giovedì 21 maggio 2020

Il giustizialgarantista. - Marco Travaglio,

Renzi-BOSCHI-LOTTI | Vvox
Guai a sottovalutare i politici italiani: non si riesce mai a parlarne abbastanza male. L’altroieri pregustavamo due scene madri da urlo: il Parlamento che vota su Bonafede, accusato contemporaneamente di scarcerare troppo e di incarcerare troppo; e i compari di Dell’Utri che sventolano la bandiera di Nino Di Matteo, il pm che ha fatto condannare Marcellino per la Trattativa. Ma ieri la realtà ha superato la fantasia. Sul Giornale di B. e sul Riformatorio di Romeo, Alessandro Sallusti e Tiziana Maiolo hanno definito Bonafede “il peggior ministro nella storia della Repubblica” e Sallusti ha aggiunto che “il pesce puzza dalla testa”. Infatti, per i nasini sensibili di Sallusti&Maiolo, i B., i Previti, i Dell’Utri e tutta la fairy band hanno sempre profumato di Chanel n.5. Sulla linea Sallusti-Maiolo si è attestato l’avvenente Matteo Richetti, già renziano, antirenziano, ri-renziano e ora calendiano (è l’altro membro del partito di Calenda oltre a Calenda), che ha firmato la mozione Bonino perché nessuno se n’è accorto, ma “da tempo Azione chiede un governo di responsabilità nazionale” che trovi un posto per Calenda e, possibilmente, uno strapuntino anche per Richetti. Ergo Bonafede è “il punto più basso della gestione della giustizia nel nostro Paese” (i più alti furono Biondi, Mancuso, Castelli, Mastella, Alfano, Nitto Palma, Cancellieri e peccato per Previti, sventuratamente bloccato da Scalfaro).
L’Innominabile, uomo la cui coerenza è pari soltanto alla sua intransigenza, ha detto di condividere entrambe le mozioni (Bonafede carceriere, Bonafede scarceratore). Quindi non ne ha votata nessuna delle due perché poi, sennò, gli italiani avrebbero votato su di lui. La storia avrebbe potuto finire qui se il Rignanese non avesse voluto regalarci uno scampolo di autopsicanalisi come non se ne vedevano dai tempi d’oro del Cainano: un capolavoro di “proiezione”, “meccanismo di difesa per il quale il soggetto attribuisce ad altri sentimenti, desideri, aspetti propri che rifiuta di riconoscere in sé stesso” (Treccani). Infatti il tapino ha attaccato un pippone col martirologio delle presunte vittime del giustizialismo grillino: “Se oggi votassimo secondo il metodo che Ella (Bonafede, ndr) ha utilizzato nei confronti dei membri dei nostri governi, lei (non più Ella, ndr) oggi dovrebbe andare a casa. Alfano, Guidi, Boschi, Lupi, Lotti… Ma noi non siamo come voi”. Ora, né Bonafede né alcun altro 5Stelle hanno mai fatto parte di governi del Pd, anzi stavano all’opposizione. Dunque mai ne hanno dimissionato alcun ministro, come invece minacciava di fare ieri col Guardasigilli lo Statista dell’Arno.
Invece fra i governi Pd c’è quello di Enrico Letta (2013-‘14). All’epoca l’Innominabile era sindaco di Firenze e candidato alle primarie Pd, di cui divenne segretario a fine anno. Il che non gli impedì di chiedere le dimissioni e appoggiare le mozioni di sfiducia di M5S, Sel e talvolta Lega contro quattro ministri del “nostro governo”: Josefa Idem (palestra spacciata per abitazione per pagare meno Imu); Angelino Alfano (sequestro Shalabayeva); Annamaria Cancellieri (telefonate per scarcerare la figlia di Ligresti); e Nunzia De Girolamo (scandalo Asl Benevento). La Idem se la cucinò il renziano Dario Nardella a Porta Porta: “Deve dimettersi come il ministro tedesco della Difesa, Guttenberg, per la tesi di dottorato copiata”. Gli altri tre li sistemò lo stesso Innominabile: “Le dimissioni della De Girolamo sono questione di stile”; “Se Alfano sapeva del sequestro Shalabayeva, ha mentito ed è un piccolo problema. Ma, se non sapeva, è anche peggio. Dimissioni”; “Sono per le dimissioni di Cancellieri indipendentemente dall’avviso di garanzia. L’idea che ci siamo fatti della vicenda Ligresti è che la legge non è uguale per tutti: se conosci qualcuno di importante, te la cavi meglio. È la Repubblica degli amici degli amici. Non è un problema giudiziario, ma politico: ha minato l’autorevolezza istituzionale e l’idea di imparzialità del Guardasigilli”.
Poi, previo “enricostaisereno”, al governo ci andò lui. E fece dimettere i suoi ministri Federica Guidi (Sviluppo Economico) e Maurizio Lupi (Infrastrutture e Trasporti). Non certo per una telefonata a Giletti. La Guidi era stata intercettata nello scandalo Tempa Rossa mentre piazzava un emendamento caro al suo compagno lobbista petrolifero che la usava come “una sguattera del Guatemala”. E Lupi aveva chiamato Ercole Incalza, capostruttura del suo ministero, per dirgli: “Deve venirti a trovare mio figlio”, al cui futuro occupazionale si erano interessati Incalza e l’imprenditore-appaltatore Perotti, il quale gli aveva pure regalato un Rolex da 10 mila euro. Poi il buon uso di licenziare i ministri per motivi etici e conflitti d’interessi, a prescindere dalla rilevanza penale, s’interruppe quando nei guai finirono i fedelissimi Lotti (inchiesta Consip), Boschi (scandalo Etruria) e Madia (tesi di dottorato plagiata). E il giustizialista di Rignano, anche per motivi familiari, si convertì al “garantismo”. Ora però ha rimosso tutto, infatti dice a Bonafede: “Noi non siamo come voi”. Ormai vive in stato di ipnosi, come Woody Allen ne La maledizione dello scorpione di giada, che indaga su una serie di furti di gioielli e poi scopre di averli rubati lui. In trance.

