lunedì 27 luglio 2020

Ma mi faccia. - Marco Travaglio

Breaking News: immagini, foto stock e grafica vettoriale ...
Legnanesi. “La Regione Lombardia nella gestione del Covid non ha fatto errori” (Attilio Fontana, Lega, presidente Lombardia, 23.4). “Le abbiamo azzeccate tutte” (Giulio Gallera, FI, assessore regionale Welfare e Sanità, 6.4). Sono sempre i migliori quelli che non se ne vanno.
Nei secoli Fedeli. “Un’immagine di straordinaria forza sul significato del valore dello studio: decine di donne afghane che… sostengono l’esame di ammissione all’università in spiaggia” (Valeria Fedeli, Pd, ex ministro dell’Istruzione, Twitter, 23.7). Miracoli dell’Afghanistan, che riesce ad avere le spiagge senza avere il mare: un’immagine di straordinaria forza sul significato del valore dell’ignoranza.
ComPiacenza. “Indubbiamente la storiaccia della caserma dei carabinieri di Piacenza, trasformata in un centro di torture, fa venire i brividi… Prima di giudicare attendiamo come si conviene l’esito delle indagini… Attenzione a non generalizzare… Se pretendiamo che i carabinieri vincano la battaglia con i grassatori occorre che siano dotati di strumenti idonei, di cui oggi non dispongono giacché i nostri governi pensano al reddito di cittadinanza e roba simile” (Vittorio Feltri, Libero, 24.7). Giusto: attendendo, come si conviene, l’esito delle indagini, possiamo serenamente affermare, come si conviene, che è colpa del reddito di cittadinanza.
Appena appena. “Perchè nel ’94 vi candidaste con Berlusconi?”. “Uscivamo da Tangentopoli e Berlusconi, che cercava di interpretare a suo favore il vento di protesta e il bisogno di cambiamento, voleva tutte facce nuove. Si rese conto però che aveva bisogno di qualche professionalità, ancorchè stravagante, e offrì a Marco (Pannella, ndr), senza contraccambi, otto collegi. Io ci stetti poco” (Emma Bonino, senatrice Pd, intervista al Corriere della sera, 12.7). Come quella madre che, raccontava Enzo Biagi, aveva la figlia “un po’ incinta”.
Trova l’errore/1. “Dopo cinque giorni di maratona negoziale la battaglia di Bruxelles sui fondi per il rilancio post-Covid si è conclusa con un successo del fronte franco-tedesco… Ha visto Francia e Germania determinate… contro i Paesi ‘frugali’ Olanda, Danimarca, Svezia ed Austria, sostenuti dalla Finlandia… e i sovranisti Polonia e Ungheria…” (Maurizio Molinari, Repubblica, 22.7). C’erano proprio tutti, a Bruxelles. Peccato che l’Italia, destinataria a sua insaputa del 28% dei fondi, non fosse neppure invitata.
Trova l’errore/2. ”Merkel e Macron salvano l’Italia” (Alessandro Sallusti, il Giornale, 21.7). È bello vedere il Giornale e Repubblica, dopo tanti anni, sulla stessa linea.
Trova l’errore/3. “Conte festeggia per nascondere la sconfitta” (Daniele Capezzone, La Verità, 22.7). Ah, c’è pure Capezzone.
Faccio schifo. “Grillo. La vera storia dell’incidente mortale”, “Fa abbastanza schifo che nel luglio 2020 si debba tornare su questa vecchia storia” (F. F., Libero, 22.7). Segue un’intera pagina di F. F. che nel luglio 2020 fa abbastanza schifo tornando su questa vecchia storia.
Maiolate. “De Pasquale, quel magistrato con l’ossessione dell’Eni. Nel ’93 accusò Cagliari, ora accusa Descalzi e Scaroni” (Tiziana Maiolo, Riformista, 23.7). Cioè: l’Eni manovra tangenti almeno dal ’93 e la colpa è del pm che le scopre. Del resto, se hai la febbre, è colpa del termometro.
Cose da pazzi. “De Pasquale è sempre lì dentro l’aula coi soliti baffi e la toga consunta a chiedere la condanna” (Libero, 24.7). In effetti un pm che fa il pm è davvero bizzarro.
Esodo biblico. “Strappo nel M5S, cade un’altra stella: addio di Lozzi. La presidente del VII Municipio abbandona il Movimento e approda al partito di Paragone, Italexit: ‘La maggioranza mi seguirà’. E prepara la sua lista per le Comunali” (Repubblica-Roma, 24.7). “Paragone fonda Italexit e punta già al Campidoglio” (Il Dubbio, 24.7). Compatibilmente con lo spostamento d’aria, vanno transennate le edicole con un anno d’anticipo.
Abbiamo una corrente. “Ecco la corrente di Travaglio per sostenere Giuseppi. Fibrillazione nei pentastellati” (il Giornale, 19.7). Solo una corrente? Che scadimento.
La pioggia nel pirleto. “A furia di pensare solo agli immigrati, il sindaco Orlando dimentica i cittadini di Palermo: basta un temporale e la città finisce sott’acqua” (Matteo Salvini, segretario e senatore della Lega, Twitter, 15.7). “Lombardia sott’acqua. Forti piogge in tutta la Regione. A Milano terza esondazione del Seveso in tre settimane, mentre il fiume Olona esce dagli argini” (rainews.it, 24.7). Quindi è lui che porta sfiga?
Io so’ io… “Io non ho fatto la quarantena perché sono una deputata. È vero, non sono stata in isolamento” (Francesca La Marca, deputata Pd di ritorno dal Canada, Corriere della Sera, 20.7). La famosa immunità parlamentare di gregge.
Il titolo della settimana. “L’ultima di Palazzo Chigi. Agli imprenditori finanziamenti solo se sono transessuali” (Renato Farina, Libero, 20.7). Infatti la Fiat-Fca è piena di drag queen.

