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venerdì 16 febbraio 2024

Scavo. Si rimuove il terreno di superficie. Emergono mega-strutture. Gli archeologi: “Sono romane”. L’umbilicus. La scoperta.

 

I resti architettonici di una possente base militare romana di 1.800 anni fa, sono stati scoperti in un recente scavo condotto dall’Autorità per le antichità israeliane ai piedi di Tel Megiddo, vicino all’antico villaggio di Kfar Othnay (greco: Capercotnai). Le strutture portate alla luce appartenevano al comando della Legio VI Ferrata, così chiamata per le armature e per le protezioni pesanti che portavano i soldati. Un’unità militare corrazzata.

Lo scavo è stato diretto da Yotam Tepper e Barak Tzin e finanziato dalla Netivei Israel National Infrastructure Company. Nel corso dell’indagine archeologica sono stati scoperti estesi e impressionanti resti architettonici della via Pretoria (strada principale del campo), oltre a un podio a forma semicircolare e aree pavimentate in pietra che facevano parte di un grande edificio pubblico monumentale.

Quella della VI Legione è l’unica base militare romana di queste dimensioni che è stata localizzata e scoperta in Israele. Una cittadella militare costruita come una “piccola Roma”.

“Il campo della VI Legio romana fu una base militare permanente per oltre 5.000 soldati romani per più di 180 anni, dal 117-120 al 300 circa”- afferma il dottor Yotam Tepper, direttore degli scavi per conto dell’Autorità di Antichità Israel. “Due strade principali si incrociano al centro del campo. Una ha 550 metri di lunghezza, l’altra, che segna la larghezza del campo stesso è di 350 metri. All’incontro tra le due strade sono stati eretti gli edifici di comando (e fu stabilito l’umbilicus, ndr.)-. Fu da questo punto base che tutte le distanze lungo le strade imperiali romane – fino alle principali città del nord del paese – furono misurate e segnate con pietre miliari. Gli antichi resti dell’edificio non furono conservati in altezza, poiché la maggior parte delle pietre da costruzione furono rimosse, nel corso del tempo, per essere riutilizzate in progetti edilizi realizzati durante il periodo bizantino e primo islamico. ”

Il Dr. Tepper ha sottolineato che la scoperta della base legionaria non è stata accidentale, poiché nell’ultimo decennio sono stati condotti sondaggi e sei stagioni di scavi archeologici nell’ambito di un progetto di ricerca geografico-storica congiunto diretto dal Dr. Tepper e dal Dr. Matthew J. Adams, nell’ambito del Jezreel Valley Research Project (JVRP), realizzato per conto dell’Albright Institute of Archaeology di Gerusalemme.

Sondaggi preliminari dell’area del campo hanno indicato che l’intera base romana e tutti i suoi componenti erano alla base degli attuali campi di grano del Kibbutz Megiddo. “Il contributo unico dei risultati di questo progetto di ricerca risiede nella rarità di tali scoperte archeologiche” – afferma Tepper. – Ciò che è stato portato alla luce è notevole. Fino ad oggi i campi militari romani conosciuti in Israele sono campi d’assedio temporanei o piccoli accampamenti di divisioni ausiliarie. Nessuno è paragonabile all’intero complesso della base legionaria. Fonti storiche e alcune informazioni parziali indicano l’esistenza di una base legionaria romana permanente della X Legione Fratensis a Gerusalemme, ma il campo rimane da scoprire.”

Nello scavo sono state portate alla luce monete, parti di armi, frammenti di ceramica e frammenti di vetro. E tegole, trovate in quantità enormi.

“Le tegole del tetto, alcune delle quali recano i timbri della VI Legione, furono utilizzate per vari scopi. Oltre che per i tetti esse furono usate per la pavimentazione delle stanze e per il rivestimento di pareti. La tecnologia e il know-how, le tecniche di costruzione e le armi che la Legione ha portato con sé dal paese natale sono testimonianza delle peculiarità dell’esercito romano.”
Secondo Eli Escusido, direttore dell’Autorità Israel Antichities, “la vicinanza della base legionaria romana al Parco Nazionale di Megiddo, riconosciuto patrimonio dell’umanità, e anche a una delle prime sale di preghiera cristiane conosciute al mondo, scoperta dall’Autorità israeliana per le Antichità all’interno del complesso della prigione di Megiddo, offre il potenziale per migliorare l’esperienza turistica in questa posizione centrale all’ingresso della Galilea”.

