Visualizzazione post con etichetta resti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta resti. Mostra tutti i post

mercoledì 14 agosto 2024

lunedì 27 novembre 2023

Resti di una razza perduta di giganti sono stati scoperti in Nevada. Sono i biblici Nephilim?

 

Ci sono un certo numero di racconti menzionati dalle tribù dei nativi americani su giganti alti e forti dai capelli rossi, che abitavano la regione del Nevada migliaia di anni fa. Nelle storie, sono descritti come una razza crudele, cannibale ed estremamente barbarica, i giganti umanoidi.

Questa tribù nativa americana si chiamava The Paiute e il nome di questa razza di giganti era Si-Te-Cah. Nel nord di Paiute, secondo la leggenda, questi giganti arrivarono da un’isola lontana attraversando l’oceano sulle zattere costruite usando la pianta fibrosa di tule.

Nel XVI secolo, il conquistatore spagnolo Pedro Cieza de León in Crónicas del Perú trova una storia sull’origine dei giganti sudamericani. Secondo la storia, “arrivarono via mare in zattere di canne, robuste come le grandi navi; alcuni di questi erano così alti che dal ginocchio in giù erano grandi quanto un normale uomo di taglia normale. ”

Secondo la leggenda, questa antica tribù di giganti intraprese una guerra contro il Paiute e tutte le altre tribù del loro vicinato. La guerra fu terribile per le tribù native, e alla vigilia del loro annientamento, unirono le loro forze tutte insieme contro Si-Te-Cah, quindi riuscirono ad attirarli all’interno di una grotta. Una volta arrivati ​​all’interno, le tribù hanno appiccato un incendio all’ingresso della grotta che ha provocato il soffocamento e la morte di tutti i giganti.

L’ingresso della caverna fu sigillato dalle tribù fino al 1886 quando John T. Reid, un ingegnere minerario, incuriosito dalle storie delle tribù native, entrò nella caverna e, diffuse la storia.

Purtroppo, l’attenzione è stata catturata da una compagnia fondata dai minatori David Pugh e James Hart e furono scoperti depositi di guano all’interno della caverna. Iniziarono a scavare la preziosa risorsa nel 1911, ma in quel processo, qualsiasi tipo di artefatto che potesse essere scoperto fu quasi certamente trascurato o perso.

Tuttavia, dopo che lo strato esterno di guano fu estratto, oggetti affascinanti iniziarono a emergere. Ciò ha portato a un adeguato scavo condotto nel 1912 dall’Università della California, seguito da un altro nel 1924. I rapporti parlano di un enorme numero di artefatti acquisiti, molti dei quali risultarono sbalorditivi.

Probabilmente uno dei risultati più sorprendenti all’interno di questa grotta è stato il ritrovamento di diversi sandali lunghi 15 pollici! Presumibilmente, altri oggetti straordinariamente più grandi sono stati recuperati, ma da allora sono stati messi al sicuro nei magazzini dei musei non esposti al pubblico

Enorme impronta impressa nella roccia di Lovelock.

L’unica prova a cui si può assistere attualmente è un’enorme impronta, incastonata su un masso all’interno della Grotta di Lovelock.

Teschi giganti di Lovelock

Il secondo scavo che ha avuto luogo nella grotta ha rivelato molte altre inquietanti scoperte. Nel 1931, sulla base di un articolo pubblicato nel Nevada Review-Miner, un paio di enormi scheletri furono trovati sepolti in un lago asciutto vicino a Lovelock, nel Nevada. I resti extra-large misuravano 8,5 metri, rispettivamente, e sono stati trovati su di essi capelli rossicci.

Vi sono numerose congetture che circondano le comunità scientifiche che questi giganti potrebbero, in realtà, essere i Nephilim biblici, la prole abbandonata dei “Figli di Dio” con le “figlie degli uomini”. Se questo è corretto, possiamo presumere che queste mummie saranno probabilmente nascoste al pubblico per mantenere segreta questa storia per sempre.

