sabato 19 settembre 2015

Campania, si dimette presidente Antimafia indagata per voto di scambio mafioso.

Campania, si dimette presidente Antimafia indagata per voto di scambio mafioso

Monica Paolino di Forza Italia si dice "estranea alle vicende" che le vengono contestate dai magistrati di Salerno. Nel mirino della Dda anche il marito, il sindaco di Scafati Pasquale Aliberti (nella foto). A chiedere un passo indietro era stato anche il governatore De Luca.


Ieri la perquisizione in casa. Oggi le dimissioni. Il consigliere regionale di Forza Italia Monica Paolino lascia la presidenza della commissione Anticamorra della Regione Campania dopo l’accusa di voto di scambio politico-mafioso mossa dai magistrati della Dda di Salerno. Nell’indagine sono coinvolti anche il marito, il sindaco di Scafati Pasquale Aliberti, il cognato e alcuni collaboratori.
“Nella consapevolezza di essere assolutamente estranea alle vicende per le quali sono indagata, per il senso alto che ho delle istituzioni, annuncio le mie dimissioni dal presidente della Commissione Anticamorra del Consiglio Regionale della Campania”. Queste le parole con cui Paolino ha lasciato l’incarico in commissione Anticamorra. In una nota il consigliere forzista dice di non conoscere “neppure la specificità dei fatti” e le sue dimissioni sono anche dettate “affinché il lavoro avviato possa proseguire nella massima serenità”. “Ringrazio il partito, i suoi dirigenti e i tantissimi cittadini – sottolinea – che, conoscendomi, mi hanno manifestato la loro solidarietà ed il loro grande affetto. Resto serena e fiduciosa nell’operato della magistratura”.
Paolino, consigliera regionale al secondo mandato, è stata eletta al vertice della commissione agli inizi di agosto. La senatrice del Pd Rosaria Capacchione, giornalista del Mattino che vive sotto scorta per le minacce del clan dei Casalesi, commentò così la scelta: “Nomina quantomeno surreale. Un po’ come mettere un piromane a capo dei Vigili del fuoco. Adesso attendiamo solo quella di Dracula a presidente dell’Avis”.
A chiedere un passo indietro a Paolino è stato anche il governatore Pd Vincenzo De Luca: “In relazione alla vicenda giudiziaria di Monica Paolino si rileva che son trascorse 24 ore. È doveroso attendersi e sollecitare le immediate dimissioni da presidente della Commissione Consiliare Anticamorra e Beni Confiscati a tutela della persona interessata ed a tutela della dignità dell’Istituzione”.

Regione, c'è l'accordo: l'Ncd entra nella maggioranza con Pd e Udc. Aperta l'ipotesi rimpasto.