domenica 26 luglio 2020

Invito a scomparire. Marco Travaglio

Coronavirus: in città si riducono i positivi. Gallera e Fontana ...

Da cinque mesi Attilio Fontana e Giulio Gallera, i due caratteristi che sgovernano la Lombardia, sgomitano in un appassionante testa a testa (testa si fa per dire) per aggiudicarsi il primo avviso di garanzia. E noi, lo confessiamo, puntavamo tutto su Gallera, anche perché la sfangherebbe agevolmente con l’incapacità di intendere e volere. Invece, sul filo di lana, l’ha spuntata il governatore umarell, insospettabile per quell’aria emaciata da vecchietto sul punto di esalare l’ultimo respiro. Poi Report, anticipato dal Fatto, scoprì il contratto di fornitura da 513 mila euro per 75 mila camici e 7 mila set sanitari assegnato il 16 aprile dall’agenzia regionale Aria Spa, senza gara, alla Dama Spa del cognato e della moglie del presidente leghista: Andrea e Roberta Dini. Fatture previste per il 30 aprile, pagamento in 60 giorni. Il 19 maggio l’inviato di Report Giorgio Mottola iniziò a far domande in Regione. E intervistò il cognatissimo Dini. Che, al citofono, provò a negare: “Non è un appalto, è una donazione, chieda pure ad Aria”. Mottola richiamò spiegando di avere le carte della fornitura. Allora Dini cambiò versione, ammettendo quanto non poteva più negare, ma precisando che tutto era avvenuto a sua insaputa: “Non ero in azienda durante il Covid… chi se n’è occupato ha mal interpretato. Ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che era una donazione”. “Subito” mica tanto: l’affidamento è del 16 aprile e la “rettifica” arriva solo il 22 maggio, quando già l’inviato Rai è sulle tracce dello scandalo e Dama inizia a stornare le fatture, cioè a rinunciare ai soldi pubblici.
Interpellato sullo scoop di Report, anche Fontana sposò la linea Scajola: “Non sapevo nulla della procedura e non sono mai intervenuto in alcun modo”. Diffidò la Rai dal trasmettere servizi non autorizzati da lui. E annunciò querela al Fatto. Ma chiunque avesse occhi per vedere capì subito che quella commessa da mezzo milione a cognato e moglie del presidente lumbard era andata bene a tutti finché Report non l’ha scoperta. Poi fu tramutata in tutta fretta in una donazione e le fatture in un errore da “rettificare” ex post, con una corsa precipitosa a coprire tutto con una toppa peggiore del buco. Come se un tizio accusato di rubare tentasse di dimostrare che non è vero restituendo il maltolto al legittimo proprietario.
Intanto accadevano altre cose che nessuno poteva sospettare: la Procura di Milano riceveva una segnalazione di operazione sospetta dall’ufficio antiriciclaggio di Bankitalia, allertato dall’Unione fiduciaria di Milano, che aveva bloccato un bonifico urgente ordinato da Fontana il 19 maggio.