A cura di Hackthematrix

Nel video, MKDavis e Don Monroe scoprono un’impronta gigantesca nella grotta di Lovelock:

source

https://www.hackthematrix.it/resti-razza-perduta-giganti-stati-scoperti-nevada-biblici-nephilim/?feed_id=165888&_unique_id=6530f3b528c0d

domenica 14 luglio 2019

Messina, a Tusa riaffiorano tre templi e un teatro greco. - Isabella Di Bartolo

Messina, a Tusa riaffiorano tre templi e un teatro greco

Tre templi e un teatro greco. Sono queste le scoperte più importanti delle campagne di scavo in corso, anche quest’anno, nel sito della città di Halaesa Archonidea, nei pressi di Tusa nel Messinese. Qui sono in campo gli archeologi delle Università di Amiens, Sorbona e dell’Ecole du Louvre diretti da Michela Costanzi nel sito del teatro antico; mentre una seconda missione è quella degli Atenei di Messina e Oxford, guidati da Lorenzo Campagna e Jonathan Prag con il coordinamento scientifico di Alessio Raffa del Cnr Ibam i quali, per il terzo anno, scavano nell’area del santuario di Apollo. Qui è stato messo in luce un blocco monumentale di oltre 45 metri di lunghezza, largo 25 metri e alto 4 metri: un podio a gradoni su cui si ergevano tre templi. “E’ questo il cuore del santuario – dice Raffa - dove erano due edifici templari laterali e uno più grande probabilmente dedicato a quello di Apollo, nominato da Diodoro Siculo e da due iscrizioni di Halaesa. Apollo era il nume tutelare della città come testimonia anche la monetazione di Halaesa con impressa la testa di Apollo e la cetra”. 
Sono stati individuati i basamenti di tre templi, di cui si conserva poco, di epoca ellenistica: un ritrovamento importante a cui lavorano anche il parco archeologico di Tindari, la soprintendenza di Messina e il Comune di Tusa. Prosegue invece lo scavo italo-francese nel sito in cui lo scorso anno è stato individuato un teatro. “Lavoriamo a sud dell’agorà – spiega Michela Costanzi -, nella zona dell’acropoli meridionale e sotto il muro a contrafforti ed è questa la zona che non finisce di riservare sorprese: lo scorso anno erano stati scoperti elementi che provano inequivocabilmente l’esistenza di un teatro antico sepolto sotto vari metri di terra: gradini tagliati nella roccia e sedili lapidei. Quest’anno abbiamo ritrovato i resti del muro che chiudeva la cavea su cui sedevano gli spettatori e quello dei corridoi. Elementi che ogni giorno di più permettono di capire l’impianto urbano di questa città che Cicerone aveva definito una delle più belle della Sicilia”. 

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/07/13/foto/messina_a_tusa_riaffiorano_tre_templi_e_un_teatro_greco-231103008/1/?fbclid=IwAR3QzMFTxNEtv3Of0dl3lj3uKS9bOoklqJdS4TDG6skqyHDaQdsDRvmRmbU#1

domenica 2 aprile 2017

Archeologia. Scoperta a Dorgali una necropoli nuragica simile a quella di Mont'e Prama: il gigante di Dorgali e i teschi del paleolitico.