La Legio VI Ferrata – che dal 193 d.C. fu chiamata Legio VI Ferrata Fidelis Constans Felix – aveva radici antiche. Fu adunata nell’agosto del 47 a.C. da Cesare, nelle province della Gallia Cisalpina e dell’Illirico. Deve il suo nome al pesante armamento metallico dei soldati, e – nell’estensione più tarda del suo nome stesso – alla fedeltà verso l’imperatore Settimio Severo. La legione aveva come simbolo un toro, non disgiunto dalla presenza dell’effigie della Lupa Capitolina.

La VI Ferrata aveva svolto un ruolo notevolissimo nella battaglia di Zela (47 a.C.), in Turchia combattuta contro Farnace II, figlio di Mitridate VI re del Ponto, che era dilagato in Armenia, manifestando altre mire espansionistiche. La Legio si scontrò anche con i soldati di Pompeo in Hispania, poi fu al seguito di Marco Antonio e definitivamente nell’esercito di Augusto, con base in Siria.

Nel 35 d.C. aveva varcato il fiume Eufrate e si era poi mossa poi contro i Giudei che avevano rifiutato di collocare l’immagine di Caligola nel Tempio di Gerusalemme. Dal 58 al 60 la Legio VI Ferrata seguì Corbulone in Armenia per arginare la minaccia partica; nel 67 fu accorpata all’esercito con cui Cestio Gallo mosse contro i Giudei insieme alla Legio XII Fulminata.

Nel 72 ebbe parte predominante nell’invasione del regno della Commagene. Con Traiano mosse contro i Parti a nel 105 conquistò la nuova provincia d’Arabia, posta tra il fiume Giordano ed il Mar Morto, area importantissima per i commerci con la Persia, l’India ed altri ricchi centri quali Petra e Bosra.

Adriano la spostò dislocandola in Palestina per combattere la terza guerra giudaica, che ebbe fine nel 135, con la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte della Legione. Nel 193 VI Ferrata si dimostrò favorevole a Settimio Severo contro Pescennio Nigro a per tale motivo fu chiamata Fidelis Constans. Alla fine del III secolo le notizie relative alla legio diminuiscono drasticamente, e alcuni studiosi avevano ipotizzato il suo scioglimento o la distruzione in combattimento, anche se studi recenti paiono avere identificato tracce della sua sussistenza ancora nel 303/304, presso la fortezza legionaria di Udruh, non lontano da Petra.

https://stilearte.it/scavo-si-rimuove-il-terreno-di-superficie-emergono-mega-strutture-gli-archeologi-sono-romane-la-scoperta/

giovedì 25 maggio 2023

Grotte di Ellora. India.

 

Ellora è un sito del patrimonio mondiale dell'UNESCO situato nel distretto di Aurangabad nel Maharashtra, in India. È uno dei più grandi complessi di grotte di templi indù scavati nella roccia al mondo, con opere d'arte risalenti al periodo 600-1000 d.C.

https://themindcircle.com/rock-cut-tombs-and-temples/?fbclid=IwAR2_bCsFMOxFGfvy5FY7JGAgfyrKFALj6Ql5XtXzmvxsB7cA7RXLBZnFReQ