Si trattava di un versamento di 250 mila euro al cognato dal conto che Fontana ha in Svizzera con 4,4 milioni di “mandato fiduciario”, frutto di un’eredità di 5,3 che dal 2005 nascondeva al fisco su due trust alle Bahamas e poi sbiancò nel 2015 (da presidente del Consiglio regionale) grazie alla voluntary disclosure del governo Renzi. Un chiaro tentativo di rimborsare Dini per il mancato affare con la Regione: infatti l’indomani il cognato scrisse ad Aria che avrebbe non più venduto, ma regalato i 49 mila camici e 7 mila set già consegnati. Ma, appunto, il bonifico fu bloccato per la causale generica e sospetta. Così Dini, rimasto a bocca asciutta, interruppe lì la donazione “spontanea” alla Regione (che non riusciva a proteggere i sanitari dal Covid) e tentò di rivendere i restanti 25 mila camici a una casa di cura per 9 euro l’uno anziché 6. Poi, appena la GdF acquisì gli atti dalla fiduciaria, Fontana annullò il bonifico. Perciò non solo Dini e l’ex ad di Aria, ma anche Fontana sono indagati per frode in pubbliche forniture. Ma non è per questo, cioè per un reato ancora tutto da accertare, che Fontana deve dimettersi subito. Bensì per i fatti acclarati che lui ha maldestramente tentato di nascondere.
1) Un pubblico amministratore non può nascondere ai cittadini milioni di euro alle Bahamas e in Svizzera.
2) Chi accede alla voluntary disclosure riporta fondi neri all’ufficialità in cambio di cifre irrisorie e dell’anonimato e ammette di averli detenuti illegalmente all’estero e al riparo dalle tasse: dunque non può ricoprire cariche pubbliche.
3) Fontana non pretese dal cognato i restanti 25 mila camici previsti dal contratto, che invece Dini voleva vendere a una Rsa, privando così medici e infermieri di protezioni fondamentali per l’emergenza.
4) Fontana ha mentito al Consiglio regionale e all’opinione pubblica, giurando di non aver “saputo nulla della procedura” e di non esservi “mai intervenuto in alcun modo”: invece sapeva tutto dall’inizio (lo informò subito il suo assessore Raffaele Cattaneo) e intervenne fino alla fine: prima favorendo la ditta di famiglia e poi, una volta smascherato, tentando di coprire le tracce del suo mega-conflitto d’interessi.
5) Nel vano tentativo di difendere il suo indifendibile sgovernatore, Salvini attacca la Procura col refrain berlusconian-renziano della “giustizia a orologeria” (senza spiegare quali sarebbero gli eventi elettorali influenzati dall’indagine, visto che siamo a fine luglio).
Ps. Annunciando querela, Fontana ci accusò di pubblicare “fatti volutamente artefatti per raccontare una realtà che semplicemente non esiste”. Attendiamo a piè fermo le sue scuse.

sabato 25 luglio 2020

Su Luna e Marte cavità naturali per ospitare future basi.

