mercoledì 30 novembre 2016

Furbetti del cartellino, nessuna salvezza dalla Consulta (a differenza di quanto dice Renzi). Ma pioveranno ricorsi. - Luisa Gaita

Furbetti del cartellino, nessuna salvezza dalla Consulta (a differenza di quanto dice Renzi). Ma pioveranno ricorsi

Dopo la decisione dei giudici supremi sulla legge Madia si è diffuso il timore che i provvedimenti contro gli assenteisti del settore pubblico potessero finire al macero. Ilfattoquotidiano.it ha interpellato diversi esperti. Secondo i quali tutti gli strumenti per licenziarli c'erano già. L'effetto può esserci però sui tempi e sull'incentivo a impugnare.

Nessuna salvezza per i fannulloni e furbetti del cartellino. Si potranno ancora licenziare, al contrario di quanto dichiara il premier Matteo Renzi. Intervistato da Barbara D’Urso a Domenica live 48 ore dopo il verdetto della Consulta sulla riforma Madia, il premier ha infatti lamentato che “la Corte costituzionale con una sentenza ci ha impedito di licenziare quelli che fanno i furbetti a timbrare il cartellino”. Non è proprio così. In questo ambito le problematiche conseguenti alla bocciatura da parte della Consulta di quattro articoli della legge delega della riforma Madia sulla Pubblica amministrazione sono principalmente legate ai ricorsi che è prevedibile fioccheranno da parte di dipendenti pubblici sospesi e licenziati con tempi e modalità dettate dal decreto legislativo 116 del 2016 diventato poi legge. Fra i sei decreti attuativi che derivano dalla legge delega ritenuta incostituzionale e travolti dalla sentenza 251 della Corte Costituzionale c’è infatti anche il cosiddetto decreto fannulloni che prevede la sospensione in 48 ore del dipendente pubblico colto sul fatto (nel caso del cartellino timbrato da un collega, la norma colpiva anche quest’ultimo), il blocco dello stipendio e il licenziamento entro 30 giorni. Che cosa accadrà, dunque, ai dipendenti pubblici colti in flagrante e già licenziati? La sentenza della Consulta rappresenta davvero un enorme passo indietro, un dramma nella lotta all’assenteismo oppure, in fin dei conti, non cambia poi molto? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto ad alcuni esperti. Che concordano soprattutto su un punto: il decreto in questione non ribaltava in maniera così clamorosa la situazione precedente e, dunque, anche senza quello strumento le amministrazioni sono perfettamente in grado di licenziare i dipendenti infedeli. Nessun dramma.
IL CASO DI SIRACUSA. Eppure agli inizi di settembre la ministra della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, è stata la prima ad annunciare sui social ‘l’era del licenziamento sprint’ quando un’operazione della Guardia di Finanza ha portato a scoprire 29 dipendenti assenteisti del Libero consorzio comunale di Siracusa: “Si applica la riforma della Pa: licenziamento rapido a tutela di tutti i dipendenti onesti” sono state le sue parole. Nei 137 giorni presi in esame sono state documentate 1114 ore di assenze ingiustificate. Com’è finita? Diciannove lavoratori sono stati sospesi per due due mesi e, agli inizi di novembre (circa due mesi dopo il blitz ‘Quo vado’), ci sono stati i primi 4 licenziamenti dei dipendenti del Libero Consorzio di Siracusa, ex Provincia regionale. Un paio di giorni fa la stessa sorte è toccata a sei dipendenti di Siracusa Risorse, società partecipata dell’ex Provincia di Siracusa, sempre nell’ambito della stessa indagine.  Ora che cosa accadrà?
