giovedì 9 aprile 2020

Il “commissario” Renzi. - Antonio Padellaro



Renzi ‘indaga’ tutti tranne i suoi amici industriali.

A Matteo Renzi che invoca commissioni parlamentari d’inchiesta su tutti quelli che gli stanno sulle scatole, ma insiste (lo faceva già in piena epidemia) sulla riapertura delle fabbriche (“chi le tiene chiuse fa perdere quote di mercato e questo significa licenziamenti”) suggeriamo caldamente la visione della puntata di Report (Rai3) di lunedì 6 aprile. Che andrebbe studiata nelle scuole di giornalismo per spiegare quale importanza può avere il servizio pubblico radiotelevisivo, quando è servizio pubblico. Perché nell’inchiesta di Giorgio Mottola sulla “zona grigia” del Bergamasco – dove si conta la più alta percentuale di ammalati e di morti in assoluto – lascia sconcertati, per non dire peggio, la campagna di “persuasione” condotta già a fine febbraio da Confindustria Lombardia. Culminata nell’hashtag #noilavoriamo, nel video trionfalistico yes, we work e nelle dichiarazioni rassicuranti del presidente, Marco Bonometti, sulla necessità di “abbassare i toni”. Vero è che ora l’associazione ammette che “visto con gli occhi di oggi quel video è stato un errore e ce ne scusiamo”. Ok, ma troppo tardi verrebbe da dire alla luce dei numeri, e dei lutti, che certo vanno soprattutto attribuiti a chi (Regione Lombardia) aveva il dovere di proclamare subito la zona rossa nella Val Seriana, e non quando il contagio si era fatto inarrestabile. “Una sottovalutazione – come ha detto il conduttore Sigfrido Ranucci – frutto di interessi personali ed economici”. Del resto, è lo stesso sindaco di Alzano Lombardo (con Nembro il comune più devastato dal virus) a raccontarci dell’assedio di imprenditori che volevano a tutti i costi “svincolarsi dalla zona rossa”. Nessuno nega la necessità di riaprire presto tutte le fabbriche. Purtroppo temiamo che per troppi imprenditori, da tutelare, al primo posto, non ci sarà la salute dei lavoratori.

https://infosannio.wordpress.com/2020/04/09/il-commissario-renzi/?fbclid=IwAR3TOqUAAjRBojguwYKODzXrfuS-ib00_zntv5WtlaXtHL_wHzuRi7izLTU

Mes, ecco su cosa stanno litigando i ministri Ue: quali sono ora le clausole per avere prestiti. E le possibili deroghe previste dal trattato. - Chiara Brusini

Mes, ecco su cosa stanno litigando i ministri Ue: quali sono ora le clausole per avere prestiti. E le possibili deroghe previste dal trattato

