più pregiati, costano carissimi, e il sole è meno cocente. Ma almeno al Nord l’investimento è più sicuro nel suo percorso di autorizzazione ed è più facile arrivare alla realizzazione dell’impianto.

Tre anni a confronto.

Ecco una sequenza cronologica dallo studio Regions 2030.

Anno 2019, progetti presentati per 5.799 megawatt, progetti che sono arrivati in fondo all’iter di autorizzazione 1.216 megawatt. Circa un quinto.

Anno 2020, progetti per 14.251 megawatt, progetti realizzati appena 152 megawatt. Male, poco più di un decimo.

Anno 2021, primi sei mesi, progetti presentati per 5.398 megawatt, progetti realizzati numero zero. Zero tondo. E l’ esito fallimentare delle gare del Gse per gli incentivi alle rinnovabili ne è un drammatico termometro.

Lo studio Regions 2030.

La ricerca di Elemens con Public Affairs Advisors e le aziende rinnovabili misura la capacità autorizzativa delle istituzioni e dei piani regionali (appena 5 Regioni si sono dotate di obiettivi rinnovabili da raggiungere nel 2030).
Ma sono stati analizzati anche i divieti e le normative regionali come la legge che si è data mesi fa l’Abruzzo, il quale per (ufficialmente) tutelare l’ambiente (nei fatti) paralizza ogni progetto rinnovabile, o come il no eolico della Basilicata che intanto marcia a tutto petrolio, oppure come la nuova moratoria del Lazio voluta dall’assessora regionale Roberta Lombardi contro le rinnovabili.

Dice lo studio: «Dal monitoraggio di Elemens emerge un boom di istanze di autorizzazioni a partire dal 2019 e, in particolare, dal 2020: a tale incremento di richieste non ha tuttavia corrisposto, ad oggi, una significativa crescita del livello di autorizzazioni rilasciate. Appare dunque opportuno interrogarsi su quanto i soggetti deputati al rilascio di autorizzazioni agli impianti fotovoltaici siano ingaggiati, tecnicamente amministrativamente e politicamente, nel processo di decarbonizzazione».

Alla fine dello studio emergono alcuni indici che misurano Regione per Regione l’attrattività per gli investimenti, la solerzia amministrativa, la presenza di piani energetici e ambientali, gli obiettivi di energia rinnovabile al 2030 e altri indicatori.

«L’indice Regions2030 nasce per monitorare in continuo lo sviluppo e la crescita reali delle rinnovabili in Italia. Non vuole essere un modo per dare pagelle alle regioni, ma per stimolare un confronto su dati effettivi», avverte Giovanni Galgano, direttore di Public Affairs Advisors.

I casi assai diversi di Puglia e Sicilia.

Il quadro del dinamismo degli investitori è impressionante. C’è in Puglia e Sicilia un’ondata di sviluppismo solare come non si vedeva dai tempi frenetici degli incentivi Salva Alcoa. Nella sola Puglia gli investitori hanno appena proposto istanze per 10mila megawatt fotovoltaici.

Stando alle analisi di Elemens ma anche alle indicazioni delle aziende che investono nel settore rinnovabile, la Puglia per anni è stata una delle regioni più attive sul fronte solare, soprattutto durante la presidenza regionale di Nichi Vendola che fino all’estate del 2015 è stato uno dei promotori più attivi dell’energia rinnovabile.
Non a caso la regione si era data un obiettivo di rinnovabili al 2020 che era stato raggiunto e superato, e la Puglia era diventata la parte d’Italia con maggiore densità di solare, eredità che conserva tuttora.
Però poi l’attivismo rinnovabile della Regione è rallentato e sotto la presidenza di Michele Emiliano ha messo un freno agli investimenti solari, soprattutto facendo ricorso al silenzio che paralizza il percorso amministrativo; da diversi anni sono pochissimi i progetti che riescono a superare la freddezza regionale in genere grazie a ricorsi al Tar.

Diverso il caso siciliano, dove la propensione al fotovoltaico sembra maggiore ma dove gli uffici regionali che devono concedere il via libera sembrano intasati dall’eccesso di richiesta. Le domande di autorizzazione arrivate sono ben oltre l’obiettivo che la Sicilia si è data per il 2030.

Regioni a confronto.

