sabato 11 luglio 2020

Promemoria/2 - Marco Travaglio

Trattativa Stato mafia, Berlusconi indagato a Firenze. La moglie ...
Mentre gli spingitori del cavaliere lo rivorrebbero nella maggioranza o addirittura al governo o magari senatore a vita e il Parlamento straparla di giornate per le vittime della giustizia, cioè per lui, prosegue il nostro promemoria di vita e opere del vecchio malvissuto che si vorrebbe trasformare in benvissuto solo perché vecchio.
1992. Il 21 maggio, mentre il Parlamento vota per il nuovo presidente della Repubblica dopo le dimissioni di Francesco Cossiga, Paolo Borsellino, procuratore aggiunto a Palermo, rilascia un’intervista a due giornalisti francesi di Canal Plus, svelando indagini ancora in corso sui rapporti fra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi. Due giorni dopo, il 23 maggio, Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta saltano in aria a Capaci. Un mese dopo Dell’Utri convoca a Milano2 Ezio Cartotto, un ex Dc consulente di Publitalia, per una missione segreta: organizzare “un’iniziativa politica della Fininvest” finanziata occultamente da Publitalia, in previsione dell’imminente tracollo dei partiti amici sotto i colpi delle indagini di Mani Pulite avviate a febbraio dal pool di Milano (anche su una serie di top manager Fininvest). Il 19 luglio un altro attentato mafioso stermina anche Borsellino e la sua scorta.
1993. Dopo l’arresto di Totò Riina, gli altri capi di Cosa Nostra – da Provenzano in giù, in contatto con Gelli, gruppi neofascisti e logge deviate – creano il partito secessionista “Sicilia Libera”, ultima nata di una serie di “leghe meridionali” in tutto il Sud. Dell’Utri, che nel gruppo B. si è sempre occupato di pubblicità (e di mafia), è tarantolato dalla politica: è in contatto telefonico con un promotore di Sicilia Libera e intanto continua a lavorare al partito Fininvest. In aprile B. annuncia ai suoi principali collaboratori l’intenzione di entrare in politica: Dell’Utri, Previti e Ferrara sono favorevoli, Costanzo, Letta e Confalonieri contrari. Il 14 maggio Costanzo scampa per miracolo a un’autobomba mafiosa in via Fauro, a Roma: il primo attentato organizzato da Cosa Nostra fuori dalla Sicilia. Il 27 maggio, nuova strage mafiosa a Firenze, in via dei Georgofili. Il 29 giugno Dell’Utri, Previti e altri due fedelissimi di B., Antonio Martino e Mario Valducci, costituiscono l’“Associazione per il buon governo”, base ideologica dei futuri club Forza Italia. Il 12 luglio B., che secondo Cartotto ha il terrore di subire l’accusa di “essere un mafioso”, dirama alle testate del gruppo il memorandum “Valutazioni dei comportamenti dei giudici di Tangentopoli”: gli house organ della ditta dovranno iniziare ad attaccare i magistrati anti-tangenti e anti-mafia, ma anche i collaboratori di giustizia.
Solo il Giornale di Montanelli disobbedisce, infatti il direttore-fondatore verrà ben presto rimpiazzato con Vittorio Feltri. Il 27 luglio, strage mafiosa in via Palestro a Milano e bombe contro due basiliche a Roma. Il 6 settembre B. inaugura il primo club di FI: è in via Chiaravalle 7/9 a Milano, nel palazzo del finanziere Rapisarda, legato alla mafia e a Dell’Utri. Il 29 ottobre il pm romano Maria Cordova, che indaga su tangenti al ministero delle Poste e i retroscena della legge Mammì, chiede l’arresto di Carlo De Benedetti, Gianni Letta e Adriano Galliani. Ma il gip Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, arresta solo l’Ingegnere, perché i due uomini Fininvest sono amici di famiglia. Intanto Dell’Utri incontra Mangano, il boss da poco scarcerato dopo 11 anni di galera per mafia e droga, nella sede di Publitalia: nelle agende la segretaria ha annotato “2-11. Mangano Vittorio sarà a Milano per parlare problema personale” e “Mangano verso il 30.11”. Molti pentiti racconteranno che in quei giorni Provenzano ha stretto un patto con Dell’Utri per sciogliere Sicilia Libera e far votare FI. Graviano dirà ai giudici di aver “incontrato Berlusconi, da latitante, almeno tre volte, l’ultima a cena nel ’93”.
1994. Il 19 o 20 gennaio il killer stragista Gaspare Spatuzza viene convocato dal suo boss Giuseppe Graviano al bar Doney di via Veneto a Roma. “Era gioioso, felice”, racconterà ai pm: “mi comunica che avevamo chiuso tutto e avevamo ottenuto tutto quello che cercavamo grazie alla serietà di… quello di Canale 5 e il nostro paesano”, cioè B. e Dell’Utri. I quali, dice Graviano a Spatuzza, “ci stanno mettendo l’Italia nelle mani”. Graviano aggiunge che bisogna “dare il colpo di grazia” con la strage di carabinieri allo stadio Olimpico, in programma per domenica 23 dopo Roma-Udinese. Nell’hotel davanti al bar, il Majestic, la notte fra il 18 e il 19 ha alloggiato Dell’Utri, impegnato nelle selezioni dei candidati di FI. Domenica 23 l’autobomba allo stadio non esplode per un guasto al telecomando. Ma i killer mafiosi rimangono a Roma per riprovarci. Il 26 però B. annuncia in un videomessaggio la sua “discesa in campo”. Il 27 Graviano e il fratello Filippo vengono arrestati a Milano, dove cenano in compagnia di un loro favoreggiatore, salito al Nord per seguire il figlio calciatore, che ha appena fatto un provino nei “pulcini” del Milan grazie a Dell’Utri. Il 27-28 marzo B. vince le elezioni e diventa deputato, sebbene sia ineleggibile in base alla legge 361/1957 in quanto concessionario pubblico per le tv. L’8 aprile Brusca e Bagarella – racconterà il primo – rispediscono Mangano a Milano da Dell’Utri per avvertire il nuovo premier: “Devono scendere a patti altrimenti, senza la revisione del maxi processo e del 41-bis e la fine dei maltrattamenti in carcere, le stragi continueranno”. L’attentato all’Olimpico può essere ritentato in qualunque momento. Mangano deve aggiungere che “anche la sinistra sapeva” della trattativa in corso da due anni fra Stato e mafia: se il governo B. aiuterà Cosa Nostra, non incontrerà opposizioni, perché dietro la prima trattativa c’era la “sinistra Dc che fino ad allora aveva governato il Paese” ed era ricattabile. Mangano va e – sempre secondo i pentiti – torna vincitore: “Dell’Utri ha detto ‘grazie, grazie, a disposizione’”. Il commando di Spatuzza rientra a Palermo: la guerra è finita, ora si fa la pace. O la tregua, in attesa che i nuovi “referenti” paghino le cambiali. E il 13 luglio ecco la prima rata: il decreto Biondi che riduce al minimo la custodia cautelare in carcere. Sulle prime si pensa solo a una norma salva-ladri per gli inquisiti di Tangentopoli. Pochi notano nel testo una serie di favori a Cosa Nostra. Il decreto viene ritirato a furor di popolo, ma diventa un disegno di legge che sarà approvato di lì a un anno. Negli stessi mesi – appureranno i giudici del processo Trattativa – Dell’Utri riceve altre due volte Mangano nella sua villa a Como e gli anticipa le mosse legislative pro mafia del governo B. Fatti che indurranno i giudici a ritenere B. “vittima consapevole” del ricatto mafioso. Il 22 dicembre, senz’aver fatto che norme ad personam (dl Biondi, condoni edilizio e fiscale, legge Tremonti per far risparmiare tasse alla Fininvest), B. si dimette: la Lega l’ha sfiduciato sulla controriforma delle pensioni. Da un mese è indagato per corruzione su quattro tangenti pagate alla Guardia di Finanza da suoi manager per ammorbidire verifiche fiscali in Edilnord, Mondadori, Videotime e Tele+. Convocato dal pool Mani Pulite, si presenta solo dopo aver indotto Di Pietro alle dimissioni con dossier ricattatori passati per le mani del fratello Paolo e di Previti.
1995. Nasce il governo tecnico Dini, con l’appoggio di Lega e centrosinistra l’astensione di FI. Il 25 maggio Dell’Utri viene arrestato a Torino per frode fiscale (false fatture di Publitalia). A luglio lo stesso Dell’Utri e B. sono indagati a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa (B. sarà sei volte archiviato, Dell’Utri invece verrà condannato a 7 anni).
1996-2001. B. perde le elezioni, vinte dall’Ulivo di Romano Prodi. Ora è indagato con Previti e alcuni avvocati e giudici romani per corruzione giudiziaria dopo le rivelazioni della testimone Stefania Ariosto. Una terza indagine riguarda la maxitangente di 23 miliardi in Svizzera a Craxi dalle società estere della galassia All Iberian e i relativi falsi in bilancio. Pare politicamente morto, ma il centrosinistra lo resuscita in cambio di una finta opposizione: proroga sine die il passaggio su satellite di Rete4, imposto dalla Consulta nel ’94; consente al suo gruppo inguaiato in falsi in bilancio e frodi fiscali di quotarsi in Borsa; nega ai giudici di Milano e Palermo l’autorizzazione all’arresto per Previti e per Dell’Utri; e lo promuove B. padre costituente nella Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema. Che poi, quando B. fa saltare il tavolo in extremis e Bertinotti il governo, prende il posto di Prodi.
1998-’99. L’avvocato inglese David Mills, consulente di B. che negli anni 80 ha costruito il “comparto B” del Biscione con decine di società nelle isole del Canale e in altri paradisi fiscali, in cui vengono nascosti centinaia di miliardi di lire destinati a corruzioni, frodi fiscali e scalate finanziarie illecite, è chiamato a testimoniare nei due processi chiave per B.: Guardia di Finanza e Craxi-All Iberian. Ma non dice tutto quel che sa su B., come confesserà lui stesso in una lettera al suo commercialista (“Ho tenuto fuori Mr B. da un mare di guai”). In cambio, dai conti esteri del Biscione, riceverà una tangente di 600 mila dollari. Risultato: nel processo Gdf, il Caimano viene condannato in primo grado e poi assolto per insufficienza di prove (quelle che avrebbe dovuto fornire Mills); nel processo Craxi-All Iberian, viene condannato in tribunale e poi prescritto. Mills, per la sua testimonianza prezzolata, sarà condannato in primo e secondo grado, poi prescritto in Cassazione; B. invece la tirerà in lungo fino a strappare la prescrizione già in primo grado.
(2 – continua)