IL RITORNO AL PRE-RIFORMA. Secondo Lorenzo Zoppoli, ordinario di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ non c’è dubbio sul fatto che rimanga, nonostante la sentenza “la possibilità di licenziare il dipendente che viene colto in flagranza di infrazione perché non timbra il cartellino o non è puntuale, non l’ha certo introdotta la riforma Madia”. Cambiano i tempi, ma anche tutta la questione probatoria, il nodo della nozione di flagranza di comportamento di cui si è molto discusso in sede di approvazione e che non si è risolta in maniera pacifica e lineare. “I tempi sono infatti legati ad adempimenti e alla necessità di dare delle garanzie a chi viene incolpato di un certo comportamento” spiega Zoppoli. Discorso diverso sul fronte dei ricorsi: “È chiaro che la sentenza della consulta indebolisce i provvedimenti precedenti, ma non manda tutto al macero”. I ricorsi? “Rinunceranno solo i dipendenti che non ne trarrebbero convenienza e si tratta di casi piuttosto rari”. Qualcosa cambia con la sentenza della Consulta, ma che le regole ci fossero già dalla riforma Brunetta del 2009 e che alcune previsioni fossero state nel frattempo introdotte anche nei contratti collettivi di lavoro lo conferma anche Aurora Notarianni, avvocato specialista in Diritto del lavoro.
CHE COSA CAMBIA. “L’obbligo di avviare un procedimento disciplinare nel caso di un’alterazione (come il cartellino timbrato da un collega), per esempio, esisteva già” spiega l’avvocato. Dal punto di vista amministrativo, poi, era prevista anche la responsabilità di chi agevola, ma non quella del dirigente che si gira dall’altra parte. E se dal 13 luglio di quest’anno, data di entrata in vigore della legge, era possibile sospendere automaticamente (senza stipendio, salvo l’assegno alimentare), senza l’audizione del dipendente, ora il lavoratore colto in flagranza potrà essere sospeso, ma solo dopo essere stato sentito. Discorso a parte per i tempi di licenziamento che con la nuova legge erano ridotti a 30 giorni. “Succede che bisognerà seguire il vecchio iter – spiega Notarianni – che consente di scegliere se sospendere il procedimento in attesa dell’eventuale processo penale, oppure se concluderlo autonomamente”.
Le amministrazioni sceglievano spesso di sospenderlo (con i conseguenti ritardi) per una questione legata alla raccolta delle prove, a maggior ragione nei casi in cui l’accertamento era partito da una procura della Repubblica, con l’utilizzo di strumenti come le cimici, tanto per fare un esempio. “In ogni caso le regole sono sempre state chiare – spiega l’avvocato – il termine per la definizione del licenziamento è di 180 giorni e, se l’iter si sospende in attesa del procedimento penale, deve poi riprendere entro 60 giorni e concludersi entro 180”.
ROMAGNOLI: “GLI EFFETTI VENGONO STRUMENTALIZZATI”. Anche il giuslavorista Umberto Romagnoli, professore emerito di Diritto del lavoro dell’Università di Bologna sottolinea che “i licenziamenti nel settore pubblico si sono sempre potuti fare”. E va oltre: “Il problema è inventato, mi sembra che si strumentalizzino gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale e che si vogliano descrivere come molto più devastanti di quanto in effetti non siano”. Qualcosa cambia, però. I fannulloni sono salvi? “Ritengo sia una questione gonfiata ad arte per dimostrare che questo governo sta cambiando il Paese, mentre ci sono delle forze oscure che vogliono impedirlo”.