Sicilia, Politica

La decisione di Ncd di appoggiare la maggioranza e le sue riforme è emersa durante la riunione del gruppo, che si è svolta martedì nei locali dell'Ars.
PALERMO. Ncd entra nella maggioranza che sostiene il governo di Rosario Crocetta in Sicilia. Il 'patto politico per le riforme' è stato sancito nel corso di un incontro a Palermo tra i dirigenti di Pd, Udc e Ncd. E "ha l'obiettivo - spiega in una nota il gruppo del Pd all'Assemblea - di armonizzare il quadro politico siciliano con quello nazionale, per un positivo rapporto tra la Sicilia e lo Stato".
Si dà vita dunque "ad una intesa politica di consultazione permanente sui problemi della Sicilia e per un proficuo rapporto di collaborazione fra la Regione e il governo nazionale, a partire dalle prossime leggi finanziarie regionali e nazionali". Durante l'incontro, prosegue la nota del Pd, "non si è discusso dell'assetto della giunta regionale, avendo preso atto della posizione del Ncd, già nota", con il partito di Alfano che, per bocca di diversi dirigenti siciliani, si è mostrato scettico o contrario a un ingresso nella giunta Crocetta.
Risanamento finanziario, gestione della spesa comunitaria, riforma della burocrazia e semplificazione amministrativa, politiche sociali e welfare, servizi pubblici locali sono i punti principali di un programma di riforme strutturali condivise da Pd, Udc e Ncd "da portare avanti all'Ars", discussi questa mattina dai vertici regionali. A conclusione, i vertici di Udc e Ndc hanno inoltre deciso di avviare la costituzione di un intergruppo parlamentare 'Udc-Ncd per Area popolare', funzionale alla successiva costituzione di un gruppo unico all'Ars, così come positivamente sperimentato in Parlamento: un percorso propedeutico alla nascita di una formazione che possa rafforzare la rappresentanza politica dei moderati.
La decisione di Ncd di appoggiare la maggioranza e le sue riforme è emersa durante la riunione del gruppo, che si è svolta martedì nei locali dell'Ars, alla presenza dei coordinatori regionali del Nuovo Centro Destra, Giuseppe Castiglione e Francesco Cascio, insieme con il responsabile nazionale per gli Enti locali, Dore Misuraca.
"Apertura nei confronti del Pd sui temi delle riforme e dei problemi dell'Isola - fa sapere il Nuovo centro destra -, con particolare riguardo al risanamento finanziario, alla crescita e all'occupazione lavorativa, ai servizi pubblici locali (energia, gestione dei rifiuti e servizio idrico integrato), accelerazione della costituzione effettiva di Area Popolare, con la futura unificazione dei gruppi parlamentari così come già fatto a Roma".
Dore Misuraca ha inoltre assicurato impegno e vigilanza poiché: "Non vi può essere uscita reale dalla crisi economica né sviluppo nazionale senza sostegno al Mezzogiorno. La crescita nazionale è indissolubilmente legata a quella del Meridione d'Italia, alla Sicilia". Il gruppo parlamentare ha dato mandato ai coordinatori regionali per un incontro con i vertici isolani del Pd e dell'Udc.

venerdì 18 settembre 2015

Due buchi neri in rotta di collisione.

Rappresentazione artistica dei due buchi neri in rotta di collisione nella costellazione della Vergine (fonte: P. Marenfeld/NOAO/AURA/NSF)Rappresentazione artistica dei due buchi neri in rotta di collisione nella costellazione della Vergine (fonte: P. arenfeld/NOAO/AURA/NSF)


Accadrà fra 100.000 anni, a 3,5 miliardi di anni luce dalla Terra.


E' in uno sfarfallio di luce l'indizio dell'inevitabile scontro tra due buchi neri in 'rotta' di collisione. Di questa catastrofe cosmica che avverra' a 3,5 miliardi di anni luce dalla Terra, nella costellazione della Vergine, non potremo che osservare qualche 'lampo', visto che il violentissimo scontro avverra' solo fra 100.000 anni.

La scoperta, della Columbia Univeristy di New York, e' pubblicata sulla rivista Nature e potrebbe rivelare le inafferrabili onde gravitazionali, 'increspature' dello spazio tempo previste dalla teoria della relativita' che si genererebbero in occasione di eventi molto violenti, proprio come lo scontro tra due buchi neri.
"Identificare le onde gravitazionali - ha spiegato uno dei coordinatori della ricerca, Daniel D'Orazio - permetterebbe di svelare i segreti della gravita' e di testare la validita' della teoria di Einstein".

E' ormai accertato che al centro di gran parte delle galassie si trovi un buco nero. Questi 'mostri cosmici' si alimentano inglobando tutto cio' che li circonda: polveri, gas e perfino galassie e buchi neri piu' piccoli. Tuttavia osservarli e' quasi impossibile perche' neanche la luce riesce a sfuggire dalla loro potente attrazione gravitazionale. 
E' possibile pero' riconoscere le tracce dei loro 'pasti' nei quasar, potenti emissioni di radiazioni emesse dai materiali in caduta all'interno del buco nero. Queste emissioni sono generalmente casuali, ma analizzando il segnale della quasar PG 1302-102 i ricercatori hanno osservato uno strano 'sfarfallio'.