“Così Lotti, Unicost e Mi volevano dirigere il Csm”. - Antonio Massari.

“Così Lotti, Unicost e Mi volevano dirigere il Csm”

David Ermini - Il vicepresidente ricostruisce le manovre, respinte: “Puntavano ad avere una maggioranza fissa”.
Le prime nomine di peso, nel Csm a guida David Ermini sarebbero state quelle per le Procure di Roma e Torino. E su quella di Roma, nella primavera del 2019, si consuma lo strappo con il suo sponsor politico, Luca Lotti, gran cerimoniere della cena a casa di Giuseppe Fanfani, membro uscente del Csm e parlamentare Pd, alla quale partecipano gli uomini più influenti di Unicost e Magistratura indipendente, Luca Palamara e Cosimo Ferri. Fu in quella cena del 25 settembre 2018, come ha ricostruito il Fatto Quotidiano, che Ermini riceve l’investitura che lo porta, due giorni dopo, alla vicepresidenza del Csm. Nessuno scandalo, commenta Ermini in un’intervista al Corriere della Sera, perché la nomina del numero due del Csm dev’essere frutto di una mediazione tra magistratura e politica. Poi aggiunge di “essersi sottratto alle richieste di chi voleva eterodirigere il Consiglio”. “Ho dimostrato fin dall’inizio – aggiunge – di ricoprire il mio ruolo in autonomia al servizio dell’istituzione consiliare. Lo testimoniano – conclude – le intercettazioni” dell’inchiesta perugina su Palamara.
Ma se il vicepresidente del Csm ritiene che esistano forze e persone che tentano di “eterodirigere” il Csm, quindi ingerenze esterne, dovrebbe anche fare i nomi ed elencarne le richieste. Nell’intervista al Corriere non ve n’è traccia. “Solo percezioni”, esordisce Errani interpellato dal Fatto. Le percezioni devono però essere collegate a qualcosa di concreto. E qualcuno deve pur averle innescate. In realtà, poco prima che ci si avvicinasse alla nomina del procuratore di Roma, per la quale, in quel momento, il favorito era il magistrato fiorentino Marcello Viola, spinto proprio da Palamara, Ferri e Lotti, s’erano discusse altre nomine, per sedi meno importanti e incarichi direttivi e semi direttivi, quindi da procuratore capo o procuratore aggiunto. È in quell’occasione, spiega Ermini, che arriva il primo segnale: “Mi viene chiesto di votare”. Da chi? “Da Luigi Spina”.
Spina è uno dei consiglieri Unicost, dimessosi lo scorso anno in seguito allo scandalo sul Csm, in stretto contatto con Palamara, Ferri e Lotti. Ma Spina, obiettiamo, era comunque un consigliere del Csm, l’eterodirezione si riferisce a qualcuno che intendeva influire sul Csm dall’esterno, non dall’interno. Non a caso Luca Lotti sostiene, intercettato, che gli va “dato un messaggio forte”. E legge un sms con il quale ricorda a Ermini che lui non è “un senatore qualunque” e che senza di lui non sarebbe stato al Csm. “Lotti l’ho incontrato alla Camera dei deputati”, risponde Ermini, “ma prima che m’inviasse quel messaggio sul telefono. Mi disse che le correnti di Mi e Unicost erano irritate con me. Io feci cadere la cosa. Non gli risposi neanche”. Ermini quindi, stando alla sua