La storia dell'uomo che ha fatto la storia.

Referendum: Delrio, 'No' non e' catastrofe, ma instabilità.

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Il ministro dei Trasporti e infrastrutture Graziano Delrio.


Fallimento banche? No ad agitare drappi rossi in modo infondato.

 "L'Italia e' un grande Paese con istituzioni molto solide. In caso di vittoria del 'No' nessun catastrofismo. Tuttavia evidentemente avremo un periodo di relativa instabilità". Lo afferma il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio su Radio24, escludendo che un'eventuale sconfitta del 'Si' possa portare al fallimento di molte banche italiane. "Si tratta di interferenze, di chi agita drappi rossi - conclude Delrio - in modo infondato".

"In Alitalia, malgrado i bilanci siano peggiori del previsto, non mi hanno parlato di esuberi ma di un piano di rilancio".

Ma è sempre meglio avere l'instabilità governativa che una oligarchia dittatoriale.
Sempre meglio avere una Costituzione che salvaguardi i diritti indiscutibili dei cittadini che dare pieno potere ad un esecutivo che legiferi senza alcuna opposizione.
In ogni caso, meglio una Costituzione che possa essere interpretata e compresa da tutti i cittadini e non solo da chi l'ha scritta e che si presta a mille interpretazioni.
Vogliamo semplificazioni, non complicazioni.
Vogliamo che le leggi che fate vengano rispettate da tutti, anche da voi che le fate, vogliamo più giustizia e meno caos.
Avete creato solo confusione e precarietà, è ora che poniate rimedio al disastro che avete provocato.
Cetta.

martedì 29 novembre 2016

Referendum, tra sindaci highlander e il Senato gonfiabile: tutti i mostri prodotti da una riforma mal scritta. - Diego Pretini

Referendum, tra sindaci highlander e il Senato gonfiabile: tutti i mostri prodotti da una riforma mal scritta

Contraddizioni, controversie, pasticci, "errori di sintassi costituzionale". Le riforme costituzionali porterebbero parecchia confusione e anche molto lavoro a Consulta e Parlamento per le leggi attuative. Seguendo il libro "non schierato" del costituzionalista Rossi, ecco un riassunto delle cose che non tornano. Come i sindaci che per la Severino vengono sospesi, ma restano senatori. O la "gattopardesca" operazione sulle competenze delle Regioni.

Senatori vuol dire “più anziani”, ma i componenti del Senato delle Autonomie potrebbero avere 18 anni. I senatori saranno per tre quarti consiglieri regionali, ma gli statuti delle Regioni speciali dicono che non si può essere contemporaneamente consiglieri regionali e parlamentari. Lo scudo dell’insindacabilità che protegge i senatori anche quando parlano da non senatori e un esempio c’è già stato (Albertini che quando parlava era europarlamentare, ma è “scudato” dal Senato). I sindaci delle grandi città che potrebbero essere esclusi dal Senato se appartenessero a partiti di minoranza nella Regione (RaggiAppendinoSala) o addirittura non avessero un partito (De Magistris). Di storie “anomale” che potrebbero nascere con la riforma costituzionale del governo ilfattoquotidiano.it ne ha raccontate parecchie.
una-costituzione-miglioreIlfatto.it ha raccolto le principali contraddizioni, le possibili controversie e gli eventuali pasticci che, se la riforma passasse, porterebbe oltre che molta confusione e molto lavoro alla Corte Costituzionale e al Parlamento per le leggi attuative che serviranno. Per farlo, la base è stata Una Costituzione migliore?, firmato da un costituzionalista, Emanuele Rossi, che insegna Diritto costituzionale al Sant’Anna di Pisa. Un libro “non schierato”, a differenza di molti volumi in libreria in queste settimane, da La Costituzione spezzata di Andrea Pertici (edizioni Lindau) a Aggiornare la Costituzione di Carlo Fusaro e Guido Crainz (Donzelli).
Edito da Pisa University PressUna Costituzione migliore? è un’analisi scientifica della riforma, quasi un’autopsia effettuata da un giurista che – già nel prologo – dichiara di non voler sposare una linea (per il sì e per il no) e effettuare solo un esame “con un linguaggio semplice ma rigoroso”, per analizzare “punti di forza e di debolezza, le scelte opportune e gli errori commessi”. Il volume, emanuele-rossia sua volta, si basa su 111 testi e 86 giuristi diversi. E capitolo dopo capitolo l’analisi del testo di Rossi è impietosa: “poco coerente“, “irrazionale”, “inserita in un comma sbagliato”, “oscuro“, “una situazione di assai ardua definizione”, “irragionevolezza”, “scarsa qualità del testo“, “singolare”, “bestiario costituzionale“, “contraddittoria”, “cattiva qualità legislativa“. “Ferme restando infatti le ‘grandi scelte politiche’ – scrive Rossi nelle conclusioni – sembra infatti evidente che il testo uscito dal Parlamento è, perlomeno da un punto di vista tecnico e quindi di funzionalità del sistema, assai deficitario”, che è dovuto a “veri e proprio errori di sintassi costituzionale” dice Rossi riprendendo un’espressione dell’ex giudice Enzo Cheli. “Vi sono alcuni evidenti errori oggettivi nel testo: com’è possibile che (almeno) questi non siano stati evitati?” si chiede ancora Rossi. Certamente, aggiunge, “vi è un problema di qualità della classe politica, come anche vi è un problema di funzionalità degli uffici di supporto”. Ma ancora di più “ci si dovrebbe interrogare se revisioni costituzionali organiche possano essere realizzate in assenza di un momento costituente vero e proprio, vale a dire in condizioni storiche e sociali a ciò adeguate: detto in altri termini, se riforme come queste possano essere prodotte dal potere costituito e non richiedano invece l’esercizio di potere costituente“.
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Ma chi voterà Si, crede veramente che la situazione economica possa cambiare?
Abbiamo uno smisurato debito pubblico che non potrà mai essere estinto a causa della cattiva gestione dell'immane quantità di denaro che entra nelle casse dello Stato e una dilagante corruzione che stagna nelle faglie delle istituzioni.
Se il governo volesse veramente adoperarsi per migliorare la situazione stagnante, dovrebbe fare leggi adeguate che seguissero una logica, criteri di giustizia e legalità e non si prestassero a libere interpretazioni. 
Non è necessario cambiare la Costituzione, perfetta nella sua stesura, è necessario cambiare modo di pensare e governanti.