Seguendo questo indizio hanno scoperto che PG 1302-102 e' in realta' una coppia di buchi neri molto vicini tra loro: sono distanti appena una settimana-luce, ossia circa 180.000 milioni di chilometri e il loro impatto avverra' tra circa 100.000 anni.


http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/spazioastro/2015/09/17/due-buchi-neri-in-rotta-di-collisione_a5d3c641-4d32-4841-b395-af8299529cdb.html




Due buchi neri al centro del quasar più vicino alla Terra. - Mario Di Martino


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Due buchi neri supermassicci sono stati scoperti nella regione centrale nel nucleo luminosissimo di una galassia vicina.

Un quasar (da QUASi-stellAR radio source, radiosorgente quasi stellare) non è altro che il nucleo di una galassia estremamente luminoso. Il nome deriva dal fatto che questi oggetti, la cui natura è stata controversa fino ai primi anni ‘80, furono inizialmente scoperti come potenti sorgenti radio, la cui controparte ottica risultava puntiforme e del tutto simile a quella di una stella. Si tratta di nuclei di galassie molto distanti, che emettono una quantità di energia equivalente a quella di centinaia di galassie normali.

PICCOLI MA POTENTISSIMI. Nonostante la loro enorme luminosità, le dimensioni dei quasar sono confrontabili con quelle del Sistema Solare, e comunque non sono più grandi di pochi anni luce. Un altro aspetto caratteristico di questi oggetti è che emettono grandi quantità di energia su tutte le lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico, dai raggi gamma, ai raggi X, ai raggi ultravioletti, al lontano infrarosso e, per circa il 10% dei quasar noti, fino alle frequenze radio.


Immagine del quasar Markarian 231, distante dalla Terra circa 581 milioni di anni luce, ripresa dal telescopio spaziale Hubble. | STSCI/AURA

LA DANZA DEI MOSTRI. L’oggetto di cui parliamo qui non è un quasar qualunque, ma uno nella cui regione centrale sono stati scoperti due buchi neri supermassicci che orbitano attorno al comune centro di gravità. Si tratta del quasar noto come Markarian 231 (Mrk 231) ed è il più vicino alla Terra di tutti i circa 200.000 oggetti di questo tipo finora conosciuti. Dista infatti da noi “soltanto” 581 milioni di anni luce.

La scoperta è stata fatta utilizzando il telescopio spaziale Hubble e l’analisi dei dati suggerisce che questi sistemi binari potrebbero essere molto comuni nei nuclei galattici attivi, essendo il risultato di violente fusioni tra galassie. La coppia genera una grande quantità di energia che rende il nucleo della galassia ospite tanto luminoso da essere paragonabile all’energia emessa da miliardi di stelle.
UNA SCOPERTA INDIRETTA. I due buchi neri non sono stati osservati in maniera diretta, ma la loro presenza è stata dedotta grazie ai risultati di un modello messo a punto sulla base dell’analisi della radiazione ultravioletta emessa da Mrk 231.

Se nella regione centrale del quasar, infatti, esistesse un solo buco nero, l'intero disco di accrescimento circostante, costituito da gas caldo e polveri che spiraleggiano vorticosamente prima di essere fagocitati da questi “mostri celesti”, avrebbe emesso una intensa radiazione nella banda ultravioletta. L’emissione ultravioletta, invece, diminuisce bruscamente verso il centro del sistema, come se il disco fosse in realtà a forma di ciambella.
Uno spettacolare scontro tra galassie
VAI ALLA GALLERY (4 FOTO)

La migliore spiegazione per i dati rilevati, basata su modelli dinamici, suggerisce che la parte centrale del disco sia stata “scavata” dall’azione di due buchi neri che orbitano uno intorno all’altro. Il più piccolo della coppia, inoltre, sembra possedere un proprio mini-disco.

DAVIDE E GOLIA. Il buco nero centrale ha una massa stimata in circa 150 milioni di volte quella del Sole, mentre quella del compagno è pari a "soltanto" 4 milioni di masse solari. I due oggetti compiono un’orbita attorno al comune baricentro in 1,2 anni. Si ritiene che il buco nero più piccolo sia ciò che rimane di una precedente fusione tra un’altra galassia e Mrk 231, che ha trasformato quest’ultima in una “galassiastarburst”, cioè in una galassia in cui il tasso di formazione stellare è circa 100 volte superiore a quello attuale della Via Lattea.

