venerdì 10 luglio 2020

Produzione industriale a maggio +42,1%.

Un lavoratore metalmeccanico in una immagine di archivio ©

Istat: 'Significativa ripresa delle attività' dopo il lockdown. Su base annua calo del 20,3%.

La produzione industriale a maggio schizza in alto, segnando un aumento del 42,1% rispetto ad aprile. Lo rileva l'Istat, parlando di una "significativa ripresa delle attività" dopo il lockdown. Il confronto congiunturale, infatti, è con un mese, l'Istituto di statistica lo ricorda, "caratterizzato dalle chiusure in molti settori produttivi in seguito ai provvedimenti connessi all'emergenza sanitaria". Su base annua il dato mostra ancora un calo ampio: corretto per gli effetti di calendario, a maggio l'indice complessivo diminuisce in termini tendenziali del 20,3%.
Maggio, inoltre, vede la produzione industriale in impennata ma il livello dell'attività, l'Istat lo sottolinea nel commento ai dati, "risente ancora della situazione generata dall'epidemia di Covid-19: l'indice generale, al netto della stagionalità, presenta una flessione del 20,0% rispetto al mese di gennaio, ultimo periodo precedente l'emergenza sanitaria". E ancora, viene fatto presente, "nella media del periodo marzo-maggio, il livello della produzione cala del 29,9% rispetto ai tre mesi precedenti".
La produzione industriale di autoveicoli a maggio mostra su base annua un calo del 50,8%, rende inoltre noto l'Istat, fornendo il dato tendenziale corretto per gli effetti di calendario. Il ribasso in termini grezzi è pari al -54,5%. In sostanza l'attività nel settore si è dimezzata rispetto a maggio dello scorso anno.
Sempre a maggio, rispetto ad aprile, "tutti i comparti" dell'industria italiana "sono in crescita congiunturale, ad eccezione di quello delle industrie alimentari, bevande e tabacco, in leggera flessione", (-0,5%). Settore questo che però aveva retto durante la fase più acuta dell'emergenza Covid. Rimbalzi addirittura a tre cifre si evidenziano invece per le attività che più avevano risentito del lockdown: +142,5% per il tessile e +140,2% per i mezzi di trasporto. E' quanto emerge dalla nota dell'Istat sulla produzione industriale a maggio. Su base annua la situazione è capovolta, con ribassi in tutti i settori.

Recovery fund: proposta Michel conferma 750 miliardi. -

Michel propone un bilancio Ue di 1.074 miliardi © EPA
Michel propone un bilancio Ue di 1.074 miliardi.

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, propone di mantenere intatta l'entità del Recovery Fund, a 750 miliardi di euro, e di confermare la proporzione tra trasferimenti a fondo perduto e prestiti, rispettivamente 500 e 250 miliardi. Lo ha spiegato lo stesso Michel presentando la proposta negoziale per raggiungere un accordo sul Recovery fund ed il bilancio Ue 2021-2027, al vertice del 17 e 18 luglio.
Proponiamo "un bilancio europeo per il 2021-2027 di 1.074 miliardi. Ed i rimborsi (un meccanismo di correzione per la contribuzione) verranno mantenuti per Germania, Austria, Danimarca, Olanda e Svezia". Così il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, presentando la proposta negoziale per trovare un accordo sul Recovery fund ed il bilancio Ue 2021-2027. La proposta all'1,07% è un compromesso tra l'1,09% avanzato a febbraio e la richiesta dei Paesi Frugali (Olanda, Danimarca, Austria e Svezia) all'1,05%.

Mose, Conte preme il pulsante via a innalzamento dighe.

Una paratia del Mose di Venezia © ANSA

Ambientalisti e comitati contro le grandi navi in laguna preparano una manifestazione di protesta.

