giovedì 5 settembre 2013

Mafia, i giudici: “Dell’Utri mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”.

Marcello dell'Utri

Depositate le motivazioni della condanna in appello dell'ex senatore Pdl. "Condotta illecita andata avanti per un ventennio, nessun imbarazzo nei rapporti con i mafiosi". E il futuro premier "abbandonò il proposito di farsi proteggere con rimedi istituzionali". La Cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza chiedendo di motivare meglio la colpevolezza per gli anni tra il 1977 e il 1992.

La condotta illecita del senatore Marcello Dell’Utri è “andata avanti nell’arco di un ventennio”, con una serie di comportamenti “tutt’altro che episodici, oltre che estremamente gravi e profondamente lesivi di interessi di rilevanza costituzionale”. Lo scrivono i giudici della terza sezione della corte d’appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti, che hanno condannato l’ex senatore Pdl e braccio destro di Silvio Berlusconi a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Le motivazioni sono state depositate ieri. Dell’Utri è stato condannato in appello lo scorso 24 marzo, dopo l’annullamento della Corte di Cassazione con rinvio ad altra sezione d’appello. La corte conferma il ruolo di Dell’Utri come “mediatore” del “patto” tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra, concertizzatosi per esempio con l’arrivo ad Arcore del mafioso Vittorio Mangano in veste di “protettore” della famiglia Berlusconi. 
I giudici di appello ritengono provato il concorso esterno di Marcello Dell’Utri a Cosa nostra fino al 1992, mentre secondo la Cassazione la condanna era stata sufficientemente provata per le contestazioni fino al 1977 e non per quelle successive: “In tutto il periodo di tempo in oggetto (1974-1992)  ha, con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l’associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l’anti Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell’imprenditore milanese (Silvio Berlusconi, ndr) e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell’associazione”. I giudici spiegano di aver sottoposto i fatti relativi agli anni più recenti “a nuova valutazione”, e di essere giunti alla conclusione che “è incontestabilmente emersa la permanenza del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa per tutto il periodo in esame e anche nel periodo in cui Dell’Utri era andato a lavorare da Rapisarda (l’imprenditore Filippo Alberto Rapisarda, ndr) lasciando l’area imprenditoriale di Berlusconi e anche per il tempo successivo al 1992″. 
Quanto all’ex presidente del Consiglio, “a seguito della sentenza della cassazione era stato definitivamente accertato che Dell’Utri, BerlusconiCinàBontade e Teresi (questi ultimi tre boss mafiosi, ndr) avevano siglato un patto in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa nostra per ricevere in cambio protezione”. I giudici ricordano quindi Vittorio Mangano, lo “stalliere di Arcore”, assunto proprio su consiglio di Dell’Utri. “Mangano non era stato assunto per la sua competenza in materia di cavalli, ma per proteggere Berlusconi e i suoi familiari e come presidio mafioso all’interno della villa dell’imprenditore”. Per la Corte, invece, “il rapporto tra i due non si è mai interrotto almeno fino al 1992 e ha subito delle forzate interruzioni solo per i periodi di detenzione di Mangano, affiliato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova. La continuità della frequentazione, l’avere pranzato in diverse occasioni con lui sono circostanze che hanno consentito di escludere che i rapporti possano essere stati determinati da paura”. “Del resto – puntualizza il collegio -, Dell’Utri non ha mai dimostrato di temere i contatti con i boss mafiosi e di concludere accordi con loro”. Il futuro presidente del Consiglio, osserva la Corte, “abbandonando qualsiasi proposito (da cui non è parso ma sfiorato) di farsi proteggere da rimedi istituzionali, è rientrato sotto l’ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi ma all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione”. 
Dell’Utri è “ritenuto penalmente responsabile, al di là di ogni ragionevole dubbio, della condotta di concorso esterno in associazione mafiosa dal 1974 al 1992″.  I giudici ricordano il “modo disinvolto” con il quale l’imputato “era ormai abituato a entrare in contatto con soggetti appartenenti ad ambienti criminali e mafiosi”. “La personalità dell’imputato – scrivono i giudici – appare connotata da una naturale propensione ad entrare attivamente in contatto con soggetti mafiosi, da cui non ha mai mostrato di volersi allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative gli aveva dato una possibilità di farlo”. “In tutto il periodo di tempo oggetto della contestazione, cioè dal 1974 al 1992, ha con pervicacia ritenuto di agire in sinergia attiva con l’associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l’anti-Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell’imprenditore milanese e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell’associazione”. Dai “soggetti mafiosi” il politico “non ha mai mostrato di volersi allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative gli avevano dato una possibilità di farlo”. Nel corso del ventennio preso in esame dall’inchiesta avviata negli anni Novanta dalla Procura di Palermo, l’uomo che è stato la mente organizzativa della nascita di Forza Italia “non ha mai provato nessun imbarazzo o indignazione nell’intrattenere rapporti conviviali con loro, sedendosi con loro allo stesso tavolo”. 
Nelle motivazioni, la Corte d’appello di Palermo ha espresso un “giudizio di inattendibilità intrinseca del collaborante Gaetano Grado”, che aveva accusato Dell’Utri di aver fatto da tramite nel riciclaggio di denaro proveniente da un traffico di droga dalle cosche nell’attività di realizzazione di Milano 2, il primo grande intervento edilizio realizzato da Silvio Berlusconi. I fatti da lui enunciati “non possono considerarsi idonei a superare neppure la soglia di mero indizio”. 