venerdì 7 febbraio 2020

La mamma di Mesagne e il bambino: un abbraccio lungo 600 anni. - Marina Poci



















Si trovarono fra tutte quelle carcasse orrende due scheletri di cui l’uno teneva l’altro stranamente abbracciato. Quando fecero per staccarlo dallo scheletro che stringeva, andò in polvere”. Così, in Notre Dame de Paris, Victor Hugo concludeva la storia del gobbo Quasimodo, volontariamente andato a morire insieme all’amata Esmeralda nella fossa comune dove la gitana, giustiziata per avere rifiutato l’amore dell’arcidiacono della cattedrale, era stata seppellita.
Per nostra fortuna, la stessa cosa non è accaduta agli scheletri rinvenuti, intatti, alla fine di gennaio nel centro storico di Mesagne, in piazza Sant’Anna dei Greci, durante i lavori di rifacimento della rete idrica e fognaria da parte della ditta incaricata dall’Acquedotto Pugliese: dai primi rilievi effettuati sulle dimensioni del cranio e delle circonferenze toracica e pelvica, si tratterebbe dello scheletro di una donna molto giovane, reclinata sul fianco destro e con gli arti superiori leggermente curvati e dello scheletro di un infante di pochi anni a questa sovrapposto, adagiato all’altezza del suo grembo.
L’annuncio dello straordinario ritrovamento, facente parte di un più ampio rinvenimento di tombe con scheletri interi, è stato dato la mattina del 30 gennaio, in una conferenza stampa congiunta, dall’amministrazione comunale di Mesagne e dalla Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Brindisi, Lecce e Taranto: presenti il sindaco Toni Matarrelli, il vicesindaco Giuseppe Semeraro, i consulenti Mimmo Stella e Marco Calò, l’architetto Maria Piccarreta, soprintendente, e la direttrice scientifica degli scavi, dottoressa Annalisa Biffino, hanno descritto quanto è stato rinvenuto durante lo scavo per la posa delle nuove condutture, nonché gli interventi già effettuati dai tecnici sul luogo.
“Questo ritrovamento ci consente di leggere la stratigrafia di realizzazione della città in un periodo non antichissimo, ma comunque importante, dal momento che è nel periodo basso medioevale che si sono determinate la struttura del centro storico e l’articolazione del tessuto urbano così per come le conosciamo e le viviamo noi adesso. Quanto abbiamo ritrovato rappresenta probabilmente soltanto un angolo di un sito che si estende sia al di sotto che lateralmente, ma in questi casi occorre essere molto razionali: studiare ciò che è emerso e coniugare il nostro lavoro di archeologi e storici con le esigenze di vivibilità del luogo e di posizionamento delle condutture delle utenze”, ha chiarito la soprintendente Piccarreta.
“Abbiamo trovato cinque tombe attestanti la presenza di un sepolcreto urbano in adiacenza ad un tratto di muratura di notevole spessore. Al momento, in base alle tipologie di sepoltura e in base ai reperti ritrovati, ci pare di poter collocare questa necropoli in periodo basso medioevale, quindi tra la fine del XIII e il XV secolo, ma abbiamo naturalmente bisogno di studi più approfonditi, anche in laboratorio, per poter essere più precisi sulla datazione”, specifica la dottoressa Biffino.
Due delle tombe ritrovate, quelle a cassa in muratura, sono state studiate e mantenute sul luogo del ritrovamento. Le altre tre, rimosse per essere analizzate, erano a fossa terragna (il defunto veniva inumato direttamente nel terreno, a volte sopra un piano di ghiaia o sabbia, e a protezione della salma veniva predisposta una copertura di materiale che variava dal legno al carparo).
Proprio una delle tombe a fossa terragna conteneva la doppia deposizione di quella che è immediatamente apparsa come una donna di giovane età e del bambino.
Immediata risonanza al ritrovamento è stata data persino dai media nazionali, che hanno divulgato la suggestiva immagine dei due scheletri definendola, forse un po’ forzatamente, come “l’abbraccio eterno di mamma e figlio”.
Gli scavi, dei quali già in occasione della conferenza è stato mostrato alla stampa un piccolo saggio stratigrafico, sono stati condotti dallo Studio Consulenza Archeologica di Ugento, diretto dal dottor Paolo Schiavano, che, come da normativa vigente, si è aggiudicato l’appalto dell’AQP per la sorveglianza e assistenza archeologica.
“Mi piace sottolineare quello di Mesagne come un buon esempio di sinergia tra impresa esecutrice dei lavori, soprintendenza e impresa appaltatrice della sorveglianza. Nel momento in cui sono state rinvenute sedimentazioni di tipo archeologico, l’archeologa nostra delegata presente sul posto, la dottoressa Adele Barbieri, ha immediatamente sospeso i lavori, richiedendo l’intervento della Soprintendenza. Non sempre troviamo la giusta disponibilità, perché l’interruzione delle attività comporta naturalmente una serie di disagi. In questo caso, invece, sia l’AQP che la ditta Spinosa, incaricata dei lavori di rifacimento, hanno collaborato attivamente, favorendo l’allargamento dello scavo e dimostrando una grande sensibilità”, sottolinea il dottor Schiavano. “La dinamica degli eventi mesagnesi testimonia anche l’efficacia della legge cosiddetta “sull’archeologia preventiva” (il cui scopo è di prevenire danni su resti archeologici e di garantire una corretta gestione di possibili rinvenimenti non soltanto nei centri storici e nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico e archeologico)”, conclude Schiavano.