Per quanto riguarda i piani regionali energia e ambiente (chiamati comunemente con sigle come Pear) alcune Regioni sono particolarmente virtuose e si sono date un obiettivo rinnovabile al 2030, come le province autonome Trentino e Alto Adige, l’Emilia Romagna, il Lazio e la Sicilia.
Molise e Campania hanno varato la pianificazione ma non si sono dati obiettivi al 2030.
Sono ancora in consultazione i piani regionali al 2030 di Piemonte, Lombardia e Calabria. Tutte le altre Regioni non hanno alcuna pianificazione fino al 2030 ma il ritardo maggiore spicca per Valle d’Aosta, Lazio e la pigerrima Liguria.

Sul fronte delle autorizzazioni, il Lazio nell’ultimo paio d’anni ha autorizzato quasi mille megawatt solari ma almeno la metà poi è stato bloccato per motivi paesaggistici da quelle sovrintendenze che nelle conferenze di servizio non s’erano opposte al via libera.

Ma ecco alcuni casi di dettaglio.

Abruzzo. Tutti i processi autorizzativi sono per il momento sospesi (sia eolici che fotovoltaici) dopo la pubblicazione del progetto di legge 182/21. Ragionevolmente la sospensione verrà superata, ma il mercato ora è bloccato.

Calabria. Per il fotovoltaico la Regione impone nuovi limiti relativamente all’occupazione del suolo agricolo (10% dell’area di proprietà dello sviluppatore) e c’è nel complesso un approccio sfavorevole contro le fonti rinnovabili di energia dopo l'annuncio della moratoria regionale che blocca l’eolico.

Emilia Romagna. La Regione si dimostra tempestiva nelle risposte e raggiunge un buon ritmo di rilascio di autorizzazioni uniche, C’è però la presenza di un ricco e complesso novero di vincoli che rischia di limitare lo sviluppo del solare agricolo.

Friuli Venezia Giulia. La Regione si dimostra tempestiva nelle risposte (verifica e valutazione di impatto ambientale) e ciò potrebbe potrebbe preludere a un maggior numero
di autorizzazioni uniche nei prossimi mesi, soprattutto su suolo industriale.

Lazio. Il ritmo di rilascio di autorizzazioni uniche è elevato rispetto agli standard nazionali, ma c’è un elevatissimo tasso di ricorsi (specialmente da parte del ministero dei Beni culturali e delle Sovrintendenze: ne viene colpito quasi 50% dell’autorizzato).

Puglia. Di fronte a un enorme livello di attrattività, il numero di autorizzazioni rilasciate è nullo (nessuna autorizzazione unica dal 2016 al maggio 2021), e per ora stanno arrivando solo dinieghi. La reattività alle rinnovabili però è differente a seconda della provincia.

Sardegna. Prima regione per quanto riguarda il fotovoltaico su suolo non agricolo, si registra una prima apertura da parte della Regione anche agli impianti su suolo agricolo (con un aumento delle istanze negli ultimi mesi).

Sicilia. L’amministrazione regionale dimostra una buona attitudine rispetto allo sviluppo fotovoltaico e il Pear è chiaro e preciso. Il livello di richieste risulta però straordinariamente alto e non comparabile con gli obiettivi al regionali al 2030.

Toscana. Nell’agosto 2020 era stata approvata una legge che impedisce l’autorizzazione di impianti solari di potenza maggiore di 8 megawatt. La legge regionale è stata impugnata dal Governo nazionale.

Veneto. C’è una proposta di una legge regionale che stabilisce forti restrizioni alla taglia e
alla localizzazione dei progetti; l’amministrazione regionale sembra però favorire lo sviluppo del fotovoltaico soprattutto su area non agricola.

Assolta l’Avelar.

Il fotovoltaico è spesso oggetto di polemiche e accuse. Nelle scorse settimane la Coldiretti aveva attribuito a investitori dell’agrofotovoltaico (l’inserimento di solare come integrazione delle colture) alcuni incendi in Sicilia.
Nel frattempo sono state rese note le motivazioni con le quali la Corte d’appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado del 2019, ha assolto con formula piena Igor Akhmerov e altri manager che all’epoca dei fatti gestivano in Italia il business del fotovoltaico per la svizzera Avelar Energy (ora Fenice Services); gli accusatori ritenevano irregolari gli incentivi ricevuti per 59 milioni di euro. La Corte ha ritenuto senza fondamento l’accusa di associazione per delinquere (già esclusa in primo grado, ma impugnata dal Pm); per la responsabilità ex D.Lgs. 231/01 delle società veicolo proprietarie degli impianti, la Corte ha confermato l'assoluzione già stabilita in primo grado. Assolti gli imputati Cavacece, Akhmerov e Giorgi dalle contestazioni di truffa ai danni dello Stato. La Corte di è anche espressa su un contenzioso con una società norvegese ma la vicenda pare conclusa per un ricorso in Cassazione. L’azienda ha soggiunto che «i risultati positivi conseguiti finora in sede giudiziaria non compensano il danno reputazionale e i costi legali affrontati» e ribadisce «la correttezza del suo operato e l'impegno nel continuare ad investire per mantenere i parchi efficacemente operativi e il personale necessario per gestirli».

