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venerdì 28 maggio 2021

Fisco, con la flat tax al 15% in fuga dall’Irpef oltre 700mila contribuenti. - Marco Mobili e Giovanni Parente

 

È quanto emerge dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2020 e relative all'anno d'imposta 2019 pubblicate sul sito del Dipartimento delle Finanze.

Sono più di 700mila i contribuenti in fuga dall'Irpef. A tanto ammontano le adesioni delle partite Iva che hanno scelto la flat tax al 15% e che nel 2019, primo anno d'imposta di applicazione della tassa piatta introdotta dal Governo Conte 1 a trazione giallo-verde, ha fatto lievitare l'esercito dei contribuenti forfettari a 1.563.000. È quanto emerge dall'analisi delle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2020 e relative all'anno d'imposta 2019 pubblicate sul sito del Dipartimento delle Finanze.

Crescono i redditi degli autonomi.

Grazie alla flat tax al 15% per chi ha ricavi o compensi fino a 65.000 euro, dunque, le Finanze sottolineano come crescano significativamente i redditi medi da lavoro autonomo (+25,4%) e quelli d'impresa (+6,8%). La fuga dalla progressività dell'Irpef in favore di una tassa piatta è l'opzione dei contribuenti che hanno ricavi e redditi più bassi. Nella tassazione ordinaria, dunque, restano solo i soggetti con redditi più alti, determinando così valori medi più elevati. Si mantengono invece sostanzialmente stabili i valori medi del reddito da partecipazione (+0,8%).

Tasse e mattoni.

Nel 2019 il reddito da fabbricati, fanno notare dal Dipartimento delle Finanze, tassato in via ordinaria, si è attestato a 26,1miliardi di euro. Anche sul mattone va comunque registrata una fuga dall'Irpef che per il 2019 è stata del 2,2% favorita soprattutto dalla cedolare secca sugli affitti.

«Quota 100» spinge i redditi da pensionati.

Il reddito medio da pensione dichiarato al Fisco cresce del 2,4%, confermando il trend degli anni precedenti, mentre, grazie a Quota 100 diversamente dagli altri anni è aumentato il numero di pensionati (oltre 18.500 soggetti in più, +0,1%).

iù contratti a termine.

La fotografia restituita dalle Dichiarazioni dei redditi prima della pandemia coronavirus mostra come sia cresciuto anche il reddito medio da lavoro dipendente (+1,1%). Un dato che conferma evidenzia da una parte l'aumento del numero di lavoratori con contratti a tempo indeterminato (+2,5%) e dall'altra una diminuzione dei lavoratori con contratti a tempo determinato (-2,6%).

Le dichiarazioni presentate.

I contribuenti Irpef che si sono dichiarati al Fisco sono circa 41,5 milioni e hanno presentato i modelli di dichiarazione “Redditi Persone Fisiche” e “730”, e risultano in aumento di oltre153.000 unità La dichiarazione più usata è il 730 scelto da oltre 22 milioni di persone fisiche. A spingere il modello semplificato è stata soprattutto la precompilata anche questa in crescita e scelta da altri 800mila contribuenti in più rispetto all'anno d'imposta 2018. Sono invece 9,1 milioni i soggetti che hanno presentato invece il modello “Redditi Persone Fisiche”, mentre i dati dei restanti 10,4 milioni di contribuenti sono transitati con le Certificazioni uniche.

IlSole24Ore

venerdì 26 febbraio 2021

“Sistema 15%”: Calderoli e la norma salva-leghisti. - Stefano Vergine


“Dazione” dei nominati - Nel 2012 i pm di Forlì ravvisano l’elusione fiscale. Ma nel 2014 a sanare tutto arriva l’emendamento-condono.

Erogazioni liberali: si chiamano così i soldi che ogni persona può donare a un partito politico. E infatti questa è la dicitura trovata a fianco alle decine di versamenti di cui abbiamo dato notizia in questi mesi sul cosiddetto “sistema del 15%”, quello attraverso il quale i nominati e gli eletti della Lega hanno finanziato il partito restituendo una parte del proprio stipendio pubblico. Un meccanismo che ha permesso al Carroccio di incassare milioni di euro e ai suoi donatori di pagare meno tasse. Sì, perché le erogazioni liberali si possono detrarre dalle imposte. Peccato che di liberale, nei versamenti leghisti, ci sia ben poco. A sostenerlo adesso non sono più solo le fonti citate nella nostra inchiesta a puntate. Lo dicono anche l’Agenzia delle Entrate, una Procura e due commissioni tributarie. Siamo dunque alla vigilia di un’inchiesta fiscale nei confronti della Lega? No, perché nel frattempo tutto è stato condonato, sanato per legge in modo retroattivo grazie a un emendamento proposto dalla Lega.

