sabato 13 febbraio 2016

Onde gravitazionali, scoperta storica: Fisici: “Come quando Galileo puntò al cielo il suo cannocchiale”.

Onde gravitazionali, scoperta storica: Fisici: “Come quando Galileo puntò al cielo il suo cannocchiale”

A cento anni dalla pubblicazione della Relatività Generale, una delle poche previsioni della rivoluzionaria teoria di Albert Einstein che si era finora sottratta alla verifica sperimentale diretta, trova finalmente conferma. E l'Italia ha dato il suo contributo con l'Istituto nazionale di fisica nucleare.




Un sasso ha perturbato la superficie di uno stagno, generando increspature che ancora oggi si stanno propagando. Nello spazio e nel tempo. Alla velocità della luce. Solo che il sasso è un enorme buco nero rotante, nato dall’abbraccio di due di questi voraci cannibali cosmici. E lo stagno l’intero universo, di cui il Sistema solare non è che una molecola. A cento anni dalla pubblicazione della Relatività Generale, una delle poche previsioni della rivoluzionaria teoria di Albert Einstein che si era finora sottratta alla verifica sperimentale diretta, trova finalmente conferma. I fisici sono riusciti per la prima volta a catturare le onde gravitazionali.
La scoperta è stata annunciata in contemporanea nel corso di due conferenze stampa a Washington, nella sede della National science foundation (Nsf), e in Italia, a Càscina, vicino Pisa, nella sede dello European gravitational observatory (Ego), fondato dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e dal Centre national de la recherche scientifique (Cnrs) francese. Una scoperta già in odore di Nobel, destinata a cambiare per sempre la nostra percezione dell’universo.
La scoperta di queste increspature del tessuto dello spazio-tempo, saltate fuori un secolo fa dalle equazioni di Einstein, e accolte inizialmente con scetticismo dallo stesso fisico tedesco, viene dagli Usa, dai due esperimenti gemelli Ligo (Laser interferometer gravitational-wave observatory). Ma parla anche italiano. Ligo è, infatti, parte di un network di osservatori di onde gravitazionali – gli esperti li chiamano interferometri laser – sparsi per il mondo, di cui un nodo importante è in Italia. È rappresentato dall’esperimento Virgo, un progetto nato da un’idea del fisico italiano Adalberto Giazotto e del francese Alain Brillet, e realizzato dall’Infn e dal Cnrs con il contributo del Nikhef (nei Paesi Bassi), in collaborazione con la Polish academy of sciences (in Polonia) e con il Wigner institute (in Ungheria).
L’antenna per onde gravitazionali Virgo – che fa capo a Ego e conta circa 250 fisici e ingegneri, quasi la metà dei quali Infn, provenienti da 19 laboratori europei -, i due interferometri gemelli Ligo negli Usa – a Hanford, nello stato di Washington, e a Livingston, in Louisiana – e il tedesco Geo600 ad Hannover funzionano, infatti, come un unico grande esperimento. I dati raccolti sono messi in comune e analizzati insieme. E insieme vengono pubblicati i risultati scientifici. Come sta avvenendo in queste ore con lo studio che illustra i dettagli della scoperta, accettato per la pubblicazione dalla rivista Physical review letters (Prl) e firmato da circa un migliaio di scienziati. Uno studio che contiene immagini destinate a essere ospitate in tutti i futuri libri di testo sulla Relatività Generale.
Einstein aveva ragione“Abbiamo dimostrato sperimentalmente proprio quello che aveva predetto Einstein – commenta emozionato Fulvio Ricci, ricercatore dell’Infn coordinatore di Virgo -. Le equazioni della Relatività Generale descrivono perfettamente il segnale che abbiamo osservato. Anzi – sottolinea il fisico italiano -, sarebbe più corretto dire che abbiamo ascoltato, dato che il segnale ha una frequenza caratteristica delle onde acustiche”. “Sembrava una sfida impossibile – aggiunge Pia Astone, ricercatrice Infn che ha curato la redazione dell’articolo scientifico sulla scoperta assieme ad altri cinque colleghi di Virgo e Ligo -. Lo sosteneva lo stesso Einstein, che reputava questi segnali troppo deboli per una possibile rivelazione. Invece, siamo riusciti a catturarli”.
Le onde gravitazionali sono state prodotte nell’ultima frazione di secondo di un evento cosmologico mai osservato finora direttamente: la fusione tra due buchi neri, di massa equivalente a circa 29 e 36 masse solari. Il risultato di questo cataclisma è un mostro cosmico, un unico buco nero rotante di circa 62 masse solari. Le 3 masse solari mancanti dopo la fusione corrispondono all’energia emessa sotto forma di onde gravitazionali. La massa e l’energia, infatti, come ci ha insegnato Einstein con la sua celebre equazione E=mc2, sono equivalenti. Questo scontro tra titani è avvenuto al di fuori della Via Lattea, a una distanza dalla Terra di circa 410 megaparsec (410 milioni di parsec, dove 1 parsec equivale a poco più di 3 anni luce, ndr). Le onde sono state, quindi, emesse quasi un miliardo e mezzo di anni fa, quando sul nostro Pianeta facevano la loro comparsa le prime cellule evolute, in grado di utilizzare l’ossigeno per produrre energia. E ha viaggiato tutto questo tempo nel cosmo, alla velocità della luce. Fino ai nostri giorni.
“Questo risultato rappresenta un regalo speciale per il 100° compleanno della Relatività Generale – commenta Fernando Ferroni, presidente dell’Infn -. È il sigillo finale sulla meravigliosa teoria che ci ha lasciato il genio di Albert Einstein. Una scoperta – prosegue il fisico italiano – cui l’Italia ha dato un grande contributo, figlio di quella scuola che negli anni ’70 del secolo scorso si formò intorno alle figure di Edoardo Amaldi, Guido Pizzella, Adalberto Giazotto, e che oggi vede i nostri ricercatori protagonisti grazie alla tecnologia di Virgo”.
Un cinguettìo dal cosmo profondo.
Il primo segnale diretto di un’onda gravitazionale è brevissimo, della durata di una frazione di secondo, e ha una frequenza variabile dai 30 ai 250 Hz. Captato lo scorso 14 settembre, alle 10:51 ora italiana, è come un cinguettìo. È stato generato da due buchi neri che spiraleggiano l’uno intorno all’altro fino a scontrarsi a una velocità enorme, pari a circa la metà di quella della luce, fondendosi in un unico buco nero rotante che, prima di stabilizzarsi, vibra come una campana. Un vero e proprio terremoto cosmico che ha prodotto, anziché onde sismiche, onde gravitazionali. E nient’altro.