venerdì 10 luglio 2020

Camici alla Lombardia, ecco il documento esclusivo: in un’email il cognato di Fontana parlava di “prezzi e forniture”. - Luigi Franco

Camici alla Lombardia, ecco il documento esclusivo: in un’email il cognato di Fontana parlava di “prezzi e forniture”

Lombardia - Macché regalo. La Guardia di Finanza in Regione.
L’offerta da 513 mila euro per la fornitura alla Regione Lombardia dei camici dell’azienda del cognato di Attilio Fontana ha in calce una firma. Ed è proprio quella di Andrea Dini, cognato del governatore lombardo oltre che proprietario e ad di Dama, la società di cui detiene il 10% Roberta, moglie di Fontana. La sua firma fa fuori in un colpo solo la versione propinata per un mese sul contratto concesso a Dama in affidamento diretto, poi trasformato in donazione. E dimostra che tutti quei camici all’inizio erano ben lontani dall’essere un dono. Eppure Fontana il 7 giugno, dopo le anticipazioni del Fatto sull’inchiesta di Report che ha svelato il caso, scriveva su Facebook che c’era “alla base la volontà di donare il materiale alla Lombardia”, mentre Dini dava la colpa a un fraintendimento dei suoi collaboratori, responsabili di aver trattato per errore la donazione come un normale contratto. Ma ora il Fatto è in grado di rivelare che nell’offerta di Dama da cui tutto è partito i prezzi dei prodotti erano in bella mostra. E sotto i prezzi, il timbro dell’azienda e una firma. Non un collaboratore, ma il “dott. Andrea Dini”. Un elemento inedito in una vicenda al vaglio della procura di Milano, che ha iscritto nel registro degli indagati per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente Dini e Filippo Bongiovanni, direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione. Ieri la guardia di finanza si è presentata in Regione per acquisire i documenti relativi alla fornitura.
Altro che donazione. Nell’offerta inviata prima di Pasqua ad Aria, vengono proposti 7 mila set di camici, calzari e cuffie a 9 euro l’uno e 18 mila camici a 6 euro. Dini si dice inoltre disponibile alla “fornitura” di altro materiale: 50 mila set oppure 57 mila camici. “Sempre agli stessi prezzi. Tutto made in Italy”. Aria sceglie la seconda opzione e il 16 aprile emette un ordine per 7 mila set e 75 mila camici, per un valore totale di 513 mila euro.
Iniziano le consegne, tutte fatturate da Dama, finché il 20 maggio Dini invia un’email ad Aria annunciando la decisione di trasformare il contratto in una donazione. Ma solo per i camici già consegnati, visto che la fornitura del resto viene interrotta. L’email arriva dopo che da giorni Report ha iniziato a investigare sul caso. Quando l’inviato Giorgio Mottola citofona a Dini, lui sostiene che la commessa avrebbe dovuto essere sin da subito una donazione: “Non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha mal interpretato la cosa. Me ne sono accorto e ho immediatamente rettificato perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”. Parole che ora vanno in fumo, di fronte alla sua firma sull’offerta.