Andiamo per gradi. Il Fatto ha ottenuto decine di scritture private tra la Lega e i suoi esponenti, in cui i politici s’impegnano, se vogliono essere candidati, a versare al partito una parte del proprio stipendio in caso di elezione. Punto 4 del contratto: “Il candidato si impegna a versare, per le obbligazioni assunte dalla Lega Nord, la somma di 145.200,00 in rate mensili di 2.420,00 a decorrere dal primo mese successivo all’inizio del mandato”. Punto 5: “Il punto 4 vale da riconoscimento di debito, per cui la presente scrittura privata è dichiarata consensualmente idonea per l’emissione di decreto di ingiunzione anche provvisoriamente esecutivo”. Punto 6: “In caso di mancata elezione nulla è dovuto dal candidato e, sia la Lega Nord sia il candidato, sopporteranno le proprie spese affrontate”. Tra i 66 contratti analizzati ci sono quelli del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e quelli dei deputati Fabrizio Cecchetti e Daniele Belotti. Sono tutti accordi preparati prima delle Regionali del 2005 in Lombardia, ma le stesse scritture private – come vedremo – sono state usate anche nelle elezioni successive, sia locali che nazionali. I documenti dimostrano che i soldi versati in quegli anni dai vari esponenti del Carroccio non erano erogazioni liberali, cioè volontarie, ma conseguenza diretta di un contratto. E qui arriviamo alla parte più interessante.

Nel 2012 la Procura di Forlì, guidata da Sergio Sottani, apre un’inchiesta sull’allora deputato leghista Gianluca Pini con l’ipotesi di millantato credito. Analizzando i suoi conti correnti, i magistrati scoprono che Pini ogni anno faceva importanti donazioni alla Lega e poi detraeva dalle imposte quanto donato. Insospettito dalle cifre, Sottani ordina perquisizioni nei confronti della Lega in via Bellerio e alla Camera. E scopre che così facevano tutti. Vengono trovati i contratti con cui ogni politico leghista, prima di essere eletto, s’impegnava a versare una parte del proprio futuro stipendio al partito. Per i pm di Forlì non è evasione fiscale (penale) ma elusione (illecito amministrativo). Per questo le carte vengono mandate all’Agenzia delle Entrate, che inizia il tentativo di recupero delle somme eluse. Il fatto è dimostrato dalle ordinanze emesse da due commissioni tributarie provinciali. Qui si scopre che sotto il faro dell’Agenzia erano finiti, tra i tanti, Sergio Divina, storico senatore trentino, e il piemontese Roberto Simonetti, oggi direttore amministrativo del Gruppo Lega Salvini Premier alla Camera, all’epoca parlamentare.

Le ordinanze delle commissioni tributarie offrono dettagli ulteriori sul sistema del 15%. Viene fuori che anche per i candidati al Parlamento la cifra da restituire era pari a 145mila euro in cinque anni, proprio come per i consiglieri regionali. E che, grazie alle detrazioni d’imposta, ogni anno gli eletti recuperavano il 19% della somma versata al partito: ossia 27.550 euro di tasse risparmiate ogni 5 anni. Un beneficio illegittimo, secondo le due ordinanze: “Il candidato e il partito Lega Nord stipulavano un accordo in cui si affermava espressamente che il versamento delle somme dal candidato al partito avveniva in correlazione con ‘le obbligazioni assunte dalla Lega Nord’, il che esclude in radice lo spirito di liberalità (inteso come mera e spontanea elargizione fine a se stessa) e la detraibilità ai sensi dell’art.15, comma 1-bis, decreto legislativo n.917/1986”, scrivono i giudici tributari. Nonostante questo parere del 4 dicembre 2014, i parlamentari della Lega alla fine non hanno dovuto risarcire il danno. Come mai? Il motivo è spiegato nelle stesse ordinanze delle commissioni tributarie. Il 21 febbraio 2014, prima dunque che i giudici si esprimessero sui casi, il Parlamento ha convertito in legge il decreto sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Dentro c’era un emendamento promosso da due senatori leghisti, Roberto Calderoli e Patrizia Bisinella, che di fatto ha legalizzato il sistema del 15%. Un condono retroattivo che spiega perché, ancora oggi, senatori, deputati, consiglieri regionali ed eletti di ogni sorta, ma anche nominati a diversi incarichi pubblici, possono pagare meno tasse grazie ai soldi che versano al proprio partito. E lo possono fare anche se la donazione è frutto di un obbligo contrattuale, come è il caso della Lega.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/26/sistema-15-calderoli-e-la-norma-salva-leghisti/6114160/

mercoledì 24 febbraio 2021

Il sistema 15%: il libro mastro della lega. - Andrea Sparaciari e Stefano Vergine

 

Esclusivo. Il registro lombardo dei soldi. Soldi&Poltrone 2015-2017: tutti i “contributi liberali” al partito di Salvini. Tra i donatori, anche il ministro Garavaglia, il senatore Romeo e Attilio Fontana.

Lo scorso dicembre abbiamo raccontato come la Lega, dal 2004 al 2014, abbia organizzato un sistema di finanziamento interno basato sui nominati: dirigenti sanitari, consiglieri d’amministrazione e revisori contabili che per dieci anni hanno restituito al partito il 15% del proprio stipendio pubblico. Ora possiamo svelare che il famoso “sistema del 15%” è continuato anche sotto la gestione di Matteo Salvini: ribassato a un più contenuto 10%, ma organizzato in modo ancor più maniacale. A dirlo è un registro di contabilità interna – di cui il Fatto è entrato in possesso –, una trentina di pagine che riassumono nei dettagli tre anni di gestione finanziaria della sezione lombarda della Lega: 2015, 2016 e 2017. Periodo in cui a capo del partito in regione c’era Paolo Grimoldi, deputato, fedelissimo di Salvini, nominato proprio dal leader nazionale del partito. I documenti ottenuti grazie a una fonte interna alla Lega, contengono la lista di chi in quegli anni girava parte del proprio stipendio al Carroccio. Nomi, cognomi, posto d’assegnazione e cifra versata. Nell’elenco ci sono attuali ministri del governo Draghi, consiglieri e assessori (quindi politici), ma anche tanti dirigenti pubblici. Che, in teoria, dovrebbero essere nominati solo sulla base di merito e competenze.