IlSole24Ore

sabato 21 agosto 2021

Taleballe - Marvo Travaglio

 

Il Cretino Collettivo che discetta di tutto lo scibile umano – dai vaccini al green pass, dalla giustizia al Reddito – con la stessa enciclopedica incompetenza, ha traslocato armi e bagagli a Kabul senza muoversi dal divano o dalla sdraio né accettare alcuni dati di fatto. 

1) La guerra l’hanno vinta i Talebani e l’hanno perduta gli Usa e i loro reggicoda, Italia inclusa. 

2) Gli Usa si sono ritirati non perché Trump era sovranista e Biden è un vecchio rinco, ma perché han perso. 

3) Quando finisce una guerra, comandano i vincitori, non gli sconfitti, quindi a Kabul comandano i Talebani (che fra l’altro sono afghani), non gli occidentali (che fra l’altro non lo sono). 

4) I vincitori di solito non piacciono agli sconfitti, perché sono il nemico. Ma è fra nemici che si tratta, non fra amici. Gli sconfitti non possono scegliersi i vincitori preferiti: devono tenersi quelli che hanno, farsene una ragione e decidere se trattarci o meno. Se non trattano, i vincitori fanno come gli pare; se trattano, può darsi che i vincitori li ascoltino, ma solo se gli conviene (in cambio di aiuti o per paura di ritorsioni). 

5) I talebani si son travestiti da dialoganti (“fanno i democristiani”, diceva il nostro titolo ironico su un fatto decisivo, notato da tutti gli osservatori) per mettersi all’asta nelle trattative. E con loro già trattano i russi e i cinesi (avvantaggiati dal fatto di non averli mai attaccati). Chi, in Europa, piagnucola perché Pechino e/o Mosca si pappano Kabul dovrebbe fare qualcosa di più astuto che tenere il broncio ai talebani: tipo smarcarsi dagli Usa, che ci hanno bellamente scaricati (Biden non cita mai Ue e Nato), e offrire loro qualcosa in cambio di corridoi umanitari e politiche meno efferate di 20 anni fa.

6) Coi talebani gli Usa trattano da sempre: Reagan per foraggiarli contro l’Urss, Clinton per farsi consegnare Bin Laden dopo i primi attentati di al Qaeda, Obama a guerra ormai persa, Trump per siglare l’accordo di Doha sul ritiro Usa, ora militari e diplomatici rimasti per l’esodo dei collaborazionisti (nessuno parte senza l’ok dei talebani). 

7) Chi vuole sperare in corridoi umanitari e in un regime meno feroce e sessista deve parlare coi talebani, almeno fingere di credere alle loro aperture e metterli alla prova. L’han detto Borrell della Ue (“Ue obbligata a dialogare coi talebani”), Grandi dell’Unhcr (“Per ora i talebani mostrano pragmatismo, ma se non trattiamo non potremo mai accertarlo né ottenerlo”) e i ministri del G7. Ma appena lo dice Conte, i giornali di destra gli danno dell’“avvocato dei tagliagole” (Libero) col “fascino del kalashnikov” (Repubblica). In attesa del primo videomessaggio del Mullah Giuseppi dalla caverna con la pochette a tre punte sulla bandiera nera di al Qaeda, qualcuno chiami l’ambulanza.

ILFQ

Tutta cene, voli e bodyguard. E per il Colle spera in Renzi. - Ilaria Proietti

 

Pugno duro - Gli sfoghi in Aula, la moria dei portavoce e la scorta ovunque: “l’operazione simpatia” non è ancora esattamente riuscita.