"Siamo qui per un test, non per una passerella. Il governo vuole verificare l'andamento dei lavori". Così il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a Venezia in occasione della cerimonia per il primo test completo delle dighe mobili del Mose.
"E' giusto avere dubbi, è giusta la dialettica, ma dico a chi sta protestando, ai cittadini e intellettuali, concentriamoci sull'obiettivo di completare il Mose" ha aggiunto Conte. "Facciamo in modo che funzioni - ha proseguito -. Di fronte all'ultimo miglio la politica si assume le proprie responsabilità e decide che con un ulteriore sforzo finanziario si completa e si augura che funzioni".
Spitz: 'Non è finito, ci vogliono altri 18 mesi' - "Il Mose non è finito, ci sono 18 mesi di lavori e test, bisognerà avviare il collaudo tecnico funzionale e poi alcuni anni di rodaggio per l'avviamento, per la progressiva ottimizzazione con procedure trasparenti e controllo rigoroso dei costi". Lo ha detto la commissaria alla conclusione del Mose di Venezia, Elisabetta Spitz, aprendo la cerimonia per il sollevamento delle dighe mobili. L'opera, ha proseguito "ha una storia travagliata e controversa, a noi è stato affidato il compito di portarla a termine. Una lunga pagina si chiude, Ringraziamo i veneziani per la lunga pazienza. Con le prove dei prossimi mesi sarà già possibile dal prossimo autunno il sollevamento in caso di maree altissime e salvare dall'acqua alta la Laguna".
La Laguna di Venezia è stata chiusa completamente al mare, con l'effettuazione del primo test completo delle 78 dighe mobili del sistema Mose, per salvare la città dalle acque eccezionali. Alla prova sono presenti il presidente del consiglio Giuseppe Conte, i ministri Lucia Lamorgese, Paola De Micheli e Federico D'Incà, il presidente del Veneto Luca Zaia e il sindaco Luigi Brugnaro. Sull'isola artificiale che divide la Bocca di Porto del Lido è stata approntata una 'control room' da cui si possono seguire le operazioni di sollevamento e discesa delle paratoie nelle quattro 'bocche', da nord a sud: Lido-Treporti, Lido-San Nicolò, Malamocco e Chioggia. Per consentire l'intera procedura è prevista l'interdizione completa del traffico marittimo.
Una decina le imbarcazioni che si sono radunate nello spazio acqueo davanti a Piazza San Marco per un'azione di protesta contro il Mose. Guardati a vista da imbarcazioni della polizia, i barchini hanno bandiere contro le grandi navi e contro quella che definiscono un'opera inutile.

Trani, era associazione a delinquere. Dieci anni all’ex pm Antonio Savasta. - Francesco Casula

Trani, era associazione a delinquere. Dieci anni all’ex pm Antonio Savasta

Il sistema - Dura condanna per l’ormai ex magistrato. quattro anni anche al collega Scimè.
Condanne, multe e confische. È un conto salato quello presentato dai magistrati leccesi agli ormai ex colleghi coinvolti nell’inchiesta sul “Sistema Trani”. È di 10 anni di reclusione la condanna nei confronti dell’ex pm Antonio Savasta, considerato l’organizzatore dell’associazione a delinquere che in cambio di denaro e regali costosi, aggiustava indagini e processi degli imprenditori amici. Nei suoi confronti non sono stati tenuti in considerazione, secondo i suoi difensori, le confessioni e la collaborazione offerta durante le indagini.
I pm Roberta Licci e Giovanni Gallotta, con la supervisione del procuratore Leonardo Leone de Castris, hanno ritenuto che in realtà la collaborazione di Savasta non sia stata piena, ma anzi sia stata fuorviante. Pena a 4 anni di carcere per l’altro magistrato Luigi Scimè che dovrà anche abbandonare la toga: nei suoi confronti, infatti, è stato disposta anche l’estinzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. Stessa pena per l’imprenditore Luigi D’Agostino e infine 4 anni e 4 mesi per Ruggiero Sfrecola e 2 anni e 8 mesi per Giacomo Ragno, i due avvocati che avrebbe fornito un importante contributo al sistema.
Pesanti anche le confische ordinate dal tribunale: dai 75 mila euro per l’ex pm Scimè ai 224 mila per l’avvocato Ragno fino a 2 milioni e 390 mila euro per Savasta. Nell’inchiesta era coinvolto anche l’ex gip di Trani Michele Nardi che il rito ordinario: il processo nei confronti e di altri imputati inizierà il 4 novembre.
Numerosi gli episodi contestati dai magistrati leccesi: false denunce, false testimonianze e una serie di irregolarità consentiva agli ex magistrati di pilotare i procedimenti salvando gli amici o accelerando le accuse nei procedimenti in cui gli stessi amici figuravano come parte lesa. Savasta era accusato di far parte insieme a Nardi e ad altri tre imputati, tra i quali l’ispettore di Polizia Vincenzo Di Chiaro, di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, falso ideologico, millantato credito, calunnie e falsa testimonianza.
Il gruppo criminale, per la procura leccese, poteva contare su numerosi soggetti “vicini” che pur non essendo organici all’associazione potevano fornire contributi determinanti per permettere al gruppo di raggiungere i propri obiettivi. A capo del gruppo, per l’accusa, c’era proprio Nardi.
È stato l’imprenditore Flavio D’Introno a svelare agli investigatori le ingenti somme versate al gruppo per ottenere la manipolazione delle indagini o dei processi a suo carico. Antonio Savasta era invece indicato come “l’organizzatore” dell’associazione a delinquere con il compito di “attivare e gestire” in modo strumentale all’interesse di D’Introno i procedimenti penali e tributari che lo riguardavano. Non solo. Proprio Savasta avrebbe svelato a D’Introno l’esistenza di indagini che lo riguardavano nella procura di Lecce e lo avrebbe persino invitato a fuggire all’estero dopo che una sentenza era diventata definitiva.
Nel sistema però, avevano un ruolo determinate secondo l’accusa anche gli avvocati. Come Simona Cuomo, anche lei rinviata a giudizio con Nardi: a lei sarebbe spettato il compito di trasformare in atti apparentemente legali le iniziative avviate da magistrati e imprenditori. Oppure come Ruggiero Sfrecola, difensore dell’imprenditore Luigi D’Agostino che, in accordo con Savasta avrebbe versato tangenti nel 2015 e controllato le dichiarazioni di alcuni testimoni in un’indagine sui reati fiscali di società riconducibili a D’agostino affinché non venisse mai fuori il suo nome. E ancora come giacomo Ragno che avrebbe individuato e messo a disposizione del sistema un uomo disposto a fornire false dichiarazioni per salvare D’Introno da una delle vicende che lo coinvolgevano.