(il suono delle onde gravitazionali:)

                      https://www.youtube.com/watch?v=WzPVaU11CCY
Senza queste increspature dello spazio-tempo, quindi, non avremmo mai saputo nulla di questo cataclisma. Il fenomeno, infatti, non è stato accompagnato dall’emissione di altri tipi di segnali luminosi, anche a lunghezze d’onda invisibili all’occhio umano, come radiazione gamma o raggi X, né di particelle come i neutrini. E lo dimostra il fatto che decine di osservatori ottici tradizionali – sia terrestri che non, come i telescopi spaziali Fermi e Swift - oppure osservatori per neutrini, come Icecube e Antares, subito allertati per osservare anch’essi la fusione tra i due buchi neri, dopo aver effettuato un’accurata radiografia del cielo, non hanno osservato nulla.
Uno sguardo dentro i buchi neri 
La scoperta appena annunciata, che ha immediatamente fatto il giro del mondo, ne contiene, in realtà, due in una. Da un lato, è la prima volta che gli scienziati ascoltano le onde gravitazionali, perturbazioni dello spazio-tempo prodotte dal movimento accelerato di corpi dotati di massa. Ma, dall’altro, rappresenta la prima prova diretta dell’esistenza di sistemi binari di buchi neri di massa stellare, in particolare superiori a 25 masse solari. Un risultato che apre la strada allo studio approfondito delle loro proprietà, attraverso le onde gravitazionali. Mai prima d’ora, infatti, gli scienziati erano riusciti a catturare un segnale, un’informazione di prima mano, proveniente direttamente dal cuore impenetrabile di questi buchi neri. Per definizione, infatti, questi mostri cosmici divorano tutto ciò che incontrano, tanto che la stessa luce non riesce a sfuggire al loro abbraccio gravitazionale, e la loro presenza può essere dedotta solo dalla devastazione che producono oltre il loro orizzonte.
Un nuovo tipo di astronomia.
Ma la prima osservazione di onde gravitazionali non è solo un’ulteriore conferma della correttezza della Relatività Generale di Albert Einstein. È importante anche per un’altra ragione. Consente, infatti, di aprire una nuova finestra su un universo di cui conosciamo ancora poco. Un universo che parla una lingua fino a oggi sconosciuta agli scienziati, e di cui sarà possibile d’ora in poi ascoltare il suono. È come avere puntato al cielo un nuovo tipo di cannocchiale, come fece Galileo più di quattro secoli fa. Ogni volta che questo è successo in passato l’essere umano ha fatto scoperte straordinarie, oppure ha dovuto porsi nuove domande, spesso ancora senza risposte. La data di oggi segna l’inizio di un nuovo tipo di astronomia: l’astronomia gravitazionale.
“Questo risultato rappresenta un pietra miliare nella storia della fisica, ma ancor di più è l’inizio di un nuovo capitolo per l’astrofisica – spiega Ricci -. Osservare il cosmo attraverso le onde gravitazionali cambia radicalmente le nostre possibilità di studiarlo. Finora, infatti – chiarisce il coordinatore di Virgo -, è come se lo avessimo guardato attraverso delle radiografie. Adesso, invece, possiamo fare un’ecografia del nostro universo”. “L’astronomia gravitazionale è una nuova affascinante frontiera dell’incessante esplorazione cosmica – aggiunge Antonio Masiero, vicepresidente dell’Infn e del Council di Ego -. Questa straordinaria scoperta apre un’emozionante finestra sull’universo. Da oggi – spiega Masiero – le onde gravitazionali si aggiungono ai messaggeri cosmici che già studiamo, come i fotoni e i neutrini di alta energia, i raggi cosmici e l’antimateria”.
Le onde gravitazionali, in particolare quelle primordiali emesse subito dopo il Big Bang – che i fisici sperano adesso di catturare, anche se l’impresa sarà ancora più complessa di quella che ha portato al risultato odierno – sono, infatti, come dei messaggi in bottiglia siderali. Potrebbero, ad esempio, permetterci di ottenere un’immagine dell’universo più remota di quella che possediamo finora, scattata dalla sonda spaziale dell’Esa (European space agency) Planck, e che risale a circa 380mila anni dopo il Big Bang. Prima di questa data, infatti, non abbiamo istantanee dell’universo neonato, perché la luce era come intrappolata in una fitta nebbia. Le onde gravitazionali primordiali, invece, a differenza dei fotoni, possono viaggiare indisturbate. E potrebbero raccontarci, quindi, che cosa è accaduto all’universo nei suoi primi 380mila anni di vita, quando ha emesso i suoi primi vagiti.