Tutti questi soldi confluiti nelle casse del partito sono stati versati come “erogazione liberale”. Una dicitura che permette di ottenere un trattamento fiscale di favore: chi dona può infatti detrarre la somma dalle tasse. Di certo con questo sistema la Lega in Lombardia ha raccolto parecchi soldi: 660mila euro nel 2015, altri 640mila nel 2016. E questo riguarda solo la Lombardia; esclusi quindi i quattrini bonificati alla sede centrale del partito e a tutte le altre sezioni regionali.

“La pazienza delle persone perbene ha un limite, da oggi querelo chiunque accosti il mio nome a gente mai vista né conosciuta”. Così parlava Salvini il 16 luglio 2020, all’indomani della notizia dell’inchiesta aperta dalla Procura di Milano sulla Lombardia Film Commission, l’ente pubblico vittima di un peculato da 800mila euro architettato, secondo le accuse dei magistrati, da Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, i due commercialisti scelti per gestire le malandate finanze del partito insieme al compagno di università Giulio Centemero, deputato e tesoriere della Lega. Nei documenti interni ci sono i nomi di Centemero, Manzoni e Di Rubba, con i loro versamenti fatti in relazione alle nomine pubbliche. Di Rubba, stando al registro, ha versato 1.000 euro alla Lega nel 2016 proprio per la poltrona da presidente della Lombardia Film Commission. Lo stesso ente da cui, secondo i magistrati di Milano, in quegli anni avrebbe fatto uscire 800mila euro con l’intento di prendersene una buona parte e investirla in due villette sul Lago di Garda, una per lui e una per il collega Manzoni.

Tra le società più grandi citate nei tabulati c’è poi Fiera Milano Spa. Quotata a Piazza Affari e controllata da Regione Lombardia, gestisce lo spazio fieristico più grande d’Italia. I documenti raccontano che Attilio Fontana, quando era vicepresidente della Fiera, per quell’incarico avrebbe versato soldi alla Lega: 5mila euro all’anno, nel 2015 e nel 2016. Poco più del 10% previsto, visto che il contratto con la Fiera prevedeva una paga annua di 43.050 euro.

Tra i tanti pagatori spicca poi Andrea Mascetti, avvocato presente nei cda di alcune delle più importanti società italiane, da Intesa Sanpaolo a Italgas: avrebbe versato al partito 4.741 euro nel 2015, quando è diventato (a giugno) presidente di Nord Energia, e 8mila esatti euro l’anno dopo, praticamente il doppio, mentre anche lo stipendio da manager pubblico raddoppiava.

Il dirigente in quota Lega più generoso è stato però Andrea Gibelli: 15mila euro nel 2015, 20mila euro nel 2016. D’altra parte anche lo stipendio da nominato era di tutto rispetto. Sotto il nome di Gibelli, come per tutti gli altri, il funzionario della Lega che ha compilato il tabulato ha segnato la qualifica: presidente di Fnm, la holding dei trasporti lombardi quotata in Borsa. La regola del 10% è stata rispettata anche in questo caso. Nel 2015 lo stipendio di Gibelli come presidente di Fnm (per mezzo anno di servizio) è stato di 153mila euro. Nel 2016 è aumentato a 290mila euro e parallelamente è cresciuto il suo contributo alla causa salviniana.

Tra i donatori più fedeli ci sono poi alcuni politici che nel frattempo hanno fatto carriera. Come Massimo Garavaglia, neo ministro del Turismo. Tra il 2015 e il 2017, quando era assessore al Bilancio in Lombardia, Garavaglia – secondo la contabilità interna – avrebbe versato 32.500 euro. Soldi donati insieme alla moglie, Marina Roma, oggi sindaco nel Comune milanese di Marcallo, ovviamente leghista. Ancor più generoso è stato Massimiliano Romeo, all’epoca consigliere regionale al Pirellone, oggi capogruppo della Lega al Senato e in corsa per un posto da sottosegretario nel governo Draghi: dal 2015 al 2017 Romeo avrebbe versato alla Lega Lombarda 50.300 euro.

Fatta eccezione per i politici di professione, il grosso della lista dei donatori è costituito però da semisconosciuti “piazzati” su varie poltrone pubbliche. Il presidente dell’Aler Milano (Mario Angelo Sala), il consigliere d’amministrazione del Policlinico San Matteo di Pavia (Giuseppe Zanoni), quello dell’Istituto dei Tumori (Andrea Gambini) e dell’Istituto Besta (Ivano Locatelli Paola Bergamaschi), il revisore contabile della Fondazione Stelline (Simona Ferraro).