La vera Fase 3 del prof. Lopalco: i virologi si danno alla politica. - Antonello Caporale

La vera Fase 3 del prof. Lopalco: i virologi si danno alla politica

Dopo 150 giorni in tv la candidatura con Emiliano.
È il noto principio di gravità. Chiunque venga esposto in televisione per un tempo superiore ai sette minuti per sette giorni consecutivi ha due strade davanti a sé: o Temptation Island (se giovane e inidoneo al lavoro) oppure – se attempato – la politica.
Dopo 150 giorni di virus la legge della fisica è stata rispettata e Pierluigi Lopalco, epidemiologo dall’aspetto filiforme, pignolo illustratore seriale dei nostri vizi posturali (la distanza, le mani lavate, la bocca cucita) sarà quasi certamente candidato al consiglio regionale della Puglia. Sosterrà, secondo le prime notizie accreditate, Michele Emiliano che è colui che l’ha voluto consulente per gli affari straordinari legati alla pandemia. “Centoventimila euro pubblici per farsi la campagna elettorale”, l’acido commento di Forza Italia che rivela il compenso di Lopalco per la consulenza pugliese e l’esito della stessa.
Intanto dobbiamo riferire che in Liguria Matteo Bassetti, primario del reparto di Malattie infettive del San Martino di Genova, e altro volto noto delle serate da lockdown, sembra invece negarsi questa possibilità. Bassetti, rispetto a Lopalco, non ha presenziato (e ottimamente) soltanto nei talk show, in genere più noiosetti, ma ha confortato anche Barbara D’Urso (wow!) nel suo live su Canale 5. Bassetti è poi passato per la cronaca nera di Quarto grado, che su Retequattro racconta il mondo degli scomparsi, e insomma si è fatto un bel book tv. A Genova si è perciò detto: si candiderà con Giovanni Toti, il presidente uscente. Bassetti ha però rifiutato con una dichiarazione già da gran politico: “Amo il mio lavoro e voglio continuare a farlo. La politica non mi interessa”.
Resta da dire che il capo del dream team, Roberto Burioni, il più noto e punta di diamante dei virologi polemisti, dei professori televisivi, collocato al centro del centro del fact cheking renziano, si è preso una vacanza dalla tv e attualmente scarseggia anche su Twitter il luogo di coltura del bacillo pop. Burioni, come si ricorderà, ha anche fatturato molto e giustamente: i suoi consigli (mani pulite, distanza, bocche cucite) sono stati infatti richiesti dalle maggiori aziende italiane.
Non dobbiamo farci illusioni. Da qui a fine agosto, quando le liste saranno formalizzate, altri virologi, infettivologi, immunologi saranno compulsati.
La televisione ha cooptato i migliori, coloro che con una battuta illustravano l’epidemia, con una parola la vita e la morte. I più efficaci, come il professor Massimo Galli, ancora stanno parcheggiati dietro le telecamere. In autunno l’atteso girone di ritorno in tv, se la pandemia dovessi farsi più grave e il virus tornare nelle forme più cruenti. Chi da politico, chi da candidato mancato e chi da grande promessa: tra un po’ si rinnova anche il Parlamento.
Se ognuno può fare il virologo, pur non essendolo, perchè un virologo non può scegliere di buttarsi in politica?
La politica, in effetti, è l'unico lavoro/non lavoro garantito a tutti gli effetti;
chi fa politica ha solo diritti, non ha doveri e gode di impunità. 
Viaggia gratis ed ha diritto anche ad un rimborso pur non avendo pagato nulla; inoltre, anche se retribuito profumatamente, ha diritto ad un gettone di presenza se si reca al lavoro, se non si reca al lavoro, stranamente, non paga nulla...
Oltretutto, e non è poco, non hanno l'obbligo come noi di dover maturare un certo numero di anni di lavoro per andare in pensione, gli basta aver fatto brevi apparizioni in Parlamento per maturarla, e, in caso di morte, la stessa viene devoluta ai parenti vicini e lontani fino a non si sa quale generazione...
Entrare a far parte del mondo della politica rappresenta un'ottima scelta, è come vincere alla lotteria, perchè non approfittarne?

