mercoledì 9 gennaio 2019

Terrorismo e immigrazione clandestina, 15 fermi in Sicilia. Il pentito: “Parlo per evitare esercito di kamikaze in Italia”

Terrorismo e immigrazione clandestina, 15 fermi in Sicilia. Il pentito: “Parlo per evitare esercito di kamikaze in Italia”

Indagine della Dda di Palermo, che ha disposto 15 provvedimenti di fermo per terrorismo, associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e ingresso illegale di migranti nel territorio nazionale. L'inchiesta partita dalle parole di un uomo in carcere a Genova. Il cassiere dell'organizzazione, che gestiva sbarchi su gommoni veloci in provincia di Trapani, incitava al jihad su Facebook.


“Vi sto raccontando quello che so perché voglio evitare che vi troviate un esercito di kamikaze in Italia”. È iniziata con queste parole di un pentito del Jihad, l’indagine della Dda di Palermo che ha portato al fermo di 14 persone nelle province di PalermoTrapaniCaltanissetta e una a Ome, nel Bresciano. Le accuse sono di istigazione a commettere delitti in materia di terrorismo, associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, ingresso illegale di migranti nel territorio nazionale ed esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziaria.
“Minaccia concreta alla sicurezza nazionale” – Al centro dell’inchiesta, condotta dal Ros dei carabinieri coordinati dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai sostituti Gery Ferrara e Claudia Ferrari, c’è la tratta di migranti dalla Tunisia a bordo di scafi veloci. Gli appartenenti all’organizzazione criminale avrebbero rappresentato “una attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale“, secondo quanto scrivono gli stessi magistrati della Direzione distrettuale antimafia, guidati da Francesco Lo Voi, nel provvedimento di fermo.

Per i pm c’erano legami con jihadisti – Gli investigatori parlano di “rischio terrorismo di matrice jihadista” e a loro avviso “sussistono significativi ed univoci elementi” per ritenere che l’organizzazione sia attualmente pericolosa perché fornisce “a diversi clandestini un passaggio marittimo occulto, sicuro e celere che, proprio per queste caratteristiche, risulta particolarmente appetibile anche per quei soggetti ricercati dalle forze di sicurezza tunisine, in quanto gravati da precedenti penali o di polizia ovvero sospettati di connessioni con formazioni terroristiche di matrice confessionale”, dicono i magistrati.
La propaganda islamista di un fermato – Uno degli indagati, in particolare, risulta essere contiguo “ad ambienti terroristici a sfondo jihadista pro Isis in favore di cui, attraverso la sua pagina Facebook, ha posto in essere una significativa azione di propaganda jihadista con incitamento alla violenza ed all’odio razziale”. E un “ulteriore segno di radicalizzazione a sfondo religioso” è rappresentata, secondo gli inquirenti, dall’iscrizione dell’indagato al gruppo Facebook “Quelli al quale manca il paradiso”.
“Martirio unica via per il paradiso” – Sul profilo Facebook dell’indagato, sottolineano ancora i magistrati della Dda palermitana, sono state trovati video e foto che inneggiavano all’Isis e con immagini di decapitazioni e sui social scriveva: “Il martirio e la jihad la sola via per aspirare al paradiso”. L’uomo è ritenuto uno dei cassieri dell’organizzazione e i pm sospettano che abbia usato il denaro guadagnato coi viaggi nel Canale di Sicilia anche per finanziare attività terroristiche.
Le risorse investite in immobili e banche – Le risorse economiche, stando all’indagine, “venivano infatti in parte occultate in proprietà immobiliari e in altra parte depositate in banche tunisine su conti fittiziamente intestati a soggetti residenti in Tunisia, circostanza questa che, per quanto emerso grazie alle intercettazioni svolte, avrebbe suscitato l’attenzione del Battaglione Anti-Terrorismo Tunisino il quale starebbe svolgendo delle investigazioni volte ad accertare la finalità di sospette operazioni finanziarie” che vedrebbero coinvolto uno fermati.
Come nasce l’inchiesta – Tutto è iniziato grazie alla collaborazione di un detenuto nel carcere di Genova che ha raccontato agli inquirenti di essere a conoscenza dell’esistenza di una organizzazione criminale che gestiva un traffico di esseri umani, contrabbandava tabacchi e aiutava ad espatriare soggetti ricercati in Tunisia per reati legati al terrorismo. “Vi sto raccontando quello che so perché voglio evitare che vi troviate un esercito di kamikaze in Italia”, ha riferito. E a quel punto è scattata l’indagine conclusa con l’operazione di oggi.
Le intercettazioni – “…Sedici volte sono andato in Tunisia, sedici volte vado in Tunisia e torno…”. Così, senza sapere di essere intercettato, parlava uno degli indagati. Secondo quanto ricostruito dalla procura, il gruppo criminale organizzava traversate veloci dal Paese nord-africano in cambio di 2.500 euro a migrante. In un’intercettazione, l’indagato Aymen Fathali telefonava a Mohamed alias Hamma “con il quale affrontava, sin da subito, rilevanti questioni inerenti la possibilità di poter attivare una direttrice di transito Tunisia/San Vito lo Capo, evidenziando di essere solito ad effettuare simili traversate”, si legge nel provvedimento di fermo.
“Ieri c’è stato uno sbarco” – Il dialogo, scrivono i magistrati, “poneva altresì in evidenza che Mohamed alias Hamma voleva fare arrivare in Italia il fratello, circostanza questa che faceva rammaricare Aymen Fathali il quale evidenziava che avrebbe dovuto saperlo prima, atteso che proprio il giorno precedente c’era stato uno sbarco“. Nel dialogo, evidenziano gli inquirenti, “dopo che Aymen Fathali faceva cenno a dei soggetti che avrebbe potuto interessare per la specifica vicenda (definiti, con termine affaristico, broker), si registrava quindi la rassicurazione del fatto che il fratello di Mohamed, grazie a Aymen Fathali ed al suo circuito di riferimento, sarebbe giunto illegalmente in Italia”.