Una necropoli nuragica di tombe a pozzetto inviolate in un terreno che presenta una serie di frammenti simili a quelli del sito di Mont’e Prama. Oltre a frammenti di lastre di copertura dei sepolcri, fra i reperti più interessanti si notano pezzi di busto, di arco, di scudo, gomiti e piedi. Siamo nel territorio di Dorgali, lungo la strada provinciale 38, a circa 1 km dal villaggio nuragico di Serra Orrios. I lavori di ripristino del fondo stradale hanno portato alla luce anche alcune tombe a cremazione del tipo a cassetta di embrici e ad anfora segata. La datazione dei nuovi rinvenimenti rimane incerta ma sembra collocabile alla Prima età del Ferro per ciò che riguarda le tombe a inumazione, e a inizio età imperiale per quelle a cremazione. Per approfondire la ricerca sarà necessario ottenere le autorizzazioni per attivare un cantiere archeologico per rimuovere lo strato di terreno superficiale. Le fattezze della statua, secondo gli archeologi, richiamano quelle dell’arciere sulcitano, un bronzetto rientrato in patria dopo che era stato individuato in una vecchia foto polaroid che lo ritraeva nel bollettino delle acquisizioni del museo americano di Cleveland nel 1991, volume 78, n.3). Acquisito in maniera irregolare nell’anno 1991 dal Museum of Art, divenne l’emblema del museo stesso. Alla conclusione delle indagini, si appurò che il
manufatto fu il frutto di scavi clandestini avvenuti a Sant’Antioco. La nuova scoperta è di giovedì mattina e i reperti sono ancora nel cantiere, da dove saranno quanto prima trasferiti nei magazzini della Soprintendenza.
Il cantiere nei giorni scorsi era stato visitato dai tombaroli, il cui arrivo ha evidenziato un problema di sicurezza dell’area causando polemiche per la mancanza di un adeguato servizio di guardiania.
I frammenti della grande scultura di Dorgali sono diversi da quelli delle statue di Mont’e Prama, una quarantina, più o meno complete, scoperte finora e oggi esposte a Cagliari e Cabras. La particolarità del gigante sta nel fatto che è quasi intero, ma soprattutto nel fatto che la statua è una sorta di pezzo unico: si tratta di un arciere, ma è diverso dagli altri arcieri rinvenuti finora perché la mano che tiene l’arco è priva di quelle decorazioni in stile geometrico che caratterizzano i giganti di Mont’e Prama. Inoltre l’arco è poggiato sulla spalla sinistra.

La tipologia e il numero dei frammenti, così come il loro stato di conservazione, fanno di questo ritrovamento uno degli eventi culturali più importanti del 2017. La statua, di dimensioni monumentali, rappresenta la manifestazione di una civiltà che non ha uguali nel bacino occidentale del Mediterraneo e proietta nuova luce sull’arte e la cultura delle popolazioni della Sardegna.
Caratteristica è la resa del volto e in particolare degli occhi, identici a quelli delle sculture di Mont’e Prama: due cerchi concentrici, una fronte sporgente che scende su un naso stilizzato e pronunciato che rende lo sguardo della statua magnetico e severo.

Risultati immagini per necropoli nuragica simile a quella di Mont'e Prama:

Dallo scavo della necropoli, inoltre, sono emersi due teschi, conservati parzialmente, che potrebbero appartenere a una non meglio specificata e conosciuta specie umana. I teschi risalgono uno a 105.000 anni fa, l'altro a 125.000 anni fa e recano, mescolati, tratti caratteristici di altre specie umane conosciute, tra i quali i Neandertaliani. Al momento sono classificati semplicemente come appartenenti alla specie "Homo arcaico". I ricercatori hanno descritto i due reperti come dei veri e propri mosaici. I crani possono fornire notizie utilissime sull'evoluzione morfologica umana nel continente Europeo. Alcune caratteristiche sono simili a quelle degli antichi umani euroasiatici; altre caratteristiche somigliano agli umani contemporanei, altre ancora ai neandertaliani. Quest'analisi suggerisce l'esistenza di interconnessioni tra le popolazioni di tutta l'Eurasia durante il Pleistocene. La scatola cranica piuttosto grande di questi due antichi esseri umani esclude che si tratti di Homo erectus e altre specie note di ominidi. Alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che possa trattarsi di un ramo dei Denisoviani, un gruppo umano conosciuto solo attraverso l'analisi del Dna di pochissimi resti: un dente e le ossa di un dito ritrovati nella Grotta di Denisova, in Siberia. L'esistenza dei Denisoviani, in effetti, è provata solo dal Dna prelevato da questi due reperti. I Denisoviani condividono elementi genetici sia con gli esseri umani moderni che con i Neanderthal, un'evidenza che ha spinto gli scienziati a credere che, a un certo punto della storia, siano coesistiti con gli esseri umani moderni.
Ora l'attenzione dei ricercatori è focalizzata sull'estrazione del Dna dai due teschi scoperti, anche se il Dna non può fornire informazioni circa la morfologia cranica di questi antichi uomini. Purtroppo, inoltre, su questi antichi teschi non sono stati trovati denti per cui non possono farsi dei raffronti con i denti recuperati nella Grotta di Denisova. Tuttavia l'estrazione e lo studio del Dna possono fornire risposte alla domanda se questi teschi appartengono o meno ad una sconosciuta specie umana.