Sono disperato: Salvini a dieta, ma di bestialità. - Antonio Padellaro

BLOG DI CIPIRI: Dopo il Mojito di Salvini in Spiaggia
Alla ricerca di un spunto per questa rubrica ieri mi sono messo comodo davanti all’Aria che tira convinto che dall’intervista a Matteo Salvini qualcosa sarebbe venuto fuori. Dopo mezz’ora di disperati tentativi del conduttore, il bravo Francesco Magnani, avevo preso nota soltanto della forte somiglianza dell’uomo del “Papeete beach” con l’allenatore del Parma, Roberto D’Aversa. Infatti, è dai giorni del mojito (di cui ad agosto ricorre il primo anniversario) che il capo leghista continua a parlare ma senza dire niente. Situazione piuttosto spiacevole per chi, come noi, pasteggiava abitualmente grazie alla ricca produzione della famosa Bestia salviniana, e che da tempo si vede costretto a una dieta forzata delle relative bestialità, con evidente nocumento sulla qualità del lavoro.
Sui motivi dell’assoluta inconsistenza verbale, e politica, del capo della destra (ma fino a quando con Giorgia Meloni così arrembante?) si esercitano illustri commentatori. Convinti che il salvinismo non rappresenti più un’alternativa spendibile, per esempio sull’uscita dall’Euro, nel momento in cui solo i soldi dell’Europa possono salvarci. Senza contare il disastro populista e sovranista sul coronavirus, con la nemesi dei Boris Johnson e dei Jair Bolsonaro, responsabili davanti ai loro Paesi della folle sottovalutazione dell’epidemia, di cui pagano anche personalmente le conseguenze. E si può dire che con il crollo verticale nei sondaggi alla vigilia delle elezioni Usa di Donald Trump (un altro che minimizzava il Covid-19) la stagione della verità fatta a pezzi dalla propaganda stia tramontando. Quando la gente deve salvare la pelle passa davvero la voglia di dare retta agli imbonitori. Perciò Salvini (che è il meno dotato della compagnia) va capito quando si rifugia nella stucchevole elencazione, tipo Pagine Gialle, di ceti e categorie a cui dedica ascolto (che bisogna vedere se ancora ascoltano lui). Perciò anche chi scrive è altrettanto imbarazzante quando scuote il televisore con il faccione e implora: ti prego Salvini di’ qualcosa di destra.