Cetta.

"Banca al servizio della mafia", amministrazione giudiziaria a Paceco. - Romina Marceco

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L'Istituto Grammatico avrebbe concesso prestiti agevolati ai boss del Trapanese.

Una banca a disposizione degli esponenti della mafia trapanese. Nei posti di responsabilità sedevano personaggi che agevolarono, secondo le indagini della procura di Palermo e della Finanza, le attività di soggetti legati alla criminalità organizzata.

Su 1.600 soci della Banca di credito cooperativo di Paceco “Senatore Pietro Grammatico” in 357 hanno precedenti penali e tra questi in 11 per reati riconducibili al mondo di Cosa nostra. Adesso l’istituto di credito, su disposizione della sezione misure di prevenzione di Trapani, è passata ad un’amministrazione giudiziaria per sei mesi. Il primo caso, in Italia, in cui una banca viene sottoposta a un provvedimento del genere. Altri casi in Sicilia hanno colpito aziende come la Newport e la Italgas.

Ad essere agevolata dal mancato controllo sulle operazioni sarebbe stata soprattutto la famiglia mafiosa Coppola. Uno dei Coppola, Rocco, ha occupato la sedia di direttore di una delle cinque filiali della banca, quella di Trapani. Giuseppe Coppola, socio della banca, ottenne un prestito di 40 milioni di lire nel 1996. Eppure le indagini accertarono che lui e la moglie avevano messo a disposizione la loro casa per un summit mafioso. Un occhio, anzi tutti e due, sarebbero stati chiusi sulla concessione di mutui e sulla normativa antiriciclaggio. Ma ci sarebbe di più. Alla moglie del fratello di un collaboratore di giustizia, Francesco Milazzo, venne concesso di prelevare 120 mila euro dal suo conto senza segnalare l’operazione come “sospetta”. Questa la giustificazione del responsabile dell’Antiriciclaggio: «È prevalsa la conoscenza del carattere della cliente, sensibilmente suggestionata dalle notizie negative dei telegiornali e dei mercati».

Un altro cliente della banca, Pietro Leo, padre della attuale responsabile dell’area clienti dell’istituto di credito, sarebbe vicino ad ambienti mafiosi. Eppure, hanno ricostruito dagli accertamenti i finanzieri, ha ottenuto un mutuo di 237 mila euro con un enorme vantaggio: ne doveva restituire solo 135 mila in dieci anni.


http://palermo.repubblica.it/cronaca/2016/11/29/news/_banca_al_servizio_della_mafia_amministrazione_giudiziaria_a_paceco-153057190/

La riforma costituzionale Renzi-Boschi è quasi uguale al “Piano di Rinascita democratica” di Licio Gelli. - Ignazio Coppola