I bookmakers non la quotano ancora, ma lei ci crede. Maria Elisabetta Alberti Casellati intende giocarsela eccome per il soglio quirinalizio e ha fede: Dio, Patria e soprattutto Famiglia, la sua. E chi se ne importa se accusano i suoi gioielli, Ludovica e Alvise, di essersi fatti aiutare nella vita da mammà, prima donna presidente del Senato? Lei si duole per le critiche ma più che altro non si spiega perché non sia ancora un’icona nazionalpopolare, almeno come la Carrà. Per non sbagliare se la piglia con i portavoce che rottama uno via l’altro anche se, poveretti, loro responsabilità per la cattiva stampa proprio non ne hanno. Se non è amata è piuttosto colpa dei voli di Stato che ha usato come taxi durante l’emergenza Covid per far da spola con Padova, sua città natia. O per la storiaccia del vitalizio che le era stato prima negato per gli anni trascorsi al Csm, salvo vederselo, guarda un po’, assegnare quando invece era ascesa allo scranno più alto a Palazzo Madama. Ma non rinuncia a diventare dama di cuori, anche se finora nisba. La sua apparizione al bar dei dipendenti del Senato qualche mese dopo l’elezione, doveva esser gesto di vicinanza alle maestranze: fu la prima e l’ultima, ché non le sono andate giù le critiche per essersi presentata coi bodyguard al seguito, neppure temesse un attentato a Palazzo.

Non le è servito neppure farsi paladina della causa femminile: “Le donne devono essere protagoniste della rinascita dopo esserlo stato della resistenza alla pandemia” ripete da qualche tempo. Epperò le sue parole non tirano l’applauso, neppure tra le colleghe senatrici che mantengono le distanze: alcune mancano persino visita alle cene periodiche che ha organizzato per fare spogliatoio a Palazzo Giustiniani. Perché? Non si fidano e in molte ancora le rinfacciano la difesa del Cav all’epoca di Ruby-nipote-di-Mubarak.

Il fatto è che risultano indigesti i modi da carabiniera che l’hanno consacrata nell’empireo forzista e che replica pure oggi dai banchi della Presidenza. “Non accetto lezioni da nessuno sulla conduzione dell’Aula”, “decido io”, “non accetto strumentalizzazioni” grida spesso brandendo la campanella d’ordinanza ché le intemperanze – e anche meno – la irritano a morte. Ma è un sentimento ricambiato: certe sue acrobazie sulla gestione del calendario dei lavori come per il ddl Zan hanno fatto venire l’orticaria a chi l’accusa di essere rimasta di parte. Come al tempo in cui, partigiana di Silvio, ci dava sotto con le leggi ad personam o picchettava l’ingresso di Palazzo di giustizia a Milano ritenuto il covo dei magistrati ostili a B.

Che resta la sua stella polare e un solido alleato per il futuro. Appena insediata alla guida del Senato il primo pensiero è stato proprio per lui che ne era stato “esiliato” nel 2013, causa condanna per frode fiscale. Lei invece lo ha invitato a cena a Palazzo accogliendolo come un re: “Questa, caro Silvio, resta casa tua”. Magari poter replicare l’invito anche una volta eletta al Colle se, come pare, Berlusconi non troverà nessuno o quasi a perorarne la causa. Matteo Salvini l’ha mollato dopo averlo illuso, Giorgia Meloni non lo può proprio vedere e invece potrebbe digerire lei: Queen Elisabeth presidente della Repubblica potrebbe allettare il centrodestra, ma anche Matteo Renzi che, si sa, ama sparigliare. Casellati lo stima e soprattutto lo ritiene capace di qualunque mandrakata: adoperandosi per lei conquisterebbe il ruolo di primo Queenmaker della storia. Ma soprattutto si farebbe guida di quella rete dei moderati che Denis Verdini, amico di Renzi e suocero di Salvini, aveva tentato di sublimare già nel 2016 con quel partito della Nazione poi mai nato.

Spera, dunque, Casellati nei buoni uffici del leader di Italia Viva, ma anche nel feeling che quest’ultimo ha con l’altro Matteo. Con il quale lei stessa coltiva eccellenti rapporti: è merito suo se l’affaire Metropol del tandem Salvini-Savoini non è mai sbarcato in aula per il dibattito richiesto a gran voce dal Pd nel 2019 e stroncato sul nascere da Sua Presidenza: “Il Senato non può essere il luogo del dibattito che riguarda pettegolezzi giornalistici”. Ancor di più è stato gradito il suo interventismo sul citato ddl Zan, prima con l’invito al rinvio (“non si dica che in questa Aula rinunciamo al dialogo per la differenza di una settimana”), poi con una riconvocazione rocambolesca della conferenza dei capigruppo quando era già all’ordine del giorno dell’aula: fatto sta che il disegno di legge alla fine è sparito dai radar. Con tante grazie dalla Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia ostili alle norme sull’omotransfobia. Ma pure da Renzi che sulla necessità di mediare con il centrodestra ha mandato in testa coda il segretario del Pd Enrico Letta.