Il sospetto: “Ruolo attivo di Fontana per il cognato”. - Davide Milosa

Il sospetto: “Ruolo attivo di Fontana per il cognato”

Al vaglio dei pm le “mosse anomale del governatore nella fornitura dei dispositivi di protezione”.
L’inchiesta milanese sui camici prima venduti e poi donati dalla società del cognato del governatore Attilio Fontana alla centrale acquisiti della Regione (Aria) entra nel vivo. La Procura ha in mano due dati fondamentali per comprendere come si è svolta la vicenda e quale scopo aveva. Il primo elemento è la “prova” che Dama spa di Andrea Dini dopo aver chiuso la donazione con 25 mila camici in meno dell’accordo iniziale (50 mila invece che 75 mila) ha tentato di rivendere il rimanente a prezzo maggiorato e da un’altra parte. Il secondo elemento riguarda invece il ruolo del governatore Attilio Fontana che al momento non risulta indagato. Il tutto è ricondotto al 15 maggio quando il cronista di Report intervista il governatore. In quel momento il contratto (e non la donazione) di forniture è in essere da circa un mese.
Nel colloquio con il presidente non si parla dei camici, il tema è l’emergenza Covid e come è stata affrontata. La cosa però, si ragiona in Procura, pare aver insospettito Fontana che, secondo la ricostruzione dei pm, si è adoperato perché quella che fin dall’inizio doveva essere una fornitura commerciale per 513 mila euro di camici si trasformasse in una improbabile donazione. Un atteggiamento lodevole se non fosse legato, spiegano fonti qualificate, a una possibile anomalia precedente l’inizio del contratto tra Dama e Aria. Risultato: il 20 maggio Dini annuncia ad Aria lo storno delle fatture trasformando parte dell’offerta in donazione. Insomma pare di capire che Attilio Fontana, dopo essere stato archiviato dall’accusa di abuso d’ufficio in relazione all’incarico dato dalla Regione a un suo ex socio di studio, ora rischi di ricadere nel frullatore giudiziario. I pm stanno valutando un suo “ruolo attivo” in questa storia. I contorni, dunque, iniziano a chiarirsi dopo che la Procura ha iscritto Andrea Dini e il dg di Aria Filippo Bongiovanni con l’accusa di turbata libertà della scelta del contraente. Ieri, per sette ore, è stata interrogata come persone informata sui fatti, Carmen Schweigl, il responsabile della struttura gare e numero due di Aria. In realtà le vere novità emergono dalle carte acquisite in Regione. La Dama spa, tra i cui soci per il 10% c’è Roberta Dini moglie di Fontana, viene introdotta in Aria dall’assessore regionale all’Ambiente Raffaele Cattaneo. Cattaneo due giorni fa è stato interrogato dai pm e non risulta indagato. La sua posizione, pur nel suo ruolo di capo della task force per le forniture, è ritenuta marginale e comunque il fatto di aver introdotto, come da lui ammesso ai magistrati, la società del cognato di Fontana in Regione appare, al momento, un elemento accidentale. Ben più grave, come ricostruito dai pm, il fatto che fin da subito e fino a ieri la presunta donazione vantata da Dini non sia mai stata accettata da Aria, il che rende ancora valido il contratto del 16 aprile per 75 mila camici pagati 513 mila euro. Particolare reso ancora più evidente da una mail pre-pasquale, pubblicata dal Fatto, in cui Dini firma una proposta di contratto (e non di donazione) alla centrale acquisiti della Regione. È evidente, secondo la Procura, che molti sapessero quello che si stava consumando, e cioè un enorme conflitto d’interessi mai segnalato da Dama perché Aria ha deciso di derogare al patto di integrità della Regione.
La proposta commerciale di Dini elimina l’ipotesi che quella dovesse essere una donazione smentendo la ricostruzione dello stesso cognato, ovvero che fu solo un fraintendimento di comunicazione in azienda poi sanato dal suo intervento. Fin dall’inzio si è trattato di un’offerta commerciale il cui ok, secondo i pm, è avvenuto con “metodo fraudolento” e in modo illegale visto il conflitto d’interessi. La proposta, come detto, arriva prima di Pasqua, il contratto parte il 16 aprile. Tutto fila liscio fino al 15 maggio, data dell’intervista. Quel giorno ai piani alti del Pirellone le paure si fanno feroci. Cinque giorni dopo Dini invia a Bongiovanni un mail nella quale conferma lo storno di alcune fatture per un totale di 50mila camici. Nessuno però fa notare a Dama che ne mancano 25 mila per circa 130 mila euro. Cifra non da poco in giorni in cui la pandemia in Lombardia stava raggiungendo il picco. Che succede a quel punto? Andrea Dini, da bravo imprenditore, tenta di minimizzare il danno provando a rivendere i 25 mila camici a un prezzo superiore a 5,99 euro.