Il radar italiano Sharad ha ricostruito in 3D la rete di canali nascosta sotto la superficie di Marte (fonte: NASA) © Ansa
Il radar italiano Sharad ha ricostruito in 3D la rete di canali nascosta sotto la superficie di Marte (fonte: NASA)

Cavità naturali scavate dalla lava e lunghe fino a 40 chilometri sulla Luna e Marte potrebbero essere luoghi ideali per ospitare future basi abitate dall'uomo. Le ha scoperte la ricerca italiana pubblicata sulla rivista Earth-Science Reviews e condotta dalle università di Bologna e di Padova. Cavità simili, chiamate 'tubi di lava', "esistono non solo sulla Terra, ma nel sottosuolo della Luna e di Marte, i cui pozzi di accesso in superficie sono stati ripetutamente osservati nelle immagini ad alta risoluzione fornite dalle sonde interplanetarie", ha detto Francesco Sauro, del dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell'università di Bologna e direttore dei corsi Caves e Pangaea dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa).
Coordinatore della ricerca con il geologo planetario Riccardo Pozzobon, del Dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova, Sauro ha detto inoltre che la presenza dei tubi di lava "è evidenziata da allineamenti sinuosi di cavità e collassi nei tratti in cui la volta della galleria ha ceduto" e che "questi collassi, di fatto, costituiscono potenziali ingressi o finestre sul sottosuolo".. Formazioni simili sono state esplorate, sulla Terra, nelle Hawaii, nelle Canarie, in Australia e Islanda.
Confrontando le immagini del suolo di Luna e Marte riprese dai satelliti , i ricercatori hanno scoperto che rispetto ai "tubi" terrestri, che raggiungono un diametro compreso fra 10 e 30 metri, le dimensioni dei condotti aumentano di 100 volte su Marte e di 1.000 volte sulla Luna: un impressionante aumento di dimensioni dovuto alla minore gravità e ai suoi effetti sull'attività vulcanica.
Secondo Pozzobon "condotti di tali dimensioni possono raggiungere lunghezze superiori ai 40 chilometri, fornendo così spazio a sufficienza per ospitare intere basi planetarie per l'esplorazione umana della Luna: cavità talmente enormi da arrivare a contenere il centro storico della città di Padova".
I tubi di lava proteggono inoltre dalle radiazioni cosmica e solare, riparano dai micrometeoriti e offrono un ambiente a temperatura controllata, non soggetta a variazioni tra notturne e diurne.
Le agenzie spaziali stanno mostrando crescente interesse per le grotte planetarie e i tubi lavici in vista delle future missioni umane su Luna e Marte, hanno rilevato infine i ricercatori, per i quali "tutto questo rappresenta un cambio di paradigma nella futura esplorazione spaziale

“Fuori chi sgarra, Salvini lo sa” S’indaga sulla regìa della Lega. - Vincenzo Iurillo e Antonio Massari