E poi i dirigenti sanitari, pezzo forte delle nomine padane da oltre dieci anni. Nei nuovi documenti sono elencati i vertici di tutta la sanità lombarda. Compresi alcuni di quelli già trovati nelle liste del decennio 2004-2014. Ci sono ad esempio Mara Azzi Mauro Borelli, direttori generali della sanità, oggi in carica rispettivamente alla Ats di Pavia e alla Asst Franciacorta. Manager pubblici che hanno versato ininterrottamente alla Lega per almeno 13 anni. E che oggi sono ancora in carica, sempre più in alto nelle gerarchie della sanità lombarda. Carriere da urlo per gli aficionados dell’obolo leghista.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/24/il-sistema-15-il-libro-mastro-della-lega/6111699/?fbclid=IwAR36B9L2bGyZWLNhwgoUqtb5j0E8E9OTKjhjoBMbPlYoRR18l_utacKnTnM

giovedì 17 dicembre 2020

La testimone: “Bonomi disse ‘Pagavo Salvini sempre cash’”. - Stefano Vergine

 

Soldi & poltrone in casa Lega.

“Il nero che gli imprenditori versavano veniva utilizzato a volte per la campagna elettorale degli esponenti politici e veniva gestito senza passare dalle casse del partito. Ad esempio ricordo che Bonomi, in quota Lega per la Sea, diede 20.000 euro in contanti a Salvini, circostanza che mi venne riferita dalla Dagrada”. Era il 29 maggio 2013 quando Francesco Belsito pronunciava queste parole nel carcere milanese di San Vittore, interrogato dai magistrati della Procura di Milano che all’epoca lo indagavano per appropriazione indebita, per lo scandalo dei soldi del partito usati per le spese personali sue e di Umberto Bossi. L’accusa rivolta quel giorno da Belsito a Salvini – aver ricevuto 20 mila euro cash dal manager Giuseppe Bonomi, o almeno questo gli avrebbe riferito la storica segretaria del Carroccio, Nadia Dagrada – cadde nel vuoto, e non risulta mai essere stata riscontrata dagli investigatori in tutti questi anni. Ora però c’è un’altra testimonianza, questa volta diretta, che sostiene la stessa cosa. E anzi aggiunge che quello scambio di contanti tra i due non sarebbe stato l’unico.

A raccontarlo al Fatto è un’ex dipendente della Lega Nord, che ha lavorato per quasi tutta la vita in via Bellerio prima di finire tra i 71 lavoratori lasciati a casa nel 2017 da Matteo Salvini in nome dell’austerità. La testimone, che ci ha chiesto l’anonimato, spiega di aver saputo direttamente da Bonomi dei contanti che il manager avrebbe dato al leader della Lega. “Era il 2013: Salvini era segretario della Lega Lombarda, poco dopo sarebbe stato eletto nuovo segretario federale sostituendo Roberto Maroni”, racconta.

Il manager sempreverde.

Giuseppe Bonomi, varesino classe ’58, è da sempre un manager in quota Lega. Negli anni è passato per i cda di tutte le partecipate lombarde più importanti, da Sea a Expo, ma anche di carrozzoni nazionali come Alitalia e Anas. È ancora oggi lui il boiardo di punta del partito (basta guardare la gallery di foto che in tutti questi anni lo vedono immortalato con Bobo Maroni e con Attilio Fontana). Siede nel cda di Ferrovie Nord Milano e in quello di Dufry Italia, filiale del gruppo svizzero che controlla 2.400 duty-free negli aeroporti di mezzo mondo, tra cui quelli di Linate e Malpensa. Il suo incarico principale al momento è però quello di Ad di Milanosesto Spa: la società incaricata di gestire la ricostruzione dell’area delle ex acciaierie Falck di Sesto San Giovanni, il progetto immobiliare più grande d’Italia al momento.

Come tutti i manager in quota Lega – lo abbiamo raccontato nei giorni scorsi – Bonomi sarebbe tenuto a versare al partito il 15% di quanto incassa grazie alle nomine del Carroccio. Un bonifico regolare, detraibile dalle tasse. La fonte dice però di non aver mai visto in contabilità bonifici di Bonomi. “Ufficialmente lui non versava mai niente. I suoi versamenti a me risultavano zero”. Una versione congruente con quella offerta sette anni fa da Belsito ai magistrati di Milano, Alfredo Robledo, Roberto Pellicano e Paolo Filippini. Belsito mise infatti a verbale che Salvini non versò mai i 20mila euro ricevuti in contanti da Bonomi. Dai rendiconti finanziari interni e dai bilanci pubblici del partito risulta in effetti che Bonomi, pur essendo presente nelle liste dei “nominati” della Lega, non ha mai versato un euro di donazione.

L’incontro in via Bellerio.