martedì 8 gennaio 2019

I rimborsi a luci rosse dell’Europarlamento.



(agi.it) – Pillole dimagranti, punturine anti-età, persino il Viagra: sono decine i farmaci di cui gli eurodeputati possono chiedere il rimborso a spese dei contribuenti. A riferirlo è il Sun che ha spulciato tra i documenti del bilancio del Parlamento europeo sulle spese mediche per i deputati che l’anno scorso sono ammontate a 2,7 milioni di euro.
I farmaci rimborsabili per aiutare la vita sessuale dei deputati di Strasburgo sono 32 e possono essere prescritti dal medico dell’Europarlamento. In generale gli interventi sanitari previsti sono i più svariati, spiega il tabloid inglese, si va dalle spese per la depilazione a quelle per la chirurgia per la riduzione del seno agli ormoni della crescita.

Non c’è sempre bisogno della prescrizione.

Per richiedere il rimborso, in alcuni casi c’è bisogno della prescrizione medica, per altri invece basta presentare la fattura; il rimborso avviene di solito per i due terzi, ma in circostanze particolare è totale. Gli eurodeputati possono persino chiedere il rimborso per un intervento chirurgico per la “rimozione di un corpo estraneo dal retto”, annota il Sun.
Le spese sono coperte con i fondi, 4 milioni e mezzo di euro, stanziati nel bilancio Ue, alla voce spese fondo sanitario, a cui possono attingere anche i deputati in pensione, i loro familiari e il personale dell’istituzione europea. I farmaci per l’impotenza vengono rimborsati ai deputati “con disturbi erettili causati da un intervento alla prostata, da un incidente o da una grave malattia riconosciuta”.