versione, non chiede a Lotti perché Unicost e Mi siano irritate con lui. Lascia cadere lì. E non doveva essere un grande sforzo di immaginazione: proprio a Lotti, Ferri e Palamara, Ermini doveva la sua nomina. Da qui, par di capire, le “percezioni”. Ma le richieste? Ritorniamo all’unico nome fatto da Ermini, quello di Spina, che gli chiede di partecipare al voto sul capo di una Procura minore. Ermini non accetta. È il suo voto, la richiesta latente. È questo il tentativo di eterodirezioneHo capito che si aspettava il mio voto sulle nomine. E non soltanto su quelle nomine. In questo modo si sarebbe creata una maggioranza fissa e costante”. A quel punto, il gruppo che spingeva in questa direzione avrebbe avuto il controllo totale della situazione. “E – riflette Ermini – in questo modo avrebbe avuto anche il potere di fare delle concessioni a chi era in minoranza”.

Quei Bravi Ragazzi (The Good Club). - Federico Nicola Pecchini



Di questi tempi si sente spesso parlare di teorie del complotto. Ma io voglio parlarvi di un complotto reale, effettivo, e non semplicemente di teorie. Per intenderci, un “complotto” non è altro che una congiura, una trama (di solito segreta) ordita da un certo gruppo di persone ai danni di qualcun’altro. La cosa sorprendente, però, è che in questo caso il complotto sarebbe a fin di bene, l’obiettivo finale nientepopodimeno che “salvare il mondo”. A chi mi riferisco?
Ma ovviamente al Good Club — il Club dei Buoni — un’iniziativa promossa dal co-fondatore di Microsoft Bill Gates già nel lontano 2009. Come riportato dal Times di Londra, l’esclusivissimo gruppo comprendeva la crème de la crème del capitalismo mondiale: David Rockefeller, il patriarca della famiglia più ricca d’America, i finanzieri Warren Buffet e George Soros, i magnati dei media Michael Bloomberg, Ted Turner e Oprah Winfrey. Ad accomunarli, oltre alla spropositata ricchezza, era la bontà. Tutti quanti infatti, dopo una vita dedicata al profitto, si erano miracolosamente convertiti alla filantropia.
Il buon Bill li chiamò a raccolta per discutere dei maggiori problemi che minacciavano il futuro dell’umanità, e delle possibili strategie per risolverli. Secondo l’informatore del Times, si trovarono tutti d’accordo nel considerare la sovrappopolazione come il problema più importante. Per chi ancora non lo sapesse infatti, il numero di esseri umani sul pianeta è cresciuto a dismisura nel secolo scorso, passando da poco più di 1 miliardo e mezzo nel 1900 a oltre 6 miliardi nel 2000. Oggi siamo a 7 miliardi e mezzo, e il numero continua ad aumentare. Perciò i nostri filantropi decisero all’unanimità di “affrontare la crescita demografica come una minaccia potenzialmente disastrosa a livello ambientale, sociale e industriale”, qualcosa di talmente tremendo che solo un loro tempestivo intervento avrebbe potuto evitare il peggio.
“La bomba demografica” — copertina di un pamphlet del 1954
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mercoledì 20 maggio 2020