“Fuori chi sgarra, Salvini lo sa” S’indaga sulla regìa della Lega

Diasorin - I pm acquisiscono i messaggi del deputato Grimoldi. Così boicottavano il sindaco che fece in autonomia altri test anti-Covid.
“Ti avviso, sentito anche Salvini: il primo che fa sponda con il miserabile di Robbio – che ho sentito con le mie orecchie aver attaccato regione nel momento più difficile – è fuori dal Movimento”. È questo il messaggio inviato dal deputato della Lega, Paolo Grimoldi, all’ex consigliere regionale leghista, Lorenzo Demartini. Il messaggio rivelato dal Fatto ieri è stato acquisito dalla Procura di Pavia che sta indagando sui test sierologici affidati dalla Fondazione San Matteo alla multinazionale Diasorin ed è entrato quindi negli atti dell’indagine. Il Fatto è in grado di rivelarne il contenuto integrale che smentisce la versione fornita ieri da Grimoldi, che ci ha negato l’esistenza: “Assolutamente falso: ho tutti i messaggi!”. Il “miserabile” in questione è il sindaco di Robbio, Roberto Francese, che in aprile decide di utilizzare i test sierologici disponibili sul mercato senza aspettare quelli targati Diasorin in corso di validazione alla Fondazione San Matteo. E proprio grazie a questi test, Francese riesce a mappare il suo territorio, scoprendo circa 160 positivi al Covid-19. Il suo comportamento non garba però alla Lega, perlomeno a Grimoldi, che in Lombardia ha un grande peso. Al punto che il deputato, nel messaggio in questione, lo definisce un “miserabile” e scrive a Demartini che chiunque si schieri con Francese è destinato – “sentito anche Salvini” – a essere messo fuori dal partito.
C’è un motivo per il quale questo messaggio, insieme ad altri, è stato acquisito agli atti dell’indagine: la Procura di Pavia e la Guardia di Finanza, delegata per le indagini, ritengono – sulla base delle dichiarazioni di alcuni sindaci, a partire da Francese – che vi siano stati “atteggiamenti a dir poco ostruzionistici nei loro confronti da parte di esponenti politici regionali della Lega Nord” e intendono “fare luce sui legami politici che possono aver influito sulla scelta del contraente”, ovvero della Diasorin, per i test sierologici in Lombardia. Gli investigatori vogliono capire se, dietro questa serie di elementi, vi sia stata una vera e propria regia leghista.
La Procura di Pavia procede infatti per peculato e turbata libertà della scelta del contraente e l’inchiesta conta otto indagati, tra i vertici della Fondazione San Matteo di Pavia e Diasorin. Si contesta la regolarità della procedura con cui la Fondazione dell’ospedale pavese e l’azienda piemontese hanno deciso di sviluppare insieme un innovativo test sierologico per la ricerca degli anticorpi neutralizzanti al Sars-Cov 2 (il progetto “Immuno”), e i termini dell’accordo in base al quale la Fondazione avrebbe ottenuto una royalties dell’1 per cento sulle vendite future del kit diagnostico Diasorin, del quale la Regione Lombardia si è poi approvvigionata ordinandone 500mila pezzi, senza gara, a 4 euro l’uno. I finanzieri e la Procura – ma questo filone non vede ancora nessun indagato né ipotesi di reato – vogliono “far luce” sui rapporti commerciali – per circa 2,5 milioni di euro dal 2018 a oggi – tra Diasorin e la Fondazione Insubrico che, a sua volta, controlla la società Servire srl, dove nel cda appare il leghista Andrea Gambini.
Per quanto riguarda la gara, invece, secondo i pm, il laboratorio di virologia diretto dal professor Fausto Baldanti non si sarebbe limitato a validare un prodotto finito ma avrebbe messo a disposizione mezzi, uomini e know how per sviluppare un progetto dell’azienda privata. Dunque la procedura sarebbe stata sottratta alle norme del libero mercato – il partner in questo caso andava scelto con una evidenza pubblica – e il privato si sarebbe appropriato di risorse pubbliche. Di qui l’accusa di peculato. Ieri Diasorin – ribadendo la legittimità e correttezza del proprio operato “e ricordando che di recente il Consiglio di Stato ha confermato la validità dell’accordo” – ha annunciato di voler sospendere tutte le nuove attività di sperimentazione clinica con enti pubblici italiani “sino a quando non saranno ristabilite le necessarie condizioni di certezza giuridica in materia”. La sentenza amministrativa riguarda il ricorso dell’impresa concorrente Technogenetics.
ll Fatto può rivelare che il 3 marzo, con una mail del direttore tecnico, Technogenetics contattò Baldanti per proporgli di collaborare a un test sierologico dell’azienda lodigiana. La email sarebbe rimasta senza risposta. L’episodio non combacia con la ricostruzione fatta ieri al Fatto dal presidente del San Matteo, Alessandro Venturi, sul perché non abbiano valutato altre offerte per la validazione del test sierologico: “Perché nessuno ce l’ha chiesto – ci ha risposto Venturi – altrimenti l’avremmo fatto”.

L’ex capo di Aria ieri in Procura: “È collaborativo”. - Gianni Barbacetto

L’ex capo di Aria ieri in Procura:  “È collaborativo”