domenica 6 gennaio 2019

Saviano, il clown triste. . Tommaso Merlo



Un Saviano ingrassato e barbuto scarica la sua solita dose di bile a difesa degli sbarchi dei migranti. Lo fa con la consueta violenza ed ovviamente i suoi soci dei giornali gli dedicano paginate intere. Come se a parlare non fosse un cittadino qualunque, ma una sorta di oracolo, una entità morale superiore che dall’alto della sua sapienza indica a noi poveri mortali la retta via. Sarà, ma Saviano di politica ha dimostrato ampiamente di non capirci una mazza. Non ne azzecca una da anni, è sempre sfasato sia nei toni che nei contenuti. Sarà forse per la prolungata lontananza dalla madre patria, sarà perché si è imborghesito, sarà perché proprio non ci arriva, chissà. Sta di fatto che Saviano è capace solo di vomitare scenate iraconde e spesso lo fa fuori luogo. Nei suoi video sembra un ostaggio, già, un ostaggio del suo ego, del suo personaggio da scrittore “maledetto” e vittima sacrificale di un mondo malvagio che si ostina a non seguire i suoi sublimi dettami. Una parte che recita con lodevole abnegazione e che gli sta garantendo fama planetaria e soldi a palate, ma che evidentemente non gli basta a sfamare la sua sete di grandezza. E per questo appena può indossa il suo Rolex, alza il pugno al cielo e si unisce ai “compagni”. Il suo target ossessivo è Salvini, un’Italia a suo dire xenofoba e fascista e in generale questo nuovo corso gialloverde che proprio Saviano non riesce a comprendere e quindi, nel dubbio, disprezza e denigra. L’occasione dell’ennesima invettiva di Saviano è una nave che – come ha detto Di Maio – Malta inspiegabilmente rifiuta e che l’intera Europa ignora. Il solito ricatto. Alla fine sarà l’Italia a dover farsi carico di quei poveracci anche se non più in maniera scontata come in passato. Quando comandavano gli amichetti di Saviano i trafficanti di uomini li aspettavano sulla spiaggia a braccia aperte e l’Italia era diventata un campo profughi abusivo. Grazie al governo gialloverde l’esodo è invece drasticamente diminuito come hanno chiesto democraticamente gli italiani nelle urne il 4 marzo. Saviano dà la patente di pagliaccio a Salvini, ma il Ministro dell’Interno non sta altro che attuando una politica più severa come hanno chiesto i cittadini. Forse perfettibile, ma sempre di volontà popolare si tratta. Si chiama democrazia. E se ci sono dei pagliacci in questa triste situazione sono tutti i Ministri dei paesi europei che tengono i porti chiusi da sempre, sono i burocrati di Bruxelles che se ne fottono da sempre, sono i governi italiani precedenti che hanno svenduto l’Italia firmando trattati folli. Ma tra i pagliacci o forse meglio clown, ci sono anche i rolexisti alla Saviano che vittime di un sempiterno complesso di superiorità morale ed intellettuale di comunista memoria, ignorano la realtà. Ignorano coloro che con l’immigrazione clandestina di massa ci convivono ogni santo giorno, ignorano i sentimenti e le paure di un popolo che un tempo dicevano di voler difendere. Ma tra le cose che proprio non entrano nella zucca di Saviano c’è un punto. Sostenere l’immigrazione clandestina in un paese che non la vuole, vuol dire mettere le premesse per una catastrofe sociale. Vuol dire mettere le premesse per una guerra tra poveri fatta di ghetti, emarginazione, ingiustizia sociale e quindi violenza e razzismo inauditi nella storia del nostro paese. Un caos che rovinerebbe la vita agli italiani senza migliorarla agli immigrati che passerebbero da un infermo all’altro. Sostenere l’immigrazione clandestina in un paese come l’Italia che non la vuole e che è reduce da una crisi di sistema devastante, vuol dire volere la distruzione dell’Italia. Vuol dire essere dei clown. E pure tristi.

https://infosannio.wordpress.com/2019/01/05/saviano-il-clown-triste/

Non sono in sintonia con Salvini, del quale accetto poco o nulla, ma Saviano, a pelle, non riesco a digerirlo; c'è qalcosa in lui che non mi convince, forse la sua tracotanza o la sua obiettività a fasi alterne. A mio parere, dopo aver scritto un libro che non ho letto perchè aborro tutto ciò che tratta mafia e consociate,  ma che ha il pregio di aver messo a nudo una piaga sociale della quale, ahimè, siamo succubi,  farebbe meglio a tacere su argomenti che esulano dalle sue competenze.
Oltretutto, omette di attribuire la colpa dello strapotere del quale gode la mafia in Italia a chi glielo ha permesso: le stesse persone che difende ad oltranza e che sono al potere da svariati anni. Cetta. 

Castel Volturno, viaggio nella capitale della mafia nera. - Vincenzo Iurillo

Volti, storie – Il lavoro che pubblichiamo qui è del fotografo Giovanni Izzo, da oltre due decenni impegnato a scattare tra il napoletano e il casertano. Izzo è stato tra i pochissimi, se non l’unico, a essersi introdotto in una connection house di Castel Volturno.

Viaggio a Castel Volturno - Negli ultimi trent’anni la città è diventata luogo ideale per il reclutamento delle nuove leve di un esercito sanguinario. Terra di nessuno dove criminalità africana e camorra si saldano tra droga, degrado e prostituzione. E dove persino l’Fbi è venuta a studiare…

Gli ispettori del Fbi sono entrati da una porta laterale del palazzo della Procura di Napoli per non dare nell’occhio. Hanno parlato con i magistrati che si occupano di mafia nigeriana a Castel Volturno e nel casertano. Si sono fatti spiegare le tecniche investigative messe in piedi dalla Dda partenopea. Hanno appreso notizie e segreti di una mafia transazionale che ha messo piede anche negli Stati Uniti, che affilia, agisce e delinque con modalità che non hanno uguali al mondo e che miscelano ferocia inaudita, controllo capillare del territorio, senso di appartenenza al clan di tipo massonico.
La visita è avvenuta alcuni mesi fa. Nel riserbo. Inquirenti statunitensi e napoletani si sono scambiati informazioni utili alle loro indagini. Alcune a Napoli sono ancora in corso. Altre sono giunte a sentenza. I pm Ilaria Sasso Del Verme, Giovanni Conzo e Sandro D’Alessio hanno ottenuto pesanti condanne. Merito anche dei pentiti. A cominciare da Christopher Schule, il primo collaboratore di giustizia della mafia nigeriana di Castel Volturno: un affiliato al gruppo degli “Eye” sin dal 2010 che, vestendo i panni del giornalista-infiltrato, ha conquistato la fiducia dei connazionali e ne ha raccolto le confidenze. Ai carabinieri di Grazzanise, agli ordini del maresciallo Luigi De Santis, Schule ha rivelato il giuramento di sangue degli Eye. “Fui introdotto in un’abitazione dove c’erano 12 persone, vi era un agnello a cui fu tagliata la gola. Una di queste persone versò il sangue dell’agnello in un bicchiere di vetro che mi porse, e fece la stessa cosa con altri quattro ragazzi che dovevano essere affiliati con me. Nel mio bicchiere con il sangue, l’officiante mise una mia foto col mio nome scritto sopra assieme alla foto di un’aquila, il simbolo degli “Eye”. Quindi diede fuoco alle due foto e mi fece bere il sangue di agnello insieme ai frammenti bruciati delle foto. Però prima di berne il contenuto mi fece recitare una formula in lingua Benin, Hausa ed inglese che diceva pressappoco così: “I begin not to end I give my power to my self end to use it only in self defense. Ottagni. Senseni, Sampani”. Una formula che in sostanza significa: “Io qui comincio ma senza una fine. Dò il potere a me stesso e per usarlo solo per autodifesa”. Ottagni, Senseni e Sampani sono tre divinità della cultura Voodoo che si evocano, dice il pentito, “per suggellare il giuramento: sono come i guardiani della parola data”.