Promemoria  per tutti coloro che domenica 4 dicembre si recheranno alla urne per esprimere il loro voto sulla riforma costituzionale voluta dal Governo Renzi. E’ bene sapere che questa riforma trae origine dalle ‘riflessioni’ del Gran Maestro venerabile della Loggia P2, Licio Gelli, scomparso un anno fa. Come potete leggere qui di seguito, quasi tutti gli ‘obiettivi’ che i piduisti si prefiggevano di raggiungere si ritrovano nella riforma costituzionale del Governo Renzi
di Ignazio Coppola
Una riforma costituzionale che ci fa andare indietro nel tempo di 40 anni. E’ infatti datata 1976 quando fu scoperto il “Piano di Rinascita democratica”,detto anche programma di Rinascita Nazionale del piduista Licio Gelli che consisteva in un assorbimento degli apparati democratici della società italiana dentro le spire di un autoritarismo legale i cui obbiettivi essenziali consistevano in una serie di riforme e modifiche costituzionali. Il piano di Gelli si prefiggeva lo scopo di “rivitalizzare”ed “addomesticare” il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati e agli stessi cittadini elettori. Programmi a medio e a lungo termine che prevedevano, in premessa, il ritocco della Costituzione, con precisi obbiettivi di modifica degli assetti istituzionali
In un ‘intervista sul Corriere della Sera del 5 ottobre 1980, Licio Gelli Gran Maestro venerabile della loggia P2, che fu definita dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini un’associazione a delinquere, esponeva all’intervistatore Maurizio Costanzo il suo programma contenuto nel Piano di Rinascita Democratica che consisteva in alcuni punti fondamentali:
1) Il controllo dei politici (nominati e non eletti), dei partiti, delle televisioni e degli organi di informazione;
2) ridimensionamento dei sindacati;
3) privatizzazione di tutti gli enti pubblici;
4) mutamento della Repubblica in senso presidenziale;
5) accentramento dei poteri nelle mani di pochi in un regime governo-centrico a discapito delle autonomie locali (che oggi   con la riforma Renzi-Boschi troverebbe riscontro nella clausola di supremazia dello Stato sulle Regioni).
Un articolato programma, quello del Piano di Rinascita democratica di Gelli, che prevedeva una svolta di stampo autoritario da imporre al Paese attraverso opportuni interventi sui principali settori della vita pubblica italiana: Parlamento, Governo, partiti politici, magistratura, informazione, sindacati.
Interventi da portare avanti non dall’esterno, in modo violento, ma dall’interno, attraverso la scalata ai vertici del mondo politico, istituzionale e dell’informazione.
Mancava l’ultima parte al disegno gelliano: quello per il raggiungimento di questi obbiettivi, finalizzato allo stravolgimento della Costituzione (oggi riforma Renzi-Boschi) e del sistema elettorale (oggi Italicum).
Dove non è riuscito Silvio Berlusconi (tessera della P2 n. 1819), troppo distratto dai bagordi e dalle cene di Arcore, ha pensato, sotto l’abile e “sapiente” regia del presidente emerito Giorgio Napolitano, a tappe forzate con il suo Governo, Matteo Renzi.
E’ di questo Governo, infatti, l’abolizione dell’art. 18; è di questo Governo l’ultimo attacco all’unità sindacale; è di questo Governo la riforma per l’introduzione della responsabilità civile dei magistrati; è di questo Governo la pericolosa riforma costituzionale per rovesciare, con il “combinato disposto” con l’Italicum (legge che si può considerare la fotocopia della legge Acerbo del 1923 che fu l’anticamera del fascismo), la centralità del Parlamento a favore di un premierato forte, con un’enorme concentrazione di potere nella mani dell’esecutivo e del suo “capo”.
Un uomo solo al comando, con tutti i rischi che per la democrazia questo ovviamente comporta. Così da far dire al giudice Nino di Matteo, lo scorso 22 ottobre, a proposito delle riforma Renzi- Boschi:
“Questa riforma ha un solo obbiettivo, quello voluto dallo stesso Licio Gelli nel piano di Rinascita democratica della P2 e dai successivi governi, ossia quello di favorire il potere esecutivo a scapito del potere legislativo e giudiziario, trasformando così la democrazia in una sorta di dittatura dolce, fondata non sulla sovranità popolare, ma sul potere oligarchico che obbedisce solo alle leggi della finanza e dell’economia internazionale”.
Dalla democrazia all’oligarchia il passo è breve. Al giudice Di Matteo ha fatto poi eco il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, magistrato, esponente dello stesso partito di Renzi, il PD. Emiliano ha definito la riforma sottoposta a referendum un “attacco alla Costituzione”.
Questi sono importanti elementi di riflessione per gli elettori che, domenica prossima 4 dicembre, andranno a votare: soprattutto se pensano di votare sì.
Detto questo, se il sì dovesse vincere sorgerebbe, per Matteo Renzi, un altro costoso problema: ossia quello di pagare agli eredi di Licio Gelli, che legittimamente li rivendicherebbero, i diritti d’autore della riforma costituzionale di cui il loro congiunto era stato, a suo tempo, l’ideatore con il suo piano di Rinascita democratica ed ora riproposto agli italiani dal duo Renzi-Boschi.