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martedì 3 settembre 2024

Mangino cannoni - Marco Travaglio per Il Fatto quotidiano.


Sorpresona: anche in Turingia e Sassonia, come da 15 anni in tutto l’Occidente, gli elettori han votato contro chi li sgoverna.

Decimata l’Spd del cancelliere Scholz; estinti i Liberali e i Verdi (nel senso di verde militare); Cdu superata o eguagliata dai fasci dell’Afd; boom del Bsw di Sahra Wagenknecht, astro nascente della nuova sinistra sociale, pacifista, critica sugli eccessi green e rigorosa sull’immigrazione.
Siccome sia Afd sia Bsw sono ostili al bellicismo russofobo dell’Ue, i giornaloni fantasy li chiamano “putiniani”: è più comodo scomunicare che capire e ribaltare le politiche europee.
Quelle che, in 30 mesi di guerra e riarmo a oltranza, hanno trascinato la Germania e tutti noi in recessione, mentre la Russia cresce del 4% (gli stipendi del 18%) e teme una crisi da Pil eccessivo.
La gente ha fame e paura? La risposta non è più “mangino brioche”: è “mangino cannoni”.
L’ha ripetuto anche ieri Draghi, che è tutti loro.
E quell’altro genio di Scholz seguita ad armare Kiev anche ora che la sua magistratura ha le prove della matrice ucraina dell’attentato al gasdotto russo-tedesco Nord Stream: un attacco terroristico che dovrebbe far scattare l’articolo 5 della Nato per dichiarare guerra a Zelensky, non a Putin.

Non contenti delle sberle prese, dalla Brexit alle Europee, gli euro-pirla restano ostaggi della coazione a ripetere e a suicidarsi.
Sentite quel gigante di Gentiloni: “Exploit della peggiore destra europea (e ottimi risultati della peggiore sinistra) in Sassonia e Turingia. Amici dei russi in quella che fu la Germania satellite dell’Urss. Nemici dei migranti nell’area tedesca con meno immigrazione. Vince il rancore contro tutto e tutti”.
Decide lui quali sono le destre e le sinistre migliori: quelle che da cinque anni gli garantiscono 25 mila euro al mese per dire queste scempiaggini.
Poi va a nanna tutto contento di aver copiato il compitino. Sotto il suo tweet, mani pietose lasciano frasi lapidarie: “Ma se siete così bravi, perché il popolo non si fida di voi? Mica vorrà dire che il popolo è idiota, vero?”, “Vince qualunque cosa purché sia lontana anni luce da voi”, “Mai che si facciano due domande…”.
Gli elettori li schifano, loro li insultano e la volta dopo vengono schifati il doppio.
Pensano che il loro dovere sia commentare le elezioni come al bar e, se non li soddisfano, inventare giochi di palazzo per ribaltarle, anziché domandarsi perché l’elettorato vota così e cos’hanno fatto per offrirgli alternative migliori. Sennò dovrebbero guardarsi allo specchio, confessare e ritirarsi, o scusarsi e cambiare politica. Troppa fatica. Meglio prendere sul serio l’aforisma di Brecht, che fra l’altro era tedesco: “Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”.

https://www.dcnews.it/2024/09/03/non-avete-capito-che-i-cittadini-vi-schifano-elezioni-in-germania-lattacco-sacrosanto-alla-feccia-di-marco-travaglio-dopo-le-stucchevoli-accuse-contro-i-partiti-sovranisti-che-hanno-trionfato/?fbclid=IwY2xjawFDsqdleHRuA2FlbQIxMAABHVf_7byRomm6uC_IOCpXgBzvURX_9i37yQEWZCW5JPSCuJQzcPe82UYt2g_aem_R40DdRL3NRBwBWgYNzi7dg

domenica 24 luglio 2022

Non c’è il 2 senza il 3. - Marco Travaglio

 

Il nuovo video di Grillo ha finalmente toni giusti e contenuti ragionevoli. Ma con un elemento mancante e uno di troppo. Mancano le scuse per l’errore fatale di aver scambiato Draghi per “grillino” ed esserglisi arreso senza neppure far valere la maggioranza relativa per fissare ministeri chiave e punti programmatici irrinunciabili. A quell’errore, a cascata, ne seguirono altri: l’attacco sgangherato a Conte dopo avergli offerto la leadership, le telefonate con Draghi per spingere ministri e parlamentari a votare le controriforme che stracciavano le bandiere 5Stelle, il ritardo nel denunciare gli inviti del premier a far fuori Conte e financo ad appoggiare la scissione Di Maio, la pervicacia nel difendere fino all’ultimo un governo indifendibile. Così l’identità è sbiadita e il M5S, senza più entusiasmo, è diventato una pentola in perenne ebollizione fra guerre per bande e defezioni, intaccando alla lunga il consenso personale di Conte. L’elemento di troppo nel video viene da sé: il limite dei due mandati come dogma. In condizioni normali, lo sarebbe, la politica non è un mestiere dalla culla alla tomba. Ma le condizioni non sono normali, anche per colpa di Grillo: si vota fra due mesi, ci sono pochi giorni per formare le liste e lui stesso riconosce che “abbiamo tutti contro”. Quindi à la guerre comme à la guerre. Pertini diceva: “A brigante, brigante e mezzo”.

Per combattere ad armi pari con gli altri, l’unica soluzione sono le liste miste. Giusto privilegiare candidati con uno o zero mandati. Ma, in cima alle liste, Conte dovrebbe potersi avvalere di altre figure riconoscibili, purché gl’iscritti le approvino: le bandiere dell’identità evaporata appresso a Draghi. Il doppio mandato, se svolto con disciplina e onore, può portare anche al terzo (non di più). Parliamo di Bonafede, Fico, Fraccaro, Taverna, Dadone e pochi altri, che non possono mancare accanto ai big al primo giro (tipo Patuanelli, Catalfo, Costa e Di Battista) e alle ex sindache Appendino e Raggi (che già hanno la deroga). Non solo per premiare chi ha combattuto e pagato a caro prezzo: nel migliore dei casi, il dileggio e il linciaggio; nel peggiore, le minacce criminali e la scorta. Ma anche per rivendicare riforme e condotte che corrispondono a quei nomi, apprezzate anche da tanti che non votavano M5S o hanno smesso quando li han visti in quel governo contro natura. Quei nomi, poi, garantiscono impegno e attaccamento alla maglia molto più di nuovi peones che, alla prima sirena, potrebbero voltare gabbana. Come disse Gianroberto Casaleggio a Di Battista nel 2016 per convincerlo a lasciare la Camera e a correre come sindaco di Roma in barba alle norme interne, “le regole sono al servizio del Movimento, non viceversa”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/07/24/non-ce-il-2-senza-il-3/6740573/

venerdì 25 febbraio 2022

Zitti e Mosca. - Marco Travaglio

 

L’attacco criminale di Putin all’Ucraina è un post scriptum degli imperialismi del XX secolo, totalmente fuori sincrono rispetto al comune sentire delle opinioni pubbliche mondiali. Non solo per le nuove generazioni che la guerra, fredda o guerreggiata che fosse, l’hanno letta sui libri di storia, ma anche per quelle che l’hanno vissuta e poi archiviata. Per questo lascia la gente senza parole e rende false e vuote le parole dei governanti che ne sono prodighi. Quelli che menano le danze, Putin e Biden, sono due cascami del Novecento che stanno per compiere 70 e 80 anni, formattati mentalmente nel vecchio mondo che ora rispunta dalla tomba come gli zombi. Con una differenza: Putin parla a un popolo che non dimentica nulla, tantomeno la sua vocazione nazionalista ancora frustrata dal crollo dell’Urss e dalle provocazioni dell’Occidente che ha fatto di tutto per umiliarlo, violando l’impegno di non allargare la Nato a Est; Biden parla a un popolo che non ricorda quasi nulla, salvo i tributi di sangue pagati a far guerre in giro per il mondo, perdendole drasticamente tutte dal 1945. Quindi la guerra non toglie consensi a Putin (a meno che la perda), ma ne toglierebbe parecchi a Biden (che già ne ha pochi) col rischio che ne approfitti la terza potenza, quella tragicamente più al passo coi tempi: la Cina. Quanto a noi, cittadini della cosiddetta Europa, pagheremo il solito tributo di soldi per conto terzi, passando da uno stato d’emergenza (sanitario) a un altro (bellico). Con l’aggravante – per noi italiani – di doverci pure sorbire il cinepanettone delle Sturmtruppen in servizio permanente effettivo, che trasformano le peggiori tragedie nell’eterna commedia all’italiana.