Oggi ultima chance per i ministri delle Finanze dopo la fumata nera sull'uso del fondo salva Stati per affrontare l'impatto del virus. Il nodo resta quello delle "condizionalità". Attualmente l'accesso alle linee precauzionali - che aprono la strada allo scudo anti spread della Bce - richiede la firma di un memorandum negoziato tra Commissione e singolo Paese. Il consiglio dei governatori però ha il potere di "fare cambiamenti" e inventarsi nuovi canali di erogazione. Serve la volontà politica. Ma per ora l'Olanda insiste per imporre, ex post, riforme che aumentino la capacità di ripagare i debiti contratti.
La linea di frattura che vede spaccati i ministri delle Finanze dell’Eurozona resta la stessa che il 24 marzo aveva fatto terminare con un rinvio la precedente riunione dell’Eurogruppo: le linee di credito precauzionali del fondo salva Stati Mes e le loro condizionalità. Non sono bastate altre 16 ore di confronto tra i Paesi ed è tutto da vedere se il nuovo appuntamento di questo pomeriggio porterà a ricomporre le divergenze. Il Mes nella sua forma attuale, pensata per rispondere a choc che riguardano un singolo Stato, è “inadeguato“, è la posizione, netta, dell’Italia. Non basta che nell’immediato, come hanno concordato anche i Paesi del Nord Europa, l’unico requisito per accedere ai prestiti sia utilizzarli per coprire i costi legati al Covid-19. Perché il ministro olandese Wopke Hoekstra insiste sul fatto che nel lungo periodo è “ragionevole associare l’uso del Mes con determinate condizioni economiche”. Ma, ammesso che ci sia la volontà politica di trovare un compromesso, quanta flessibilità concede su questo punto il Trattato istitutivo del Mes firmato nel febbraio 2012, la cui riforma come è noto è stata rinviata?
In base al trattato in vigore, il Mes può offrire oggi tre forme di sostegno: da un lato prestiti veri e propri, regolati dall’articol0 16, che richiede la firma di “un programma di aggiustamento macroeconomico dettagliato in un Memorandum of understanding“. Dall’altro linee di credito precauzionali (Pccl) o “a condizionalità rafforzata” (Eccl) descritte all’articolo 14, la cui accensione è condizione necessaria perché la Bce possa attivare il suo scudo anti-spread più potente, il piano di acquisti di titoli illimitato Omt, finora mai utilizzato. Le Pccl sono riservate ai Paesi che rispettano le prescrizioni del Patto di stabilità (tra cui un debito/pil sotto il 60%) e non presentano squilibri macroeconomici eccessivi, per cui l’Italia sarebbe esclusa.
L’attenzione dell’Eurogruppo è concentrata sull’uso delle Eccl, disponibili per i Paesi che abbiano comunque una “situazione economica e finanziaria forte e il cui debito sia sostenibile”, come specifica l’allegato 3. In questo caso il trattato recita che le condizionalità “vanno dettagliate in un Memorandum“. Memorandum che – su incarico del consiglio dei governatori del Mes – verrebbe negoziato tra la Commissione europea e il Paese interessato d’accordo con la Bce e se possibile insieme al Fmi. Il contenuto “deve riflettere la severità delle debolezze da affrontare”, specifica il testo. “I termini e le condizioni” devono poi essere specificati “in un accordo di assistenza precauzionale, firmato dal managing director“, Klaus Regling.
Davanti alla pandemia, anche Olanda e Germania si sono dette d’accordo sul fatto che il memorandum potrebbe limitarsi a un impegno a coprire con i soldi ricevuti il finanziamento dell’assistenza sanitaria e i costi economici causati dal virus. La possibilità di prevedere queste condizioni “light” è stata confermata dal Servizio legale del Consiglio europeo in un parere ad hoc datato 4 aprile, secondo il quale sarebbero in linea con i Trattati. Il vero problema sono i paletti da rispettare a crisi finita: su questo fronte i rigoristi ancora ieri notte insistevano sulla necessità di imporre, ex post, riforme che aumentino la capacità di ripagare i debiti contratti e ripristinare l’equilibrio finanziario. Una condizione inaccettabile per l’Italia.
Ma ci sono altri due aspetti da considerare. Innanzitutto, i soldi messi sul piatto stando alle conclusioni del vertice del 24 marzo non sono molti: con le Eccl verrebbe offerto fino al 2% del pil 2019 di ogni Paese. Per l’Italia (che al fondo ha versato finora meno di 14 miliardi) parliamo quindi di 36 miliardi, a fronte dei 410 a disposizione del Mes. Ma con la firma del Memorandum potrebbe partire il programma Omt della Bce, che assicurerebbe un calmiere senza limite ai tassi di interesse sui titoli di Stato emessi per finanziare le uscite necessarie per affrontare l’emergenza.
Infine, non è detto che gli strumenti a disposizione si limitino a quelli descritti nel trattato. Perché l’articolo 19 prevede esplicitamente che il consiglio dei governatori, in cui siedono i ministri delle Finanze dell’Eurozona presieduti da Mario Centeno, può “rivedere la lista degli strumenti di assistenza finanziaria previsti negli articoli da 14 a 18 e decidere di fare cambiamenti“. Non a caso nei giorni scorsi è emerso che si sta lavorando alla messa a punto di un nuovo strumento ad hoc, il Rapid financing instrument, con 80 miliardi a disposizione e tempi rimborso più brevi rispetto ai 5-10 anni delle Eccl. La novità principale è che sarebbe attivabile solo a fronte di un disastro naturale o di un altro “evento esterno estremo”, come una pandemia. Le condizioni sarebbero dettagliate non in un memorandum ma in un “Economic response plan“, definizione più accettabile vista la natura dell’emergenza che sta colpendo tutti i Paesi europei. Occorrerebbe però in ogni caso impegnarsi a rispettare tutte le regole fiscali europee. La proposta non è bastata al governo Conte, che vede al suo interno l’opposizione senza se e senza ma di gran parte del Movimento 5 Stelle al ricorso al Mes in qualsiasi forma.