In ascolto dei bisbigli dell’universoI fisici inseguono le onde gravitazionali da decenni. Queste perturbazioni dello spazio-tempo sono come dei sussurri dell’universo. La loro ampiezza è, infatti, infinitesima e occorrono quindi strumenti sensibilissimi per osservarle. Per questo, c’è voluto un secolo per ascoltare questi bisbigli cosmici, da quando Einstein ne predisse l’esistenza nel 1916. Sulla Terra possiamo ascoltare solo quelle generate dagli eventi più energetici dell’universo, come appunto lo scontro tra buchi neri. Per raggiungere questo storico risultato è stato, quindi, necessario spingere al limite le tecnologie degli interferometri laser, gli osservatori utilizzati dai fisici per la ricerca sulle onde gravitazionali. Questi strumenti scientifici – enormi orecchie estremamente sensibili formate da coppie di bracci perpendicolari lunghi fino a tre, quattro chilometri ciascuno, all’interno dei quali corrono raggi laser – al passaggio di un’onda gravitazionale vibrano con lo spazio-tempo. Come ci ha insegnato Einstein. Di conseguenza, la lunghezza dei loro bracci cambia – uno si allunga e l’altro si accorcia – e con essa il tempo impiegato dalla luce laser a percorrerli. Variazioni impercettibili, un miliardo di volte più piccole del diametro di un atomo d’idrogeno. Che questi strumenti sono, però, in grado di misurare con estrema precisione. 
Ma che cosa dobbiamo attenderci, dopo questa scoperta, nei prossimi mesi? I fisici italiani dell’Infn, già impegnati da mesi accanto ai colleghi americani di advanced Ligo nell’analisi dei dati presentati oggi al mondo, stanno adesso ultimando la realizzazione di un interferometro di seconda generazione, advanced Virgo, nel sito di Ego a Càscina. L’osservatorio inizierà a raccogliere dati nella seconda metà del 2016. Una volta ultimato, advanced Virgo avrà una sensibilità dieci volte superiore al passato. Sarà, cioè, in grado di guardare dieci volte più lontano, ampliando così di mille volte il volume di universo osservabile.
“L’aggiunta di advanced Virgo sarà fondamentale perché permetterà di capire da quale parte di cielo è arrivato il segnale – afferma Giovanni Losurdo, fisico Infn e project leader di advanced Virgo -. Gli interferometri di seconda generazione, come advanced Virgo e advanced Ligo, potrebbero catturare ogni anno decine di coalescenze, di fusioni tra buchi neri. L’osservazione diretta delle onde gravitazionali aprirà nuovi scenari, un modo nuovo di studiare l’universo e le sue leggi. Si potrà, ad esempio, guardare – sottolinea il ricercatore Infn – dentro oggetti opachi alla radiazione luminosa. E dare, quindi, una risposta sperimentale ad alcune grandi domande della fisica contemporanea, finora oggetto solo di speculazioni teoriche, come la formazione di un buco nero, o il comportamento della materia nelle condizioni di pressione e temperatura estreme di una stella di neutroni o di una supernova”.
Lo studio dei dati raccolti dai fisici aiuterà a descrivere meglio come agisce la forza gravitazionale in condizioni estreme mai esplorate prima, in cui la materia è confinata in un volume piccolissimo. Come se, ad esempio, una massa tre volte più grande del Sole fosse tutta racchiusa all’interno del diametro del grande raccordo anulare di Roma. “Finalmente – conclude Pia Astone -, possiamo osservare l’universo con occhi diversi. Adesso proseguiremo il nostro lavoro, non più domandandoci se ce la faremo a catturare le onde gravitazionali, ma quale sarà la prossima sorgente che manderà un segnale sui nostri strumenti. Noi siamo pronti”.