West Nile: primo caso di morte in Emilia Romagna. - Marta Albè

west nile emilia romagna

Primo decesso causato dal virus West-Nile in Emilia Romagna, dove fino a questo momento erano stati rilevati almeno 10 casi di contagio. La malattia non viene trasmessa da uomo a uomo, ma esclusivamente tramite la puntura di zanzare infette. I casi di contagio, per quanto riguarda l'Emilia Romagna, sono stati individuati nelle province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara.
Il virus West-Nile ha ucciso una paziente di 82 anni residente a Proviglio. La donna si trovava ricoverata presso l'Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia e risultava già affetta da una grave sindrome immunodepressiva. La Ausl di Reggio Emilia ha identificato quattro casi di West Nile risultati positivi. Due pazienti sono già stati dimessi, mentre il terzo paziente, ancora ricoverato in ospedale, attraversa una fase di miglioramento.
Nelle province di Modena e Ferrara erano già stati segnalati 6 casi di contagio, a cui si è aggiunto di recente un nuovo caso. Per almeno 5 persone si parla di un quadro clinico in fase di miglioramento, ma per un altro paziente la situazione di salute viene considerata complessa, secondo quanto riportato dall'Agi. La circolazione del virus era già stata posta sotto sorveglianza nel mese di luglio, soprattutto nelle zone della bassa Pianura Padana.
In tutta la regione Emilia Romagna la sorveglianza risulta attiva e comprende misure di controllospecifiche riguardanti le donazioni di sangue, di organi e di tessuti. La speranza è che l'abbassamento delle temperature avvenuto negli ultimi giorni possa limitare la proliferazione delle zanzare e la circolazione del virus.
I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici. Le zanzare ne rappresentano il veicolo di trasmissione all'uomo, attraverso le loro punture. I sintomi più gravi si presentano soltanto nell'1% dei casi. Spesso il contagio risulta asintomatico o con manifestazioni lievi, come febbre, mal di testa, nausea, vomito e manifestazioni cutanee. I sintomi possono avere la durata di pochi giorni o di qualche settimana. Nei casi più gravi si presenta la malattia neuro-invasiva di West Nile, con febbre alta, problemi muscolari e neurologici, forti cefalee.
Secondo il Codacons, il vero problema è dato dall'assenza di misure preventive e dalle disinfestazioni effettuate in modo molto saltuario. Si teme il ritorno di malattie ormai debellate in Italia, o l'arrivo di patologie che non avevano mai raggiunto il nostro Paese. Le zanzare possono trasmettere, oltre al West Nile, forme di encefalite, Dengue, malaria e febbre gialla.