Quel giorno Schule diventa, e lo sarà per quasi cinque anni, un soldato della mafia nigeriana. Un esercito che combatte per i profitti dello sfruttamento della prostituzione, dello spaccio di droga e dell’introduzione di clandestini, che riduce in schiavitù le donne, che fa letteralmente a pezzi i nemici, come il povero Saba, che si rifiutò di proseguire a spacciare ed a pagare la quota di affiliazione al clan: il suo omicidio avvenne nel 2008 ma è ancora vivo nel ricordo della comunità locale. La droga arriva dal Sudamerica col sistema classico dei corrieri rimpinzati di ovuli pieni di hashish o eroina, incellofanati e termosaldati. Il procedimento la nasconde ai raggi X degli aeroporti, solo una Tac ti può sgamare. Lo stratagemma consente importazioni con numeri da record, che gli inquirenti calcolano in diverse decine di quintali all’anno. Ma ha le sue controindicazioni, è sempre Schule a spiegarlo: “Da un certo Dominic appresi che qualche volta i corrieri sono morti perché l’ovulo si spaccava. Il cadavere di un corriere venne tenuto per parecchi giorni in una casa e fu sezionato a pezzi per recuperare la droga dall’intestino. Fu poi smaltito nei giorni successivi in piccoli pezzi, gettati in mare o nelle campagne. A tutti i presenti fu dato un pezzo con l’onere di disfarsene. Un modo per coinvolgere tutti e per costringere tutti al silenzio”.
Negli ultimi trent’anni Castel Volturno è diventata la città ideale per il reclutamento delle milizie di questo esercito sanguinario. Si può attingere tra i circa 25mila immigrati nigeriani e ghanesi che sfuggono ai controlli dell’anagrafe, che hanno invaso il litorale domizio sfondando le porte delle villette abbandonate dopo il terremoto del 1980, oppure fittando dai “bianchi” un materasso per dormire ammassati in case prive di agibilità, per le quali non si paga l’Imu, e con gli allacci abusivi. Si stipano a decine in dieci metri quadri, su quei materassi luridi e sfondati: per dormirci sopra si pagano 150 euro a persona.

Se l’alternativa è andare a raccogliere pomodori nei campi per 20 euro al giorno, la tentazione di arruolarsi nella mafia nigeriana è fortissima. L’offerta è varia, la mappa dei clan è descritta da Schule con precisione: “Ci sono vari gruppi di associati, antagonisti tra loro: i ‘Black Cats’, gli ‘Eye’ e i ‘Vikins’. I ‘Black Cats’ sono nigeriani ed etnia Ibo, hanno come simbolo un gatto nero con un basco militare, che di solito si tatuano sulla spalla per farsi riconoscere. In altre zone d’Italia ci sono altre cellule, la più grande è a Padova. È un gruppo molto ricco anche grazie ad attività commerciali apparentemente lecite, come bar e supermarket. Comunicano tra loro con le ricetrasmittenti, evitano i cellulari, trattano droga in grandi quantitativi. Mentre gli Eye sono di etnia Benin, ne fanno parte anche ghanesi, spacciano droga al dettaglio e si occupano di tratta di esseri umani. Ai ragazzi e le ragazze che partono dalla Nigeria viene imposto un giuramento voodoo di fedeltà al loro padrone che troveranno in Europa e che, se tradiranno, saranno uccisi sia loro che i familiari rimasti in Nigeria”.
Schule riempie decine di pagine di verbali. Descrive il carattere transnazionale di una mafia “che ha riferimenti in quasi tutti i paesi d’Europa”. E indica quali. “In Spagna c’è Erik A., in Olanda c’è un tale Osas, in Francia opera tale Wofa, un capo degli ‘Eye’ che si sposta periodicamente tra lì e l’Italia. Ho appreso che c’è un referente degli ‘Eye’ anche in Danimarca e nel Regno Unito, che però non conosco. Sono andato in quasi tutte le loro sedi, saprei condurvi a quelle di Madrid e Barcellona, a Vasco in Portogallo, ad Amsterdam in Olanda, a Parigi, nei pressi di via DeGaulle, a Belfast in Irlanda del Nord, a Copenaghen”. Quando si dice la globalizzazione.