Ha un atteggiamento “costruttivo”, Filippo Bongiovanni, di fronte ai magistrati che ieri mattina lo hanno a lungo interrogato. Bongiovanni è l’ex direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia, che compra tutti i beni e i servizi che servono per le strutture regionali. È indagato, insieme ad Andrea Dini, cognato del presidente della Lombardia Attilio Fontana, per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente. La vicenda è quella ormai famosa della fornitura di camici, copricapi e calzari sanitari da impiegare negli ospedali durante l’emergenza Covid-19: un affidamento diretto, senza gara, del valore di oltre mezzo milione di euro, alla Dama spa, società controllata dal cognato di Fontana e di cui la moglie del presidente lombardo, Roberta Dini, detiene il 10 per cento. Una fornitura in conflitto d’interessi, dunque, avviata il 16 aprile 2020 e consolidata con regolari fatture emesse dalla Dama spa a partire dal 30 aprile. La situazione ha però una svolta nel mese successivo, dopo che un giornalista della trasmissione televisiva Report comincia a fare domande sull’operazione: il 20 maggio la fornitura da 513mila euro viene trasformata in donazione, e le fatture sono di fatto cancellate da note di storno.
Ieri Bongiovanni, ex ufficiale della Guardia di finanza (“Sono stato in divisa per 26 anni e 22 giorni”) è arrivato a palazzo di Giustizia accompagnato dall’avvocato Domenico Aiello (lo stesso che difende l’ex presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni in tutte le sue vicende giudiziarie). È stato interrogato per tre ore dai pm che indagano sulla vicenda camici, Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. L’interrogatorio è avvenuto al quarto piano del palazzo di giustizia, in una stanza vicina a quella del procuratore della Repubblica Francesco Greco, il quale ha disposto che i cronisti non potessero accedere al corridoio dov’era in corso l’atto d’indagine.
Ha spiegato, Bongiovanni. Ha raccontato meticolosamente tutti i passaggi della fornitura trasformata in donazione, ha ricostruito con atti e documenti i passaggi della procedura. Ha voluto spiegare lo stato d’emergenza in cui Aria e Regione Lombardia si sono trovate a operare nelle settimane più drammatiche della pandemia. Ci ha tenuto a sottolineare l’impegno con cui le strutture regionali hanno cercato di far fronte all’emergenza. Oggi Bongiovanni è dimissionario, ha lasciato il suo posto dentro Aria ed è convinto di riuscire a spiegare ai magistrati e agli ex colleghi della Guardia di finanza il suo ruolo nella vicenda degli 82mila camici e altro materiale di protezione cercati affannosamente nei giorni in cui la Lombardia era bloccata dal lockdown, le terapie intensive erano sovraffollate e il virus diffondeva il contagio e mieteva morti. Poi toccherà a Fontana chiarire il suo ruolo nella vicenda.
La Regione Lombardia del presidente Fontana e dell’assessore al Welfare e sanità Giulio Gallera è sotto osservazione e sotto inchiesta anche per altre storie. 
Dalle donazioni per l’inutilizzato ospedale Covid in Fiera ai troppi morti nelle residenze per anziani, dalla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo alla scelta della società Diasorin come partner unico per i test sierologici.

Moesch & Chandon. - Marco Travaglio

Politica e economia: l'assenza della cultura laica - Conversazione ...
Giuseppe Moesch