Illusioni celesti.

UNA SEQUENZA DI FUSIONI. L’evoluzione dell’Universo è caratterizzata dalla fusione di sistemi più piccoli in sistemi più grandi e i buchi neri binari sono una conseguenze naturale di questi processi. Anche i due buchi neri appena scoperti, nel corso del tempo, si scontreranno e si fonderanno per formare un unico buco nero supermassiccio centrale.

http://www.focus.it/scienza/spazio/la-danza-di-due-buchi-neri-al-centro-del-quasar-piu-vicino-alla-terra

Scoperta negli Stati Uniti la proteina che rigenera il cuore dopo l'infarto.

Scoperta negli Stati Uniti la proteina che rigenera il cuore dopo l'infarto


I test effettuati su topi e maiali dimostrano che la follistatina-like 1 "ripara" i danni subiti da tessuti e muscolo cardiaco.

 - Esiste una proteina che ripara il cuore e rigenera i tessuti dopo un infarto: si chiama follistatina-like 1 (FSTL1) e su topi e maiali si è rivelata capace di stimolare la formazione di nuove cellule del muscolo cardiaco. La scoperta, effettuata dai ricercatori americani dell'Università di Stanford e descritta sulla rivista Nature, potrebbe aprire una nuova pagina nella cura dell'infarto e degli attacchi cardiaci.
Il cuore dei mammiferi non è infatti capace di auto-ripararsi completamente dopo una grave perdita di cellule del cuore, dette cardiomiociti, che si registra con l'insorgenza di un infarto. E fino ad oggi la comunità scientifica aveva scoperto poco o nulla sui fattori che limitano la rigenerazione delle cellule del muscolo cardiaco.

Lo studio statunitense, però, è riuscito a dare una spinta decisiva alla ricerca. Negli individui sani la proteina "miracolosa" si trova sull'epicardio, la membrana che circonda la parete del cuore. In seguito a infarto, invece, se ne perdono completamente le tracce. Utilizzando una sorta di cerotto bio-ingegnerizzato, che imita il tessuto dell'epicardio e funziona come una "riserva" di proteina FSTL1 negli animali infartuati, i ricercatori hanno osservato la crescita delle cellule del muscolo del cuore, nonché il miglioramento delle funzioni cardiache. Che tradotto significa sopravvivenza.


Leggi anche: 

Isola di Disko, Groenlandia. - Evasio Catalano



Sembra uno di quei paesini usciti da una favola ed invece esiste davvero. Siamo in #Groenlandia, precisamente nell'isola di Disko.
La conoscevate?
 


https://www.facebook.com/mondoaeroporto/photos/a.389887389423.165822.54040324423/10153576036719424/?type=1&theater

LA SEMPLIFICAZIONE CHE COMPLICA. - Francesco Pallante (*)