mercoledì 4 settembre 2013

L’insostenibile leggerezza di Esposito. - Bruno Tinti

Io, Esposito, lo ammazzerei. È stato il primo a ficcare una condanna definitiva a B; ha spiegato bene la “fretta” con cui è stato fissato il processo; ha dato una dimostrazione di indipendenza annullando i 5 anni di interdizione che ci avrebbero levato dai piedi B. subito e una volta per sempre; e si mette a sproloquiare con i giornalisti proprio quando B. e la sua corte stanno affannosamente cercando di far dimenticare una ruberia fiscale di molti milioni compiuta da un Presidente del Consiglio che ha depredato il Paese che gli era stato affidato?
Per carità, è ovvio che si tratta di nuddu ‘mmiscatu ccu nenti. Ma la capacità di utilizzare il nulla come argomento non ha mai fatto difetto a B&C; che però, questa volta, hanno dato veramente il meglio di sé. Pensate. Esposito racconta perché il processo a B è stato fissato in fretta: si prescriveva, come altri fissati nella stessa udienza. Si sottrae a domande pericolose sul segreto della camera di consiglio.Arriva a spiegare con chiarezza, sia pure inquinata dall’uso di un napoletano da mercato del pesce, perché non si può utilizzare come prova a carico il “non poteva non sapere” e perché occorrono prove che dimostrino che l’imputato “sapeva”; e la corte dei miracolati da B pianta un casino. “Un infortunio, gravissimo, a conferma dell’ineluttabilità di una riforma che ponga fine alla sfibrante contrapposizione tra giustizia e politica” (Schifani e Brunetta). “Non si è mai visto, la vicenda suscita perplessità e preoccupazioni” (avv. Coppi). “L’accaduto non potrà non avere concreti riflessi sulla valutazione della sentenza” (avv. Ghedini). Ma de che?
Chiunque si legga o ascolti (se la capisce) l’intervista, può rendersi conto che Esposito sta enunciando principi generali. Poteva fare a meno della sua modesta lezione di diritto ma tant’è. Ammesso che invece si riferisse al processo di B e stesse spiegando perché il collegio ha ritenuto che era colpevole; e allora? Fosse avvenuto prima del giudizio, ricusazione, nullità, fucilazione del giudice prevenuto, beatificazione della vittima. Ma è avvenuto dopo; Esposito ha solo raccontato quello che si leggerà tra qualche giorno. Quale potrebbe essere il pregiudizio del condannato? E che c’azzeccano la riforma della giustizia, le perplessità, i concreti riflessi sulla valutazione della sentenza? Forse che, avendo Esposito riassunto una parte della motivazione prima della pubblicazione, B non ha rapinato al paese una montagna di soldi?
La corte dei miracolati pensi piuttosto alla gravità dell’affermazione intorno a cui fa quadrato: “B è stato eletto da milioni di cittadini che non possono essere lasciati senza rappresentanza politica. Bisogna trovare un modo per garantirgli di proseguire nella sua missione”. Non dicono (oppure mentono sapendo di mentire): B è innocente. Non importa, B deve essere intoccabile. Anche se ruba al Paese? “Ma sì, ha pagato talmente tante tasse, cosa sono 7 milioni di euro evasi” (Gelmini). E se rende schiavi i dipendenti pubblici perché violino la legge e nascondano le sue puttane? E se si mette in affari con la mafia? E se uccide? Dov’è che questo straordinario principio del voto popolare che rende superiori alla legge deve essere abbandonato? E infine: è un principio che vale per tutti? Se Riina si organizza e si fa eleggere da qualche milione di mafiosi e cittadini ricattati, lo tiriamo fuori di prigione e gli consegniamo le chiavi della città?
Cortigiani, vil razza dannata, a qual prezzo vendereste il nostro Paese?

Cassazione, uno squarcio di verità nel Berlusconi Show. - Domenico Gallo



Il deposito delle motivazioni della sentenza con la quale la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Silvio Berlusconi alla pena di quattro anni di reclusione, oltre al pagamento di una provvisionale di 10 milioni di euro all’Agenzia delle entrate, ha aperto una vera e propria breccia nella narrazione creata dai mass media dell’azienda-partito nella quale i fatti sono puntigliosamente cancellati e la realtà sostituita dalla favola del paese di Bengodi. Dove viene narrata l’epopea di un Cavaliere senza macchia e senza paura che combatte eroicamente per ridare la libertà ad un popolo oppresso dalle tasse e proteggerlo da una giustizia ingiusta che perseguita i galantuomini. 

Questa realtà rovesciata è penetrata nell’immaginario di milioni di persone, ma ogni tanto la narrazione si inceppa. 
I fatti sono duri a morire e gli sceneggiatori del reame di Berlusconi non sempre riescono a cancellarli. Qualche volta i fatti irrompono nella scena pubblica e squarciano il velo delle menzogne con le quali viene costruita una realtà parallela. 