Ovviamente Casellati s’è fatta anche molti nemici. In tante occasioni dai banchi M5S, Pd e LeU si sono levate proteste all’indirizzo di Sua Presidenza e delle sue decisioni inappellabili. Come quando ha stralciato emendamenti tabù per il centrodestra, tipo la regolamentazione della cannabis light o il trattenimento in servizio oltre l’età di pensione dei magistrati: giammai! Lei rivendica di essere super partes e tira dritto: il physique du rôle per il Colle crede di averlo con annessi carabinieri a due e a quattro ruote che le fanno strada ogni volta che esce da Palazzo. Per ora del Senato, domani chissà.

ILFQ

Superbonus 110%, rilancio in 10 mosse. Ecco come superare i nodi burocratici. - Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

 

Dopo un avvio frenato da regole troppo complicate, il superbonus sta accelerando: solo a giugno sono stati comunicati nuovi lavori per 981 milioni, portando il totale a 3,5 miliardi. Il decreto Semplificazioni – convertito dal 31 luglio – scioglie diversi nodi procedurali. Ma il pieno rilancio del 110% dipende anche da altri fattori: dalle proroghe al costo dei materiali.
Ecco i dieci punti chiave, tra questioni risolte e da chiarire.

1. Cila semplificata.

La legge di conversione del Dl semplificazioni ha “creato” un titolo abilitativo specifico per il superbonus: la comunicazione di inizio lavori asseverata semplificata (Cilas). Un titolo che già nella versione iniziale del decreto non richiedeva più al professionista di attestare la conformità edilizia dell’immobile (lo “stato legittimo”). E che ora può essere usato anche per lavori strutturali, modifiche dei prospetti e varianti, senza allegare i progetti. Il modulo unico della Cilas, approvato in Conferenza unificata, è utilizzabile dal 5 agosto.

Così il tecnico evita i tempi lunghi dell’accesso agli atti per recuperare le vecchie licenze edilizie, ma la Cilas non sana eventuali difformità già presenti. Spiega Francesca Zaccagnini, della direzione Edilizia, ambiente e territorio dell’Ance: «Il vero impatto di questa semplificazione è che si slega l’agevolazione fiscale dalle verifiche di conformità edilizia».

«Certo, le eventuali irregolarità preesistenti potranno essere sanzionate, ma senza inficiare la detrazione. Inoltre, va detto che in molti casi si tratta di irregolarità di minima importanza e risalenti nel tempo», aggiunge Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri e coordinatore Rete professioni tecniche.

In alcuni casi, però, gli abusi sono più gravi. «Lo stato legittimo può non essere “attestato” formalmente, ma andrebbe sempre “controllato”, anche per evitare che il committente si autodenunci o abbia problemi in caso di lavori futuri», avverte Andrea Barocci, presidente dell’associazione Ingegneria sismica italiana.

2. Scadenza dell’agevolazione

Il 110% scade il 30 giugno 2022 per i privati o il 31 dicembre 2022 per i condomìni (si vedano i quesiti a destra). Termini quasi impossibili da rispettare, partendo oggi. «Potremmo avere ancora 3-4 mesi di boom delle domande e poi un blocco, perché il timore di non finire in tempo diventa grave», osserva Flavio Monosilio, direttore del centro studi Ance.

«Noi abbiamo già tutti gli ordini per il 2022 e so che molte aziende si sono ritirate dai condomìni per puntare sulle villette – rileva Renato Cremonesi, presidente di Cremonesi consulenze –. Così si rischia di intervenire solo sullo 0,8% degli 1,2 milioni di condomìni da riqualificare: se si vuol avere un impatto reale, la misura va prolungata». Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha però affermato che la proroga del superbonus al 2023 sarà affrontata solo con la legge di Bilancio.

3. Materiali e manodopera.

A complicare il rispetto dei tempi c’è la scarsità di manodopera, unita al rincaro e razionamento dei materiali. Spiega ancora Monosilio: «Oggi capita di versare la caparra per un ponteggio con consegna tra 4-5 mesi». Concorda Cremonesi: «Il costo di un “cappottista” qualificato è passato dai 20-25 euro al metro quadrato a 30-35 e i prezzari Dei, che dettano la congruità delle spese, per molte voci non sono più aggiornati».

4. Abusi e violazioni formali.

Tra tanti ostacoli, la legge cerca di snellire qualche altro passaggio. Innanzitutto, fa salve le violazioni formali «che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo». E che quindi non fanno venir meno il superbonus. «Si tratta di errori in buona fede, come la svista sul costo di un componente o un piccolo errore di calcolo», spiega Zambrano.