mercoledì 8 aprile 2020

Esclusivo: così Matteo Salvini ha fatto sparire tre milioni. - Giovanni Tizian e Stefano Vergine - 26 aèrile 2019

Esclusivo: così Matteo Salvini ha fatto sparire tre milioni

Un vortice di passaggi per far girare i soldi del partito. Finché approdano nelle casse di società private o sui conti di amici del ministro. A quale scopo? Ma la Lega non risponde. 

C'era una volta la Lega Nord di Umberto Bossi, i soldi del partito usati per gli affari privati del fondatore e della sua famiglia, la laurea di Renzo, le multe di Riccardo, la Scuola Bosina della moglie Manuela. Quella, insomma, diventata celebre alle cronache come la storia della “The family”. Oggi la Lega si è sdoppiata: c’è la Lega Nord e c’è la Lega per Salvini Premier. Entrambe fanno capo a Matteo Salvini, che le descrive come due realtà povere e oculate. Tutta un’altra storia rispetto ai tempi di Bossi, assicura il ministro. Se si scava sotto la superficie, però, viene a galla una gestione non molto diversa da quella del fondatore. Analizzando i conti correnti dei due partiti e delle società da essi controllate, da Pontida Fin a Radio Padania, abbiamo infatti scoperto che i soldi dei sostenitori leghisti, milioni di euro donati per sostenere la causa del Capitano, sono usciti dalle casse dei due partiti e sono spesso finiti, dopo lunghi e complicati giri, a società private e sui conti personali di uomini molto vicini allo stesso Salvini. Gente come il tesoriere Giulio Centemero, i commercialisti bergamaschi Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, alcune semisconosciute imprese lombarde che ultimamente hanno fatto grandi affari con la Lega salvininana. In tutto più di 3 milioni di euro, approdati a una cerchia strettissima di persone. Milioni che escono dalla Lega e si perdono in società private neonate. Tutto questo mentre i conti correnti del partito sono nel mirino della magistratura, la truffa da 49 milioni di euro mette a rischio la sostenibilità finanziaria del vecchio Carroccio, oggi invece al sicuro dopo l’accordo con la Procura di Genova che permetterà a Salvini di restituire il maltolto a rate in quasi 80 anni.