Così i senatori “timbrano” per la diaria e se ne vanno. - Claudio Marincola



Sono i furbetti del tesserino. I senatori che lo lasciano inserito sul loro scranno per poi tornare a prenderlo a fine seduta. O che con fare distratto se lo dimenticano. Il loro voto non risulterà ma verranno considerati presenti a tutti gli effetti. Non subiranno la decurtazione prevista per chi non partecipa almeno al 30% delle votazioni effettuate nell’arco della giornata come stabilisce il regolamento. Il trucchetto, applicato con metodo e con una certa costanza, contando magari sull’aiutino di qualche collega compiacente, può fruttare 3.503 euro al mese. La quota della diaria. In aggiunta s’intende all’indennità fissa da senatore.

PESCA MIRACOLOSA
Non sarà insomma come la brutta storia del vigile urbano di Sanremo che strisciava il badge in mutande o come i dipendenti infedeli del museo Mat a Roma, ma il risultato è lo stesso: mettersi in tasca qualche soldo in più. Per capire fino a che punto si sia diffuso il malcostume, il presidente del Senato Pietro Grasso ha incaricato il questore Antonio De Poli di fare una verifica. I controlli per la verità erano già aumentati a inizio della legislatura. Il caso però si è rivelato ben più serio di quanto si pensasse e ora ad occuparsene sarà l’intero collegio dei questori. Un’indagine interna per incrociare i dati tra presenze e votazioni.

Tutto nasce dalla necessità di garantire ai senatori la possibilità di essere ”presenti ma non votanti”. Necessità dettata dal fatto che in Senato, a differenza della Camera, l’astensione è considerata voto contrario. Nulla a che vedere dunque con i pianisti, vizietto non legato alla diaria. «Quando la seduta è finita noi giriamo tra i banchi ed è... una pesca miracolosa», racconta un commesso, ovviamente off the records. 

I tesserini “dimenticati” vengono pazientemente raccolti e riconsegnati su richiesta del legittimo proprietario alla seduta successiva. Ogni senatore ha diritto a due badge nominali senza i quali non è possibile votare. Uno dei due resta sempre a Palazzo Madama. Viene riconsegnato dagli uffici solo su richiesta del titolare, disattivando il badge principale per fare in modo che abilitato ne resti uno solo.

La stretta è partita ben prima che Giorgio Napolitano mercoledì lanciasse il suo atto d’accusa sui parlamentari «si può fare di più, lavorare 30/40 ore a settimana non basta». Grasso in più occasioni ha chiesto che le commissioni si riunissero anche il lunedì e il venerdi per aumentare la produttività. Lo chiese il giorno stesso che si insediò, lo ha ripetuto in capigruppo. Invano.

SETTE PRESENTI SU 24
Ieri, all’audizione in commissione Difesa sulla missione in Somalia, erano presenti, ad esempio, oltre al presidente La Torre 4 esponenti del M5S, 2 pd e 1 del gruppo per le autonomie. La miseria di 7 membri su 24. In compenso la diaria corre. È prevista della legge n°1261/1965, spetta a tutti i parlamentari a titolo di rimborso delle spese di soggiorno. Dal 1 gennaio 2001 è stata portata a 3.503 euro mensili. Somma che viene decurtata di 206,58 euro per ogni giorno di assenza.

PIÙ DIARIA PER TUTTI
Dal 2012 inoltre, per arrestare l’assenteismo cronico dei nostri parlamentari, viene applicata un’ulteriore detrazione fino a 500 euro mensili per le assenze dalle sedute delle giunte delle commissioni permanenti e speciali, del comitato per la legislazione, nonché delle delegazioni parlamentari presso le assemblee internazionali. Per la cronaca: la diaria spetta anche ai parlamentari romani che spese di viaggio e di affitto non dovrebbero averne. Che l’appello di Napolitano insomma sia piuttosto fondato è sotto gli occhi di tutti. 

COMMISSIONI PAUSA PRANZO
Domanda. Perché nessuno prima di Grasso ha sollevato la questione dei ”furbetti” - sotto gli occhi di tutti, si scopre adesso - nel collegio dei questori? Bisognava aspettare Napolitano per scoprire che non è serio riunire le commissioni solo nei ritagli di tempo e nelle pause-pranzo?