Mafia nera a Castel Volturno: le Connection House di Hellen e le altre, tutte Bibbia e peluche. - Vincenzo Iurillo

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Giovani, a volte giovanissime. Le prostitute segregate dalla mafia nigeriana nelle connection house di Castel Volturno sono piccole donne ribelli e disperate, ingabbiate in casa perché si teme che possano fuggire. Al contrario di quelle ritenute più malleabili e mandate in strada a vendersi a 20 euro, queste ragazze non hanno una madre, una sorella, un fratello, un fidanzato. Non hanno un affetto. E allora comprano un peluche. E lo abbracciano per ore, tra un cliente e l’altro. Diventa la zattera a cui aggrapparsi quando emotivamente si rischia di annegare. Ognuna di loro ha il “suo” peluche. Come una bambina. E la sua Bibbia (che tengono sempre in stanza, sul comodino).
Definirla casa di prostituzione è riduttivo. La connection house, uno dei marchi di fabbrica della mafia nigeriana, è un luogo di sospensione della legalità. È una casa divisa in diversi piani, dove entri per “chiedere” una donna (e in quel caso sali nelle stanze da letto), o per acquistare armi e droga, per giocare d’azzardo o semplicemente per mangiare cibo africano cucinato dalle cosiddette Maman, figure chiave che raccolgono i soldi e controllano e gestiscono le ragazze quotidianamente. Nei racconti dei collaboratori di giustizia, le connection house sono anche i punti di intermediazione di commerci irriferibili. Se vuoi comprarti un rene, passi da qui. Ci pensano i “Black Axe”, sono loro che trafficano organi umani, secondo quanto emerso. In genere chi è implicato in questa attività non ha contatti con gli altri, si tiene in disparte. Attende una chiamata dalle connection house.

Sono poco più di bambine, le donne intrappolate dalla tratta di esseri umani gestita dalla mafia nigeriana. Sulle loro vite, lucrano centinaia di migliaia di euro, tra i proventi del sesso a pagamento e i riscatti che le ragazze devono pagare per liberarsi dall’orrore della schiavitù. C’è un tariffario, ci sono delle procedure. La mafia nigeriana, si apprende dalle carte delle inchieste agli atti della Dda di Napoli, acquista le ragazze a 5.000 euro e le fa arrivare in Italia clandestinamente. Sono circa 11.000 le donne nigeriane – secondo i dati del progetto antitratta della Regione Campania – che raggiungono ogni anno il territorio italiano. E più dell’80% di loro transita prima o poi per Castel Volturno e il Litorale Domizio. Le ragazze sono costrette a lasciare l’indirizzo e il cellulare dei familiari rimasti in Africa: saranno i primi a essere colpiti se si rifiutano di obbedire. Poi vengono obbligate a prostituirsi, sulla Domiziana o nelle connection house per poche decine di euro a prestazione sessuale, dove pagano l’affitto della stanza in cui ricevono i clienti.
“Il cliente salda direttamente alla prostituta la quale poi consegna una parte del denaro alla Madame”, racconta a verbale il pentito Twumasi Collins. “Periodicamente alcuni esponenti degli ‘Eye’ fanno il giro delle connection house e raccolgono dalle Madame la parte spettante all’organizzazione criminale”. È un meccanismo oliato, e conosciuto, che resiste ai colpi della legge. La caserma dei carabinieri di Grazzanise (Caserta) ha compiuto dieci arresti per sfruttamento della prostituzione nera nell’ultimo anno: donne, si annota nei rapporti inviati nelle procure, a disposizione dei “bianchi”, gli italiani.

