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martedì 1 luglio 2025

Scoperto dal MIT di Boston il segreto della longevità delle costruzioni dei Romani. - Livia Montagnoli

 

Lo studio condotto dai ricercatori dell’istituto tecnologico del Massachusetts individua nell’utilizzo di clasti di calce il motivo della resistenza delle opere di ingegneria civile dell’Antica Roma. E la formula potrebbe aiutare l’edilizia moderna.

Tutto è partito dal sito archeologico di Priverno, nel Basso Lazio, dove le mura dell’antica città hanno saputo resistere per secoli alla sfida del tempo e dunque hanno costituito un perfetto banco di prova per il team di ricercatori atterrati in Italia dal MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston. L’obiettivo? Svelare il segreto della longevità delle costruzioni dell’Antica Roma, capaci di conservarsi per millenni. I risultati della ricerca operata sul campo (e preceduta da indagini già condotte sul Mausoleo di Cecilia Metella) sono confluiti nell’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances, che riporta le osservazioni (e le scoperte) del gruppo guidato dal professore di ingegneria civile e ambientale Admir Masic. Masic, tra le altre cose, si è formato in Italia, all’Università di Torino e in Italia ha iniziato a lanciare idee, ricerche e startup, prima di essere costretto a lasciare il Paese perché considerato un extracomunitario cui negare il permesso di soggiorno e la cittadinanza.

IL SEGRETO DEL CEMENTO ROMANO.

L’idea maturata tra i ricercatori è riassunta nel titolo del testo, che senza indugi fa riferimento a una “miscelazione a caldo” per identificare la miscela di ingredienti lavorati a caldo per ottenere il calcestruzzo romano. Un mix di pozzolana, calce viva e acqua usato per “impastare” il pietrisco di roccia vulcanica e ottenere così il cemento impiegato per la realizzazione delle imponenti architetture civili e dei monumenti giunti sino ai giorni nostri. Secondo la tesi del MIT, all’origine della resistenza delle opere murarie dell’epoca starebbe proprio la tecnica utilizzata per realizzare il calcestruzzo: lo studio dei campioni di cemento analizzati, infatti, ha rivelato la presenza di frammenti porosi di calce, che consentirebbero alla malta di “autoripararsi” nel tempo, grazie all’azione dell’acqua. E gli stessi antichi romani, sottolinea l’articolo, erano a conoscenza che si trattasse di un ottimo materiale, “ma probabilmente non si rendevano conto che sarebbe durato migliaia di anni”. Lo studio, condotto dal MIT in collaborazione con l’Università di Harvard e con il Museo Archeologico di Priverno, fornisce dunque una risposta nuova ai dubbi che ancora ammantano di mistero l’incredibile talento per l’ingegneria civile dimostrato dagli antichi Romani. Finora, e per diversi anni, la tesi più accreditata per spiegare l’ottimo stato di conservazione di acquedotti, ponti, strade ed edifici monumentali dell’epoca chiamava in causa l’utilizzo di un particolare materiale pozzolanico, una cenere vulcanica descritta come essenziale dagli architetti del tempo, Vitruvio in primis.

UN MATERIALE AUTORIPARANTE. E SE FOSSE UTILE ALL’EDILIZIA MODERNA?

Ma, rivela ora il professor Masic, il cemento romano differisce dalle formulazioni odierne per la presenza di clasti calcarei, frammenti di calce finora ignorati cui potrebbe spettare il vero merito della longevità delle costruzioni romane. Per questo l’analisi del MIT si è concentrata proprio sui clasti di calce, utilizzando tecniche di imaging multiscala e mappatura chimica ad alta risoluzione per acquisire nuove informazioni. Si è riusciti a determinare, quindi, che i romani utilizzavano varie forme di carbonato di calcio, lavorate a temperature molto elevate. E la miscelazione a caldo potrebbe aver contribuito a rendere il prodotto finale ancor più resistente (la spiegazione tecnica, pur semplificata, è che ad alte temperature i clasti sviluppano un’architettura nanoparticellare fragile, che però si rivela vantaggiosa nell’interazione con l’acqua perché crea una soluzione satura di calcio. Nel contatto con l’acqua, e dunque per esempio con la pioggia cui sono sottoposte tutte le superfici all’aperto, il calcio si cristallizza come carbonato di calcio e ripara le fessure create dalle crepe all’interno del cemento).
L’articolo presenta anche l’applicazione pratica della tesi, riportando i risultati di un esperimento comparato su due campioni di calcestruzzo, uno miscelato a caldo con formulazioni antiche, l’altro realizzato con tecniche moderne, entrambi incrinati meccanicamente in laboratorio, prima di versarvi sopra dell’acqua. Dopo due settimane, il modello antico aveva “riparato” alcune delle sue crepe, mentre il campione moderno risultava ancora incrinato. La ricerca sarebbe quindi utile non solo a rivelare un arcano finora rimasto tale, ma anche a ipotizzare la commercializzazione di una nuova formulazione di calcestruzzo, più resistente e leggero, esemplata sul modello antico, capace di durare più a lungo nel tempo e dunque determinante nel ridurre l’impatto ambientale della produzione di cemento.
In parallelo con gli studi sugli edifici romani, non a caso, il professore di origine bosniaca ha brevettato un cemento “autoriparante”, fondando insieme a Paolo Sabatini la startup DMAT, specializzata nello sviluppo di tecnologie e componenti per creare calcestruzzi durevoli e sostenibili. E dopo anni di test condotti in Svizzera, che hanno portato a ottenere tutte le certificazioni industriali dell’Istituto di Meccanica dei Materiali, il calcestruzzo di nuova generazione (ribattezzato D-Lime) è pronto a entrare sul mercato.