Partiamo dai numeri più rilevanti. E da tre imprese che fanno capo direttamente a Di Rubba e Manzoni, rispettivamente direttore amministrativo del gruppo Lega alla Camera e revisore legale del gruppo Lega al Senato. Si chiamano Studio Dea Consulting, Cld e Non Solo Auto. Dal 2015 al 2018 queste tre piccole aziende della bergamasca hanno ricevuto 1,7 milioni di euro dalla Lega. Motivazione? Pagamento di fatture non meglio specificate. Questo dicono i documenti in nostro possesso. E a questo nulla hanno voluto aggiungere i diretti interessati che, come per le altre inchieste sui soldi della Lega, abbiamo contattato per un commento prima della pubblicazione. Studio Dea Consulting e Cld sono due studi contabili, mentre Non Solo Auto affitta vetture. Quest’ultima ha incassato in pochi anni oltre mezzo milione di euro dalla Lega Nord e quasi 70 mila dalla Lega per Salvini premier. Dal 2014 al 2018 la maggioranza delle azioni delle tre società era in mano a Manzoni e Di Rubba. Dall’ottobre dello scorso anno Manzoni ha ceduto tutte le sue quote al collega Di Rubba, ma questo non modifica la sostanza, ovvero il fatto che soldi della Lega siano finiti a società controllate dai suoi commercialisti, prima due e ora uno. E che, subito dopo, queste abbiano girato buona parte del denaro sui conti correnti personali di Di Rubba e Manzoni. Seguendo il vorticoso giro dei soldi leghisti ci siamo imbattuti in tante altre imprese. Aziende formalmente scollegate dal partito e dai suoi rappresentanti, ma di fatto molto vicine alla Lega. Tanto da pagare, in qualche caso, le spese necessarie per la squadra di persone coordinate da Luca Morisi, l’uomo che cura i profili social del ministro dell’Interno.

Giulio Centemero
Giulio Centemero

INCASSA CENTEMERO.
Prendiamo la Sdc Srl. Fondata nel 2016 a Brescia da Mariliana Riva, estranea al partito sovranista, ha come oggetto sociale lo svolgimento di diverse attività in ambito artistico. Analizzando gli atti societari si notano però alcune particolarità. Il notaio che firma l’atto di costituzione è lo stesso usato dalla Lega e dai commercialisti del partito. Inoltre, il capitale sociale versato al momento della fondazione, 10 mila euro, proveniva da un assegno circolare intestato allo Studio Dea. Sul cui conto corrente, due giorni prima, la Lega Nord aveva accreditato un bonifico di cifra identica. Anche l’attività finanziaria unisce la società Sdc al partito del vicepremier. Da quando è stata creata al febbraio del 2018, la Sdc ha infatti ricevuto denaro quasi esclusivamente da Radio Padania: 368 mila euro. Un bel fatturato per un’azienda appena nata. Peccato che anche i costi della Sdc siano risultati alti, e così alla fine l’impresa non ha registrato profitti rilevanti. Come sono stati spesi tutti i soldi? Per saldare fatture emesse da Di Rubba, Manzoni, dalle loro società e dal tesoriere leghista in persona, Centemero. Solo tra il 2016 e il 2017 la compagine dei nuovi tesorieri scelta da Salvini ha infatti ottenuto dalla Sdc 625 mila euro. Per quali lavori non si sa, perché i diretti interessati non ci hanno risposto.

La squadra social e comunicazione di...
La squadra social e comunicazione di Matteo Salvini

BENZINA PER I SOCIAL DI MORISI.
A infiammare il clima con i social da un po’ ci pensa la Vadolive Srl, nata a maggio 2018, due mesi dopo il trionfo elettorale del 4 marzo. Vadolive è stata costituita da una parente di Di Rubba e ha sede allo stesso indirizzio di uno degli uffici dello Studio Dea. Dopo pochi mesi subentra Davide Franzini: diventa socio unico e amministratore. Lo stesso è presidente del consiglio di amministrazione di Radio Padania. Nel suo primo anno di attività Valdolive ha ricevuto circa 200 mila euro dal Gruppo parlamentare Lega - Salvini Premier, l’unico modo rimasto a partiti per percepire denaro pubblico. In realtà ne avrebbe dovuti percepire molti di più in virtù di un contratto stipulato con il gruppo del Senato da 480 mila euro l’anno fino alla fine della legislatura. Poi, però, a novembre si interrompe la fatturazione e il contratto con Vadolive termina anticipatamente. I soldi ricevuti fino ad allora li ha usati per pagare, oltre che lo Studio Dea Consulting di Manzoni e Di Rubba, anche la squadra di Luca Morisi, il dio dei social salviniani. In tre mesi la società ha speso quasi 90 mila euro per pagare Andrea Paganella, socio storico di Morisi, e tutti i giovani della propaganda salviniana, in molti casi assunti nel frattempo direttamente anche al ministero. Da Matteo Pandini, capo ufficio stampa del Viminale, a Leonardo Foa, figlio del presidente della Rai (Marcello) e collaboratore del ministro insieme a Fabio Visconti, Andrea Zanelli e Daniele Bertana, pure loro retribuiti dalla Vadolive. E per un periodo contemporaneamente pagati dal Viminale dato che risultano nell’elenco dei collaboratori a partire dai primi di giugno 2018.