Per riscattarsi, le donne devono versare fino a 60.000 euro, e ci vogliono molti anni, durante i quali vengono gestite dalle Maman o Madames, di solito ex prostitute riscattate. Persino le ragazze che arrivano in gravidanza devono comunque prostituirsi, “e se non lo fanno – si legge nelle carte – le costringono a vendere il loro bambino”. Una volta concluso il pagamento, il bivio: scappare alla ricerca di una vita normale, o diventare a loro volta Maman e amministrare una connection house. In quel caso, la tassa da pagare è di 6.000 euro alla Maman che le ha gestite fino ad allora.
Hellen stava per diventare una di loro. È riuscita a darsi alla fuga, aiutata da Christopher Schule, il pentito di Castel Volturno, l’uomo che l’aveva accolta nei primi giorni difficili. La mafia nigeriana lo ha cercato, lo ha minacciato. In venti lo hanno circondato: Christopher doveva risarcirli di 40.000 euro: “Sei tu che l’hai fatta scappare”. Schule è stato salvato dai vicini. Hellen ha raccontato tutto ai carabinieri. “Sono nata ad Abia State in Nigeria, sono figlia unica. Ci fu una lite in famiglia sulla proprietà di un terreno e mio padre fu ucciso da alcuni familiari. Mia madre mi rifugiò da una amica a Medugri. Nel 2009 un cugino mi localizzò, mi voleva uccidere. L’amica mi fece scappare in Libia con sua figlia in auto. Ho vissuto due anni a Bengasi, facevo la domestica, ho incontrato il padre di mia figlia. Allo scoppio della guerra in Libia, fuggii in barca a Lampedusa, senza pagare niente per il viaggio. Ero incinta”. Poi il centro di accoglienza. Il marito che la abbandona. La figlia che le nasce mentre lei è a Bari. Una conoscente le dà il numero di una Maman di Castel Volturno che le paga il viaggio in treno. Hellen entra nella connection house, capisce subito cosa vogliono da lei. Si rifiuta. Trova ospitalità da Cristopher: cucina cibo africano che vende agli immigrati. La mafia nigeriana l’ha rintracciata: in quattro le hanno sfasciato il locale. Lei ha resistito. Ha detto no. Ha denunciato. E si è ripresa la sua vita.

Grave ma non seria. - Marco Travaglio

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Siccome in Italia la situazione è sempre grave ma non seria (Flaiano), fra i sindaci ribelli e il ministro dell’Interno si sta giocando la solita guerra all’italiana: un classico scontro tra due finzioni. Da una parte il decreto Salvini che promette fintamente più sicurezza, ma in realtà garantisce più insicurezza. Dall’altra la “disobbedienza civile” annunciata dai sindaci di Palermo e Napoli, forse anche Firenze, che però è finta anch’essa, visto che non risulta alcun loro atto contro la legge.
Partiamo dal dl Sicurezza: contiene alcune norme di buonsenso (niente asilo ai migranti condannati per diversi tipi di reati e meno fondi per l’accoglienza in seguito al calo dell’80% dei nuovi arrivi), altre troppo severe (espulsione dei migranti condannati in primo grado per mafia, terrorismo, furto o violenza a pubblico ufficiale: bisognerebbe attendere la condanna definitiva), altre ancora semplicemente dannose e criminogene. Cioè quelle ora contestate da alcuni sindaci: l’abolizione indiscriminata dei permessi umanitari (peraltro inesistenti in gran parte del resto d’Europa) che trasforma migliaia di regolari in clandestini; il taglio agli Sprar, che riduce vieppiù le politiche di accoglienza e integrazione dei Comuni, allargando la platea degli irregolari a spasso; e soprattutto il divieto di iscrivere i richiedenti asilo all’anagrafe come residenti in attesa dell’esame sul diritto allo status di rifugiati. Il che li ostacola nella ricerca di un lavoro e li esclude da una serie di servizi comunali (non quello alla sanità pubblica, come erroneamente si dice, ma quello a inserire i bambini negli asili nido pubblici e ad accedere alle graduatorie per le case popolari e a tutti gli altri elenchi riservati ai residenti). L’accesso automatico di tutti i richiedenti asilo a ogni servizio comunale era stato contestato negli anni scorsi da molti sindaci, anche del Pd, perché metteva a rischio i bilanci comunali e intasava le anagrafi. L’Anci, ora sulle barricate, aveva chiesto limiti a Minniti, che nel 2017 aveva accolto l’istanza fissando una serie di priorità e di restrizioni.