Qualche tempo fa Lorenzo Battista, senatore del Gruppo per le autonomie presentò un ddl in cui era prevista la decadenza degli assenteisti. Linea dura contro i fannulloni. Quel ddl è stato ripreso ma solo in parte, là dove si prevede il dovere di partecipare ai lavori assembleari, cosa per altro prevista nell’attuale regolamento. E la decadenza? Sparita. Meglio furbetti che decaduti. 


http://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica/cos_senatori_timbrano_la_diaria_se_ne_vanno-1545290.html

venerdì 12 febbraio 2016

Rischio nucleare nel cuore dell’Europa. - Alessandro Codegoni



I vessel, cioè i contenitori di acciaio che ospitano gli elementi di combustibile nucleare e l’acqua di raffreddamento ad alta pressione, di due reattori in due diverse centrali atomiche in Belgio registrano migliaia di difetti nel metallo che potrebbero indebolire pericolosamente la struttura. Ma le autorità nazionali hanno deciso di non fermare gli impianti.


Immaginate di avere una bicicletta con cui correte in mezzo al traffico per andare al lavoro. Un giorno scoprite nel suo telaio tante piccole crepe: continuereste a usarla, con il rischio che, alla prima buca, si spezzi e vi faccia cadere proprio davanti a un autobus? Probabilmente no.
Sembra invece che scoprire che il vessel di un reattore, il contenitore di acciaio che ospita gli elementi di combustibile nucleare e l’acqua di raffreddamento ad alta pressione, sia indebolito da migliaia di difetti nel metallo, non sia motivo sufficiente per fermare l’impianto.
È quanto accaduto nell’area più densamente abitata del continente che ospiti centrali nucleari, il Belgio, dove, in un raggio di 70 km intorno alle sue due centrali, abitano 9 milioni di persone. Ma andiamo con ordine.
Il Belgio produce il 60% della propria elettricità con il nucleare, grazie a 5,7 GW di potenza, suddivisa fra i 4 reattori della centrale di Doel e i tre di quella di Tihange. I reattori più vecchi di queste centrali avrebbero dovuto essere chiusi già nel 2015, ma, per “mancanza di alternative”, i belgi hanno deciso di prolungarne la vita almeno fino al 2025.
Durante un controllo di routine nel 2012, però si scoprì che il reattore 3 di Doel (entrato in funzione nel 1982, foto a lato) e quello 2 di Tihange (1983, foto in alto), mostravano all’esame ultrasonico dei loro vessel, realizzati dalla Rotterdam Drydocks,8.000 discontinuità nell’acciaio a Doel e 2.100 a Tihange, con difetti simili a una sfogliatura del metallo, il più esteso dei quali misurava 7 centimetri.
Una cosa preoccupante per un elemento che deve contenere acqua a 350 °C di temperatura e 150 atmosfere di pressione, e dalla cui assoluta integrità dipende sia il corretto raffreddamento del nocciolo nucleare, sia l’assenza di fuoriuscita di radiazioni. Nonostante questa scoperta l’ente di controllo nucleare belga, la Fanc, diede il via libera nel 2013 alla ripartenza dei due reattori.
La ragione che l’ha convinta è il tipo di difetti riscontrati. Secondo Electrabel, che possiede le due centrali, si tratta di “hydrogen flakes”: discontinuità indotte nell’acciaio dalla presenza di idrogeno, che si infiltra nel suo reticolo cristallino e lo altera. Se l’idrogeno continua a penetrare nelle sottilissime crepe prodotte, queste si ampliano e si uniscono fra loro, finendo per “infragilire” l’acciaio, portandolo cioè dall’essere elastico al diventare rigido come vetro, mettendolo a rischio di spezzarsi.
Ma per Electrabel gli hydrogen flakes individuati a Doel e Tihange si sono formati nell’acciaio durante la fabbricazione del vessel, alla fine degli anni ‘70, e sono stati scoperti solo nel 2012 grazie ai moderni sistemi di indagine. E se quei difetti non hanno causato guai per 30 anni, se ne resteranno certo tranquilli anche per i prossimi 10.
La rassicurante spiegazione della Electrobel ha convinto la Fanc, ma non due professori di metallurgia, Wim Bogaerts dell’Università di Leuven, e Digby Macdonald dell’Università della California a Berkeley, che hanno fatto notare come durante il funzionamento un reattore sottoponga il metallo a bombardamento di neutroni, che alterano a loro volta l’acciaio, e a una ulteriore produzione di idrogeno, a causa della scissione dell’acqua causata dalla radioattività. Questo vuol dire che gli hydrogen flakes potrebbero essersi moltiplicati ed estesi nel tempo, ponendo prima o poi una minaccia all’integrità dei vessel.