PAGA RADIO PADANIA.
La storica emittente ha venduto le frequenze ormai due anni fa. La radio dove Matteo Salvini si è fatto le ossa, diventando anche direttore, continua a trasmettere sul web. La vendita delle frequenze ha fruttato un po’ di liquidità. Nel frattempo nella redazione della “voce del Nord” l’ideologia è cambiata, si fa propaganda al sovranismo. E i giornalisti rimasti sono davvero pochi. Molti dei disoccupati sono stati riassorbiti in Regione Lombardia. Radio Padania però è viva. Movimenta denaro. Versa, per esempio, a una delle sigle della galassia Di Rubba-Manzoni: tra giugno 2016 e maggio 2017 quasi 50 mila euro. È il periodo in cui vengono vendute le frequenza all’imprenditore calabrese Lorenzo Suraci, patron di Rtl. Perché pagare lo studio Di Rubba? Di certo non sono gli unici denari usciti dalla casse di Radio Padania. Per esempio è curioso che il giorno dopo aver ricevuto 50 mila euro dall’associazione Più Voci (come avevamo già rivelato su questo giornale più di un anno fa), gli amministratori dell’emittente dispongano un pagamento di 18.500 euro alla solita Sdc srl, l’azienda che ha ricevuto anche parte dei soldi pubblici incassati dall’immobiliare Andromeda, come raccontiamo nelle pagine che seguono. L’uscita più sostanziosa dalle casse della radio è però di 122 mila euro diretti sempre a Sdc, società vicinissima ai commercialisti della Lega. Ma è il totale a fare impressione: 360 mila euro in due anni, da marzo 2016 a febbraio 2018. Una media da 180 mila ogni anno. Il periodo coincide sempre con l’inizio delle dismissioni delle frequenze. Nel frattempo la Radio aveva chiesto di accedere ai fondi per l’editoria. Dopo moltissime polemiche il ministero dello Sviluppo Economico l’ha esclusa dalla liste.

Il residence delle ville leghiste
Il residence delle ville leghiste.