Poi è arrivato Salvini con la ruspa, senza più alcun distinguo. Col risultato di scaricare per strada migliaia di migranti non più censiti, controllati e assistiti, ma facili prede della criminalità, del caporalato, del lavoro nero, dell’accattonaggio e del disagio sociale (anche per gli italiani che se li ritroveranno dappertutto). L’esatto contrario della sicurezza: si spera che Conte, con i suoi modi garbati e diplomatici, lo faccia capire a Salvini e chiuda il braccio di ferro per via politica. Che fanno invece i sindaci ribelli?
Annunciano coram populo che continueranno a iscrivere i migranti nelle loro anagrafi (Leoluca Orlando invita addirittura i funzionari del suo Comune a violare il dl Salvini). Così, dicono, verranno processati per abuso d’ufficio e, da imputati, potranno chiedere al giudice di fare ciò che un sindaco non può fare: sollevare alla Consulta una questione di incostituzionalità contro dl Sicurezza. Ma qui casca l’asino, per diversi motivi, illustrati in questi giorni da giuristi non certo salviniani come Flick, Mirabelli e Ingroia. 1) Un sindaco – come ben sanno l’ex pm De Magistris e il docente di diritto pubblico Orlando – è un pubblico ufficiale e non può violare le leggi dello Stato, men che meno istigare a farlo altri pubblici ufficiali alle sue dipendenze. Se non vuole applicare una norma perché ripugna alla sua coscienza, deve dimettersi e poi attivarsi, da privato cittadino, per ottenerne la modifica o la cancellazione. L’abbiamo detto per Mimmo Lucano, lo ripetiamo per i suoi aspiranti emuli. 2) È probabile, come dicono i sindaci ribelli, che alcune parti del dl Sicurezza siano incostituzionali. Ma il giudizio spetta alla Consulta, non ai sindaci. Altrimenti ogni sindaco che si alza la mattina potrebbe disobbedire a una legge che non gli garba (come Salvini invitò quelli leghisti a fare contro la legge sulle unioni civili) e lo Stato si sfarinerebbe in un’accozzaglia di repubblichette separate. 3) Ogni persona può adire la Consulta, compreso il migrante che si vede negare – in base al dl Sicurezza – l’iscrizione all’anagrafe. Invece quella dei sindaci di farsi indagare per abuso d’ufficio per chiedere al giudice di interpellare la Consulta è una truffetta: l’abuso d’ufficio presuppone un vantaggio patrimoniale ingiusto per chi lo commette, e un sindaco che disapplicasse il dl Sicurezza non ne avrebbe alcuno: dunque la sua “disobbedienza” non lo farebbe indagare per abuso. Paradossalmente, chi concede contro la legge la residenza impedisce ai migranti respinti dall’anagrafe di rivolgersi alla Corte per valutare la legittimità di quella norma.
Ora sia i sindaci ribelli sia Salvini si fanno scudo del Quirinale: i primi perché Mattarella a Capodanno ha raccomandato l’accoglienza e i buoni sentimenti; il secondo perché Mattarella ha firmato il suo decreto. E hanno ragione entrambi. Il Colle è irritato per l’appropriazione indebita del vicepremier, ma ha poco da lagnarsi. Rispetto alla versione originaria, molto più dura (prevedeva financo l’espulsione di chi era solo indagato), il dl Sicurezza fu modificato a settembre raccogliendo proprio i suggerimenti informali del Colle (la “moral suasion”, non prevista dalla Costituzione, ma purtroppo prassi costante dai tempi di Napolitano). Se il capo dello Stato si attenesse alla lettera della Carta, attenderebbe i provvedimenti del governo e, una volta approvati, li firmerebbe o li respingerebbe. Se invece interviene in corso d’opera con amorevoli consigli, diventa il coautore della legge che poi deve valutare. E alla fine non può che firmarla, visto che è anche sua. 
Così ora Mattarella è l’idolo sia dei nemici sia dei tifosi del dl Sicurezza. Non è meraviglioso?