“Noi l’avevamo detto”. È il mantra dei Nando Mericoni a mezzo stampa (“Pronto-Amerega-me-senti?”), che da tre mesi si calano l’elmetto sul capino e rilanciano ogni giorno le veline della Cia sull’invasione russa “tra oggi e domani” e ora, dopo aver fatto e rifatto lo stesso titolo fasullo, si vantano di averci azzeccato. Come se il compito dell’informazione fosse ripetere cento volte una fake news sotto dettatura (“oggi piove”) e poi, quando la centunesima volta si avvera, fingere che fosse sempre stata vera (“visto che oggi piove?”). E come se drammatizzare urlando “Al lupo! Al lupo!” non fosse il modo migliore per sdrammatizzare: un regalo al lupo che, quando arriva, non ci crede o non si scandalizza più nessuno. Ora semmai qualcuno si chiede come mai l’amico americano, se sapeva tutto da mesi, ha lasciato l’Ucraina così impreparata e sola dinanzi all’attacco.

“Legalità internazionale”. Bei tempi quando qualche governo poteva insegnarla agli altri.

Oggi non ci sono “buoni” titolati a dare lezioni ai “cattivi” russi, visto che Usa e Ue si sono macchiati di guerre illegali e criminali (peggio ancora se avallate dall’Onu) in ex-Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Somalia e via bombardando.

“Ci vorrebbe l’Europa”. Fa il paio col “non ci sono più le mezze stagioni”. L’Europa politica e militare non è mai nata per non dispiacere al residuato bellico della Nato (a 31 anni dalla fine del Patto di Varsavia), con alleati indecenti come la Turchia (impegnata a sterminare i curdi nel silenzio degli atlantisti). Finché accetteremo che lo Zio Sam faccia casini in giro lasciandoci il conto da pagare, in termini di migranti (Libia e Afghanistan), terrorismo (Iraq), affari mancati (Cina) e bollette (Ucraina), resteremo il vaso di coccio fra due potenze che si rafforzano a scapito nostro. E piangere sull’Europa che non c’è non sarà solo inutile: sarà ridicolo.

“Tremenda vendetta!”. Posto che, in base ai trattati, la Nato non può inviare truppe in Ucraina, la reazione sarà in forma di parole e di sanzioni. Le parole abbondano e mettono tutti d’accordo. Ma Putin le snobba, anzi le capitalizza agli occhi del suo popolo e del suo establishment (che l’altroieri era tutt’altro che allineato e coperto). Altra cosa sono le sanzioni, che per la Ue escludono gas e banche, per gli Usa no. Su questo conta Mosca: quando si passerà dalle parole ai fatti, il fronte occidentale si rivelerà pura finzione.

“Abbasso i putiniani!”. La caccia agli amici di Putin scatenata dai giornaloni e dal Pd c’entra poco con la guerra in Ucraina e molto con le guerricciole da buvette di Montecitorio: serve a screditare Salvini (che con e sulla Russia ne ha dette e fatte di tutti i colori, ma Putin manco lo conosce) e Conte (reo di un approccio multilaterale in politica estera, peraltro in linea con la tradizione diplomatica italiana, da Moro ad Andreotti, da Prodi a D’Alema allo stesso Frattini). Altrimenti sul banco degli imputati ci sarebbe anzitutto B., quello dei festini con l’amico Vlady nella dacia e a villa Certosa, delle sceneggiate a base di lettoni e plaid trapuntati, delle leccatine alle democrazie-modello di Putin e Lukashenko. Invece è tutto prescritto, in vista del campo largo di Letta (zio e nipote).

“Finché c’è guerra non si tratta”. È la linea di Biden, dunque di Draghi. Ma quando si dovrebbe trattare: in tempo di pace? I negoziati servono quando si combatte, per ottenere tregue e poi trattati. E a mediare non è adatto chi è intruppato in una fazione. Perciò servirebbe, in Europa, qualcuno che tenga una postura più terza e meno appiattita sugli Usa. O almeno che si levi l’elmetto, guardi al di là del proprio naso e scopra ciò che è ovvio dalla notte dei tempi: gli amici te li puoi scegliere, i nemici no.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/25/zitti-e-mosca/6506800/

domenica 9 gennaio 2022

Nel nome del nonno. - Marco Travaglio (8-12-2021)

 

Un anno fa, 8 gennaio 2021. Da tre giorni l’Italia, malgrado il taglio delle forniture, batte gli altri grandi Paesi Ue per numero di vaccinati e nessun giornalone lo scrive (0,71% di abitanti vaccinati in Italia, 0,6 in Germania, 0,44 in Spagna, 0,06 in Francia), né parla delle polemiche in Germania contro la Merkel per il ritardo sul governo Conte. A reti ed edicole unificate si reclama una bella crisi al buio in piena seconda ondata (620 morti, positività al 12,5%, 2.587 in terapia intensiva, 23.313 in area medica) perché Conte è il colpevole del Covid, del “fallimento” sui vaccini (con Arcuri) e del Pnrr schifoso, in ritardo e bocciato dall’Ue. Purtroppo lo stesso giorno la Von der Leyen dichiara: “Negoziato molto buono con l’Italia, come con tutti gli altri governi, nello specifico ci sono buoni progressi”. Ma basta non scriverlo su nessun giornale, né ricordare che da un mese il Pnrr è tenuto in ostaggio in Cdm da Italia Viva. Meglio intervistare 10 renziani al giorno su Mes, 007, banchi a rotelle e rapporto Barr.

Per sapere quel che accade in Italia bisogna leggere i giornali stranieri. Financial Times: “Nel mezzo di una pandemia globale e di una brutale recessione, potrebbe non sembrare il momento più opportuno per far cadere il governo. A meno che tu non sia Renzi… Conte è un ostacolo alle ambizioni di Renzi dopo la nascita del suo piccolo partito”. Les Echos: “Nuovo duello tra Conte e un Matteo. Non più Salvini, che provocò la crisi nel 2019, ma Renzi”. Handelsblatt: “Il disturbatore d’Italia gioca col fuoco in piena pandemia”. Die Welt: “L’Italia ha bisogno di un nuovo governo nel bel mezzo della peggior crisi degli ultimi decenni?”. El Paìs: “Renzi minaccia una crisi irresponsabile”. Conte riunisce i partiti della maggioranza per chiudere l’accordo sul Pnrr, modificato secondo le richieste dei renziani, che però s’inventano altri pretesti (pure il ponte sullo Stretto) per tenerlo sotto sequestro. La crisi verrà ufficializzata il giorno 13 col ritiro del trio Bellanova-Bonetti-Scalfarotto, per lo “sgomento” di Mattarella. Da mesi aleggia il nome di Draghi, che giura a tutti di non essere interessato, ma è troppo ambizioso per dichiararlo pubblicamente. E così incoraggia il partito dello sfascio: è nel suo nome che si apre (e chiude) la prima crisi in piena pandemia. Oggi, un anno dopo, sempre nel suo nome e in piena pandemia, sta per aprirsi la seconda crisi perché il “nonno al servizio delle istituzioni” (soprattutto una) pretende di traslocare al Quirinale, mollando il governo con 911 morti in quattro giorni e gli ospedali al collasso dopo cinque decreti in un mese. Quando faremo l’inventario dei danni dei Salvatori della Patria, sarà sempre troppo tardi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/08/nel-nome-del-nonno/6448859/

domenica 10 ottobre 2021

Green pagliacci. - Marco Travaglio

 