Il compito specifico della giurisdizione è quello di accertare i fatti nella loro cruda realtà e, per questa via, disvelare quei comportamenti illeciti che, altrimenti, resterebbero rigorosamente occultati. Il significato di una condanna è proprio quello di far emergere una condotta, un comportamento antisociale, in tal modo neutralizzandolo. 
Una condanna passata in giudicato è una vera e propria sciagura perché illumina e cristallizza dei fatti che contraddicono radicalmente la narrazione degli sceneggiatori del regime di Arcore.

Anche questa volta il Cavaliere è sceso in campo per cancellare i fatti. A caldo ha dichiarato che la sentenza “è fondata sul nulla”. E poi qualche giorno dopo ha firmato platealmente i referendum radicali ed ha dichiarato: “Non c'è nulla da fare se c'è un pregiudizio politico nei giudici. Sono in questa situazione per colpa di una parte della magistratura, Magistratura Democratica. Ho 41 processi alle spalle nei quali non sono riusciti ad arrivare ad alcuna condanna, così hanno deciso di avvalersi di un'altra strategia, sono diventati i padroni di tutti i collegi che mi hanno giudicato. Le condanne solo esclusivamente politiche, infondate e ingiuste, tese a un disegno preciso, eliminare l'ostacolo Berlusconi". 

Il mantra del pregiudizio politico questa volta ha raggiunto un nuovo stadio. Adesso non sono i pubblici ministeri che lo perseguitano o quei prevenuti dei magistrati milanesi. Adesso la piovra rossa ha ulteriormente allungato i suoi tentacoli: i magistrati comunisti si sono impadroniti di tutti i collegi che hanno avuto la ventura di giudicare il Cavaliere. 
Peccato che la sentenza illumina delle vicende che appartengono alla dura sostanza dei fatti, e non è colpa dei giudici, né di alcun pregiudizio politico se i fatti smentiscono le favole che il regime di Arcore vuol dare da bere agli italiani.

Di questi fatti si dovrebbe parlare, si dovrebbero far conoscere agli italiani, invece delle chiacchiere della politica. 
Con il deposito delle motivazioni sono i fatti a parlare attraverso le sentenza della Cassazione e le sentenze dei giudici del merito che la Cassazione ha confermato, riconoscendone la correttezza.

E i fatti ci parlano di una colossale operazione di uso illegale del potere economico, iniziata intorno al 1985 e proseguita, con modalità varie fino al 2003; ci parlano della creazione di una ragnatela di società off shore, volte a creare una interposizione fittizia attraverso la quale si gonfiavano artificialmente i costi dei diritti di sfruttamento delle opere cinematografiche acquistate dalle Major americane, al fine di creare una provvista enorme di fondi nero all’estero, sottratti ad ogni controllo, con l’effetto anche di realizzare una imponente frode fiscale, che è stata punita solo in minima parte. Ciò perché, sia i reati fiscali più risalenti, sia tutti gli altri reati collegati a questa vicende, come il falso in bilancio e l’appropriazione indebita in danno degli azionisti Fininvest-Mediaset, sono caduti in prescrizione, anche grazie ad una coraggiosa legge, varata dal governo Berlusconi che ha accorciato i tempi della prescrizione per i reati dei colletti bianchi. 
Tutti questi fatti sono stati incontestabilmente accertati attraverso le indagini giudiziarie e sono puntigliosamente descritti nelle 208 pagine della sentenza della Cassazione. 

Come in tutti gli accertamenti giudiziari, i fatti sono basati su prove, non su opinioni. Sono basati sulla documentazione bancaria acquisita all’estero che ha seguito le tracce dei passaggi di denaro fino a quando non veniva trasformato in contanti, su numerose prove testimoniali, su mail dal significato inequivocabile, su lettere e missive scritte dai protagonisti di queste vicende. Tutte prove che sono state analizzate, controllate, passate ai raggi x dai giudici del merito in contraddittorio con l’agguerrita difesa degli imputati. 
Sostenere che la sentenza è basata sul nulla, significa dire che la realtà deve sparire perché turba la narrazione delle favole. 

I fatti definitivamente accertati con la sentenza della Cassazione, devono essere inquadrati in un contesto in cui altre sentenze passate in giudicato hanno accertato (o quasi accertato per via della prescrizione) che i fondi occultamente accumulati da questo gruppo di potere sono stati utilizzati per illeciti finanziamenti a partiti politici (caso All Iberian), per corrompere giudici (Metta e Squillante), testimoni (l’avv. Mills), e ufficiali della Guardia di finanza. 
Insomma le enormi risorse accumulate con “il giro dei diritti cinematografici” sono rientrate e sono state utilizzate a fini di potere per forzare le regole istituzionali ed inquinare la vita pubblica italiana.