LE VILLE SUL LAGO DI GARDA.
Dalla propaganda al mattone. Da Radio Padania a un’altra società riconducibile ai commercialisti della Lega: Taaac srl. Anche questa nata di recente, agosto 2017. Quando viene costituita, le quote sono intestate alla San Giorgio Fiduciaria, uno schermo per celare la reale proprietà. La San Giorgio è amministrata da Giorgio Balduzzi, commercialista che avevamo incontrato un anno fa tra le società domiciliate in via Angelo Maj 24, a Bergamo, nello studio di Manzoni e Di Rubba, insieme all’associazione Più Voci e ai finanziamenti ricevuti da Parnasi ed Esselunga. Tre mesi dopo la costituzione cambia tutto. Di Rubba diventa amministratore e la proprietà di Taaac passa al suo studio, la Dea Consulting. Passano pochi mesi e questa piccola Srl si dà allo shopping immobiliare in riva al lago di Garda: in quattro mesi acquista due ville a schiera nell’esclusivo Green Residence, in località Rivoltella, tra Desenzano e Sirmione. Nel residence si può entrare solo se dotati di badge. Dagli atti notarili consultati dall’Espresso risulta che per entrambi gli immobili la società di Di Rubba ha sborsato 640 mila euro. Un investimento che potrebbe fruttare vista la zona e l’alta densità di turisti che già da marzo affollano il posto. Ci risulta che le ville con corte privata hanno un prezzo medio di affitto di 750 euro al mese, circa 9mila euro l’anno. Almeno così ci hanno spiegato nell’ufficio vendite che si trova all’entrate del residence. C’è da chiedersi allora perché Taaac, cioè Di Rubba, abbia affittato al suo studio Dea di Bergamo una delle ville a 18 mila euro annui. Circa il doppio della stima fatta dall’addetto con cui abbiamo parlato a Desenzano. C’è da dire che la Taaac è stata molto vicina a vendere entrambe le ville, tuttavia poi l’affare non è andato in porto nonostante le caparre anticipate. Anticipo che Taac ha dovuto restituire alla Cpz srl, di proprietà di un ex socio di Di Rubba, Marzio Carrara, fornitore importante della nuova Lega. Sui conti di Taaac gli stessi giorni in cui partono i bonifici per restituire la caparra a Cpz, vengono accreditati 140 mila euro dallo studio Dea Consulting di Di Rubba. Insomma paga Di Rubba. E sempre in quei giorni la Lega versa allo studio del commercialista 140 mila euro. Ma il dato curioso è che entrambi i possibili acquirenti appartengono alla schiera dei fornitori del partito, cioè sono aziende che hanno ricevuto pagamenti dalla Lega in questi anni.

ASNIGO CONNECTION.
Il più fortunato di tutti è però Francesco Barachetti, con la sua Barachetti Service di Casnigo, Val Seriana, provincia di Bergamo. Che con la nuova Lega di Matteo Salvini ha concluso affari d’oro. A Casnigo Di Rubba è di casa: ha diversi immobili e terreni. Casnìgh, in dialetto: tremila abitanti, un piazza vecchia medioevale di rara bellezza e tutti che si conoscono. La Barachetti Service da queste parti è una realtà conosciuta, che dà lavoro. Anche grazie alla Lega. I documenti bancari che abbiamo analizzato raccontano che tra il 2016 e il 2018 il partito e le società del gruppo Lega hanno versato a Barachetti almeno 1,5 milioni di euro. L’azienda di Casnigo progetta e installa impianti idraulici, meccanici, elettrici. Impossibile conoscere il motivo di tali versamenti, anche perché alle nostre domande nessuno ha voluto rispondere. Si tratta di bonifici per pagamento di fatture. Il valore è alto, una somma che avrebbe permesso di demolire e rifare per intero la storica sede di via Bellerio. Che invece è praticamente chiusa proprio in nome dell’austerity. In più, a pochi giorni di distanza dall’accredito sui conti della “Lega per Salvini Premier” dell’anticipo del 2 per mille anno 2018 (più di 1,5 milioni), 311 mila euro lasciano il conto corrente del partito sovranista e finiscono sempre alla Barachetti: saldo fatture, come sempre. Una ventina di giorni più tardi, la Lega si accorderà con la procura di Genova per restituire i 49 milioni in rate annuali. Saranno necessari 76 anni circa per estinguere questo particolare mutuo.