“Quando Salvini è diventato segretario della Lega Lombarda – continua la fonte – mandò da me Bonomi per fare un versamento. A quel punto mi stupii: non ha mai versato niente e adesso viene a versare? Io gli dissi: ‘Guardi, questo è l’Iban, faccia il contributo volontario’. Lui mi chiese quanto, e io come sempre dissi che doveva decidere lui, che era contributo volontario, e che se voleva chiedere consiglio poteva andare da altri, da Giampaolo Pradella, dallo stesso Salvini… Io stavo molto attenta a dire queste cose, perché altrimenti il contributo non era più volontario”. Ma il racconto dell’ex segretaria va avanti: “Allora gli dico: ‘Questo è l’Iban, ci faccia il bonifico, in modo che poi lo detrae anche dalle tasse’. E lui mi è saltato su: ‘Ah no, ma io a Salvini li ho sempre dati in contanti’. Al che a me è saltata la mosca al naso, e mi sono detta: ecco perché non risulta mai tra quelli che hanno versato…”. A questo punto chiediamo: erano soldi che Bonomi avrebbe donato in contanti a Salvini, e poi quest’ultimo avrebbe girato sul conto della Lega? “No, ma quali contanti alla Lega!”, risponde al Fatto l’ex dipendente. “Io non so dove li versasse quei soldi Salvini, a me Bonomi disse solo: ‘Io ho sempre dato i contanti a Salvini e vorrei andare avanti così’”. Tanto che l’allora segretaria si sarebbe infastidita: “Mi spiace – riprende lei a raccontare – qui in segreteria non funziona così, io contanti non ne prendo, non ne voglio, faccia il bonifico, arrivederci e ciao”. Contattati per un chiarimento, Salvini non ha risposto, mentre Bonomi ha smentito categoricamente la ricostruzione di Belsito e dell’ex segretaria.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/17/la-testimone-bonomi-disse-pagavo-salvini-sempre-cash/6039628/

mercoledì 16 dicembre 2020

Soldi&Lega, pagano anche i nominati di Enel e Rai. - Stefano Vergine (3^puntata)

 

Sistema 15%. Versava pure chi lavorava in grandi gruppi. I magistrati del caso Lfc: “Valutiamo”.

Il “Sistema del 15%” si applica su tutto, dalla nomina nel consiglio d’amministrazione del Museo militare di Turate, novemila abitanti in provincia di Como, fino ai cda di Eni ed Enel, di Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi di Siena, di Terna e Fondazione Cariplo. Nei giorni scorsi abbiamo raccontato come la lottizzazione della sanità da vent’anni significa assegnare posti in cambio di donazioni. Versamenti da 6-7 mila euro all’anno, che i più svariati direttori delle Asl lombarde hanno fatto affluire, anno dopo anno, nelle casse della Lega. La quale li ha poi premiati, nominandoli in posti sempre più importanti all’interno della sanità pubblica. Notizie di interesse per la Procura di Milano, che ha diverse inchieste in corso su uomini del partito di Matteo Salvini. Il documento inedito che pubblichiamo qui a fianco, racconta invece che cosa è successo a un livello molto più grande: quello delle società private, delle grandi multinazionali italiane, gruppi che competono a livello globale con altri giganti. La lista – un file di contabilità interna, compilato una decina di anni fa dalla segreteria di via Bellerio – raccoglie i nomi di tutti i manager piazzati in quel momento nei posti di vertice delle principali aziende private italiane. Manager che ufficialmente non avevano nulla a che fare con la Lega: commercialisti, avvocati, professionisti vari. Tutte persone che, in realtà, avevano il dovere di versare il 15% del loro compenso al partito. “Dovere morale”, l’ha definito sapientemente la Lega Nord in una delibera del consiglio federale del 2001, ancora in vigore. Dovere di fatto, secondo una ex segretaria del partito, secondo la quale nella pratica la regola sarebbe invece stata questa: “Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato”.

La nuova lista, di certo, mostra quanto è capillare il “sistema del 15%”. Pagare per una nomina in un consiglio d’amministrazione o in un collegio di revisione contabile sembrerebbe una regola trasversale. Come abbiamo anticipato sul Fatto ieri, nell’elenco ci sono i consiglieri d’amministrazione di due dei più grandi gruppi italiani: Paolo Marchioni, per sei anni nel board di Eni, presente tra i donatori del partito, e Marcello Sala, per una vita nel cda di Intesa Sanpaolo, fino a diventarne vicepresidente, che negli anni degli incarichi in banca ha donato almeno 51 mila euro alla Lega.

Da Eni a Terna ed Enel. Nell’elenco completo che pubblichiamo oggi (dopo aver analizzato gli altri nomi presenti) c’è tutto il resto dell’economia italiana. Ci sono professionisti come Marco Folicaldi, commercialista con un curriculum pieno di incarichi nei collegi sindacali di comuni della provincia milanese e di parecchie società private. Tra cui Avisio Energia, all’epoca controllata di Enel. Alcuni documenti contabili del partito dicono che Folicaldi avrebbe versato il suo obolo alla Lega nel 2010, nel 2012 e nel 2014, per un totale di 3 mila euro. Sempre nel settore energia la Lega aveva piazzato all’epoca il professor Piero Maranesi, già ordinario di Elettronica all’Università di Milano e associato di Elettrica nucleare al Politecnico: la lista di via Bellerio lo colloca sotto Terna, il monopolista della trasmissione di elettricità in Italia. E, in effetti, i rendiconti finanziari compresi tra il 2011 e il 2013 dicono che Maranesi, nominato in seguito anche nei board di Enea ed Rse, il suo contributo alla causa (allora padana, oggi nazionalista) si è sentito tenuto a darlo: 2mila euro in tutto, non molto.

Mamma rai. Sono stati invece più generosi come donatori i lottizzati in quota Lega della Rai, ufficialmente super partes. Sapere con certezza quanto abbiano versato tutte le persone elencate qui a fianco è impossibile: fino al 2014, non essendone obbligata, la Lega non pubblicava infatti gli elenchi dei suoi finanziatori.