Quando Confindustria ordinò lo sblocco dei licenziamenti e Draghi obbedì, le aziende iniziarono a licenziare a manetta, anche via email o sms. E Letta furente definì la cosa “inaccettabile”, chiedendo (al suo ministro Orlando!) di richiudere la stalla quando i buoi erano fuggiti. Naturalmente la norma restò. E tutti i licenziati si domandarono: ma di che si meravigliano questi tartufi se, sbloccati i licenziamenti, i padroni ci licenziano? È la stessa ipocrisia di quando viene scarcerato anzitempo qualcuno che non sia ricco e famoso: tipo il maggiordomo filippino che ammazzò la contessa Filo della Torre, condannato a 16 anni e uscito dopo 10. Che un assassino se la cavi con 16 anni virtuali e 10 reali è uno scandalo, ma questo possiamo dirlo noi che denunciamo da sempre il Paese dell’indulgenza e dell’impunità: non chi dipinge l’Italia come il regno della forca e da trent’anni invoca meno carcere, pene più basse, più attenuanti, amnistie, indulti, condoni, depenalizzazioni, sanzioni alternative per lorsignori e poi s’indigna se se ne approfittano pure i poveracci.

Ora la fiera del tartufo s’è trasferita in zona Green pass: un mese fa, quando Draghi si smentì sull’obbligo vaccinale e impose la tessera verde per lavorare dal 15 ottobre, Landini ripeteva ciò che tutti sapevano: oltre 5 milioni di lavoratori non vaccinati rischiavano il posto. Noi aggiungemmo che privare milioni di italiani del diritto su cui si fonda la Repubblica – il lavoro – per aver esercitato un altro diritto riconosciuto dallo Stato – non vaccinarsi – suonava vagamente ingiusto (infatti nessun Paese europeo, ma neppure extraeuropeo a parte l’Arabia Saudita, si sogna di farlo). E che una misura tanto drastica e discriminatoria contraddiceva la propaganda draghiana sulla miglior campagna vaccinale dell’universo. Ci fu risposto che eravamo dei biechi No Vax (con doppia dose) e che l’“effetto Green pass” con la sola imposizione delle mani di Draghi&Figliuolo avrebbe indotto ipso facto i renitenti al vaccino a farsi inoculare in massa. Poi c’erano quelli che ancora credono a Figliuolo, che il 25 maggio aveva giurato: “Entro settembre saremo tutti vaccinati”. Ora, a cinque giorni dall’entrata in vigore del decreto, se ne sono accorti pure Zaia e Fedriga, leghisti draghiani e quindi buoni, rimpiangendo di non aver dato retta a Landini (e pure a Salvini) per leccare i tacchi a Bonomi: aiuto – piagnucolano – venerdì 5 milioni di lavoratori resteranno a casa! E La Stampa, dopo una dozzina di titoli sul mitico “effetto Green pass”, scopre che i “5 milioni senza vaccino”, ergo “il sistema non è pronto”. Ma va? Manca ancora che ripetano con noi che questo non è il governo dei migliori, ma prima o poi ce la possono fare.

ILFQ

martedì 17 agosto 2021

La folle guerra delle lacrime di coccodrillo. - Salvatore Cannavò

 

Afghanistan, 20 anni di errori e menzogne.

Se la guerra in Afghanistan avesse avuto davvero l’obiettivo di colpire i responsabili dell’attentato dell’11 settembre 2001, sarebbe potuta finire il 1 maggio del 2011. Quando Osama bin Ladin, a Islamabad, fu liquidato dalle truppe speciali Usa sotto lo sguardo rapito, immortalato da una celebre foto, di Barack Obama.

Dopo dieci anni, la guerra contro i talebani non aveva fatto nessun passo avanti significativo eppure si andrà avanti dieci anni ancora senza che i responsabili abbiano presentato una scusa o un ripensamento.

I Neocons all’attacco. 

Dopo il crollo delle Torri gemelle lo stato maggiore statunitense a partire dal suo commander in chief hanno in testa un solo obiettivo, Bin Laden. Ma soprattutto hanno in testa la guerra in Afghanistan che con l’eliminazione di Al Qaeda non c’entra nulla. Già il 13 settembre, secondo il Washingont Post, sul tavolo di George Bush jr. e del suo manovratore Dick Cheney, ci sono “ben sei piani per colpire l’Afghanistan”.

Gli Usa vanno in Afghanistan per motivi geopolitici: c’è da presidiare l’area del mondo che potrebbe essere preda dell’espansione cinese. C’è da accerchiare l’Iran e preparare la prossima guerra, il chiodo fisso di Dick Cheney, quella in Iraq. L’Afghanistan è invaso di uomini, 775 mila in tutto, di soldi, circa mille miliardi di dollari, di aiuti distribuiti a caso, senza molto senso. Eppure Bush annuncia agli americani una nuova guerra – compostamente dichiarata solo dopo “aver detto molte preghiere” – che sarà vinta “con la paziente accumulazione di successi”. Le preghiere con l’islamismo dei talebani non devono aver funzionato molto e i successi non si sono visti.

Il fido Blair.

Accanto agli Stati Uniti si erge la sponda convinta e decisa della Gran Bretagna guidata dal “progressista” Tony Blair. Che fa di tutto per intestarsi la guerra. Prima, lanciando l’ultimatum a Kabul al grido “o ci consegnate Bin Laden o lasciate il potere” e poi mettendo a disposizione tutto il potenziale bellico necessario dato che le forze armate britanniche “sono tra le migliori al mondo”. Blair è un riferimento obbligato della sinistra riformista e con lui ci sono praticamente tutti: Lionel Jospin in Francia, Gerhard Schröder in Germania, Luis Zapatero in Spagna e la sgangherata formazione ulivista in Italia capeggiata in quel momento da Piero Fassino e Francesco Rutelli. Ma prima occorre fermarsi sulla terza “B” di quella guerra, dopo Bush e Blair: Silvio Berlusconi.

Il signor “B”.

 L’allora leader del centrodestra sa bene, e lo dice pubblicamente, che “l’operazione militare in corso è stata preparata da tempo”. L’Italia, diceva l’allora Cavaliere, “non ha mai messo alcun limite alle richieste che, eventualmente, venissero fatte dagli Usa. Ci siamo mantenuti a disposizione e siamo ancora a disposizione”. Con lui tutto il centrodestra, Lega e An comprese, fieramente asserviti ai desideri Usa, come da copione atlantico. E con la guerra si schiera anche l’allora Ulivo anche se con diversi mal di pancia interni.

Fassino con l’elmetto Scontata la contrarietà di Rifondazione comunista – che solo al governo, nel 2006, darà l’avallo alle missioni militari –, tra i protagonisti del tempo troviamo anche l’attuale segretario del Pd, Enrico Letta, privo di alcun dubbio: “La guerra di oggi ha motivazioni più solide e sarebbe un incomprensibile errore per la sinistra italiana tirarsi indietro”. La sinistra italiana non si tira indietro pur con dei distinguo: la sinistra interna ai Ds, l’Unità diretta da Furio Colombo, una parte del cattolicesimo democratico nella Margherita, il “no” del Prc e dei Verdi. Francesco Rutelli, capo della coalizione se ne duole lamentando la “mancanza di una cultura di governo”.