La semplificazione che complica

Uno dei temi che, in questi anni, ha dominato il dibattito sulle riforme è quello della semplificazione. Il nostro sistema politico, costituzionale, legislativo, amministrativo, burocratico – si dice – è troppo complicato. Occorre introdurre riforme che semplifichino.
Il tema ha una sua forza evocativa. Viviamo in un sistema viziato da duplicazioni, contraddizioni, irragionevolezze ed è difficile rimanere insensibili alle sirene di una parola come “semplificazione”, sebbene abbia risvolti demagogici (valga per tutti Calderoli che, da ministro, incendia una catasta di vecchie leggi) e ideologici (le regole intese come pericolosi limiti alla libertà naturale dell’uomo) piuttosto evidenti.
Ieri si diceva: semplifichiamo il tipo di Stato, avvicinando le istituzioni ai cittadini tramite il federalismo. Com’è andata a finire? Lasciamo perdere gli scandali; limitiamoci agli effetti istituzionali del nuovo Titolo V. Ha semplificato o complicato il sistema? Un dato vale più di molti discorsi: nel 2001, l’anno della riforma, il contenzioso tra Stato e regioni aveva originato trentatré questioni di costituzionalità; due anni dopo le contese erano salite a cinquantasette; nel 2013 erano giunte a centoquarantanove. Ancora oggi siamo ben oltre i dati del 2000. Ciò che prima era un contenzioso fisiologico, nel quadro di un riparto di competenze sostanzialmente chiaro, è diventato il patologico strumento attraverso cui chiarire chi fa cosa, in un quadro d’incertezza senza pari.
Oggi di dice: semplifichiamo la forma di governo, eliminando quell’inutile istituto che è il bicameralismo perfetto. Riduciamo le competenze del Senato – è l’argomento – e l’intero sistema ne trarrà beneficio: niente più complicazioni derivanti dalla doppia lettura, niente più rischio di incontrollati “rimbalzi” da una Camera all’altra, niente più ritardi nei processi decisionali. Si potrebbe replicare, dati alla mano, che la duplicazione del procedimento è l’eccezione, non la regola: normalmente, la seconda Camera si limita a ratificare in tempi ragionevoli le decisioni della prima. E poi, mentre una Camera lavora su un progetto di legge, non è che l’altra stia lì a far niente: nel medesimo frangente lavora su un diverso progetto e ciò assicura un’accelerazione, non un rallentamento, dei tempi (non è un sofisticato ragionamento di diritto costituzionale, così come non serve un idraulico per capire che due tubi scaricano l’acqua più in fretta di uno).
Ma, prendiamo sul serio la sfida dei riformatori e andiamo a verificare come immaginano di semplificare il sistema.
L’articolo 70 della Costituzione in vigore è lapidario: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Nove parole, comprensibili da chiunque. La versione “semplificata” del nuovo testo costituzionale non è agevolmente riproducibile: ammonta a 432 parole (più o meno quante ne sono servite per arrivare fino a qui). Sorvoliamo: in fondo non è detto che quantità e qualità vadano di pari passo.
Ma, che dire dell’abuso dei rimandi interni? In molti casi, nel disciplinare la procedura di adozione di determinate leggi, anziché, per esempio, “le leggi in materia di autorizzazione alla ratifica dei trattati europei” è scritto: “le leggi di cui all’articolo 80, secondo periodo”, come se chiunque potesse agevolmente cogliere il rinvio. Si tratta di una tecnica sconsigliata da tutti i manuali di legistica, che i costituenti avevano accuratamente evitato di utilizzare. Ne va della comprensibilità del testo. La Costituzione – si diceva – non è un regolamento di condominio; tutti devono poterla leggere e capire con facilità. Del nuovo articolo 70 non si riesce nemmeno ad arrivare al primo punto fermo senza riprendere fiato, figurarsi dare un senso alla decina di rimandi che contiene. Ma, sorvoliamo ancora: magari la nuova regola è scritta male, però poi, all’atto pratico, prevede una procedura che effettivamente semplifica l’attuale bicameralismo perfetto.
Vediamone, allora, il contenuto.
Se passasse la riforma, non avremmo più un solo procedimento legislativo, ma occorrerebbe distinguere tra:
  1. leggi approvate, come oggi, da entrambe le Camere;
  2. leggi approvate solo dalla Camera, salvo il Senato decida entro dieci giorni di esaminarle e di approvare, entro ulteriori trenta giorni, proposte di modifica su cui deciderà, poi, in via definitiva la Camera;
  3. leggi approvate solo dalla Camera, salvo il Senato decida entro dieci giorni di esaminarle e di approvare, entro ulteriori dieci giorni, proposte di modifica su cui deciderà, poi, in via definitiva la Camera;
  4. leggi approvate solo dalla Camera, salvo il Senato decida entro dieci giorni di esaminarle e di approvare a maggioranza assoluta, entro ulteriori dieci giorni, proposte di modifica su cui deciderà, poi, in via definitiva la Camera sempre a maggioranza assoluta;
  5. leggi approvate solo dalla Camera a maggioranza assoluta, salvo il Senato decida entro dieci giorni di esaminarle e di approvare, entro ulteriori quindici giorni, proposte di modifica su cui deciderà, poi, in via definitiva la Camera.
Semplificazione Da un solo procedimento, si passerebbe a cinque. E, in quasi tutti, le possibili letture parlamentari salirebbero da due a tre.
Non sembra difficile, inoltre, immaginare una nuova ondata di contenzioso costituzionale, questa volta tra Camera e Senato, in ordine al tipo di procedimento da seguire nei diversi casi (in proposito, il nuovo articolo 70 si limita a prevedere che i presidenti delle Camere decidono, di comune intesa, sui conflitti di competenza: ma, chi assicura che l’intesa sia effettivamente raggiunta?).
Vien da dire che avesse già capito tutto Montesquieu, quando scriveva che “nel momento in cui un uomo si fa signore assoluto, pensa innanzi tutto a semplificare le leggi” (Esprit des Lois, VI, II).
(*) Francesco Pallante fa parte del Consiglio di Direzione di Libertà e Giustizia