Livia Montagnoli

https://www.artribune.com/progettazione/architettura/2023/01/scoperta-mit-boston-cemento-autoriparante-antica-roma/#:~:text=IL%20SEGRETO%20DEL%20CEMENTO%20ROMANO&text=Un%20mix%20di%20pozzolana%2C%20calce,giunti%20sino%20ai%20giorni%20nostri.

martedì 1 aprile 2025

Nel cuore di Pisa, il fango ha custodito un segreto per 1500 anni. - Giuseppe Kokos

 

Nel cuore di Pisa, il fango ha custodito un segreto per 1500 anni: 30 navi romane perfettamente conservate con tutto il loro carico.

Quella che sembrava una normale area urbana nascondeva in realtà un intero porto romano, affondato e dimenticato dal tempo. Non una o due, ma trenta imbarcazioni, ferme nell'istante in cui il loro viaggio si è interrotto secoli fa.

Il fango, nemico dei costruttori ma alleato degli archeologi, ha preservato non solo gli scafi in legno, ma anche anfore piene di merci e, cosa ancora più straordinaria, oggetti personali dei marinai.

Pensate a cosa portiamo con noi quando viaggiamo oggi. Gli antichi romani non erano poi così diversi. Piccoli effetti personali, utensili per la navigazione, oggetti della vita quotidiana di chi viaggiava per mare 15 secoli fa.

È come aprire un diario rimasto chiuso per un millennio e mezzo. Ogni nave racconta una storia, ogni oggetto rivela un frammento di vita di persone reali che hanno solcato il Mediterraneo quando l'Impero Romano dominava il mondo.

Questi reperti ci ricordano che sotto le nostre città moderne si nascondono ancora intere civiltà da riscoprire.

https://www.facebook.com/photo?fbid=9614545235272488&set=gm.3160873317401389&idorvanity=118855021603249

venerdì 16 febbraio 2024

Scavo. Si rimuove il terreno di superficie. Emergono mega-strutture. Gli archeologi: “Sono romane”. L’umbilicus. La scoperta.

 

I resti architettonici di una possente base militare romana di 1.800 anni fa, sono stati scoperti in un recente scavo condotto dall’Autorità per le antichità israeliane ai piedi di Tel Megiddo, vicino all’antico villaggio di Kfar Othnay (greco: Capercotnai). Le strutture portate alla luce appartenevano al comando della Legio VI Ferrata, così chiamata per le armature e per le protezioni pesanti che portavano i soldati. Un’unità militare corrazzata.

Lo scavo è stato diretto da Yotam Tepper e Barak Tzin e finanziato dalla Netivei Israel National Infrastructure Company. Nel corso dell’indagine archeologica sono stati scoperti estesi e impressionanti resti architettonici della via Pretoria (strada principale del campo), oltre a un podio a forma semicircolare e aree pavimentate in pietra che facevano parte di un grande edificio pubblico monumentale.

Quella della VI Legione è l’unica base militare romana di queste dimensioni che è stata localizzata e scoperta in Israele. Una cittadella militare costruita come una “piccola Roma”.

“Il campo della VI Legio romana fu una base militare permanente per oltre 5.000 soldati romani per più di 180 anni, dal 117-120 al 300 circa”- afferma il dottor Yotam Tepper, direttore degli scavi per conto dell’Autorità di Antichità Israel. “Due strade principali si incrociano al centro del campo. Una ha 550 metri di lunghezza, l’altra, che segna la larghezza del campo stesso è di 350 metri. All’incontro tra le due strade sono stati eretti gli edifici di comando (e fu stabilito l’umbilicus, ndr.)-. Fu da questo punto base che tutte le distanze lungo le strade imperiali romane – fino alle principali città del nord del paese – furono misurate e segnate con pietre miliari. Gli antichi resti dell’edificio non furono conservati in altezza, poiché la maggior parte delle pietre da costruzione furono rimosse, nel corso del tempo, per essere riutilizzate in progetti edilizi realizzati durante il periodo bizantino e primo islamico. ”

Il Dr. Tepper ha sottolineato che la scoperta della base legionaria non è stata accidentale, poiché nell’ultimo decennio sono stati condotti sondaggi e sei stagioni di scavi archeologici nell’ambito di un progetto di ricerca geografico-storica congiunto diretto dal Dr. Tepper e dal Dr. Matthew J. Adams, nell’ambito del Jezreel Valley Research Project (JVRP), realizzato per conto dell’Albright Institute of Archaeology di Gerusalemme.