Sarà quella cultura che porterà il secondo governo Prodi a isolare i dissensi sotto l’occhio vigile dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che vincola quel governo alla compattezza sulle missioni, pena “un grave problema politico”. Del resto, il progressista numero Uno, Barack Obama, non farà nulla per fermare la catastrofe e il suo vice si chiama Joe Biden.

I Papers delle bugie.

Per capire che la guerra fosse un errore basta leggere gli Afghanistan Papers pubblicati dal Washington Post. Duemila pagine di note, appunti e interviste a generali e diplomatici per evidenziare la catena costante di errori e bugie: “Eravamo privi di una comprensione fondamentale dell’Afghanistan, non sapevamo cosa stavamo facendo” spiegava Douglas Lute, generale a tre stelle. John Sopko, il capo dell’agenzia federale che ha condotto le interviste, conferma che “al popolo americano è stato costantemente mentito”. Quanto alla preparazione dell’esercito, gli addestratori militari Usa hanno descritto le forze di sicurezza afghane come “incompetenti, immotivate e piene di disertori” con i comandanti afghani intenti a “intascare gli stipendi per decine di migliaia di “soldati fantasma”. Nel frattempo l’Afghanistan è diventato il produttore dell’82% dell’oppio mondiale.

Il Merlo gné-gné.

Eppure Emma Bonino, nel 2005, si felicitava per un “processo di transizione istituzionale e democratica” ormai concluso. E su queste posizioni tutta la stampa democratica. Allo scoppio della guerra Gianni Riotta scriveva che l’obiettivo sarebbe stato “un Afghanistan retto da un governo di coalizione, che metta fuorilegge i Taliban e Al Qaeda e ripristini almeno livelli minimi di diritti civili per le donne e i profughi”. Altro editorialista, Antonio Polito, dal 2006 al 2008 senatore della Margherita, si complimentava con Prodi perché sull’Afghanistan aveva “marcato chiaramente la differenza da Bertinotti” manifestando la sua vera preoccupazione. Le voci dissonanti, come Gino Strada, venivano bastonate allegramente. Francesco Merlo nel febbraio 2003 sul Corriere della Sera lo chiamava il “signor Né-Né” che fa tanto rima con gné-gné. “Il signor Né-Né non è un pacifista, è piuttosto una scoria del pacifismo, è la serpe che fa la sua tana nel pacifismo più ingenuo, lupo tra le colombe, volpe nel pollaio”. A uno stupito Gino Strada che chiedeva conto di tali insulti, egli rispondeva: “In guerra (…) non si può scegliere di non scegliere, non si può stare né di qua né di là (…) La retorica delle buone intenzioni ha sempre dei profittatori, degli astuti signori Né-Né. Dove vuole che vadano i lupi e le volpi se non tra le colombe del coraggioso Gino Strada, e nei pollai?”. Oltre a rivelare il giudizio su Gino Strada un certo riformismo “colto”, in quelle parole (nonostante fossero riferite all’Iraq) c’è tutta la supponenza con cui sono state affrontate le guerre globali. Con relative voragini.

ILFQ

domenica 20 dicembre 2020

Basta con Conte: ci vuole un Salvini… - Antonio Padellaro

 

“Penso che abbiamo fallito, abbiamo un gran numero di morti e questo è terribile”.

Carlo XVI re di Svezia, Messaggio di Natale al Paese

L’anno che sta per chiudersi, il 2020, sarà ricordato come la Caporetto mondiale dei governi, travolti dal Covid su tutta la linea. Monarchie assolute e costituzionali, Repubbliche presidenziali, Repubbliche parlamentari, Repubbliche popolari, Repubbliche islamiche, repubbliche delle banane, democrature, dittature, regimi del terrore, non esiste forma di governo che non abbia fallito. Come, per quanto lo riguarda, il signore coronato di Stoccolma ha avuto il coraggio di riconoscere. La verità è che se guardiamo al numero dei decessi globali causati dalla pandemia – che mentre scriviamo sono un milione e seicentosettantamila, in crescita esponenziale – tutti hanno fallito: da Trump a Johnson, da Xi Jinping a Putin, dalla Merkel a Macron e Conte. Forse soltanto gli storici del futuro potranno rispondere all’interrogativo che sorge drammatico davanti alla catastrofe: chi ci governa, a ogni latitudine, ha fatto sicuramente il peggio, ma era possibile fare meglio? Eppure, dalla immunità di gregge al lockdown, dal laissez-faire ai gulag sanitari, non esiste modello che alla lunga abbia funzionato. Un fallimento che non costituisce attenuante per chi sta a Palazzo Chigi: il cosiddetto “modello Italia” che a marzo aveva dato dei risultati confortanti mostra falle gigantesche dopo l’allegra estate del liberi tutti. Sì, era difficile fare peggio, perciò da questa modesta tribuna chiedo le dimissioni immediate dell’attuale governo di incapaci. Per giungere rapidamente alla costituzione di un esecutivo di salute pubblica, dotato di tutti i poteri eccezionali che la situazione richiede. Propongo che a presiederlo sia Matteo Salvini, che si alternerà con Giorgia Meloni. Sono convinto che grazie alla loro guida illuminata, e all’efficacia delle misure suggerite dai loro scienziati di fiducia, l’Italia saprà sconfiggere rapidamente l’odioso invasore. Come consulenti speciali del nuovo esecutivo vedrei bene Vittorio Feltri, Alessandro Sallusti e Maurizio Belpietro. Essi, a giudicare dai titoli dei giornali che dirigono (Libero: “Il governo è impazzito, la gente disperata fugge”; La Verità: “Conte distrugge il Natale”; Il Giornale: “Feste, lockdown a casaccio”), hanno sicuramente il polso della situazione. In totale sintonia con il Paese reale a cui l’ambiguo “Giuseppi” tenta di scippare il sacrosanto diritto ai cenoni natalizi e ai veglioni di Capodanno (con gli immancabili trenini attorno alle allegre tavolate).

Alla luce della situazione, come degno epitaffio, propongo quindi quel verso de “’A livella” di Totò che recita: “’Sti pagliacciate ’e fanno sulo ’e vive: nuje simmo serie… appartenimmo à morte!”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/20/basta-con-conte-ci-vuole-un-salvini/6043049/

sabato 26 settembre 2020

Tutti gli errori di Madrid e Londra “Ritardi e sbagli nei tracciamenti”. - Marco Pasciuti


Lo studio sui Paesi più in difficoltà. The Lancet. L’analisi. Tra le carenze di Spagna e Regno Unito la rivista indica l’assenza di criteri pubblici per le restrizioni.

Ora assistono a una nuova impennata delle curve epidemiche e stanno procedendo a nuovi lockdown, ma entrambe hanno “avuto problemi” nel mettere in piedi un efficace sistema di contact tracing. Hanno revocato e ripristinato le restrizioni “senza seguire criteri espliciti e pubblici”. Non è chiaro, poi, se nel farlo Londra utilizzi i propri “sistemi di allerta”. Madrid, invece, ha usato gli indicatori scelti “senza alcuna ponderazione esplicita nel processo decisionale”. Uno studio pubblicato su The Lancet ha passato in rassegna i modelli di risposta all’epidemia di Covid-19 utilizzati in 9 Paesi. Nel quadro che ne emerge Regno Unito e Spagna hanno commesso diversi errori.

Lo studio, pubblicato su una tra le più importanti riviste scientifiche a livello internazionale, ha analizzato la situazione di 5 Stati nella regione Asia-Pacifico (Sud Corea, Hong Kong, Giappone, Nuova Zelanda e Singapore) e 4 in Europa (Germania, Norvegia, Spagna e Regno Unito), questi ultimi in un contesto in cui “più di un decennio di misure di austerità hanno indebolito sistemi sanitari e protezione sociale”: esperti provenienti da ognuno di questi Stati hanno analizzato la risposta data dai rispettivi governi al virus e le loro scelte in materia di allentamento delle restrizioni. Allentamento che sarebbe dovuto avvenire in base a 5 prerequisiti: “Conoscenza dello stato dell’infezione”, “grado di coinvolgimento della comunità”, “capacità del sistema di salute pubblica”, “capacità del sistema sanitario” e “controlli alle frontiere”.

