domenica 6 gennaio 2019

Grave ma non seria. - Marco Travaglio

Immagine correlata

Siccome in Italia la situazione è sempre grave ma non seria (Flaiano), fra i sindaci ribelli e il ministro dell’Interno si sta giocando la solita guerra all’italiana: un classico scontro tra due finzioni. Da una parte il decreto Salvini che promette fintamente più sicurezza, ma in realtà garantisce più insicurezza. Dall’altra la “disobbedienza civile” annunciata dai sindaci di Palermo e Napoli, forse anche Firenze, che però è finta anch’essa, visto che non risulta alcun loro atto contro la legge.
Partiamo dal dl Sicurezza: contiene alcune norme di buonsenso (niente asilo ai migranti condannati per diversi tipi di reati e meno fondi per l’accoglienza in seguito al calo dell’80% dei nuovi arrivi), altre troppo severe (espulsione dei migranti condannati in primo grado per mafia, terrorismo, furto o violenza a pubblico ufficiale: bisognerebbe attendere la condanna definitiva), altre ancora semplicemente dannose e criminogene. Cioè quelle ora contestate da alcuni sindaci: l’abolizione indiscriminata dei permessi umanitari (peraltro inesistenti in gran parte del resto d’Europa) che trasforma migliaia di regolari in clandestini; il taglio agli Sprar, che riduce vieppiù le politiche di accoglienza e integrazione dei Comuni, allargando la platea degli irregolari a spasso; e soprattutto il divieto di iscrivere i richiedenti asilo all’anagrafe come residenti in attesa dell’esame sul diritto allo status di rifugiati. Il che li ostacola nella ricerca di un lavoro e li esclude da una serie di servizi comunali (non quello alla sanità pubblica, come erroneamente si dice, ma quello a inserire i bambini negli asili nido pubblici e ad accedere alle graduatorie per le case popolari e a tutti gli altri elenchi riservati ai residenti). L’accesso automatico di tutti i richiedenti asilo a ogni servizio comunale era stato contestato negli anni scorsi da molti sindaci, anche del Pd, perché metteva a rischio i bilanci comunali e intasava le anagrafi. L’Anci, ora sulle barricate, aveva chiesto limiti a Minniti, che nel 2017 aveva accolto l’istanza fissando una serie di priorità e di restrizioni.
Poi è arrivato Salvini con la ruspa, senza più alcun distinguo. Col risultato di scaricare per strada migliaia di migranti non più censiti, controllati e assistiti, ma facili prede della criminalità, del caporalato, del lavoro nero, dell’accattonaggio e del disagio sociale (anche per gli italiani che se li ritroveranno dappertutto). L’esatto contrario della sicurezza: si spera che Conte, con i suoi modi garbati e diplomatici, lo faccia capire a Salvini e chiuda il braccio di ferro per via politica. Che fanno invece i sindaci ribelli?
Annunciano coram populo che continueranno a iscrivere i migranti nelle loro anagrafi (Leoluca Orlando invita addirittura i funzionari del suo Comune a violare il dl Salvini). Così, dicono, verranno processati per abuso d’ufficio e, da imputati, potranno chiedere al giudice di fare ciò che un sindaco non può fare: sollevare alla Consulta una questione di incostituzionalità contro dl Sicurezza. Ma qui casca l’asino, per diversi motivi, illustrati in questi giorni da giuristi non certo salviniani come Flick, Mirabelli e Ingroia. 1) Un sindaco – come ben sanno l’ex pm De Magistris e il docente di diritto pubblico Orlando – è un pubblico ufficiale e non può violare le leggi dello Stato, men che meno istigare a farlo altri pubblici ufficiali alle sue dipendenze. Se non vuole applicare una norma perché ripugna alla sua coscienza, deve dimettersi e poi attivarsi, da privato cittadino, per ottenerne la modifica o la cancellazione. L’abbiamo detto per Mimmo Lucano, lo ripetiamo per i suoi aspiranti emuli. 2) È probabile, come dicono i sindaci ribelli, che alcune parti del dl Sicurezza siano incostituzionali. Ma il giudizio spetta alla Consulta, non ai sindaci. Altrimenti ogni sindaco che si alza la mattina potrebbe disobbedire a una legge che non gli garba (come Salvini invitò quelli leghisti a fare contro la legge sulle unioni civili) e lo Stato si sfarinerebbe in un’accozzaglia di repubblichette separate. 3) Ogni persona può adire la Consulta, compreso il migrante che si vede negare – in base al dl Sicurezza – l’iscrizione all’anagrafe. Invece quella dei sindaci di farsi indagare per abuso d’ufficio per chiedere al giudice di interpellare la Consulta è una truffetta: l’abuso d’ufficio presuppone un vantaggio patrimoniale ingiusto per chi lo commette, e un sindaco che disapplicasse il dl Sicurezza non ne avrebbe alcuno: dunque la sua “disobbedienza” non lo farebbe indagare per abuso. Paradossalmente, chi concede contro la legge la residenza impedisce ai migranti respinti dall’anagrafe di rivolgersi alla Corte per valutare la legittimità di quella norma.
Ora sia i sindaci ribelli sia Salvini si fanno scudo del Quirinale: i primi perché Mattarella a Capodanno ha raccomandato l’accoglienza e i buoni sentimenti; il secondo perché Mattarella ha firmato il suo decreto. E hanno ragione entrambi. Il Colle è irritato per l’appropriazione indebita del vicepremier, ma ha poco da lagnarsi. Rispetto alla versione originaria, molto più dura (prevedeva financo l’espulsione di chi era solo indagato), il dl Sicurezza fu modificato a settembre raccogliendo proprio i suggerimenti informali del Colle (la “moral suasion”, non prevista dalla Costituzione, ma purtroppo prassi costante dai tempi di Napolitano). Se il capo dello Stato si attenesse alla lettera della Carta, attenderebbe i provvedimenti del governo e, una volta approvati, li firmerebbe o li respingerebbe. Se invece interviene in corso d’opera con amorevoli consigli, diventa il coautore della legge che poi deve valutare. E alla fine non può che firmarla, visto che è anche sua. 
Così ora Mattarella è l’idolo sia dei nemici sia dei tifosi del dl Sicurezza. Non è meraviglioso?

Il Fatto Quotidiano del 5 gennaio.

Nessun commento:

Posta un commento