POVERA MA RICCA.
A luglio dell’anno scorso, alla domanda su come siano stati spesi i famosi 49 milioni dei rimborsi lasciati in cassa da Bossi e Belsito, Giulio Centemero rispondeva così: «24 milioni sono stati destinati alle risorse umane: stipendi, contributi… Altri 20 milioni per la campagna elettorale e la restante parte per altri costi». Oggi la Lega Nord per l’indipendenza della Padania non ha più molti dipendenti: l’ultimo bilancio pubblicato, anno 2017, ne indica 7 in tutto, nel 2016 erano 29. Mancano all’appello gli assunti della Lega per Salvini premier, che è un entità a sé, dotata di autonomia fiscale e contabile. Una cosa è certa: dai calcoli fatti dal tesoriere di Salvini sono esclusi i denari che Pontida Fin, amministrata da Di Rubba, versa a Barachetti Service: in 19 mesi, tra il gennaio 2017 e luglio 2018, oltre mezzo milione di euro. Nello stesso periodo l’azienda di Casnigo dispone due versamenti alla Cld, una delle società di Di Rubba, e alla Dirfin, che all’epoca in cui ha ricevuto i soldi da Barachetti è ancora di proprietà dello stesso commercialista della Lega. Ma non è l’unica volta che dai conti della Barachetti passano soldi destinati a lui, a Manzoni e a Centemero. Un giro continuo di denaro, oltre 3 milioni di euro che evaporano dai conti del Carroccio e dalle società del partito. Con sempre gli stessi protagonisti. Porte girevoli di una forza di governo che sostiene di non avere i 49 milioni della truffa.

La Regione paga e la Lega incassa: l'affare che ha arricchito gli amici di Matteo Salvini. - Giovanni Tizian Stefano Vergine (26 aprile 2019)



Un immobile di una società della galassia salviniana. Vale 400 mila euro. Ma viene venduto al doppio. A una fondazione partecipata della Lombardia. E i soldi finiscono anche a una srl. La stessa che paga i commercialisti e il tesoriere del Carroccio.
Denari dei cittadini, tutti: quasi 1 milione di euro. Che dopo un lungo girovagare finiscono a società riconducibili sempre alla Lega. Tutto ha inizio con una normalissima compravendita immobiliare. Ed è da qui che inizia la nostra storia. Al confine tra Cormano e Cusano Milanino c’è un fabbricato basso e grigio di quasi mille metri quadrati. Sul portoncino di ferro c’è una targhetta argentata: “Lombardia Film Commission”, si legge. Il fabbricato si trova a pochi metri dall’autostrada Milano-Venezia, in via Bergamo 7. È qui, nell’ex cuore industriale della provincia milanese, che appunto ha sede operativa la Lombardia Film Commission, la fondazione a partecipazione pubblica che si occupa della promozione e dello sviluppo di progetti cinematografici sul territorio regionale. Un ente pubblico importante. La gran parte dei soldi con cui si finanzia arrivano dalla Regione, il resto lo mettono gli altri soci: Comune di Milano, fondazione Cariplo e Unioncamere regionale.
L’edificio di Cormano acquistato di recente dalla fondazione ha una storia molto particolare, che ci conduce direttamente al partito di Salvini.