L’offerta di Dini è indirizzata a Bongiovanni e fa riferimento alle “indicazioni” ricevute dall’assessore all’Ambiente Raffaele Cattaneo, sentito ieri come testimone insieme a Francesco Ferri, presidente di Aria. Perché Cattaneo fa da intermediario tra Dama e Aria? “Durante l’emergenza Cattaneo è stato in contatto con tutte le aziende che si sono offerte di riconvertire la propria produzione, affinché potessero produrre dispositivi di protezione individuale di qualità”, rispondono dall’assessorato ricordando che Cattaneo è stato a capo della task force per coordinare i fornitori. “I rapporti con le aziende per le fasi successive, come donazioni o forniture, sono invece stati gestiti da altri interlocutori”.
Altri interlocutori che ora dovrebbero rispondere a diversi quesiti. Per esempio sui 25 mila camici mai consegnati dopo che il contratto è diventato donazione. “Per quali motivi Aria non ha diffidato Dama a completare la fornitura? Perché non richiede il risarcimento danni per inadempimento contrattuale? La Regione non ritiene di segnalare Dama all’Anac?”, chiede in un’interrogazione il consigliere M5S Marco Fumagalli, che mette in dubbio anche la congruità del prezzo di 6 euro proposto da Dama: “Tra gli ordini di Aria c’è un acquisto di 44 mila camici su Amazon, a 1,6 euro l’uno”. Quattro volte in meno del prezzo del cognato di Fontana.

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Mia figlia Sara.

Produzione industriale a maggio +42,1%.

Un lavoratore metalmeccanico in una immagine di archivio ©

Istat: 'Significativa ripresa delle attività' dopo il lockdown. Su base annua calo del 20,3%.

La produzione industriale a maggio schizza in alto, segnando un aumento del 42,1% rispetto ad aprile. Lo rileva l'Istat, parlando di una "significativa ripresa delle attività" dopo il lockdown. Il confronto congiunturale, infatti, è con un mese, l'Istituto di statistica lo ricorda, "caratterizzato dalle chiusure in molti settori produttivi in seguito ai provvedimenti connessi all'emergenza sanitaria". Su base annua il dato mostra ancora un calo ampio: corretto per gli effetti di calendario, a maggio l'indice complessivo diminuisce in termini tendenziali del 20,3%.
Maggio, inoltre, vede la produzione industriale in impennata ma il livello dell'attività, l'Istat lo sottolinea nel commento ai dati, "risente ancora della situazione generata dall'epidemia di Covid-19: l'indice generale, al netto della stagionalità, presenta una flessione del 20,0% rispetto al mese di gennaio, ultimo periodo precedente l'emergenza sanitaria". E ancora, viene fatto presente, "nella media del periodo marzo-maggio, il livello della produzione cala del 29,9% rispetto ai tre mesi precedenti".
La produzione industriale di autoveicoli a maggio mostra su base annua un calo del 50,8%, rende inoltre noto l'Istat, fornendo il dato tendenziale corretto per gli effetti di calendario. Il ribasso in termini grezzi è pari al -54,5%. In sostanza l'attività nel settore si è dimezzata rispetto a maggio dello scorso anno.
Sempre a maggio, rispetto ad aprile, "tutti i comparti" dell'industria italiana "sono in crescita congiunturale, ad eccezione di quello delle industrie alimentari, bevande e tabacco, in leggera flessione", (-0,5%). Settore questo che però aveva retto durante la fase più acuta dell'emergenza Covid. Rimbalzi addirittura a tre cifre si evidenziano invece per le attività che più avevano risentito del lockdown: +142,5% per il tessile e +140,2% per i mezzi di trasporto. E' quanto emerge dalla nota dell'Istat sulla produzione industriale a maggio. Su base annua la situazione è capovolta, con ribassi in tutti i settori.