La commissione: via Sirignano dalla Dna. Disse: “Di Matteo è un mezzo scemo”- - Antonella Mascali

La commissione: via Sirignano dalla Dna. Disse: “Di Matteo è un mezzo scemo”
Cesare Sirignano

Csm - Oggi il voto del Plenum sull’incompatibilità ambientale del magistrato.
Nino Di Matteo? “Un mezzo scemo”, deve essere fuori dal pool stragi della Direzione nazionale antimafia. Barbara Sargenti, pm della Dna ed ex pm romana? Una che “deve prendere botte sui denti”, troppo vicina all’ex procuratore Giuseppe Pignatone.
È la tarda primavera del 2019 e a parlarsi ripetutamente al cellulare sono il solito Luca Palamara, intercettato dai pm di Perugia che lo indagano per corruzione e Cesare Sirignano, pm della Dna della corrente centrista Unicost come Palamara. Al centro dei colloqui l’assetto della Dna secondo i loro desiderata e la nomina del procuratore di Perugia nell’interesse dell’indagato Palamara e delle sue trame, anche attraverso l’uso di un esposto dell’ex pm romano Stefano Fava per danneggiare il procuratore aggiunto della capitale Paolo Ielo.
Sirignano è a un passo dal trasferimento per incompatibilità ambientale. Oggi si vota al plenum del Csm la relazione del togato di Area (progressisti) Ciccio Zaccaro, della Prima commissione, presieduta da Sebastiano Ardita (AeI). La relazione di minoranza di Concetta Grillo (Unicost) chiede l’archiviazione.
“Sirignano – scrive Zaccaro – non si è limitato a condividere con Palamara critiche aspre nei riguardi di questo o quel collega del suo ufficio” ma le ha inserite “in un disegno volto a mettere le pedine nei posti giusti e a condizionare gli assetti nell’ufficio”.
A proposito di colleghi in Dna, Sirignano non sopporta Di Matteo, ora al Csm. “Dinanzi alla critica di Palamara sulla decisione del procuratore Cafiero di ‘fare il gruppo con Di Matteo dentro’”, cioè il pool stragi, Sirignano sbotta: “E voi l’avete portato come fosse il Pataterno in croce, è un mezzo scemo”. Sul pool stragi, aggiunge: “Bisogna parlare con Federico”. La telefonata è del 7 maggio, fatalità vuole che il 26 Cafiero estromette Di Matteo dal pool per un’intervista del pm in tv in occasione dell’anniversario dell’attentato a Capaci. Il procuratore lo accusa di aver rivelato riflessioni del pool, anche se Di Matteo aveva parlato in base a sentenze definitive. La “punizione” di Cafiero è finita alla Settima commissione del Csm, Di Matteo mesi fa ha auspicato che si pronunci nel merito, anche se lui non è più in Dna.
Nella relazione di Zaccaro si ricostruisce pure che Sirignano ha chiesto a Palamara di contattare Cafiero e l’ex consigliere del Csm Antonio Lepre, Mi, legato a Cosimo Ferri, per dare una ridimensionata a De Simone che “rema contro Cafiero e dobbiamo mettere nel calduccio”. E Palamara: “Ma quella è una matta”. Sirignano: “I matti vanno trattati da matti. Devi far venire Federico”. C’è poi il capitolo sulla nomina del procuratore di Perugia. Sirignano “vende” a Palamara l’ormai ex amico Giuseppe Borrelli, allora procuratore aggiunto di Napoli, ora procuratore di Salerno. Gli dice che Borrelli a Perugia sarà “affidabile”, ma Borrelli non ne sa nulla. E quando vengono pubblicate le intercettazioni, a giugno scorso, Borrelli parla con Sirignano, lo registra e presenta un esposto. “Borrelli – scrive Zaccaro – non aveva fornito a Sirignano alcun tipo di rassicurazione di quelle cercate da Palamara”.