Il primo problema è comune: sia a Londra che a Madrid “i politici, avvalendosi della consulenza di esperti, decidono quando e quali restrizioni ridurre, ma senza criteri espliciti e pubblici”. Il governo Sanchez (che ieri ha avuto altri 12.272 contagi a 120 morti) in particolare “ha pubblicato un pannello di indicatori, inclusi parametri epidemiologici, di mobilità, sociali ed economici, senza alcuna ponderazione esplicita nel processo decisionale”. Senza cioè spiegare quale peso abbia ognuno di questi nelle decisioni. La mancanza di coordinamento è stato, invece, uno dei principali errori di Boris Johnson, che ieri ha dovuto registrare un nuovo record di contagi, 6.874 contro i 6.634 di giovedì: Inghilterra, Galles, Nord Irlanda e Scozia, “le 4 nazioni del Regno si sono allineate nella loro strategia fino a metà marzo, quando ognuna si è discostata nei suoi approcci specifici ed è uscita dal blocco”. Rompendo l’uniformità di misure che avrebbero potuto limitare la circolazione del SarsCov2 nel Paese. Esempio: in Inghilterra, “la distanza consigliata tra le persone è di almeno un metro, mentre in altre aree di due”. Quindi la comunicazione “è stata confusa e incoerente”.

Come le decisioni: a partire da giugno, sottolinea lo studio, il Regno ha adottato il modello della “bolla sociale” introdotto dalla Nuova Zelanda, che “consente a un gruppo di persone di avere uno stretto contatto fisico tra loro e praticare il distanziamento con soggetti esterni”. Il punto è che “a quelle che erano nate come bolle domestiche bloccate è stato lentamente consentito di estendersi a piccoli gruppi di familiari e amici, e poi di fondersi con altre bolle”. Tutte e 4 le nazioni britanniche “hanno avviato una simile strategia”. In questo momento, poi, in cui la Gran Bretagna sta “revocando o ripristinando le restrizioni sulla base di soglie epidemiologiche” (da ieri sono 16 milioni su 66 i britannici sottoposti a un lockdown bis localizzato) lo fa in maniera confusa: sebbene questi tre Paesi “dispongano anche di sistemi a livello di allerta, il collegamento a particolari contromisure non è stato altrettanto esplicito e non è chiaro se il sistema del Regno Unito venga effettivamente utilizzato”.

Il problema in diversi casi è a monte: “Sembra intuitivo che uno Stato non debba aprirsi finché non dispone di un sistema di sorveglianza di alta qualità” che opera attraverso le fasi di “ricerca, test, tracciamento, isolamento e supporto”. “Questo principio è stato spesso ignorato” e anche sotto questo punto di vista Londra e Madrid “si sono mosse con fatica”. La seconda, a corto di medici di base e personale nei distretti sanitari, ha dovuto far ricorso ai militari. Problemi anche nel proteggere i sanitari per la carenza di guanti e mascherine: in Spagna “il personale medico ha rappresentato oltre il 10% dei casi totali di Covid-19”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/26/tutti-gli-errori-di-madrid-e-londra-ritardi-e-sbagli-nei-tracciamenti/5944571/

giovedì 3 settembre 2020

Battete un colpo. - Marco Travaglio

Civico20News - «La Giostra dei Buffoni»
Preso con le solite pinze, l’ultimo sondaggio di Demoskopea dà la maggioranza giallorosa che sostiene il governo Conte al 46,9% (Pd 20,5, M5S 19,9, Iv 3,3, Sinistra italiana 3,2): cioè per la prima volta davanti al centrodestra, che la insegue al 45,3% (Lega 23,5, FdI 15,5, FI 6,3), al netto dei partitini di centrosinistra non rappresentati in Parlamento (Azione 3,3, +Europa 2,3, Verdi 2,1). Numeri ragionevoli, viste la buona prova offerta dal governo nell’incubo del Covid e la parallela cialtroneria delle opposizioni. Ma numeri da fantascienza se si guardano i talk e i giornali con i loro quotidiani De Profundis per il governo che, a loro dire, sta in piedi solo per evitare la sicura vittoria delle destre e comunque cadrà certamente domani, anzi la sera del 21 settembre, anzi oggi pomeriggio. Ma anche se si assiste allo spettacolo dei partiti della maggioranza, impegnatissimi h 24 a segare il fragile ramo su cui siedono. Ora la demenziale rivolta nei 5Stelle contro il premier che osa decidere sui servizi segreti, cioè fa il premier. Ora le cacofonie nel Pd sul taglio dei parlamentari, invocato e promesso per 40 anni, votato ancora l’anno scorso e oggi ripudiato con tanti No, Ni e distinguo su pressione di chi vuole abbattere il governo e la segreteria Zingaretti (i giornaloni e i loro mandanti), ma anche di chi li sostiene come la corda regge l’impiccato (i puristi da sesso degli angeli della vecchia sinistra e le povere Sardine, che dopo la visita chez Benetton non ne azzeccano più una, ridotte a una pattuglia di Tafazzi). E poi i soliti italomorenti dell’Innominabile che, non contenti dei propri fiaschi, vorrebbero esportarli in casa altrui.
Come se tutto ciò non bastasse, incombono le elezioni regionali in Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia. E anche lì, mentre le destre marciano compatte come falange macedone anche se non vanno d’accordo su nulla, i giallorosa procedono in ordine sparso come l’Armata Brancaleone. Salvo in Liguria, dove però si guardano bene dal fare campagna per il candidato unitario Sansa. Siccome poi in Veneto e in Campania hanno già vinto Zaia e De Luca, tutto si gioca nelle altre tre regioni “contendibili” che vedono M5S, Pd e Iv l’un contro l’altro armati. Anziché piagnucolare sul latte versato degli accordi mancati, o chiedere patti di desistenza e voti disgiunti, i candidati-presidenti Pd dovrebbero avere rispetto per gli elettori e rivolgersi soltanto a loro. I numeri parlano chiaro: gli unici in grado di strappare Toscana, Marche e Puglia alle destre sono Giani, Mangialardi ed Emiliano. I 5Stelle non andranno malissimo: la debolezza degli altri candidati esalta chi cerca vie di fuga “terzaforziste”.
In Puglia la Laricchia è data addirittura al 15% (mentre il prode Scalfarotto veleggia verso un sontuoso 1,6). Ma di quei voti il M5S non se ne farà nulla, se non per strillare altri cinque anni dai banchi dell’opposizione, senz’alcuna speranza che i nuovi “governatori” salvinian-meloniani gli diano retta. Infatti Conte e Di Maio han tentato fino all’ultimo di convincere i grillini di Marche e Puglia a far pesare i loro voti appoggiando i candidati Pd in cambio di cambiamenti su liste e programmi: invano. Ora, visto che nelle due Regioni e in Toscana tutto si gioca sul filo di un paio di punti, sta all’eventuale bravura di Mangialardi, Emiliano e Giani convincere almeno una parte degli elettori 5Stelle a disgiungere il voto: lista M5S e presidente Pd. Come? Non certo lanciando appelli a Crimi o Di Maio perché diano un’indicazione di voto che mai potrebbero dare, e comunque non verrebbe ascoltata; né tentando patti sotterranei per fare di nascosto ciò che non si può fare alla luce del sole; né comprando grillini sfusi in cambio di assessorati. Ma parlando direttamente agli elettori 5Stelle che, se insistono malgrado il rischio di mettere in pericolo il governo, è perché non sono soddisfatti da Mangialardi, Emiliano e Giani.
Cosa potrebbe convincerli o almeno allettarli? Qualcosa di radicalmente nuovo, netto e discontinuo. Basta fare l’opposto del nostro amico Sansa, che ieri s’è giocato qualche altro voto pentastellato schierandosi per il No. I tre aspiranti presidenti facciano campagna per il Sì con esponenti del M5S, del Pd e della Sinistra. Si impegnino a proseguire la battaglia anti-casta in casa propria, tagliando enti inutili, gettoni delle partecipate, emolumenti e vitalizi dei consiglieri regionali. E poi a bloccare i nuovi inceneritori, a fermare il consumo del suolo, a invertire la rotta dei finanziamenti alla sanità privata, a potenziare le misure sociali e le politiche ambientali. E infine annunciando nomi nuovi, prestigiosi, competenti, presi dalla società civile per i futuri assessorati. Solo così, convincendo gli elettori sui territori e non le segreterie a Roma, possono sperare nel voto disgiunto. Perché gli unici padroni dei voti sono gli elettori e non sarà certo un appello di Crimi o Di Maio a spostarli. Anzi, tentare di scavalcarli con accordi nazionali e appelli dall’alto è anche peggio dell’inerzia, perché li farebbe incazzare vieppiù. E l’unica “disgiunzione” che si otterrebbe è quella fra politici e cittadini. Che si chiama astensionismo. E non è un virus simmetrico: colpisce soprattutto chi già governa. Giani, Mangialardi ed Emiliano hanno 18 giorni per battere un colpo. In caso contrario perderanno e, anziché incolpare gli altri, dovranno prendersela solo con se stessi.