Recovery fund: proposta Michel conferma 750 miliardi. -

Michel propone un bilancio Ue di 1.074 miliardi © EPA
Michel propone un bilancio Ue di 1.074 miliardi.

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, propone di mantenere intatta l'entità del Recovery Fund, a 750 miliardi di euro, e di confermare la proporzione tra trasferimenti a fondo perduto e prestiti, rispettivamente 500 e 250 miliardi. Lo ha spiegato lo stesso Michel presentando la proposta negoziale per raggiungere un accordo sul Recovery fund ed il bilancio Ue 2021-2027, al vertice del 17 e 18 luglio.
Proponiamo "un bilancio europeo per il 2021-2027 di 1.074 miliardi. Ed i rimborsi (un meccanismo di correzione per la contribuzione) verranno mantenuti per Germania, Austria, Danimarca, Olanda e Svezia". Così il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, presentando la proposta negoziale per trovare un accordo sul Recovery fund ed il bilancio Ue 2021-2027. La proposta all'1,07% è un compromesso tra l'1,09% avanzato a febbraio e la richiesta dei Paesi Frugali (Olanda, Danimarca, Austria e Svezia) all'1,05%.

Mose, Conte preme il pulsante via a innalzamento dighe.

Una paratia del Mose di Venezia © ANSA

Ambientalisti e comitati contro le grandi navi in laguna preparano una manifestazione di protesta.

"Siamo qui per un test, non per una passerella. Il governo vuole verificare l'andamento dei lavori". Così il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a Venezia in occasione della cerimonia per il primo test completo delle dighe mobili del Mose.
"E' giusto avere dubbi, è giusta la dialettica, ma dico a chi sta protestando, ai cittadini e intellettuali, concentriamoci sull'obiettivo di completare il Mose" ha aggiunto Conte. "Facciamo in modo che funzioni - ha proseguito -. Di fronte all'ultimo miglio la politica si assume le proprie responsabilità e decide che con un ulteriore sforzo finanziario si completa e si augura che funzioni".
Spitz: 'Non è finito, ci vogliono altri 18 mesi' - "Il Mose non è finito, ci sono 18 mesi di lavori e test, bisognerà avviare il collaudo tecnico funzionale e poi alcuni anni di rodaggio per l'avviamento, per la progressiva ottimizzazione con procedure trasparenti e controllo rigoroso dei costi". Lo ha detto la commissaria alla conclusione del Mose di Venezia, Elisabetta Spitz, aprendo la cerimonia per il sollevamento delle dighe mobili. L'opera, ha proseguito "ha una storia travagliata e controversa, a noi è stato affidato il compito di portarla a termine. Una lunga pagina si chiude, Ringraziamo i veneziani per la lunga pazienza. Con le prove dei prossimi mesi sarà già possibile dal prossimo autunno il sollevamento in caso di maree altissime e salvare dall'acqua alta la Laguna".
La Laguna di Venezia è stata chiusa completamente al mare, con l'effettuazione del primo test completo delle 78 dighe mobili del sistema Mose, per salvare la città dalle acque eccezionali. Alla prova sono presenti il presidente del consiglio Giuseppe Conte, i ministri Lucia Lamorgese, Paola De Micheli e Federico D'Incà, il presidente del Veneto Luca Zaia e il sindaco Luigi Brugnaro. Sull'isola artificiale che divide la Bocca di Porto del Lido è stata approntata una 'control room' da cui si possono seguire le operazioni di sollevamento e discesa delle paratoie nelle quattro 'bocche', da nord a sud: Lido-Treporti, Lido-San Nicolò, Malamocco e Chioggia. Per consentire l'intera procedura è prevista l'interdizione completa del traffico marittimo.
Una decina le imbarcazioni che si sono radunate nello spazio acqueo davanti a Piazza San Marco per un'azione di protesta contro il Mose. Guardati a vista da imbarcazioni della polizia, i barchini hanno bandiere contro le grandi navi e contro quella che definiscono un'opera inutile.