L'uomo per tutte le stagioni


Il film storico in TV: "Un uomo per tutte le stagioni" mercoledì15 ...

L'Innominabile, come lo definisce Travaglio, si è scelto una posizione che funge da ago della bilancia. Tipico di chi è allergico all'etica e alla lealtà. Lui, uomo da scarsi valori morali, si pone a sinistra, ma naviga a destra, dimostrando che "in medio non stat virtus", ma, spesso, c'è anche il peggio del peggio. Lo ha dimostrato in passato stipulando un patto scellerato con la destra peggiore, proponendo e facendo varare leggi libertarie che nulla avevano a che fare con la tradizione della sinistra. Pupillo anch'esso del vecchio e discusso Napolitano che lui ha citato oggi in Senato per lanciare un messaggio a chi, ahimè, lo appoggia: "Io voto no alle mozioni, ma lo faccio solo per una ragione, restare al mio posto e continuare a ricattare il governo per assicurare a me e a chi mi sostiene una lunga permanenza tra le leve del potere."
E anche perchè, aggiungo io, se restasse fuori da quelle stanze, avrebbe molto da perdere con i parenti che si ritrova....


Cetta.

Castigo senza delitto. - Marco Travaglio

I ministri Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede e Roberto Speranza, arrivano a palazzo Madama per la seduta del Senato © ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Oggi il Parlamento promette di battere il record di ridicolaggine stabilito con la mozione “Ruby nipote di Mubarak”. Infatti voterà su due mozioni di sfiducia al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che dicono l’una l’opposto dell’altra: quella del centrodestra lo accusa di aver fatto uscire troppa gente dalle patrie galere; quella di Più Europa (Bonino&C.) lo accusa di aver tenuto troppa gente dentro. E Italia Viva, decisiva per la loro approvazione o bocciatura, è tentata di votarne almeno una. A caso. Il fatto che l’una dia a Bonafede dello scarceratore e l’altra del carceriere è un dettaglio che non tange questi buontemponi, perché hanno letto solo il titolo. E non le motivazioni, del tutto superflue per un non-partito animato da non-idee e pieno di non-elettori. Noi siamo andati a leggere le due mozioni, scoprendo particolari davvero avvincenti.
La mozione Bonino imputa a Bonafede di non aver ancora portato “in Parlamento la riforma del processo penale”. Il che è vero, ma solo perché il ddl, pronto dal giugno 2019, fu bloccato prima da Salvini e poi da Iv. Altra accusa: “un’idea puramente afflittiva della pena”. Niente indulti né amnistie. Ora, l’ultima autorevole proposta di indulto e amnistia venne dal presidente Napolitano, d’intesa con il premier Letta, nell’ottobre 2013. E sapete chi la bloccò? L’Innominabile, neosegretario in pectore del Pd: “Sarebbero un autogol e un clamoroso errore”. La terza accusa è il decreto che “ha imposto la revisione, con effetto retroattivo” delle scarcerazioni di mafiosi: decreto appena approvato da tutta la maggioranza giallorosa, Iv compresa. La quarta accusa è “la soppressione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio”: coerente dal pulpito boniniano, ma da quello renziano proprio no, visto che il primo a lanciare l’idea nel 2014-2015 fu l’Innominabile e poi i suoi uomini in commissione Giustizia. Quindi, se i renziani votano la mozione di Più Europa, si danno almeno