Nella pochade del compianto giudice Amedeo Franco, che prima condanna B. a 4 anni per frode fiscale insieme a quattro colleghi della sezione Feriale della Cassazione, poi firma tutte e 208 le pagine delle motivazioni, infine va a casa del suo condannato a dirgli che lui non voleva ma fu costretto dai quattro cattivoni del “plotone di esecuzione pilotato da molto in alto”, irrompe un nuovo personaggio da vaudeville francese: Giuseppe Moesch. L’ha scovato, o ne è stato scovato, Alessandro Sallusti che l’ha intervistato sul Giornale presentandolo come “amico fraterno di Franco, professore di Economia applicata, vasta esperienza all’estero”, già “nella squadra di giovani talenti che affiancava Giovanni Spadolini presidente del Consiglio”. Gli manca solo il Nobel. Dell’unica novità emersa negli ultimi giorni – i tentativi di Franco di registrare i colloqui in camera di consiglio, per legge segretissimi – dice: “Mai saputo nulla”. Dunque l’intervista dovrebbe chiudersi qui, invece qui comincia e prosegue per ben due pagine. Uno spasso. Moesch nulla sa del registratore attivato da “Dedi”, ma non ha dubbi che “se Dedi l’ha fatto è la prova di quanto fosse turbato per trovarsi coinvolto in un plotone di esecuzione”.
Cioè: siccome era turbato, violò la legge mentre giudicava gli altri. E mica solo per quello: l’“amico fraterno”, pensando di far cosa gradita, gli attribuisce una seconda scorrettezza: “ben prima del suo coinvolgimento diretto nel processo, essendo un grande esperto di questioni tributarie, si era fatto l’idea che non ci fossero i presupposti per una condanna, cosa del resto poi confermata da una sentenza del tribunale civile di Milano”. Naturalmente la sentenza civile dice tutt’altro (tratta di diritti Mediatrade e non Mediaset, cioè fatti diversi e successivi), e comunque una sentenza di primo grado, per giunta civile, non può cancellarne una penale e definitiva della Cassazione conforme a ben due giudizi di merito. Ma soprattutto: se Franco, prima del processo, “si era fatto l’idea” che andasse assolto e per giunta l’aveva confidato all’amico anticipando il giudizio, doveva astenersi dal processo. Art. 36 Codice di procedura penale: “Il giudice ha l’obbligo di astenersi… se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie”. Invece, sebbene fosse dichiaratamente prevenuto, restò addirittura come relatore. Ma più l’amico fraterno tenta di riabilitarlo e più lo sputtana. Infatti rivela una terza grave infrazione: prima di spifferare i segreti della camera di consiglio al suo condannato B. (quarta scorrettezza), Dedi li spiattellò a lui.
Addirittura prima della sentenza, fra un’udienza e l’altra: “Da subito mi aveva confidato il dissenso con gli altri magistrati del collegio, che sembravano prevenuti, come se la sentenza fosse già decisa prima”. Ma l’unico che l’aveva già decisa prima era lui: sognava di far parte di un plotone di assoluzione, ma gli andò buca. Gli confidò anche che “non c’era motivo di accelerare il giudizio della Cassazione incardinando il fascicolo nella sessione feriale di agosto invece che in quella naturale in autunno. Da subito gli sembrò una forzatura sospetta”. Talmente sospetta che, a spedire d’urgenza il fascicolo su B. alla Feriale, di cui faceva parte anche Franco, per l’imminente prescrizione, era stata la III sezione, di cui uno dei presidenti era Franco. Resta il mistero del perché, se era così innocentista, non verbalizzò il suo dissenso (come prevede la legge) in busta chiusa allegata alla sentenza, che invece firmò pagina per pagina insieme ai quattro del plotone di esecuzione. Ma qui Moesch si supera: “Io gli consigliavo di fare una relazione di minoranza (testuale, ndr) o di non firmare”, ma lui “era prigioniero della sua rigidità”, della “ragione di Stato”, del “senso del dovere”. Un po’ come “la protagonista del romanzo La scelta di Sophie, la donna che rinchiusa in un campo di concentramento ha la possibilità di salvare solo uno dei figli, ma non riesce a decidere quale e questa maledizione la perseguiterà per tutta la vita”. Pare di vederlo, il povero ostaggio Dedi, scheletrito, emaciato, piegato e piagato dal lungo digiuno nelle segrete del Palazzaccio e dalle sevizie inflitte dai quattro colleghi-aguzzini armati di elettrodi, acqua e sale e mazze ferrate, che firma con mano malferma le 208 pagine per porre fine ai patimenti e ottenere un bicchier d’acqua.
Ecco perché poi andò da B. a scusarsi: “venne fuori la sua anima cattolica e liberale” e lo spinse a “liberarsi di questo peso”, a “espiare il peccato” e a “confessarsi dalla vittima” (i cattolici si confessano dal prete, ma fa lo stesso). Forse accecato dalle lacrime e obnubilato dallo strazio, l’amico fraterno dimentica un dettaglio: a portare il giudice dal suo condannato B. non fu il rimorso, ma l’amico e collega Cosimo Ferri, ex capo di MI, ex membro del Csm, allora sottosegretario alla Giustizia del governo Letta per Forza Italia. Un accompagnatore davvero bizzarro per un giudice che – giura Moesh – “era profondamente disgustato” dalla “giustizia politicizzata” e “irritato e sofferente per la politicizzazione del Csm”. Fossimo nei famigliari di Dedi, rivolgeremmo una preghiera agli amici fraterni: “Grazie del pensiero, ma d’ora in poi astenetevi da ulteriori riabilitazioni: come se avessimo accettato”.