martedì 28 luglio 2020

Prima i bahamiani. - Marco Travaglio

La vignetta di Vauro
Accantoniamo per un attimo gli aspetti giudiziari, politici e morali dello scandalo Fontana e concentriamoci su quelli comici che, nella Lega del Cazzaro Verde, prevalgono sempre. Questa è la storia del sedicente governatore della Regione più ricca d’Europa, degno successore di Formigoni (condannato e arrestato per corruzione) e Maroni (condannato per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente), dunque indagato per frode in pubbliche forniture grazie alle prove che lui stesso ha gentilmente fornito agli inquirenti. E, come se ciò non bastasse, viene difeso da B. come “uomo perbene” e dalla Gelmini come “galantuomo”. Le ultime due viti nella bara: se qualcuno nutriva ancora qualche dubbio sulla sua colpevolezza, l’ha perso. Ora, volendo proprio mettere al sicuro la condanna, potrebbe arruolare l’avvocato Taormina. Ma forse non gli servirà, perché a legarsi il cappio al collo provvede ogni giorno da solo con la linea difensiva più suicida mai concepita da mente umana: per nascondere i favori della sua Regione alla ditta di suo cognato e sua moglie, ordinò un bonifico dal suo conto presso l’Unione Banche Svizzere su cui nel 2015 aveva trasferito 4,4 milioni scudati con la voluntary disclosure dei 5,3 nascosti su due trust a Nassau. Così chi lo sospettava di un banale conflitto d’interessi familiare (ordinaria amministrazione per il “modello Lombardia” e la Milano “capitale morale”) ha scoperto che occultava pure i soldi tra le Bahamas e la Svizzera. Come quel tale che, accusato di aver scippato una vecchietta, sfoderò come alibi di ferro la prova che quel giorno a quell’ora stava scannando sua moglie.
Ieri, dopo aver negato di aver mai saputo o fatto qualcosa della fornitura di camici affidata senza gara alla ditta di famiglia Dama dall’agenzia regionale Aria e aver poi dichiarato di aver saputo e fatto un sacco di cose, il Genio di Varese si presenta al Consiglio Regionale e cambia altre tre o quattro versioni. Accusa l’Oms e il governo Conte di avergli negato sul Covid “informazioni adeguate” (tipo su come s’infila una mascherina, infatti rischiò il soffocamento in diretta Facebook). Poi spiega che la “fornitura a titolo oneroso” da 513 mila euro al cognato era “del tutto corretta”. Ma lui la bloccò, chiese “a mio cognato di rinunciare al pagamento” e tentò di “risarcirlo” (parola dell’avvocato) con quei 250 mila euro perché “il mio legame di affinità gli aveva arrecato svantaggio” (parole sue). Poi però si confonde, o non si coordina bene con se stesso, e parla di “semplice donazione” a cui “volevo partecipare personalmente”, sempre col bonifico di 250 mila euro che cambia causale ogni due minuti.
Ma si scorda di spiegare perché usò un conto svizzero che custodiva i due trust domiciliati alle Bahamas dal 1997 e dal 2005 e intestati a lui e alla madre dentista, morta nel 2015 a 92 anni. Intanto il Corriere scopre che la fornitura non è mai stata trasformata in donazione dalla Regione, ergo Fontana parla di una cosa che non esiste. Il contratto oneroso fra Dama e Aria è sempre valido, ma dei 75mila camici pattuiti ne mancano 25mila: quelli che il cognato, senza che il presidente obiettasse nulla, decise di levare alla Regione per venderli a una clinica e rifarsi del mancato business. Infine, come si conviene nell’avanspettacolo, la comica finale: siccome Report e alcuni giornali inspiegabilmente si occupano dello scandalo, Fontana piagnucola per “il grave contraccolpo subìto da Regione Lombardia a livello di reputazione” e “il sentiment (sic, ndr) negativo”: per quel che scrive la stampa, non per quel che ha fatto lui. Tant’è che, pensate, “si arriva a mettere in discussione l’eccellenza del sistema sanitario lombardo, riconosciuto a livello nazionale e internazionale” grazie al record mondiale di 16.801 morti da Covid: una strage – modestia a parte – che manco quella degli ugonotti nella notte di San Bartolomeo.
Ad aggravare la sua già precaria situazione, ci si mettono pure il consigliere leghista Roberto Anelli che lo vuole “Santo subito” e i renziani di Iv che si dissociano dalla sfiducia. Senza contare il tridente degli house organ di destra, che non vedevamo così in forma dai tempi di Ruby nipote di Mubarak. Impermeabili ai fatti, alla logica e soprattutto al ridicolo, scrivono che Fontana è “indagato per un regalo alla Regione” (Giornale); per lui “il dono diventa un reato” (Verità, per giunta a firma Capezzone); e gli “rinfacciano pure la madre” (Libero). In effetti già è assurdo accusarlo senza uno straccio di prova di sapere che suo cognato è suo cognato e sua moglie è sua moglie, ma insinuare che conoscesse sua madre è davvero troppo. Intanto passano i giorni, ma il caratterista lumbard continua a non soddisfare le legittime curiosità di molti cittadini, leghisti e non. Perché lui e la madre avevano 5,3 milioni alle Bahamas? Come han fatto, lei dentista e lui avvocato da 200mila euro l’anno, a guadagnarli? Perché non li hanno tenuti in Italia? Quante tasse ci hanno pagato, se le hanno pagate? Se non c’era nulla da nascondere, perché usare la voluntary disclosure, la legge Renzi varata per far rientrare in Italia i capitali illegalmente detenuti all’estero? E perché, se li ha fatti rientrare in Italia, li teneva in Svizzera? Non si fida del modello Lombardia? O ha equivocato il motto della Lega? È “Prima gli italiani”, non i bahamiani e gli svizzeri.