quattro zappe sui piedi. Ma potrebbero pure votare la mozione Lega-Fratelli d’Italia, cui s’è subito associata Forza Italia. E qui, se possibile, si ride ancor di più. Cogliamo fior da fiore: “Bonafede ha iniziato ad accettare il principio, indimostrato e scientificamente falso, del nesso di causalità tra detenzione in carcere e contagio”. Poco sotto, oplà: “da parte del Dap, a fronte dell’emergenza sanitaria nazionale, non sono state predisposte, all’interno degli istituti, adeguate misure di prevenzione sanitaria e anti-contagio Covid-19 a tutela di detenuti, operatori e visitatori… mettendoli tutti a grave rischio della loro salute”.
Oh bella: ma se è “falso” il “nesso di causalità tra detenzione in carcere e contagio”, che bisogno c’era di “misure di prevenzione sanitaria e anti-contagio”? La verità è che le carceri sono rimaste il luogo più sicuro d’Italia (e non solo) proprio perché Bonafede e il Dap del famigerato Basentini intervennero subito con pre-triage e misuratori di febbre per detenuti e agenti, reparti isolati per i “nuovi giunti”, blocco delle visite personali (sostituite con colloqui via Skype), mancati rientri serali per i semiliberi e snellimento della Svuotacarceri di Alfano (votata nel 2010 da tutto il centrodestra) che consente di scontare ai domiciliari le pene residue di 18 mesi, con braccialetto elettronico sopra i 6 mesi, salvo per i mafiosi e condannati per altri reati gravissimi. Ma non è finita, perché i tre partiti di centrodestra rimproverano a Bonafede anche di non aver affidato il Dap a Nino Di Matteo, cioè al pm che hanno passato gli ultimi 15 anni a insultare a difesa degli imputati del processo Trattativa, da Dell’Utri a Mori (se lo amavano tanto, in gran segreto, perché non gli han proposto il Dap, anziché affidarlo all’indimenticabile Tinebra?). Ora sarebbe davvero strepitoso se i renziani votassero quel documento, visto che l’Innominabile, non più tardi di tre mesi fa, tuonò contro i magistrati che osano sospettare B. e Dell’Utri di rapporti con la mafia e con le stragi (indovinate un po’ con chi ce l’aveva). E, quando era premier, prese le proposte della commissione Gratteri-Davigo-Di Matteo sulla riforma del processo e le imboscò in un cassetto.
Ma c’è di meglio e di più: se la Bonino accusa Bonafede di ostacolare scarcerazioni, indulti e amnistie, il centrodestra lo dipinge come un furbacchione che scatena le rivolte nelle carceri “finalizzate ad alimentare la discussione su indulti, amnistie e provvedimenti che avrebbero potuto alleggerire il carcere per gli uomini della criminalità organizzata” e poi “avanza ipotesi di interventi normativi volti incredibilmente ad accogliere le richieste dei rivoltosi”. Infatti, quando i giudici ne mettono fuori qualche centinaio fra lo scandalo generale (anche di Iv), Bonafede fa subito un decreto per tentare di riportarli dentro (votato anche da Iv). Naturalmente il Parlamento è sovrano e ogni partito può votare come gli pare: ma sarebbe interessante sapere quale terribile delitto (a parte le leggi anticorruzione e antiprescrizione, le manette agli evasori e la riforma del voto di scambio) avrebbe commesso Bonafede per meritare un simile castigo. E, soprattutto, se sia un carceriere o uno scarceratore: che sia entrambe le cose è altamente improbabile.