Durante la sua seconda campagna elettorale Roosvelt pronunziò una frase memorabile: “il governo del denaro organizzato sarebbe altrettanto pericoloso del governo della delinquenza organizzata”.
A volte questi due fenomeni sono convergenti.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/cassazione-uno-squarcio-di-verita-nel-berlusconi-show/

Perchè il m5s NON DEVE FARE ALLEANZE CON CHI HA FATTO MARCIRE L'ITALIA - Echelon



- Marò
- Shalabayeva - Kazakistan
- Modifica articolo 138 in estate

#Spazzatour
- PD+PDL sospensione lavori del parlamento per b.(già dimenticata)
- Questione legge PD Vs incandidabilità sostituita con ''incompatibilità'' con effetto retroattivo dal '57
- lavoro e disoccupazione giovanile al 38%
- Suicidi, chiusura 135 negozi al giorno + 200mila aziende all'anno
- F35
- Legge elettorale non ancora cambiata
- Pressione fiscale
- Tumori ILVA e #Terradeifuochi
- TAV, EXPO e grandi opere
- RIMBORSI elettorali mai aboliti dopo referendum, STIPENDI, PRIVILEGI
- Muos
- MES, Fiscal Compact
- aumento IVA, presa in giro IMU conclusasi con Service Tax
- Rodotà
- Guerra senza precedenti ad opera dei media e disinformazione ai limiti del criminale
- Rifiuto di quasi tutte le proposte di buon senso e degli emendamenti da parte di PD e PDL
- Incoerenza dei partiti verificabile grazie alla rete
- Incapacità di chiunque stia leggendo di elencare 3 cose che i politici hanno fatto di buono per migliorare effettivamente il paese negli ultimi 8 anni (e già questa...)


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A la guerre a la guerre. C'è chi la fa e c'è chi, invece, non la vuole fare. - Sergio Di Cori, Modigliani


Che invidia!!

Ieri mi sono guardato per intero il dibattito politico che si è svolto nell’aula del parlamento britannico. L’ordine del giorno non riguardava il fatto se il principe ereditario Charles deve o non deve andare in carcere essendo stato giudicato un delinquente; non riguardava neppure il fatto se un certo Lord, figlio di famiglia aristocratica, sia coinvolto nei traffici con la mafia irlandese.  Si doveva discutere di una questione davvero seria. 
Tema del giorno era “Dobbiamo approvare la delibera per entrare in guerra ufficialmente contro la Syria oppure no?”. Non solo. Nel caso il Parlamento avesse votato a favore, immediatamente dopo il Gran Cancelliere avrebbe comunicato un conseguente dibattito: “Come e dove troviamo i necessari miliardi di sterline per le spese militari?”.
L’aula era stracolma.
Il premier Cameron era seduto insieme ai suoi e ha letto un  foglio, spiegando il quesito. Si è alzato un laburista e ha detto il suo punto di vista (tre minuti). Poi si è seduto. Si è alzato Cameron e  gli ha risposto. Poi si è alzato un conservatore (due minuti) e Cameron gli ha risposto. E poi un liberale democratico e così via dicendo. Le opinioni erano diverse e molto argomentate. E il premier rispondeva subito a ciascuno di loro. Dopo un’ora e mezza si è votato, quando l’aula ha preteso, quasi all’unanimità ( 72%), che il premier garantisse “sulla parola” che nessuna decisione venisse presa dal Ministero della Difesa senza previa autorizzazione del Parlamento. Cameron lo ha garantito. Hanno discusso, anche con toni forti. Hanno dibattuto sul loro futuro. Hanno votato. Trentadue conservatori moderati hanno formalmente dichiarato che ritenevano più saggio e aderente alle autentiche esigenze della collettività e dell’integrità sociale del popolo britannico astenersi dal ripetere errori del passato e investire la stessa cifra per affrontare il problema della disoccupazione giovanile. Alla fine Cameron ha preso atto della decisione del Parlamento: ha incassato la sua sconfitta, se ne è ritornato nel suo ufficio, ha telefonato a Obama e ha comunicato la scelta. E’ probabile che gli abbia detto qualcosa del tipo “Really sorry Barack! I cant’afford it right now” (mi dispiace, non me lo posso permettere in questo momento)-
Questo avviene in un paese europeo nel quale esiste una destra “normale” e una sinistra “normale”.
Questo accade in un paese dove i moderati moderano il dibattito, i conservatori vogliono salvaguardare e conservare le tradizioni del paese e i progressisti lottano per far progredire le classi più disagiate.
Quasi banale. Ma almeno ha un Senso.
Il dibattito è pubblico e chi sceglie si assume la responsabilità della propria scelta.
Dove esiste una destra, esiste una sinistra, esiste un centro e quando parlano, discutono di affari che riguardano tutti.
Beati loro!
Da noi, non è venuta in mente neanche nell’ anticamera del cervello di nessuno dei nostri governanti, concludere in anticipo le vacanze, riaprire il Parlamento e –data la grave situazione- affrontare in aula un identico dibattito, con lo stesso argomento, identico tema del giorno. Regalando così, all’intera cittadinanza, lo spettacolo di un esecutivo e di deputati  che spiegano al popolo che cosa sta accadendo, quanto costa, quali saranno le conseguenze e poi ciascuno voti come vuole.
Nessuno ci dirà mai nulla.
Che invidia!!