Inoltre, quando le infrazioni non sono lievi, viene previsto che si perda il 110% solo per il singolo intervento irregolare e non per tutto il cantiere.

5. Cappotti termici e distanze.

Sempre la legge permette di derogare alle distanze minime tra edifici fissate dal Codice civile per installare i cappotti termici. «Ma ciò che serve sarebbe la possibilità di mitigare i ponti termici senza dover raggiungere gli attuali requisiti, com un risparmio di costi senza peggiorare le prestazioni», osserva Cremonesi.

6. Termini da 18 a 30 mesi.

Vengono inoltre portati a 30 mesi due termini: quello per la vendita delle case ricostruite dalle imprese (sismabonus acquisti) e quello entro cui deve trasferirsi chi acquista la prima casa e fa il 110 per cento.

7. Unità indipendenti.

Restano comunque diversi punti incerti. Uno dei più gravi è se sia obbligatorio o facoltativo (come pare logico) trattare a sé le unità indipendenti comprese in edifici plurifamiliari. Ciò si riflette sui limiti di spesa, sull’Ape e sulle asseverazioni e sta bloccando molti lavori.

8. Termine dei lavori trainati.

Non è chiaro, inoltre, se il termine attuale di fine 2022 valga anche per i lavori effettuati nei singoli appartamenti del condominio (trainati). Alla lettera sembra di no, ma sarebbe una soluzione illogica.

9. Modifica delle finestre.

Una parziale apertura è invece arrivata dalla Entrate sulla possibilità di modificare la forma delle finestre, senza cambiare la superficie complessiva (interpello 524/21).

10. Sismabonus e villette.

Altra apertura – stavolta della Commissione ministeriale di monitoraggio – riguarda la possibilità di fare il 110% antisismico sulle singole villette a schiera senza dover considerare la cosiddetta “unità strutturale”.

Domande & Risposte.

Quando scade il superbonus e quando si deciderà la proroga?
La scadenza “base” è il 30 giugno 2022, ma in alcuni casi c’è più tempo. I condomìni hanno fino al 31 dicembre 2022. Per gli edifici composti da due a quattro unità e posseduti da un unico proprietario (o in comproprietà tra più persone fisiche), si può arrivare al 31 dicembre 2022 se a fine giugno di quell’anno è stato realizzato almeno il 60% dell’intervento. Per le case popolari e assimilate la scadenza è il 30 giugno 2023, che può diventare 31 dicembre 2023 se a fine giugno si è completato il 60% dei lavori.
Eventuali proroghe oltre le date ora prestabilite saranno decise con la prossima manovra.

Dopo il Dl Semplificazioni, quale pratica edilizia è necessaria?
Con la legge di conversione del Dl Semplificazioni (legge 108/2021) è stato “creato” un nuovo titolo abilitativo: la Cila semplificata (Cilas). Mercoledì scorso è stato approvato in Conferenza unificata il nuovo modello, utilizzabile dal 5 agosto. La Cilas – il cui utilizzo è comunque facoltativo – consente di non attestare la conformità edilizia dell’immobile e di non allegare progetti e grafici. Inoltre, in caso di varianti in corso d’opera, si può procedere con una semplice integrazione della Cilas alla fine dei lavori, senza necessità di un nuovo titolo.

Se l’immobile su cui si interviene presenta già degli abusi edilizi realizzati in passato, quali conseguenze si rischiano?
Con la Cilas non occorre attestare che l’edificio è “legittimo”, ma ciò non sana eventuali abusi già presenti, tant’è vero che la norma dice che «resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento». Perciò il Comune potrà sempre fare i propri controlli in materia edilizia. Sotto il profilo fiscale, però, lo stesso Dl Semplificazioni assicura che le vecchie irregolarità edilizie non faranno perdere il 110% sui nuovi lavori.

Cosa accade se vengono commesse violazioni nell’ambito dell’intervento agevolato dal 110?
Si rischia la decadenza dall’agevolazione fiscale. Il Dl Semplificazioni, però, indica i casi tassativi di decadenza e fa salve le violazioni «meramente formali che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo». Ad esempio, un piccolo errore di calcolo o di riporto di una cifra. Inoltre, anche in caso di violazioni «rilevanti», viene previsto che la decadenza scatterà solo per il singolo intervento oggetto di irregolarità.

IlSole24Ore (19.8.2021)