mercoledì 13 maggio 2020

Tutto il Covid è paese. - Marco Travaglio

Burnout: patologia o patogeno?
Il proverbio “Tutto il mondo è paese” è troppo autoassolutorio: ogni cittadino ha il diritto di pretendere che (il dovere di impegnarsi perché) il proprio paese sia meglio degli altri. Però ogni tanto rende l’idea. Tre mesi fa, quando la pandemia colpì l’Europa partendo dall’Italia, tutti ci facevano i complimenti per la reazione del nostro governo e del nostro popolo (a parte i due Cazzari, che facevano il giro della stampa estera per sputtanarci in tutto il pianeta, peraltro mai creduti) e qualcuno chiedeva copia dei nostri decreti e Dpcm per copiarli. Poi il Partito Preso Divanista s’impossessò rapidamente dei media e cominciò ad accusare il governo (ma anche gli italiani) di tutto e del contrario di tutto. Dimenticando che le misure antivirus decise fin qui hanno funzionato e ci hanno portati fuori dall’emergenza, malgrado le vaccate e i sabotaggi di alcuni sindaci, sgovernatori e dirigenti sanitari incapaci, vanesii e irresponsabili, nonché della Confindustria più miope, arrogante e rapace della storia recente, con apposita stampa al seguito. Ora l’ultimo mantra è che da noi la Fase 2 è un caos, un disastro, un’apocalisse, una catastrofe, una farsa, mentre “gli altri” sono già in pieno Regno di Saturno, con balsamiche riaperture di ogni attività per grandi e piccini, tamponi e test sierologici per tutti, mascherine che piovono dal cielo, app di tracciamento garantite e sicure, il tutto gratis et amore Dei.
Il Fatto sabato e il Corriere ieri hanno pubblicato un quadro sinottico delle Fasi 2 nei vari Paesi, da cui emerge che molti sono più indietro di noi (cosa comprensibile, visto che il contagio è partito dopo) e tutti gli altri più o meno al punto nostro. Il che non assolve il nostro governo per gli errori e i ritardi (quelli veri, non quelli inventati). Né i governi stranieri che han fatto peggio di noi (le riaperture premature della Germania con rialzo dei contagi, i disastri di Boris Johnson e della Svezia, che si è semplicemente scordata di imporre il lockdown e ora conta i morti a carrettate). Ma dimostra che le incertezze, le prudenze, gli stop and go e i divieti in apparenza assurdi non dipendono dalla prava volontà di questo o quel governo, ma dai connotati di una pandemia ancora in gran parte sconosciuta, che impone a tutti di andare per gradi, anzi per tentativi, e di navigare a vista. Tutti a scompisciarsi per la regola dei “congiunti”, termine abbastanza generico per includere parenti, fidanzati e partner delle coppie di fatto, ma per escludere amici e conoscenti. E ora si scopre che lo stesso problema se lo son posto dappertutto, ma l’han risolto con soluzioni anche più comiche della nostra.
Il Belgio, per estendere gli incontri consentiti agli amici, ma non a troppi, impone a ogni coppia di indicare nell’autocertificazione al massimo altre due coppie, anche spaiate, cioè formate da single (anche ignoti l’uno all’altro). Il problema si pone quando una coppia ne sceglie altre due e una di queste, o un membro di una delle due, non sceglie la prima o la seconda, allargando il numero massimo di 6 a chissà quanti. Un casino che fa rimpiangere i congiunti. Londra: il ministro degli Esteri Dominic Raab dice in tv che i figli possono incontrare entrambi i genitori, ma a patto di non essere mai più di due. Poi gli fanno notare che, essendo i genitori notoriamente due, il figlio che li incontra porta il totale inequivocabilmente a tre. Quanto agli amici, se ne può vedere uno, ma all’aperto e a due metri di distanza: il governo suggerisce le estremità di una panchina, almeno per chi parla forte. E le scuole? Non avevano riaperto dappertutto fuorché qui? Col cavolo. Il governo francese ha già dato una dozzina di indicazioni diverse. L’ultima è che riaprono su base volontaria, cioè per gli insegnanti e gli studenti che vogliono. Non male. In Belgio riaprono tutte le scuole, ma solo a 10 studenti per aula, gli altri a casa (sarà colpa dell’Azzolina). In Germania le classi iniziali e finali dei vari cicli, ma non le elementari e solo in pochi Land. In Olanda solo le elementari. In Spagna, Irlanda e Romania nessuna.
E il lavoro? Non l’avevano ripreso tutti tranne noi, poveri pirla? Domenica Johnson annuncia che lunedì riaprono fabbriche e cantieri, così l’altroieri mattina i lavoratori escono di casa, ma mentre sono per strada arriva il contrordine: il governo s’è scordato le linee guida per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Che sarà mai. Tutti a casa, ci si riprova oggi, sempreché si abbia tempo di adeguarsi alle regole fatte ieri. E le app? Non sono partite da nessuna parte, salvo qualche sperimentazione locale, con mille problemi tecnici e di privacy. Le mascherine non bastano quasi ovunque, e molte sono irregolari, difettose e supercostose, tant’è che nessuno le ha ancora rese obbligatorie per tutti. Mille problemi anche per tamponi e test. Portogallo a parte, di geni in giro non se ne vedono. E, date le condizioni di partenza dell’Italietta inefficiente e iperburocratica, poteva andarci molto peggio: sarebbe bastato che Conte&C., anziché agli scienziati, avessero dato retta a cazzari, sgovernatori, Confindustria e Partito Preso Divanista. Lo diciamo dal primo giorno: questo è il peggior governo possibile, eccettuati tutti gli altri. Quindi Pd e 5Stelle la piantino di litigare prima che arrivi il peggio del peggio.

venerdì 10 aprile 2020

IL MIO PREFERITO DI OGGI E': ERRE (dal blog di Gilioli)

Distacchi: le incongruenze del DAP!