Lavoro, il dramma dei disoccupati. I nostri lettori raccontano la crisi.- Stefano Feltri e Francesco Ridolfi

Lavoro, il dramma dei disoccupati. I nostri lettori raccontano la crisi


C'è chi sogna l'estero, chi torna a casa dei genitori, chi cade in depressione, chi chiede aiuto alle associazioni caritatevoli. Alla continua ricerca di un impiego, giovani e meno giovani devono rinunciare all'idea di costruire una famiglia. Le storie raccolte dal fattoquotidiano.it.

Lontano dalla politica, dai ribaltoni, dalle polemiche sulla decadenza di Silvio Berlusconi, c’è ancora la crisi. Dei giovani, ma non solo. Ormai l’insistenza sul dato sulla disoccupazione giovanile, che a luglio è arrivata al 39,5 per cento, suscita una specie di fastidio. Soprattutto perché è noto che quel dato, rilevato dall’Istat, riguarda i ragazzi tra i 15 e i 24 anni anni. “Ma perché continuate a parlare di loro? Il vero disagio comincia dopo, quando ti cresce l’angoscia perché vedi i 30 anni che arrivano o li hai già superati”, scrivono i lettori rispondendo alla richiesta del fattoquotidiano.it di raccontare le storie che si nascondono dietro le statistiche sul lavoro.
Colloqui inutili. Per esempio Giuseppe racconta: “28 anni di Taranto, non trovavo nulla oltre al call center outbound da 450 euro al mese, l’Ilva non assume più. Mi sono trasferito in Emilia Romagna da due mesi, ho fatto dieci colloqui in svariati settori (supermercati, vigilanza, assistenza clienti, Caf, negozi di abbigliamento). Per ogni colloquio si son presentate almeno 20 persone a posto. Sono ancora disoccupato”. Gli risponde subito Jonico: “Anch’io sono tarantino e anch’io vivo in Emilia da quattro anni. Ci sono arrivato con una laurea in giurisprudenza e qualche anno di lavoro negli studi legali come praticante. Ho lasciato perché non ce la facevo più ad essere sfruttato per quattro soldi e perché confrontandomi con colleghi anche abilitati la solfa è sempre quella tranne qualche felice eccezione. Ormai anche chi è abilitato viene pagato una miseria, sempre se lo pagano. L’Emilia Romagna da qualche anno sente la crisi maledettamente e ogni giorno è sempre peggio. Ho fatto un corso professionale sperando di essere assunto da qualche parte. Nulla. Io sto considerando l’estero”.
La depressione. Parte un dibattito, tra Giuseppe e Jonico, su quale sia il Paese migliore per un tarantino che vuole emigrare all’estero. Jonico non ce la fa più: “Sono afflitto da continue emicranie muscolo-tensive. Assumo costantemente antidolorifici, quindi ho le transaminasi alte, nonché, la pressione minima alta. Alterno stati d’ansia, a stati di nervosismo, a stati di depressione. Ci sono delle volte che fatico a respirare”. Perché le sue giornate funzionano così: “Le passo tra leggere un libro, guardare un film, navigare per blog d’informazione, tenere in ordine la casa, cucinare, il tutto condito da un sottofondo di notevole depressione. Non ho alcun rapporto con i miei coetanei che lavorano. Mi sento un difetto sociale”.
Quelli che restano. Chi può cerca la via della fuga all’estero. Poi ci sono quelli che restano, come Valerio Principe: “Ho 30 anni a settembre, vivo da solo, in un appartamento a Roma lasciatomi dalla mia bisnonna e pagato (luce, gas, acqua) da una mamma insegnante elementare. Tutte le nuove generazioni della mia famiglia stanno vivendo sulle spalle delle ricchezze, o per meglio dire degli investimenti immobiliare, che i nostri nonni hanno fatto negli anni del Dopoguerra con tanta fatica, dedizione e sacrificio. Noi siamo tutti laureati, molto più colti, al contrario dei nonni, ma tutti senza un posto in questa società. Siamo diventati parassiti della famiglia”.