Il Fatto Quotidiano del 5 gennaio.

Brutte notizie per i parenti di Renzi. Arriva una legge che aggira l’Unicef. - GIACOMO AMADORI – LaVerità 21/10/2018)

Risultati immagini per unicef

La Procura accusa i Conticini di aver tenuto per sé 6,6 milioni di dollari destinati a progetti per l’infanzia. I pm sono stati costretti ad agire solo su querela (mai fatta). Un emendamento potrebbe cambiare le cose.

(themeticulous.altervista.org) – di GIACOMO AMADORI – LaVerità 21/10/2018) – Si profilano nuove grane per la famiglia Conticini. Presto il Parlamento potrebbe reinserire la procedibilità d’ufficio per l’appropriazione indebita, quella che la Procura di Firenze contesta ai fratelli del cognato di Renzi (il marito della sorella è invece accusato di riciclaggio). La scorsa primavera il governo Gentiloni e in particolare il Guardasigilli Andrea Orlando, mentre stavano preparando gli scatoloni, hanno trovato il tempo di «depenalizzare» il reato che stava inguaiando i parenti di Matteo Renzi. Infatti spesso chi lo commette all’interno di una società è lo stesso rappresentate legale che difficilmente denuncerà se stesso.
Un corto circuito normativo a cui il nuovo esecutivo potrebbe trovare una soluzione. Infatti il gruppo di Fratelli d’Italia ha preparato una serie di emendamenti al cosiddetto Decreto sicurezza e immigrazione firmato dal vicepremier Matteo Salvini e in discussione in commissione Affari costituzionali al Senato. Il pacchetto verrà presentato domani da Giorgia Meloni a Palazzo Madama. I senatori Luca Ciriani, Giovanbattista Fazzolari e Ignazio La Russa hanno proposto di reintrodurre la procedibilità d’ufficio in alcuni casi specifici per i reati di truffa, frode informatica e appropriazione indebita aggravata.
Chissà come prenderà la notizia Alessandro Conticini, già fondatore della Play therapy Africa e di altre due società, attraverso le quali, secondo i pm di Firenze, insieme con i fratelli Andrea (cognato di Renzi) e Luca, avrebbe accumulato un tesoretto di 6,6 milioni dollari grazie ai «contributi di benecenza».
Un fantasma quello dei Conticini che aleggia anche sulla Leopolda in corso a Firenze, visto che l’agenzia di comunicazione di cui Alessandro è socio al 20 per cento, la Dot media, è coinvolta nella kermesse renziana.
Ma torniamo all’emendamento. A proposito dell’articolo 646, quello sull’appropriazione, i tre senatori hanno firmato questa proposta di modifica: «Si procede d’ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell’articolo 61». Che cosa significa? Che i pm non avrebbero più bisogno di una querela di parte per agire «se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario» oppure «con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità».
I senatori vogliono «cancellare la norma salva parenti di Renzi». È difficile credere che la modifica suggerita da Fdi non troverà in commissione una maggioranza pronta a votarla e quindi presto i giochi nell’inchiesta di Firenze potrebbero riaprirsi.
L’avvocato dei Conticini, Federico Bagattini, non si scompone: «Abbiamo sempre detto di volerci difendere nel merito. La memoria difensiva dei miei assistiti? È pronta, ma aspettiamo a consegnarla». Perché? «Dall’Unicef e dalle altre organizzazioni non è ancora partita nessuna denuncia e quindi…». Purtroppo per lui e i suoi assistiti Nazioni unite e onlus in questa vicenda potrebbero presto tornare a essere spettatrici o, al massimo, parti lese.
All’Unicef sostengono di non aver preso provvedimenti perché i soldi inviati alla Pta dei Conticini sarebbero stati regolarmente fatturati per dei servizi resi.
Su Internet molti ex donatori non hanno accolto bene la giustificazione interrogandosi su come sia possibie avere margini di guadagno così alti con i fondi stanziati per sostenere le popolazioni africane. Abbiamo chiesto al direttore generale di Unicef Italia, Paolo Rozera, se Conticini, vista l’immunità di cui pare godere, possa avere dei complici ai piani alti dell’Unicef. «Ho fatto la sua stessa domanda ai miei colleghi americani» è stata la risposta di Rozera. Il quale ha proseguito: “Ma alcune persone, di cui mi fido ciecamente e che hanno lavorato anche a fianco di Conticini, mi hanno confermato che il ragazzo all’inizio si è dimostrato molto capace, anche nel vendere il proprio lavoro, e che solo nell’ultimo anno il suo servizio è diventato scadente. Se avesse operato in uno o due Paesi sarebbe stato più facile imbrogliare le carte, ma in dieci Stati che dipendono da uffici regionali diversi è impossibile che abbia potuto godere di così tante coperture”.
Complici o meno, la prudenza dell’Unicef potrebbe avere altre cause. Alessandro Conticini non solo ha fornito servizi all’Unicef con la sua Pta in veste di «implementing partner», ma, dal dicembre 2004 al luglio 2008, è stato capo della sezione «adolescent development, protection and Hiv/Aids» dell’Unicef in Etiopia, cioè, come ha precisato lo stesso Conticini sul suo cv di Linkedin, si è occupato di «gestire e dirigere tutte le attività del portafoglio Unicef in materia di protezione dei minori, sviluppo degli adolescenti e Hiv/Aids» nel Corno d’Africa e quindi di «supervisionare le risorse umane e di finanziamento in modo appropriato».
Nel 2008 l’Unicef ha messo un annuncio per trovare un sostituto a Conticini e richiedeva per quella posizione, oltre alla conoscenza dell’inglese, a una laurea in Scienze sociali (o in altro settore correlato) e all’attitudine a stabilire relazioni di lavoro armoniose, anche la capacità di «gestire in modo efficace le risorse umane e finanziarie» e di rapportarsi con le istituzioni locali, a partire dai ministeri della Finanze e dello Sviluppo economico.
Dunque quello di Conticini era un ruolo di responsabilità, destinato ad amministrare cospicue somme di denaro. Per esempio nel 2007 il governo norvegese donò all’ufficio di Conticini e al fondo dell’Onu per la popolazione 15,4 milioni di dollari. «Non dovremmo risolvere i problemi, dovremmo promuovere i diritti umani e, mentre lo facciamo, affrontiamo anche le vulnerabilità. E questo contributo del governo norvegese ci permetterà di farlo», proclamò solennemente Conticini. Il quale l’anno successivo si mise in proprio e in pochi anni di avoro riuscì ad accumulare 6,6 milioni di dollari di guadagno pulito, soldi utilizzati per comprare ville e altri immobili in Portogallo e fare investimento in piccoli paradisi fiscali. Ora l’emendamento di Fratelli d’Italia potrebbe riaprire la partita delle indagini su questi affari.