QUELLI DEL SÌ E QUELLI DEL NO. - Elisabetta Rubini

Quelli del sì e quelli del no

Negli ultimi giorni il presidente del consiglio si è (nuovamente) esibito in una serie di anatemi contro i suoi ormai usuali nemici di comodo. Davanti al blasonato pubblico dell’incontro di Cernobbio ha tuonato contro i “salotti buoni”, mentre al festival dell’Unità a Milano ha riproposto la divisione degli italiani tra i buoni – quelli del sì – e i cattivi – quelli del no.
Mentre non è chiaro ormai a cosa si riferisca la vetusta espressione “salotti buoni”, che finita l’era di Mediobanca non pare avere concreti riferimenti nel paese, è invece chiarissimo con chi se la prende Renzi nella contrapposizione tra quelli del sì e quelli del no.
I primi si identificano con coloro i quali, nell’immaginario del presidente del consiglio, aderiscono entusiasti alla via del cambiamento tracciata da lui medesimo, senza opporre inutili obiezioni o sollevare sgraditi dubbi.
I secondi, va da sé, sono invece coloro i quali obiettano, distinguono, criticano e, così facendo, dimostrano un’attitudine deplorevolmente recalcitrante rispetto alle luminose prospettive indicate dal governo.
Sono quelli che, anziché inghiottire contenti le “riforme” – qualsiasi cosa voglia dire questo termine, che ha smarrito ogni aggancio a precisi dati di realtà – pretendono di dire la loro, di suggerire alternative, di invocare (addirittura!) superiori competenze. Sono, insomma, i “gufi”, anzi meglio: i “gufi laureati”! espressione di nuovo conio varata a Milano e che avrà sicura fortuna presso gli estimatori del tirar dritto.
Nel suo evidente tentativo di ipersemplificare i conflitti e le complessità della vita associata, il presidente del consiglio sembra avviato verso l’utilizzo di un linguaggio sempre più smaccatamente populista: da un lato, i “salotti buoni”, in cui oscuri potenti tramano contro di lui, vengono evocati allo scopo di sollecitare la solidarietà del “popolo”, dei piccoli imprenditori, della classe media. Dall’altro, una falange di “sapientoni” sempre ostili, che antepongono i loro privilegi al bene del paese, sono dipinti per tirare dalla propria parte i “semplici”, per far apparire le opposizioni come minoritarie e passatiste. Alle quali si contrappongono i fiduciosi, i progressivi, i sani.
Quante volte in tragiche vicende del passato si è dovuto assistere a questo utilizzo sconsiderato del linguaggio per screditare chi la pensa diversamente, per costruire artificiose alleanze contro nemici immaginari?
E’ un linguaggio umiliante, per chi lo usa e per i cittadini che ne sono involontari destinatari; i quali vengono interpellati non come cittadini pensanti ma come “pubblico” suggestionabile mediante vaghe parole d’ordine e la creazione di barriere tra chi la pensa come il capo e chi invece no. In un mondo complesso e su temi ardui come il funzionamento della democrazia, nessuno ha la risposta giusta in tasca e tutti – “sapientoni” per primi – devono essere aperti al confronto. Ma certamente il linguaggio del populismo non è il linguaggio della democrazia.