Il riferimento alla legge che concilia l’opera pubblica con la tutela archeologica del territorio, in effetti, coglie nel segno: gli scavi hanno per l’appunto evidenziato come parte del ritrovamento appaia vistosamente danneggiato dai sottoservizi precedenti, in particolare dagli interventi effettuati per portare nel centro storico la linea telefonica.
“Non è inconsueto, nel nostro territorio, rinvenire sepolture plurime. A volte sono membri della stessa famiglia, ma spesso si tratta di soggetti estranei che possono essere seppelliti insieme per i motivi più diversi (anche, molto banalmente, per mancanza di spazio). Per accertare che si tratti di una donna, abbiamo bisogno di condurre analisi molto più approfondite. Al momento mi limito a dire che certamente si tratta di un soggetto giovane e che da un’analisi macroscopica del bacino e del cranio parrebbe essere una giovinetta. Ma la conferma ci sarà data soltanto dalla comparazione di tutti i parametri biometrici, che richiede un po’ di tempo”, precisa cautamente la dottoressa Barbieri.
Degno di nota appare, inoltre, il rinvenimento, nelle tombe a cassa, di una ulteriore sepoltura doppia, con ogni probabilità di due uomini (accanto ai quali vi sono delle monete non leggibili ma sicuramente di età bassomedievale) e di una tomba a colatoio (una tipologia di tomba utilizzata prevalentemente nelle chiese e nei conventi o per seppellire membri della stessa famiglia guadagnando spazio, nella quale le salme venivano deposte mano a mano che morivano e ad ogni nuova deposizione veniva spinto giù il defunto precedente). Il primo defunto emerso in questa tomba dovrebbe essere una donna, dal momento che addosso allo scheletro sono stati ritrovati un paio di orecchini. Nel riempimento della tomba a colatoio sono stati ritrovati almeno cinque individui e una serie reperti di non eccezionale valore (anellini, monetine, addirittura un anello da cucito, cioè un ditale senza il vertice) ma utilissimi ai fini della datazione.
Il ritrovamento mesagnese degli scorsi giorni ha una certa importanza, in quanto potrebbe dare conferma di una serie di informazioni delle quali abbiamo conoscenza da fonti storiche e storiografiche. Già lo storico Cataldo Antonio Mannarino (1568-1621), infatti, dava notizia, documentandola con la sua famosa mappa a forma di cuore, dell’esistenza in loco di una chiesa di fondazione bizantina dedicata a Sant’Anna dei Greci, che insisteva sull’omonima piazza e fu demolita intorno agli anni 1839-40 in quanto pericolante. Giacché i rinvenimenti tombali appaiono allineati ad un tratto piuttosto largo di muratura, l’ipotesi interpretativa più affascinante (che al momento, in mancanza di elementi a suffragio, non può essere validata) è che quelle mura siano proprio le fondamenta dell’antica chiesa di rito greco e che le tombe ritrovate siano parte del cimitero annesso alla chiesa (di sepolcri con “vestimenta bizantine” scoperti durante i lavori di demolizione parlano, infatti, le fonti storiografiche del tempo).
“Mi permetto di suggerire una soluzione simile a quella che è stata elaborata a Lecce in piazza Castromediano: una copertura a vista con lastroni di vetro, per rendere il sito fruibile ai cittadini e ai turisti anche in occasione di una semplice passeggiata nel centro storico”, propone, sentito sul punto, il massimo esperto di Mannarino sul territorio, il professor Domenico Urgesi, già direttore del museo archeologico di Mesagne e della biblioteca comunale “Granafei”. “Inoltre, credo che ormai sia tempo che il Comune di Mesagne si doti di una specifica voce di bilancio con la quale sia previsto l’accantonamento di somme da destinare all’eventualità di ritrovamenti archeologici: Mesagne è un territorio ricchissimo ed è giusto che venga riconosciuto”.
“Non è ancora prevedibile quello che accadrà”, puntualizza il sindaco di Mesagne Toni Matarrelli. “In questo momento il dominus della vicenda non è il Comune, ma la Soprintendenza, che valuterà tra le diverse ipotesi che sono emerse: la trasposizione degli scheletri all’interno del museo o la predisposizione di un sito da lasciare nel luogo del ritrovamento, come è stato fatto in occasione del rinvenimento della necropoli di Vico Quercia. Accolgo con attenzione il suggerimento del professore Domenico Urgesi e valuterò l’ipotesi insieme ai miei collaboratori, compatibilmente con le risorse comunali. Certamente, dal punto di vista umano, mi colpisce molto l’immagine dei due scheletri, giovane donna e bambino, in una posizione suggestiva come quella in cui sono stati trovati e vorremmo che di questa visione beneficiassero tutti coloro che frequentano Mesagne. Nell’immaginario collettivo, siamo associati alla civiltà messapica, ma questo ritrovamento dimostra, una volta di più, che la storia della nostra città non può essere confinata al solo periodo messapico, ma va indagata in ogni direzione temporale”.