Servono più diritti che tutelino anche le nuove generazioni. - Ugo Mattei

Il professore Ugo Mattei a Rovereto per parlare di crisi ...
Ugo Mattei
Con una breve ordinanza contenente il quesito per una Consulenza tecnica di ufficio, il Tribunale di Torino ha dato una prima veste formale a una straordinaria innovazione istituzionale della nostra giustizia civile. Un avvocato delle generazioni future può adire in via d’urgenza un tribunale civile per ottenere un rimedio nei confronti di comportamenti che, pur autorizzati o posti in essere dalla Pubblica amministrazione, potenzialmente ledano gli interessi dei bambini a un libero sviluppo nel lungo periodo.
Questo principio, per ora implicito alla decisione, pone la giurisprudenza italiana in linea con i più avanzati orientamenti internazionali che, dall’Olanda all’Oregon, stanno cercando di dare soggettività giuridica a chi ancora non c’è, attivandosi per impedire che le scelte che noi oggi compiamo come specie compromettano le possibilità di chi ancora deve nascere e crescere. Mentre tuttavia all’estero la questione è stata decisa (a favore delle generazioni future) in materia di riscaldamento climatico (climate change litigation), in Italia essa è stata oggi concretamente posta in materia di elettrosmog, una minaccia non meno grave per un futuro sostenibile delle nostra specie.
Quello che stiamo vivendo è un momento topico per il diritto. Esso, come un Giano bifronte, può difendere i beni comuni diventando strumento di uscita virtuosa dalla crisi ecologica che stiamo vivendo, oppure limitarsi a servire il potere nei suoi interessi di breve periodo, incuranti dell’impatto ambientale di lungo periodo nonché della lungolatenza di certe patologie. Sul tema fa il punto il volume di un giovane studioso del diritto e dell’economia Michael W. Monterossi, L’orizzonte intergenerazionale del diritto civile. Tutela, soggettività, azione (Ets, 2020).
La questione sintetizzata dal quesito tecnico della prima sezione civile del Tribunale, emersa dopo due ore di discussione fra avvocati, riguarda lo status presente e futuro di un imponente palo porta-antenne alto 25 metri. Il palo è stato collocato nel cuore del complesso scolastico di Frossasco Torinese, Comune alle porte di Pinerolo, da un consorzio pubblico-privato fra Regione, Città metropolitana, Università, Politecnico, Facebook, Netflix, Cisco Systems, Fastweb e altri colossi privati della tecnologia e dell’economia. Contro la struttura, sulla quale al momento sono state installate due antenne per la trasmissione wi-fi di Internet a banda ultra larga, è insorto un comitato di genitori e insegnanti che, dopo aver invano cercato rassicurazioni attendibili per la salute dei propri figli, bambini fra i 4 e i 13 anni che in quel complesso vivono anche sette ore al giorno, si sono rivolti al Comitato Rodotà (www.generazionifuture.org), che ha presentato il ricorso tramite la propria Cooperativa di mutuo soccorso intergenerazionale, dando legittimazione processuale all’avvocato per le generazioni future. Gli attori chiedono il riconoscimento delle scuole come vere e proprie oasi protette nell’interesse della specie, dove gli umani possano far crescere i propri piccoli liberi da rischi di cui si ignorino le conseguenze di lungo periodo. Il magistrato ha riconosciuto l’urgenza della questione e sta conducendo la prima istruttoria in tempi record, in modo da poter prendere una decisione, arricchita dalle più avanzate conoscenze scientifiche, prima dell’apertura dell’anno scolastico, quando alla fonte di inquinamento elettromagnetico sarebbero esposti centinaia di bimbi.
Nella società tecnologica complessa, un diritto (e una politica) che si ponga solo il problema del qui e adesso non produce giustizia ecologica. Dalle leucemie giovanili ai mesoteliomi di Casale Monferrato, se quarant’anni fa ci fosse stato in Corte l’avvocato delle generazioni future capace di far valere davvero il principio di precauzione, si sarebbero evitate tante tragedie.