Per verificarlo la Fanc decise allora di far compiere test di irradiamento di campioni di acciaio simili a quelli del vessel, in parte integri e in arte contenenti hydrogen flakes, per vedere se i neutroni potessero far progredire i difetti, rendendo l’acciaio fragile.
La misura del potenziale infragilimento è avvenuta su un frammento di generatore di vapore francese, scartato nei primi anni ‘80 perché vi si erano trovati degli hydrogen flakes, e su un pezzo non utilizzato dello stesso vessel di Tihange, ma privo di difetti.
Le prove di resistenza sui due pezzi prima dell’irraggiamento sono stati soddisfacenti: l’acciaio era ancora duttile. Ma dopo l’esposizione per alcuni mesi ai neutroni di un reattore di ricerca tedesco, il pezzo di generatore di vapore, quello con gli hydrogen flakes, è diventato decisamente più fragile.
Così nel 2014 la Fanc ha fermato di nuovo di due reattori, ha ordinato nuovi esami ad ultrasuoni e chiesto la consulenza a nove dei maggiori esperti mondiali.
Il nuovo e più sensibile esame a ultrasuoni ha prodotto pessime notizie: i difetti scoperti sono diventati 13.000 a Doel e 3.100 a Tihange, mentre il “fiocco” più esteso è risultato essere di 18 centimetri di larghezza.
Vita finita per i due reattori? Macché, la Fanc ha concesso a novembre del 2015 la luce alla Electrabel, perché i nove esperti hanno concluso che è improbabile che i neutroni e il poco idrogeno che si forma nei reattori possano far crescere gli hydrogen flakes e indebolire pericolosamente il vessel.
Ma allora perché questo è avvenuto sul frammento di acciaio con hydrogen flakes irradiato? Secondo la Fanc quel campione non è rappresentativo dell’acciaio dei vessel; per quello fa fede il  frammento privo di difetti, che è uscito inalterato dall’irraggiamento. Viene allora da chiedersi che l’abbiano fatta a fare la prova con il pezzo di generatore di vapore. E il fatto che le crepe siano aumentate in numero e dimensioni fra 2012 e 2014?
Per la Fanc è solo una illusione, creata dalla maggiore sensibilità degli apparecchi di rilevamento del 2014, ma, di nuovo, non si capisce perché allora non abbiano ripetuto la prova anche con l’apparecchiatura del 2012, per avere un risultato confrontabile.
Insomma, riassumendo, per la Fanc:
  1. I difetti sono nati come li vediamo oggi per la presenza di idrogeno durante la costruzione del vessel.
  2. Non sono stati visti durante i controlli in fabbrica perché non c’erano apparecchi abbastanza sensibili per rilevarli.
  3. Non si sono più evoluti da allora, e quindi resteranno innocui anche per i prossimi anni. Doel 2 e Tihange 3, sono quindi da considerarsi sicuri in tutte le condizioni di funzionamento.
Vi sentite rassicurati? Certo non si sono sentiti così né gli olandesi, Doel è vicina a Maastricht, né i tedeschi, che hanno Aquisgrana ad appena 60 km da Tihange.
Questi ultimi hanno mandato il loro ministro dell’ambiente a Bruxelles a chiedere un riesame congiunto della situazione, ma senza alcun risultato: mentre la UE decide sulle dimensioni delle banane, la sicurezza nucleare in Europa resta un affare esclusivamente nazionale.
E gli olandesi? Loro hanno rapidamente abbozzato: a Borssele hanno un reattore in funzione dal 1973, la cui vita è stata prolungata fino al 2023, e non gli conviene fare troppo i pignoli sulla sicurezza nucleare.
A non rassegnarsi sono invece stati i Verdi europei, che hanno chiesto a una esperta indipendente in materiali, Ilse Tweer (sulle cui qualifiche e ricerche svolte, a dire il vero, su internet non si trova nulla, se non che è coinvolta da tempo nell’attivismo antinucleare) di commentare il rapporto della Fanc.
E la Tweer ne ha tratto alcune conclusioni.
  1. La Fanc dà per scontato che si tratti di hydrogen flakes, ma questa è solo una ipotesi, che non si accorda con il fatto che questi difetti compaiano solo in due vessel, e solo in alcune loro parti, fra i vari costruiti dalla fabbrica olandese. Una spiegazione alternativa è che errori nella fase di  “cladding”, rivestimento, di alcune parti, abbiano provocato difetti nel metallo, meno benigni degli hydrogen flakes.