Un rendiconto finanziario interno aiuta però a farsi un’idea di come funzionava. Elenca tutte le entrate registrate tra il 2004 e il 2014 su uno dei conti correnti della Lega Nord, uno solo dei tanti. È una goccia nel mare, ma racconta ad esempio chi pagava in Rai. Giovanna Bianchi Clerici, componente del cda dell’azienda dal 2005 al 2012, avrebbe versato soldi al partito: un bonifico una tantum da 9.420 euro, eseguito nel 2006. Massimo Ferrario, che dieci anni fa era il direttore della produzione della Rai a Milano, mentre oggi è il responsabile della sede regionale della Liguria, avrebbe regalato 10 mila euro al Carroccio nel 2004, mentre si sarebbe limitato a un versamento da 2 mila euro nel 2014 Antonio Marano, che però oltre che dirigente apicale della Rai è stato anche un deputato della Lega.

Banche. Con il partito non hanno invece in teoria alcun contatto alcuni professionisti del mondo bancario, i cui nomi però si trovano sia nell’elenco interno dei “nominati in quota Lega” che in quello dei suoi finanziatori. Come Marco Dell’Acqua, commercialista di Sondrio, Cavaliere della Repubblica.

Per sei anni è stato nel consiglio d’amministrazione della Fondazione Cariplo, azionista di peso di Intesa Sanpaolo. Oggi è nel collegio sindacale di Fideuram, la finanziaria del gruppo. I pochi dati contabili a nostra disposizione dicono che Dell’Acqua è un donatore storico della Lega: dal 2006 al 2014 avrebbe bonificato al partito almeno 22 mila euro, sul conto corrente che abbiamo potuto analizzare. Tanti o pochi, dipende in teoria sempre dalla paga ottenuta dalla nomina, perché l’unica cifra fissa è la percentuale: 15%.

Il che si traduce anche in piccole donazioni, quelle necessarie per ottenere gettoni di presenza nei collegi sindacali dei più noti istituti di credito italiano. Come i 500 euro annuali di Felice Tavola, uno dei più noti commercialisti di Lecco, “piazzato” dieci anni fa tra i revisori contabili di una controllata di Intesa Sanpaolo, della municipalizzata Aem Energia e anche di Mps Finance, oggi ribattezzata MPS Capital Services, il braccio finanziario del gruppo Monte dei Paschi di Siena. Una conquista in terra rossa per la Lega. Uno delle tante aziende italiane private finite sotto lottizzazione. Un meccanismo grazie al quale il Carroccio – come dicono tutti i documenti pubblicati finora – da vent’anni ottiene un mare di finanziamenti.

3 – Continua

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/16/soldilega-pagano-anche-i-nominati-di-enel-e-rai/6038252/

martedì 15 dicembre 2020

Lega, soldi & poltrone: l’assalto alla sanità. - Stefano Vergine (2^puntata)

 

I nominati e il “sistema del 15%”. Attivo fino al 2019. Così i “piazzati” pagano il Carroccio. Il meccanismo è ancora attuale: nei documenti inediti c’è traccia dei versamenti fino allo scorso anno.

I versamenti sono continuati almeno fino al 2019. E la lista dei nominati non riguarda solo la sanità lombarda, ma un pezzo enorme dell’economia italiana: partecipate di Stato, banche, società finanziarie, fondazioni, multinazionali dell’energia, società aeroportuali, aziende di trasporti. Il “sistema del 15%” è pervasivo, capillare e non è una abitudine che la Lega di Matteo Salvini ha abbandonato. È stato il commercialista Michele Scillieri a rivelarne l’esistenza ai pm di Milano nell’ambito dell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission.

Ma grazie a documenti finora inediti e a diverse testimonianze raccolte, Il Fatto però è in grado di provare come quel meccanismo sia in realtà strutturato e ben collaudato all’interno del partito di Salvini ancora oggi. Sul giornale di domenica abbiamo svelato il meccanismo usato dal Carroccio per finanziarsi attraverso le nomine di manager e dirigenti sanitari in Lombardia tra il 2008 e il 2010. La regola è chiara, come scritto in una delibera del consiglio federale del 2001: “È dovere morale di quanti saranno nominati, di contribuire economicamente alle attività del movimento con importi che equivalgano, mediamente, al 15 per cento di quanto introitato”.

Qui non stiamo parlando di persone iscritte alla Lega, di parlamentari, consiglieri regionali o comunali. Si tratta di manager ufficialmente slegati dalla politica, scelti per guidare aziende pubbliche come quelle sanitarie.

Domenica abbiamo pubblicato un elenco interno al partito con 34 nomi di dirigenti sanitari lombardi che dal 2008 al 2010 hanno versato regolarmente soldi al Carroccio. Donazioni da 6-7 mila euro all’anno ciascuno, che messi insieme hanno permesso al partito di raccogliere circa 350mila euro nel triennio.

Le nuove carte analizzate permettono di raccontare che questi versamenti sono proseguiti fino a oggi. Lo dicono gli stessi bilanci della Lega. Prendiamo Mara Azzi, oggi direttore generale dell’Ats di Pavia. Tra il 2008-2010, quando era a capo della Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda, Azzi avrebbe versato 18 mila euro alla Lega, secondo un documento contabile del partito. Davvero Azzi ha donato soldi alla Lega? Alle nostre domande la dirigente pubblica non ha risposto. Impossibile trovare riscontri per quegli anni nei bilanci della Lega: il partito ha iniziato solo nel 2014 a pubblicare le liste dei suoi donatori a livello nazionale, e solo dal 2015 gli elenchi dei finanziatori delle varie sezioni regionali. Proprio dal bilancio della Lega Nord relativo al 2015 emerge però il nome della Azzi. In quell’anno, quando Salvini era già segretario federale, la dirigente sanitaria ha donato 12 mila euro al Carroccio.