Sondaggi preliminari dell’area del campo hanno indicato che l’intera base romana e tutti i suoi componenti erano alla base degli attuali campi di grano del Kibbutz Megiddo. “Il contributo unico dei risultati di questo progetto di ricerca risiede nella rarità di tali scoperte archeologiche” – afferma Tepper. – Ciò che è stato portato alla luce è notevole. Fino ad oggi i campi militari romani conosciuti in Israele sono campi d’assedio temporanei o piccoli accampamenti di divisioni ausiliarie. Nessuno è paragonabile all’intero complesso della base legionaria. Fonti storiche e alcune informazioni parziali indicano l’esistenza di una base legionaria romana permanente della X Legione Fratensis a Gerusalemme, ma il campo rimane da scoprire.”

Nello scavo sono state portate alla luce monete, parti di armi, frammenti di ceramica e frammenti di vetro. E tegole, trovate in quantità enormi.

“Le tegole del tetto, alcune delle quali recano i timbri della VI Legione, furono utilizzate per vari scopi. Oltre che per i tetti esse furono usate per la pavimentazione delle stanze e per il rivestimento di pareti. La tecnologia e il know-how, le tecniche di costruzione e le armi che la Legione ha portato con sé dal paese natale sono testimonianza delle peculiarità dell’esercito romano.”
Secondo Eli Escusido, direttore dell’Autorità Israel Antichities, “la vicinanza della base legionaria romana al Parco Nazionale di Megiddo, riconosciuto patrimonio dell’umanità, e anche a una delle prime sale di preghiera cristiane conosciute al mondo, scoperta dall’Autorità israeliana per le Antichità all’interno del complesso della prigione di Megiddo, offre il potenziale per migliorare l’esperienza turistica in questa posizione centrale all’ingresso della Galilea”.

La Legio VI Ferrata – che dal 193 d.C. fu chiamata Legio VI Ferrata Fidelis Constans Felix – aveva radici antiche. Fu adunata nell’agosto del 47 a.C. da Cesare, nelle province della Gallia Cisalpina e dell’Illirico. Deve il suo nome al pesante armamento metallico dei soldati, e – nell’estensione più tarda del suo nome stesso – alla fedeltà verso l’imperatore Settimio Severo. La legione aveva come simbolo un toro, non disgiunto dalla presenza dell’effigie della Lupa Capitolina.

La VI Ferrata aveva svolto un ruolo notevolissimo nella battaglia di Zela (47 a.C.), in Turchia combattuta contro Farnace II, figlio di Mitridate VI re del Ponto, che era dilagato in Armenia, manifestando altre mire espansionistiche. La Legio si scontrò anche con i soldati di Pompeo in Hispania, poi fu al seguito di Marco Antonio e definitivamente nell’esercito di Augusto, con base in Siria.

Nel 35 d.C. aveva varcato il fiume Eufrate e si era poi mossa poi contro i Giudei che avevano rifiutato di collocare l’immagine di Caligola nel Tempio di Gerusalemme. Dal 58 al 60 la Legio VI Ferrata seguì Corbulone in Armenia per arginare la minaccia partica; nel 67 fu accorpata all’esercito con cui Cestio Gallo mosse contro i Giudei insieme alla Legio XII Fulminata.

Nel 72 ebbe parte predominante nell’invasione del regno della Commagene. Con Traiano mosse contro i Parti a nel 105 conquistò la nuova provincia d’Arabia, posta tra il fiume Giordano ed il Mar Morto, area importantissima per i commerci con la Persia, l’India ed altri ricchi centri quali Petra e Bosra.

Adriano la spostò dislocandola in Palestina per combattere la terza guerra giudaica, che ebbe fine nel 135, con la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte della Legione. Nel 193 VI Ferrata si dimostrò favorevole a Settimio Severo contro Pescennio Nigro a per tale motivo fu chiamata Fidelis Constans. Alla fine del III secolo le notizie relative alla legio diminuiscono drasticamente, e alcuni studiosi avevano ipotizzato il suo scioglimento o la distruzione in combattimento, anche se studi recenti paiono avere identificato tracce della sua sussistenza ancora nel 303/304, presso la fortezza legionaria di Udruh, non lontano da Petra.

https://stilearte.it/scavo-si-rimuove-il-terreno-di-superficie-emergono-mega-strutture-gli-archeologi-sono-romane-la-scoperta/