  2. Se questi numerosi e macroscopici difetti sono lì dal 1985, com’è possibile che non siano stati notati allora? Che fosse possibile rilevarli lo dimostra il generatore di vapore coevo, scartato per le stesse imperfezioni. Questo fa temere che i difetti nel vessel, se presenti fin dall’inizio, fossero pochi e piccoli, e siano cresciuti nel tempo in numero e dimensioni.
  3. Le prove di duttilità eseguite sui campioni dicono poco, perché fatte su acciai diversi da quelli dei vessel o privi di difetti, e che non sono stati comunque per 30 anni a contatto con acqua a 350 °C, idrogeno e radiazioni.
  4. L’aumento di numero di difetti rilevati fra 2012 e 2014 si dice essere dovuto alla strumentazione migliore: ma se è ovvio che una maggiore risoluzione individui più difetti, è strano non si sia vista la loro reale grandezza fin dal 2012. Questo non permette di escludere che già in quel breve periodo ci sia stata una loro crescita. 
  5. In ogni caso un pezzo così critico per la sicurezza, con così tante imperfezioni, sarebbe oggi (ma anche nel 1985) immediatamente scartato: non si capisce in base a cosa, invece, questi vessel possano continuare ad essere usati.
Bisogna dire che in realtà neanche la Fanc sembra essere poi così sicura che tutto sia ok a Doel e Tihange: conclude infatti dicendo che una crescita dei difetti è “improbabile”, quindi non esclusa, e che ogni tre anni bisognerà comunque ripetere le analisi ad ultrasuoni dei vessel.
«E speriamo - dice l’ingegnere nucleare Alex Sorokin, della società di consulenza InterEnergy - che questa volta usino metodi di rilevamento perfettamente comparabili con i precedenti, così da avere un quadro chiaro dell’evoluzione del problema. Quanto alla decisione di far ripartire i reattori, siamo all’interno di una “zona grigia” in cui si devono fare valutazioni probabilistiche sulla sicurezza di un impianto, in assenza di dati certi. In questi casi si può essere più o meno rigidi, a seconda di come si interpretano gli indizi a disposizione. Certo, nel caso del nucleare, vista l’entità dei danni in caso di incidente, si dovrebbe sempre propendere per la massima prudenza, ed è sconcertante che si permetta di continuare a usare un elemento del reattore così pieno di difetti».
Ammesso che il vessel sia veramente indebolito, cosa potrebbe farlo cedere?
«La situazione più rischiosa sarebbe un’improvvisa discesa della temperatura nel reattore da 350 a meno di 100 °C. Lo shock termico renderebbe fragile l’acciaio difettoso, che potrebbe fessurarsi sotto la pressione presente nel reattore. Questo si può verificare in caso di incidente con perdita di acqua di raffreddamento: in questi casi si deve procedere all’immissione nel reattore di acqua fredda», ci dice Sorokin.
E che succederebbe se un vessel si dovesse rompere? Sulla piattaforma di petizioni online  Avaaz.org è circolata una richiesta, firmata da 880mila persone, per il blocco dei due reattori, per, dicono, ”evitare una nuova Chernobyl”.
«No, non esageriamo - spiega l’ingegnere - il reattore di Chernobyl era intrinsecamente insicuro, circondato da tonnellate di infiammabile grafite e privo di guscio di contenimento in cemento intorno al reattore. Anche uno scenario tipo Fukushima è improbabile: lì il raffreddamento è venuto a mancare per decine di ore, portando alla fusione del nocciolo. Probabilmente se il vessel di uno di questi reattori belgi cedesse, comincerebbe a perdere vapore radioattivo, che finirebbe però nel contenitore esterno in cemento, dove verrebbe fatto condensare. Probabilmente si eviterebbero fuoriuscite radioattive, ma la situazione sarebbe certamente molto grave, anche per la difficoltà di avvicinarsi al reattore lesionato e metterlo in sicurezza, svuotandolo dal combustibile».
E il fatto che siamo qui a discutere che questo possa, anche se improbabilmente, avvenire nel cuore più popoloso d’Europa, è francamente un’ipotesi che non credevamo di dover mai contemplare.
Alcuni documenti (pdf):