mercoledì 14 ottobre 2015

La città di Sodoma è stata trovata? In Giordania i resti con le caratteristiche del sito distrutto da Dio nel Vecchio Testamento .


Dopo anni di ricerche è stato trovato un sito archeologico risalente tra il 3500 a.C. e il 1540 a.C: è Tal el-Hamaam, in Giordania. Gli archeologi sostengono che si tratti di Sodoma; secondo l'antico testamento questa città venne distrutta insieme a Gomorra, Adama, Zoar e Zobim per volere divino. Secondo gli studiosi, la città venne ricostruita 700 anni dopo essere stata demolita.
Nei 40 ettari studiati, gli archeologi dicono di aver trovato i resti risalente all'età del Bronzo. In base ai reperti trovati e al posizionamento geografico, a est del fiume Giordano, come scritto nella Bibbia, gli studiosi hanno detto di avere tutti gli elementi per affermare che quel sito sia Sodoma.
La famosa città del “peccato” è descritta dagli archeologi come una vecchia zona commerciale di grandi dimensioni e con grandi fortificazioni. Poi, Dio decise di distruggerla e mandò degli angeli a cercare gli uomini da salvare, solo Lot, un uomo della città poté fuggire insieme alla sua famiglia.
La zona restò disabitata per 700 anni dopo la distruzione e venne poi ripopolata nell’età del Ferro, un'epoca che va dal 1200 a.C. al 332 a.C. La storia riportata nel Vecchio Testamento dice che Dio distrusse i "peccatori" malvagi di Sodoma con fuoco e zolfo. Negli anni a venire, entrambe le città sono state usate come metafora per descrivere cosa succede a chi cede al vizio e all'omosessualità.
Steven Collins, dell’università Trinity Southwestern del New Mexico, è stato il coordinatore delle ricerche e, come riporta il Daily Mail, il professore ha dichiarato che Sodoma fosse una città “orrenda” se confrontata con le altre dello stesso periodo.
Gli scavi nella Valle del Giordano sono iniziati nel 2005 e, nei 10 anni successivi, gli archeologi hanno scoperto che si trattasse di una società sofisticata, avevano un ottimo sistema di difesa: resistenti mura intorno alla città larghe più di cinque metri e alte oltre i dieci.
“Quello che abbiamo scoperto è un’importante città-stato fino ad ora sconosciuta agli studiosi” ha detto il professor Collins. “Studiando nel dettagli i testi sacri, coincide con la posizione in cui si trovava Sodoma – aggiunge il professore – siamo giunti alla conclusione che questo sito sia la più grande città esistente ai tempi di Abramo. Sappiamo molto poco l'età del Bronzo, nel sud della valle del fiume Giordano, la maggior parte delle carte archeologiche della zona erano vuote. La distruzione di Sodoma, insieme a quella di Gomorra è descritta in numerosi passi della Bibbia, tra cui la Genesi e il Nuovo Testamento, persino nel Corano”.
Gli studiosi hanno capito dagli scavi che la città fosse fornita di porte, torri, strade principali e piazze, poi l’abbandono, secondo il professor Collins, avvenne in seguito ad un terremoto, altri archeologi sostengono invece l’ipotesi di un asteroide.
“Dopo essere stata abbandonata per 700 anni – spiega il professor Collins - nell’età del ferro la città ha poi iniziato a rifiorire, come dimostrano i cancelli di ferro che introducevano alla città”.