Storia simile per Walter Locatelli, all’epoca direttore generale della Asl di Milano, oggi commissario straordinario di Alisa, l’Azienda Ligure Sanitaria della Regione Liguria, che gestisce tutte le cinque Asl liguri e l’ospedale San Martino. Locatelli ha sicuramente donato soldi alla Lega nel 2014: 6mila euro, dice il bilancio del Carroccio. Chi ha invece continuato a versare l’obolo senza soluzione di continuità è Mauro Borelli, da una vita dirigente sanitario in Lombardia, prima direttore generale dell’Asl di Lecco, poi di quella di Mantova, adesso dell’Asst Franciacorta. Secondo il documento contabile interno, Borelli avrebbe versato 18mila euro alla Lega tra il 2008 e il 2010. Contattato da Il Fatto per un commento, Borelli non ha risposto. Impossibile dunque sapere con certezza se il dirigente pubblico abbia versato soldi alla Lega in quegli anni. Di certo, però, lo ha fatto negli anni seguenti.

I rendiconti del partito dicono che in tutti questi anni Borrelli non si è mai scordato della sua donazione. Con una precisione svizzera, ha versato 6 mila euro all’anno, ogni anno, dal 2014 al 2019. Sempre la stessa cifra, la stessa versata al partito da molti suoi colleghi. Come Alessandro Visconti, tra il 2008 e il 2010 direttore amministrativo dell’Asl Milano, oggi salito di grado e diventato direttore generale dell’Asst Fatebenefratelli Sacco: nel 2015 e nel 2016 ha donato in tutto 12mila ero alla Lega, dicono i bilanci, mentre negli ultimi tre anni non c’è più traccia di suoi contributi. Chi non ha invece mai saltato un giro è Fulvio Edoardo Odinolfi, fino al 2011 direttore sanitario della Asl di Lecco, oggi direttore generale dell’Asst Ovest Milano. I bilanci pubblici della Lega dicono che Odinolfi dal 2015 al 2019 ha donato in tutto 33mila euro al partito. Come abbiamo raccontato domenica, né i vertici della Lega (Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti) né i cinque dirigenti sanitari citati hanno risposto alle nostre domande sul meccanismo del 15%.

Ieri ci ha però inviato una email uno dei cinque dirigenti: Alberto Zoli, tra il 2008 e il 2010 direttore sanitario della Asl di Lecco, oggi direttore generale dell’Areu, l’Azienda Regionale Emergenza Urgenza, l’unità di crisi presieduta da Attilio Fontana che si sta occupando dell’emergenza covid-19. Oltre a farci sapere di non aver più dato contributi alla Lega dopo il 2010, Zoli ha tenuto a precisare che quei versamenti non erano frutto di “una vera a propria richiesta”: era “consuetudine che i manager che aderivano al progetto della Lega sostenessero con una quota volontaria il partito. Avevo saputo di questa possibilità dall’allora capogruppo della Lega in Consiglio Regionale, che però non mi ha parlato di cifre, solo di opportunità su base volontaria, non certo obbligatoria”. Che cosa poteva succedere in caso di mancato versamento? “Non succedeva nulla”, è stata la risposta di Zoli. Una versione che non combacia con quella fornitaci da una ex segretaria della Lega, nell’amministrazione in via Bellerio per quasi 30 anni. Chiedendoci l’anonimato, la donna ha spiegato che il sistema del 15% nella pratica non funzionava davvero su base volontaria. “Tutti quelli nominati”, dice la fonte, “avevano l’obbligo morale di dare un tot alla Lega ogni anno, almeno quelli che venivano remunerati per quell’incarico. Chi non lo faceva riceveva una telefonata da Giampaolo Pradella, che si occupava allora degli enti locali della Lega, che gli diceva: ‘Guarda, non è arrivato il contributo, ricordati eh’. Insomma, in modo velato gli diceva: ‘Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato’”.

2- Continua

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domenica 13 dicembre 2020

Il “sistema del 15%”. Ecco la prova che inchioda la lega. - Stefano Vergine

 

“Dovere morale”. Soldi al partito dai nominati.

Versamenti al partito in cambio di nomine pubbliche. Posti nei più importanti cda d’Italia, nelle direzioni di ospedali e aziende sanitarie locali, nei consigli di revisione contabile delle partecipate pubbliche. Poltrone assegnate in cambio della restituzione alla Lega di una parte dello stipendio. È il “sistema del 15%” – la quota da restituire al partito per i nominati –, un sistema scritto nero su bianco. Così il Carroccio avrebbe gestito il suo potere politico negli ultimi vent’anni, con un vero e proprio sistema di finanziamento per le casse del partito, stando a quanto emerge sia da documenti inediti (in parte pubblicati in queste pagine) sia da diverse testimonianze raccolte.