Stessa storia per Lallo Lilli: “Ho 28 anni, una laurea in Giurisprudenza e un dottorato di ricerca. Risultato? Mio padre, sant’uomo, continua a passarmi i soldi per mettere la benzina nella mia scassatissima Fiat Punto”. Un lettore milanese che si firma Shadowrunners ha 30 anni e si sfoga così: “Inoccupato. Artista, regista, documentarista. Fare cultura in Italia è impossibile. Non ci sono sostegni, non c’è meritocrazia. Non parlo per me. Magari non sono così bravo, parlo per tanti ragazzi di cui vedo lavori che vengono ignorati. Non parlo perché il nostro primo lungometraggio ha avuto successo in una dozzina di festival internazionali vincendo premi trasversali e nessun riscontro in patria. Fare cultura in Italia è impossibile se non si hanno i 300 euro dei genitori pensionati e un tetto sotto cui stare, è impossibile pensare di creare una famiglia. É un disastro parlare coi coetanei che lavorano in settori diversi, che non capiscono il perché dell’attaccamento a un mondo così. Noi combattiamo coi nostri lavori. Siamo giovani, ci proviamo. Se riusciremo a cambiare qualcosa ben venga. Se non verremo ascoltati ci chiederemo se sia colpa nostra o di un popolo codardo”.
Ritorno dai genitori. Luigi Turbazzi confessa, con nome e cognome, una di quelle storie che di solito restano nell’anonimato. “Classe 1970 quindi non più giovane: in cerca di occupazione da più di un anno con bambina e moglie a carico. Si va avanti con l’aiuto delle associazioni religiose: pasta scatole di fagioli ecc. ecc. Ogni tanto mi pagano le bollette e via con la speranza nel cuore che le cose possano migliorare un giorno”. Anche quella di Stefano Marzeddu, 47 anni, è una storia difficile da raccontare: “Classe 1966, laureato, disoccupato dal 2009, quando la mia azienda è stata venduta e siamo stati tutti licenziati. Avevo un contratto a tempo indeterminato. Anche se il lavoro non mi piaceva e l’azienda era penosa, me lo tenevo stretto. Poi tre anni di mobilità, nei quali ho cercato di investire i soldi per migliorare le mie competenze e andare all’estero. Perché ogni volta che superi le frontiere, ti accorgi che quella è l’Europa vera. Quando torni in Italia sembra di tornare indietro nel tempo. Vivo sulle spalle dei miei genitori, faccio piccoli lavoretti per computer, e se va bene, guadagno 250 euro al mese. In pratica, a 47 anni, vivo con i miei genitori, niente vacanze, niente divertimenti, niente più sogni nel cassetto, niente ambizioni, si vive alla giornata in un paese morto e sepolto, senza prospettive e incivile dalle fondamenta, nel quale servirebbe una rifondazione culturale. Per fortuna che i miei, che hanno vissuto tutta un’altra vita, sono pensionati che stanno bene. Ma io non mi sento più una persona, solo un’appendice dei miei genitori”.
In queste e in decine di altre storie raccolte in poche ore dal fattoquotidiano.it non c’è neppure più l’appello alla politica, l’attesa che qualcuno, da Roma, risolva i problemi. Con una magia berlusconiana o con qualche ammortizzatore sociale più caro alla sinistra. C’è soltanto il desiderio di condividere, di sapere che non si è soli ad affrontare un presente che ha tradito le promesse. Che non è il futuro promesso a chi è nato negli anni Settanta e Ottanta.