Tutti a spaccare il capello in quattro. Ora è il turno dell'Azzollina.
"aggrotta la fronte", "è nervosa mentre parla", "costrutti lessicali imperfetti", "alla domanda: quando riapre la scuola, non sa rispondere (cercasi palla di vetro...)"
Ci fosse stato un giornalista che abbia ricordato che mentre Spadafora intimava la chiusura di stadi e rinvio delle partite, i mammasantissima quotidianamente incensati da stampa e media, se ne infischiavano. Causando i focolai più gravi d'Italia.
Poi c'è il fenomeno che vuole mandare tutti a messa, per sfidare ovviamente le abilità cosmiche di Dio e Angeli nell'organizzare il più grande tetris di tutti i tempi, in modo tale che non s'infetti nessuno tutti e va comunque di lusso.
Poi ci son quelli che con i soldi in Lussemburgo rubati alle autostrade, vogliono gli aiuti dall'Italia.
Poi ce stanno quelli in Olanda per cui tutti i giornali europeisti hanno esultato. Ed invece era meglio avere dei nazionalisti, in Olanda... Avrebbero fatto e detto le stesse cose, ma almeno adesso li mannavi a fanculo.
Queste colossali smadonnate valutative, quando le passiamo al setaccio, come i quattro dell'Avemmaria? Quando avverrà l'autocritica?
Non c'hanno ragione su tutto i 5 Stelle, su questa Europa, su questo modello economico? L'avete sfanculati per 10 anni. E i nodi vengono al petto.
Certo, non è il momento di dividersi, ed è vero.. gli occhi, son come buchi neri. Ne abbiamo due, per assorbire in prospettiva ogni cosa..
Io sto con tutti, però.. c'ha ragione pure Vasco Rossi. Bisogna sapere da che parte stare. E quasi tutta la stampa italiana è sempre stata dall'altra parte.
Gesù era il migliore.
Lui parlava con pastori e pescatori. E i congiuntivi li sbagliava apposta.
Ma forse non vi leggete, sia chiaro. Siamo noi qui a leggervi. E io vi leggo quasi tutti, da molto tempo.
A seguire le indicazioni di giornalisti che invocano:
- "riaprire tutto" con quello di Rignano e De Angelis (risultato, ecatombe)
- "pasqua tutti in chiesa" con quello dei mojito (risultato, ecatombe)
- conti in ordine e pareggio di bilancio (risultato, gli stessi che volevano conti in ordine e pareggio di bilancio, adesso si lamentano se Conte e i 5 Stelle - che erano contrari, tacciati di anti-europeismo - non sforano bilanci, bilancini, regole, non prendono a martellate la Merkel, e non inondano le dighe degli Olandesi.)
- poi ci son quelli che vogliono Draghi, uno che ha le mani in pasta su tutte le operazioni finanziarie italiane ed europee ed è proprio per questo il più debole esponente politico che l'Italia possa avere in questo momento in cui serve agibilità e manovrabilità.
- poi ci son quelli che se torniamo alla lira è la fine (e ora li vedo a commentare che bisogna tornare alla lira)
- poi c'è Sgarbi che pure lui si butta a capo-fitto nella soluzione ecatombe (salvo poi scusarsi)
Altro che mani conserte, croci, e pollici.. altro che capello in quattro. Se i 5 stelle avessero dato retta a uno qualsiasi di questi personaggi, s'era davvero nell'apocalisse.
A schivare le gigantesche travi tra tutte le stronzate che ho sentito negli ultimi dieci anni, c'è da diventare pelato.
E non mi fate parlare del reddito di cittadinanza.
QUELLI CHE NON PASSAVA GIORNO, SENZA CHE IL REDDITO DI CITTADINANZA NON FOSSE INUTILE, SPRECATO, ASSISTENZIALISTA
Che parlino ora.
Poi ce sta il mitico Jocobono, che il Signore lo illumini pure a lui, che se la prende se i russi inviano la roba, anzi no.. lo fanno con i mezzi militari. Dovevano farlo con i mezzi civili, così alla prima frontiera passata ce rubavano tutto. Così poteva scrivere l'altro articolo, quello in cui accusava i russi di non averla inviata la roba, perchè dovevano usare i mezzi militari in questa situazione.
E' diventato questo, in fondo il mestiere del giornalista. Vedere la realtà, e descrivere con il senno di poi quello che lui avrebbe voluto. E allora il declino di questo mestiere è inevitabile.
Poi, sia chiaro. Anche io avrei preferito Umberto Eco, ministro dell'Istruzione. Quello che il web lo considerava un posto inutile di idioti. Ed infatti la scuola sta andando un po' avanti solo grazie al web e ai suoi webeti. Però vuoi mettere che figurone facevamo con Umberto Eco, ministro dell'Istruzione? Porca vacca, sbavo solo a pensarci.
Però va sempre ricordato che a gestire questa crisi avremmo potuto avere un quartetto composto da Salvini premier, Bitonci all'economia, La Russa all'istruzione e Gasparri allo sviluppo economico. È mancato tanto così!
In questa immagine poi c'è cosa è adesso l'Europa
Una cosa al cui confronto quelli che "Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur"
Erano di poche parole. E capisci perché quello è un impero durato migliaia d'anni, e questa fetecchia non reggerà più di 20 anni. E lo sanno.
Germania e Olanda, a differenza nostra.. i loro scenari "Savona" se li son costruiti tranquillamente e di questa Europa se ne sbattono, perché stanno lavorando al dopo
Da noi c'era Giorgina che passava i documenti all'hp, per la gioia di Annunziata che da sola è riuscita a fare all'Italia un regalo di 200 punti spread.
E anche in questo caso, zero autocritica. Miliardi di danni, provoloni politici, massoni e poi quell'amabile casta di informatori che se l'avessi saputo prima avrei preferito restare analfabeta.
Per piegare Germania e Olanda, deve arrivare Dio in persona a far loro un culo grosso come una casa. Poi capiscono.
Il momento in cui da nord si spostano a sud è arrivato per l'Italia.
Poi quando arriverà anche per l'Europa, da bravi olandesi e tedeschi quali siamo, alla frontiera saremo tutti quanti con il bancomat, perchè noi, in Italia come ad Atene,non temiamo lo straniero, je famo un mutuo a tasso variabile agevolato per ogni secondo di respiro che passa in Italia (ovviamente a spread italiano).
Non è nemmeno bastato il gesto di Rama. Uno che dall'Albania ti aiuta. Che se lo dicevi un anno fa, se sarebbero messi tutti a ridere.
Olanda e Germania stanno ancora ad immaginare uno scenario geopolitico in cui ce la fanno e la spuntano mejo degli altri, quando basta uno spillo per rovesciare tutto.
E immaginano questo scenario futuro, in uno scenario presente che non avevano previsto nello scenario passato.
L'Italia deve uscire da euro e ue, e lo deve fare adesso, per entrare in qualcosa di molto più utile, e grande. Specialmente in questo momento.
Un percorso che porti l'Italia dall'Africa, all'Asia a farsi vettore di innovazione e diplomazia portando valori più che moneta. Pace e intelligenza, non guerra e follia. Tanto è inutile girarsi intorno. Se l'Europa non esiste adesso, e non esisteva neppure quando da solo sul Mediterraneo dovevi farti carico dell'Africa, non esisterà neppure in futuro. Quindi tanto vale gestire in modo positivo e resiliente, con autonomia, questa nuova fase.
Un'unione mediterranea il cui obiettivo non sia il libero scambio di persone e merci, ma il libero scambio di valori, benessere e salute.
Abbiamo dato dimostrazione di lungimiranza in Libia. Di pazienza in Egitto. Siamo stati un cuscinetto che ha assorbito in questi decenni le scorribande secolari di Olanda, Francia, Belgio, Inghilterra, e le più attuali della Cina. C'è un mondo sotto le Alpi. E' li che dobbiamo, portare la nostra ricchezza.
E' l'Africa il continente davvero inesplorato. Un mondo a cui siamo obbligati a dimostrare che prima dei soldi ci sono i valori.
Non mi va di stare in una Unione che dimostra quotidianamente di adorare Satana. Non si raggiungono le stelle, con questa mentalità.
E dobbiamo farlo perché non c'è davvero null'altro da fare che possa definirsi progresso. Sono queste sfide che caratterizzano lo scopo di un popolo e di una nazione e la ragion di vita di altri.
L'Europa non ha senso di esistere. Non ha alcuna ragione fondativa e la sua laica neutralità sta naufragando in tutta la sua incapacità. E' irrilevante dal punto di vista strategico. Inutile dal punto di vista politico, e peraltro il più grande accumulatore di stress. L'Italia ha pagato un prezzo altissimo (il 21% della sua manifattura, una ventina di trimestri di recessione), per vedere paesini di quattro gatti, fare i frodatori fiscali e pontificare a tutti i tavoli.
Grazie, ne abbiamo davvero abbastanza.
Non si può rifondare qualcosa che non è mai stato fondato. E' questa roba qui, proprio questa roba qui.. fa davvero pena.
Da 5 Stelle queste cose sono sempre state osservazioni latenti. C'è stata sempre consapevolezza di queste debolezze. Hanno provato per anni, i grandi gruppi di informazione e le lobby, ad attenuare questa visione. I primi per la fantasia e l'illusione di vivere un sogno, i secondi perché il sogno lo stavano vivendo davvero, pagare le tasse nel paradiso fiscale olandese e buttarla in culo agli operai italiani.
I coronabond possiamo farli con altri paesi più illuminati. Può essere un fondo di resilienza, tra Italia, USA, Cina e Russia e altre nazioni che vorranno partecipare ad una New Union, che già avrebbe molto di più da condividere in termini di valori, storia e ambizioni.
Che dobbiamo fare? Aspettare che arrivino due più che nefaste esperienze politiche a gestire questo processo vincendo le elezioni, peraltro con le idee già espresse dai 5 Stelle ed in più zero credibilità internazionale?
Usciamo con Conte dall'Europa.

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