Il “sistema del 15%” il Fatto lo ha raccontato, nell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission, riportando quanto avrebbe detto il commercialista Michele Scillieri durante l’interrogatorio con i pm di Milano. Ma quello che ora siamo in grado di svelare è un meccanismo strutturato e ben collaudato, in vigore da anni. Tutto è raccontato nei dettagli da alcuni documenti contabili interni alla Lega e dalle testimonianze di tre ex leghisti che fino a pochi anni fa sedevano in posti cruciali dell’amministrazione del partito. I documenti inediti raccolgono i nomi di decine e decine di dirigenti e manager di aziende sanitarie pubbliche lombarde. Molti ancora in attività. Nomi e cifre: quelle che ognuno di loro versava alla Lega, il partito del Nord. Che, a dispetto delle intemerate d’origine contro il clientelismo romano, ha creato un sistema perfetto per controllare le nomine. Tutto fatto in modo trasparente, con bonifico bancario, così che la spesa sia anche detraibile fiscalmente. Un sistema perfetto, che si basa però su un presupposto molto scivoloso, come vedremo più avanti: la donazione deve essere spontanea.

Nero su bianco: la delibera del consiglio federale

Analizzare tutti i nomi è un lavoro lungo: questa è solo la prima puntata di un’inchiesta che pubblicheremo nella prossima settimana. Di certo il sistema del 15% è stato istituzionalizzato, formalizzato in un Consiglio federale della Lega dell’autunno 2001. Lo dimostra un documento del partito, mai pubblicato finora, firmato dall’allora segretario organizzativo della Lega Nord, Gianfranco Salmoiraghi. Il 23 ottobre del 2001 Salmoiraghi informa le varie sezioni della Lega che una settimana prima, in occasione del Consiglio federale (l’organo esecutivo della Lega), è stato deciso che sarà Giancarlo Giorgetti ad avere “l’incarico di sovrintendere alla nomina dei nostri esponenti”. Citando il verbale del Consiglio federale, Salmoiraghi aggiunge che secondo quanto deciso “è dovere morale di quanti saranno nominati, di contribuire economicamente alle attività del Movimento con importi che equivalgano, mediamente, al 15% di quanto introitato”.

Esattamente la stessa percentuale di cui ha parlato Scillieri ai magistrati di Milano pochi giorni fa. Il commercialista e socio d’affari dei contabili della Lega, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni – indagato insieme a loro per peculato nella vicenda della Lombardia Film Commission – ha messo a verbale di aver dovuto restituire al partito il 15% del suo compenso ottenuto come revisore contabile della stessa Lombardia Film Commission, un ente pubblico controllato dalla Regione Lombardia. Ma la testimonianza di Scillieri, alla luce di questi documenti inediti, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg.

“Tutti sapevano. Eri nominato e poi aiutavi la Lega”

Che tutto sia andato così per molti anni lo conferma al Fatto Daniela Cantamessa, in Lega dagli albori, segretaria di Umberto Bossi fino all’arrivo di Roberto Maroni alla segreteria federale. “Lo sapevano tutti che funzionava così – racconta – era normale: tu eri nominato dalla Lega e poi aiutavi il partito. Io però non ero in amministrazione, non vedevo personalmente le donazioni”. Chi ha conosciuto bene la macchina contabile per qualche anno è Francesco Belsito, tesoriere dal 2007 al 2012, poi cacciato per lo scandalo degli investimenti in Tanzania e condannato in via definitiva per appropriazione indebita nell’ambito della vicenda dei 49 milioni. I saldi sui conti correnti dei partito Belsito li vedeva, e spiega al Fatto che “i manager nominati nelle partecipate di Stato dovevano versare una quota del loro compenso sul conto corrente del partito, sottoforma di donazione, così la scaricavano dalla dichiarazione dei redditi. Era la prassi, lo sapevano tutti. Quelli che versavano sul conto della Lega Nord federale erano i nominati delle partecipate di Stato. I nominati nelle società locali versavano invece alle sezioni regionali. Per esempio, Regione Liguria nomina persone nella finanziaria di riferimento regionale, in quella del turismo: 7-8 partecipate in tutto. Quei pagamenti li seguiva il segretario regionale del partito. Per società come Eni, Poste, Finmeccanica o allora Invitalia, si versava invece direttamente sul conto della Lega Nord”. Chi ha visto con i suoi occhi ogni singolo versamento, almeno in Lombardia, è una segretaria che ci ha chiesto l’anonimato. Ha lavorato nell’amministrazione in via Bellerio per quasi 30 anni, e dice che almeno fino al 2015 – quando insieme ai tanti altri dipendenti è stata lasciata a casa a causa dei tagli fatti da Matteo Salvini in nome dell’austerity – il sistema funzionava così. “Tutti quelli nominati avevano l’obbligo morale di dare un tot alla Lega ogni anno, almeno quelli che venivano remunerati per quell’incarico. Chi non lo faceva riceveva una telefonata da Giampaolo Pradella, che si occupava allora degli enti locali della Lega, che gli diceva: ‘Guarda, non è arrivato il contributo, ricordati eh’. Insomma, in modo velato gli si diceva: ‘Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato’”. C’erano contratti scritti? “No, era su base volontaria, che però volontaria non era. Il discorso era semplice: ‘La Lega ti ha messo lì, e tu devi contribuire’”. Funziona ancora così nel partito guidato oggi da Salvini? Alle nostre domande, inviate ieri al segretario federale e al suo vice, Giorgetti, non è stata data per ora risposta.

1 – Continua

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