Trani, era associazione a delinquere. Dieci anni all’ex pm Antonio Savasta. - Francesco Casula

Trani, era associazione a delinquere. Dieci anni all’ex pm Antonio Savasta

Il sistema - Dura condanna per l’ormai ex magistrato. quattro anni anche al collega Scimè.
Condanne, multe e confische. È un conto salato quello presentato dai magistrati leccesi agli ormai ex colleghi coinvolti nell’inchiesta sul “Sistema Trani”. È di 10 anni di reclusione la condanna nei confronti dell’ex pm Antonio Savasta, considerato l’organizzatore dell’associazione a delinquere che in cambio di denaro e regali costosi, aggiustava indagini e processi degli imprenditori amici. Nei suoi confronti non sono stati tenuti in considerazione, secondo i suoi difensori, le confessioni e la collaborazione offerta durante le indagini.
I pm Roberta Licci e Giovanni Gallotta, con la supervisione del procuratore Leonardo Leone de Castris, hanno ritenuto che in realtà la collaborazione di Savasta non sia stata piena, ma anzi sia stata fuorviante. Pena a 4 anni di carcere per l’altro magistrato Luigi Scimè che dovrà anche abbandonare la toga: nei suoi confronti, infatti, è stato disposta anche l’estinzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. Stessa pena per l’imprenditore Luigi D’Agostino e infine 4 anni e 4 mesi per Ruggiero Sfrecola e 2 anni e 8 mesi per Giacomo Ragno, i due avvocati che avrebbe fornito un importante contributo al sistema.
Pesanti anche le confische ordinate dal tribunale: dai 75 mila euro per l’ex pm Scimè ai 224 mila per l’avvocato Ragno fino a 2 milioni e 390 mila euro per Savasta. Nell’inchiesta era coinvolto anche l’ex gip di Trani Michele Nardi che il rito ordinario: il processo nei confronti e di altri imputati inizierà il 4 novembre.
Numerosi gli episodi contestati dai magistrati leccesi: false denunce, false testimonianze e una serie di irregolarità consentiva agli ex magistrati di pilotare i procedimenti salvando gli amici o accelerando le accuse nei procedimenti in cui gli stessi amici figuravano come parte lesa. Savasta era accusato di far parte insieme a Nardi e ad altri tre imputati, tra i quali l’ispettore di Polizia Vincenzo Di Chiaro, di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, falso ideologico, millantato credito, calunnie e falsa testimonianza.
Il gruppo criminale, per la procura leccese, poteva contare su numerosi soggetti “vicini” che pur non essendo organici all’associazione potevano fornire contributi determinanti per permettere al gruppo di raggiungere i propri obiettivi. A capo del gruppo, per l’accusa, c’era proprio Nardi.
È stato l’imprenditore Flavio D’Introno a svelare agli investigatori le ingenti somme versate al gruppo per ottenere la manipolazione delle indagini o dei processi a suo carico. Antonio Savasta era invece indicato come “l’organizzatore” dell’associazione a delinquere con il compito di “attivare e gestire” in modo strumentale all’interesse di D’Introno i procedimenti penali e tributari che lo riguardavano. Non solo. Proprio Savasta avrebbe svelato a D’Introno l’esistenza di indagini che lo riguardavano nella procura di Lecce e lo avrebbe persino invitato a fuggire all’estero dopo che una sentenza era diventata definitiva.
Nel sistema però, avevano un ruolo determinate secondo l’accusa anche gli avvocati. Come Simona Cuomo, anche lei rinviata a giudizio con Nardi: a lei sarebbe spettato il compito di trasformare in atti apparentemente legali le iniziative avviate da magistrati e imprenditori. Oppure come Ruggiero Sfrecola, difensore dell’imprenditore Luigi D’Agostino che, in accordo con Savasta avrebbe versato tangenti nel 2015 e controllato le dichiarazioni di alcuni testimoni in un’indagine sui reati fiscali di società riconducibili a D’agostino affinché non venisse mai fuori il suo nome. E ancora come giacomo Ragno che avrebbe individuato e messo a disposizione del sistema un uomo disposto a fornire false dichiarazioni per salvare D’Introno da una delle vicende che lo coinvolgevano.