Una stampa libera, ma libera veramente..- Massimo Erbetti

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La FCA chiede 6,3 miliardi di euro di prestito con garanzie statali e scoppia un caso: è giusto dare un prestito ad una società che ha sede legale in Olanda e domicilio fiscale a Londra? E giusto che una società per risparmiare sulle tasse se ne vada dall'italia e poi chieda all'italia stessa le garanzie per un aiuto così cospicuo? Chi dice si, chi dice no e poi forse, perché comunque da lavoro a 50 mila dipendenti italiani e poi c'è l'indotto...e poi c'è il passato...quanti aiuti ha avuto la Fiat nel corso degli anni da parte dello Stato? E poi non sempre l'azienda ha rispettato i patti...insomma una bella gatta da pelare...ma cosa c'entra FCA con la stampa libera? 
Purtroppo c'entra eccome se c'entra, siamo abituati a pensare che sia la politica a servirsi della stampa per ottenere consenso, ma non è così, o meglio non è solo la politica a farlo.

La finanziaria Exor ha acquistato nei mesi scorsi dai De Benedetti il 43,78% del gruppo Espresso e ne ha assunto il controllo. Dopo il Corriere della Sera, con una partecipazione in Rcs ceduta definitivamente solo nel 2016, e dopo una cessione di fatto de La Stampa proprio al gruppo Espresso, Exor la finanziaria della famiglia Agnelli si compra l'intera Gedi, riprendendosi così il quotidiano torinese ma anche La Repubblica, l'Espresso e varie radio, fra cui Deejay. “Siamo convinti che il giornalismo di qualità ha un grande futuro, se saprà coniugare autorevolezza, professionalità e indipendenza con le esigenze dei lettori, di oggi e di domani”, ha dichiarato il presidente e amministratore delegato di Exor, John Elkann. “Con questa operazione ci impegniamo in un progetto imprenditoriale rigoroso, per accompagnare Gedi ad affrontare le sfide del futuro”.

"... Giornalismo di qualità... Autorevolezza, professionalità..." e ciliegina sulla torta ".. indipendenza.." indipendenza? Elkann, parla di indipendenza? 

Indipendenza da cosa?
Notizia fresca fresca: "La Repubblica, Molinari, il nuovo direttore, non fa pubblicare un comunicato sindacale sul caso del prestito a Fca: i giornalisti convocano l'assemblea. Tensione all'interno della redazione del quotidiano, controllato da Exor, ovvero la holding proprietaria anche della casa automobilistica. Il direttore ha chiesto al Comitato di redazione di non pubblicare un comunicato sulla questione del prestito da 6,3 miliardi garantito dallo Stato alla casa automobilistica. All'ordine del giorno della riunione dei cronisti le "ricadute del caso Fca"

Capito? 
Si acquista un giornale, in questo caso un gruppo editoriale e poi si detta la linea..un articolo che potrebbe andare contro il capo? Si blocca. Notizie che potrebbero danneggiare il gruppo? Si bloccano. Alla faccia dell'indipendenza tanto sbandierata da Elkann.
Questa è la stampa italiana, questo è il modo di informare che c'è in questo paese. Una stampa libera, ma libera veramente? No, non in Italia, non in questo paese, non con queste regole e non con questi personaggi.
Se vogliamo una stampa libera, vanno riviste le regole, ci vogliono editori puri, che non si facciano condizionare, non bastano i tagli agli aiuti statali...ma forse è solo un'utopia perché per sopravvivere un giornale ha bisogno di pubblicità e la pubblicità che porta soldi veri è quella degli Agnelli, dei Benetton, è quella dei poteri forti che hanno interessi, grandissimi interessi affinché le cose non cambino mai.