https://www.senzacolonnenews.it/apertura/item/la-mamma-di-mesagne-e-il-bambino-un-abbraccio-lungo-600-anni.html?fbclid=IwAR26OpV-KoVql0Xd0wJAIPShsQQXStVUzonverQQ5mG3pCUTTpeD9SJh8uI

domenica 2 aprile 2017

Archeologia. Scoperta a Dorgali una necropoli nuragica simile a quella di Mont'e Prama: il gigante di Dorgali e i teschi del paleolitico.


Una necropoli nuragica di tombe a pozzetto inviolate in un terreno che presenta una serie di frammenti simili a quelli del sito di Mont’e Prama. Oltre a frammenti di lastre di copertura dei sepolcri, fra i reperti più interessanti si notano pezzi di busto, di arco, di scudo, gomiti e piedi. Siamo nel territorio di Dorgali, lungo la strada provinciale 38, a circa 1 km dal villaggio nuragico di Serra Orrios. I lavori di ripristino del fondo stradale hanno portato alla luce anche alcune tombe a cremazione del tipo a cassetta di embrici e ad anfora segata. La datazione dei nuovi rinvenimenti rimane incerta ma sembra collocabile alla Prima età del Ferro per ciò che riguarda le tombe a inumazione, e a inizio età imperiale per quelle a cremazione. Per approfondire la ricerca sarà necessario ottenere le autorizzazioni per attivare un cantiere archeologico per rimuovere lo strato di terreno superficiale. Le fattezze della statua, secondo gli archeologi, richiamano quelle dell’arciere sulcitano, un bronzetto rientrato in patria dopo che era stato individuato in una vecchia foto polaroid che lo ritraeva nel bollettino delle acquisizioni del museo americano di Cleveland nel 1991, volume 78, n.3). Acquisito in maniera irregolare nell’anno 1991 dal Museum of Art, divenne l’emblema del museo stesso. Alla conclusione delle indagini, si appurò che il
manufatto fu il frutto di scavi clandestini avvenuti a Sant’Antioco. La nuova scoperta è di giovedì mattina e i reperti sono ancora nel cantiere, da dove saranno quanto prima trasferiti nei magazzini della Soprintendenza.
Il cantiere nei giorni scorsi era stato visitato dai tombaroli, il cui arrivo ha evidenziato un problema di sicurezza dell’area causando polemiche per la mancanza di un adeguato servizio di guardiania.
I frammenti della grande scultura di Dorgali sono diversi da quelli delle statue di Mont’e Prama, una quarantina, più o meno complete, scoperte finora e oggi esposte a Cagliari e Cabras. La particolarità del gigante sta nel fatto che è quasi intero, ma soprattutto nel fatto che la statua è una sorta di pezzo unico: si tratta di un arciere, ma è diverso dagli altri arcieri rinvenuti finora perché la mano che tiene l’arco è priva di quelle decorazioni in stile geometrico che caratterizzano i giganti di Mont’e Prama. Inoltre l’arco è poggiato sulla spalla sinistra.

La tipologia e il numero dei frammenti, così come il loro stato di conservazione, fanno di questo ritrovamento uno degli eventi culturali più importanti del 2017. La statua, di dimensioni monumentali, rappresenta la manifestazione di una civiltà che non ha uguali nel bacino occidentale del Mediterraneo e proietta nuova luce sull’arte e la cultura delle popolazioni della Sardegna.
Caratteristica è la resa del volto e in particolare degli occhi, identici a quelli delle sculture di Mont’e Prama: due cerchi concentrici, una fronte sporgente che scende su un naso stilizzato e pronunciato che rende lo sguardo della statua magnetico e severo.