Siria: '470mila uccisi in 5 anni'.

 © EPA


Secondo rapporto del Syrian Center for Policy Research (Scpr).


E' di quasi mezzo milione di siriani uccisi il bilancio di cinque anni di violenze in Siria, circa il doppio di quanto documentato un anno e mezzo fa dall'Onu. 

Lo si apprende dal rapporto aggiornato di un autorevole think tank siriano indipendente, il Syrian Center for Policy Research (Scpr) basato a Beirut. Il centro ha diffuso nelle ultime ore un report sugli effetti economici e sociali della guerra. Tra le diverse cifre spicca il bilancio dei morti fino al dicembre 2015: 470mila siriani, tra civili e uomini armati. Nel 2014 l'Onu aveva smesso di contare il numero di uccisi in Siria per le difficoltà nel documentare in maniera autorevole i fatti sul terreno. Da allora l'unica fonte su cui i media si basavano erano i report periodici dell'Osservatorio nazionale per i diritti umani, una organizzazione siriana legata alle opposizioni. Nel rapporto del think tank siriano si afferma inoltre che l'aspettativa di vita in Siria è scesa di ben 14 anni, dai 70 del 2010 ai 56 del 2015.

Il fondale a largo di Pozzuoli bombardato con onde sismiche. - Marco Gaudini

<span class="entry-title-primary">Il fondale a largo di Pozzuoli bombardato con onde sismiche</span> <span class="entry-subtitle">Paura e rischi per cittadinanza e cetacei</span>

ISCHIA – Nella notte tra giovedì e venerdì scorso l’Osservatorio Vesuviano ha rilevato un’intensa attività sismica, seppur di lieve intensità, nel golfo di Pozzuoli. Un vero e proprio sciame sismico che pare derivi da alcune attività di ricerca messe in atto dal CNR. Una nave del Consiglio Nazionale delle Ricerche, sta infatti, conducendo da giorni ricerche sismiche sottomarine a una quindicina di chilometri dalla costa flegrea. A sollevare il caso e chiedere informazioni su quanto stia accadendo è Gisueppe Farace, giornalista e fotografo di cetacei, che ha dichiarato: «Stanno usando lairgun? Nessuno sa niente, silenzio sui siti web dello stesso CNR». Di certo è che sono in corso studi del CNR nel Golfo di Pozzuoli con l’impiego di una nave oceanografica. «Si tratta di studi basati sulla sismica a rifrazione – afferma Farace -. Stanno in pratica bombardando i fondali con onde sismiche artificiali (oltre cento solo l’altra notte). Quale sarà l’impatto sui cetacei del nostro golfo?» Le maggiori preoccupazioni, infatti, sono proprio relative alla salute dei mammiferi marini. Qualora infatti si stesse usando la tecnologia dell’airgun questo potrebbe costituire seri danni alla salute dei cetacei e non solo. Attraverso questo procedimento si effettuano degli spari di aria compressa sul fondale marino con intensità sonore che raggiungono i 260 decibel. Un livello che in natura è generato solo da terremoti ed esplosioni di vulcani. Una tecnica devastante per l’ecosistema che rappresenta una grave minaccia per la fauna.
Questa pratica da tempo ha generato grande preoccupazione tra associazioni ambientaliste. Si tratta sostanzialmente di un sistema adottato per la ricerca di giacimenti petroliferi. Il temuto dispositivo, però, può rendere sordi delfini e balenottere, causandone la perdita del senso di orientamento e mettendoli pericolosamente in fuga verso le coste.  Le conseguenze ambientali per la fauna sono pertanto immaginabili e devastanti, ed il tutto come segnalato da Farace, avviene nel silenzio delle istituzioni. Non vi sono riferimenti sui vari portali né vi sono informazioni ufficiali sul sito dello stesso CNR, circa la tipologia di attività messa in pratica e le tecnologie utilizzate. L’unico vero segnale è stato lo sciame sismico che inizia a generare preoccupazione, non solo tra gli ambientalisti.

Onde gravitazionali, parla Stephen Hawking: è un nuovo modo di guardare l'universo.

Onde gravitazionali, parla Stephen Hawking: è un nuovo modo di guardare l'universo

Il celebre fisico britannico commenta la scoperta epocale. "Oltre a provare la teoria della relatività generale, possiamo aspettarci di vedere i buchi neri nel corso della storia del cosmo".

LONDRA - La rilevazione delle onde gravitazionali, ultima predizione delle teorie di Albert Einstein che rimaneva da provare, apre le porte a "un nuovo modo di guardare l'universo". A dirlo, in un'intervista alla Bbc, è il fisico Stephen Hawking, 74 anni, esperto nel campo dei buchi neri. "La capacità di rilevarle ha il potenziale di rivoluzionare l'astronomia", ha aggiunto, spiegando che i segnali rilevati costituiscono anche "la prima prova di un sistema binario di buchi neri e la prima osservazione di fusione di buchi neri".

"Oltre a provare la teoria della relatività generale, possiamo aspettarci di vedere i buchi neri nel corso della storia dell'universo. Potremmo addirittura vedere le vestigia dell'universo primordiale, durante il Big Bang" grazie alle onde gravitazionali, ha sottolineato il fisico. La ricercatrice dell'università di Glasgow Sheila Rowan, che ha partecipato al progetto Ligo che ha rilevato le onde, ha descritto il lavoro fatto come un "viaggio affascinante".
 

http://www.repubblica.it/scienze/2016/02/11/news/onde_gravitazionali_stephen_hawking_e_un_nuovo_modo_di_guardare_l_universo-133210198/