Risultati immagini per necropoli nuragica simile a quella di Mont'e Prama:

Dallo scavo della necropoli, inoltre, sono emersi due teschi, conservati parzialmente, che potrebbero appartenere a una non meglio specificata e conosciuta specie umana. I teschi risalgono uno a 105.000 anni fa, l'altro a 125.000 anni fa e recano, mescolati, tratti caratteristici di altre specie umane conosciute, tra i quali i Neandertaliani. Al momento sono classificati semplicemente come appartenenti alla specie "Homo arcaico". I ricercatori hanno descritto i due reperti come dei veri e propri mosaici. I crani possono fornire notizie utilissime sull'evoluzione morfologica umana nel continente Europeo. Alcune caratteristiche sono simili a quelle degli antichi umani euroasiatici; altre caratteristiche somigliano agli umani contemporanei, altre ancora ai neandertaliani. Quest'analisi suggerisce l'esistenza di interconnessioni tra le popolazioni di tutta l'Eurasia durante il Pleistocene. La scatola cranica piuttosto grande di questi due antichi esseri umani esclude che si tratti di Homo erectus e altre specie note di ominidi. Alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che possa trattarsi di un ramo dei Denisoviani, un gruppo umano conosciuto solo attraverso l'analisi del Dna di pochissimi resti: un dente e le ossa di un dito ritrovati nella Grotta di Denisova, in Siberia. L'esistenza dei Denisoviani, in effetti, è provata solo dal Dna prelevato da questi due reperti. I Denisoviani condividono elementi genetici sia con gli esseri umani moderni che con i Neanderthal, un'evidenza che ha spinto gli scienziati a credere che, a un certo punto della storia, siano coesistiti con gli esseri umani moderni.
Ora l'attenzione dei ricercatori è focalizzata sull'estrazione del Dna dai due teschi scoperti, anche se il Dna non può fornire informazioni circa la morfologia cranica di questi antichi uomini. Purtroppo, inoltre, su questi antichi teschi non sono stati trovati denti per cui non possono farsi dei raffronti con i denti recuperati nella Grotta di Denisova. Tuttavia l'estrazione e lo studio del Dna possono fornire risposte alla domanda se questi teschi appartengono o meno ad una sconosciuta specie umana.

lunedì 20 aprile 2015

Scoperta eccezionale in Sicilia: a Selinunte emerge la più grande fabbrica di ceramiche greche del mondo antico.

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Sicilia – Scorcio dell’industria di ceramiche greche scoperta a Selinunte (Trapani) – Ph. Martin Bentz

Durante la sessione estiva di scavi affidata all’Istituto archeologico germanico di Roma e dell’Università di Bonn, guidato dal professoreMartin Bentz, all’interno del parco archeologico siciliano di Selinunte è stato compiuto uno dei più eccezionali ritrovamenti mai effettuati nell’area mediterranea. Ad essere tornata alla luce – con le sue ottanta fornaci, un’estensione di 1.250 metri quadrati nella valle del fiume Cottone, ed una lunghezza di 80 metri – è l’industria di produzione di terrecotte e ceramiche più grande del mondo antico mai ritrovata finora.
Il rinvenimento è stato effettuato durante uno degli scavi estivi che puntualmente si ripetono dal 2010 e che in virtù dei finanziamenti dell’Istituto germanico di Roma potranno proseguire per altri due anni. Lo scavo, effettuato utilizzando stavolta anche il georadar, ha riguardato tre sezioni dell’area, con esiti che hanno permesso di ricostruire il quartiere industriale dell’antica colonia greca.
I reperti ritrovati sono stati datati al V secolo avanti Cristo. E’ probabile che la fornace più grande servisse per la produzione di tegole in terracotta mentre le più piccole fossero destinate alla realizzazione di vasi, statue e altre suppellettili. Già nel 2013 era venuta alla luce un’area ancora molto ben conservata, pavimentata con tegole in terracotta e munita di un pozzo profondo dal quale, molto probabilmente, veniva prelevata l’acqua necessaria a lavorare l’argilla. In quell’occasione era emersa anche una zona più arcaica del quartiere, con ceramiche e terrecotte figurate prodotte sul posto.
Il direttore del parco archeologico di Selinunte e delle Cave di Cusa Giovanni Leto Barone ha dichiarato che proprio in previsione della prosecuzione degli scavi per altri due anni c’è da aspettarsi con certezza che l’area riservi ancora molte sorprese.