Già, perché dietro la compravendita dell’immobile di via Bergamo 7 ci sono personaggi legati alla Lega. Infatti, gli 800 mila euro pagati dalla fondazione pubblica all’immobiliare che ha ceduto la struttura finiscono bonifico dopo bonifico ad aziende e nomi strettamente connessi tra loro e con il Carroccio. Un’operazione immobiliare che viene avviata e conclusa quando il presidente del Cda della fondazione era Alberto Di Rubba, piazzato lì dalla giunta Maroni nel 2014.
Quarantenne, bergamasco, Di Rubba è il professionista di fiducia della nuova Lega di Salvini, tanto da essere stato nominato revisore dei conti del gruppo parlamentare alla Camera e amministratore unico della Pontida Fin, la storica cassaforte immobiliare del Carroccio. Di Rubba è insomma il commercialista scelto per far quadrare i conti insieme all’amico di vecchia data, il tesoriere Giulio Centemero, con il quale ha fondato l’associazione Più Voci. È la stessa Più Voci che - come abbiamo raccontato un anno fa sull’Espresso - ha ricevuto donazioni sostanziose dal costruttore Luca Parnasi, una vicenda che vede oggi indagato Centemero per finanziamento illecito, fascicolo aperto dopo le nostre rivelazione e che si avvia alla conclusione: la procura di Roma potrebbe a breve chiudere le indagine e chiedere il rinvio a giudizio.
Lo studio di Di Rubba è a Bergamo bassa, in via Angelo Maj 24, dove hanno sede una sfilza di società che fanno capo a una holding lussemburghese schermata da una fiduciaria italiana. E proprio in via Maj, a dicembre scorso, hanno bussato i detective dalla Guardia di finanza di Genova per cercare ulteriori indizi sul presunto riciclaggio di parte dei 49 milioni dei rimborsi elettorali ottenuti con la truffa di Bossi e Belsito, che per questo sono stati condannati in Appello. Una delle società sospettate dalla Finanza e dalla procura di aver ripulito il denaro è amministrata dal tesoriere Centemero, così c’è scritto nel decreto di perquisizione. Questo è il contesto in cui si muove Di Rubba, il presidente della fondazione pubblica lombarda.
Ripartiamo proprio dalla Lombardia Film Commission. Il professionista bergamasco ha lasciato l’incarico di presidente della fondazione ad agosto scorso. Insediatosi a settembre 2014, a nove mesi dall’incoronazione di Matteo Salvini a segretario del partito, è stato scelto dalla giunta di Roberto Maroni su proposta dell’allora assessore alla Cultura Cristina Cappellini, salviniana che voleva istituire all’interno dello “sportello famiglia” il numero anti-gender (sarebbe servito a segnalare i casi di «indottrinamento gender nelle scuole»). Di Rubba lascia la presidenza dell’ente pubblico quasi quattro anni più tardi, agosto 2018. Al suo posto l’intellettuale Pino Farinotti, critico cinematografico, scrittore e giornalista. Di Rubba fa però in tempo ad assistere dall’alto del suo ruolo al colpo grosso messo a segno da un’immobiliare milanese, la Andromeda Srl.
LA LEGA E IL CONFLITTO DI INTERESSE.
L’immobiliare, il 5 dicembre 2017, incassa dalla Lombardia Film Commission 800 mila euro per la vendita dell’immobile di Cormano. Sull’atto notarile finale del 13 settembre 2018 c’è la firma del successore di Di Rubba, Farinotti. Ma è nel medesimo atto che si dà conto del pagamento ad Andromeda avvenuto tramite due bonifici accreditati il 5 dicembre 2017, cioè quando a capo della fondazione c’era il commercialista della Lega. Fin qui nulla di strano, se non fosse per alcune curiose coincidenze. La prima: la proprietà che sta dietro l’immobiliare Andromeda. La seconda: chiuso l’affare con i soldi dei cittadini, Andromeda è stata messa in liquidazione. Che i soldi finiti all’immobiliare siano pubblici non ci sono dubbi. Dai documenti letti dall’Espresso risulta che il tesoretto accumulato sul conto corrente della fondazione era composto da 1,4 milioni di fondi regionali, destinati all’attuazione della programmazione della Lombardia Film, 99 mila euro provenivano dal Comune di Milano e 100 mila da Cariplo.
Ma a chi è riconducibile l’Andromeda, la società che vende per 800 mila euro l’immobile all’ente pubblico lombardo? Le quote sono detenute dalla “Futuro partecipazioni”, di proprietà di una società fiduciaria con sede a Milano. Impossibile dunque risalire al reale titolare. Ciò che si conosce però è il nome dell’amministratore della “Futuro Partecipazioni”, la società che controlla l’immobiliare che incassa il denaro pubblico: si chiama Michele Scillieri, di lavoro fa il commercialista e revisore contabile, ha lo studio in via privata delle Stelline 1, a Milano. Proprio dove è stato registrato il nuovo brand del Carroccio sovranista, la “Lega per Salvini premier”, a fine 2017. Non solo: Scillieri è stato sindaco della fondazione diretta da Di Rubba, e pochi mesi dopo che Andromeda ha venduto l’immobile di Cormano è stato nominato anche consulente della fondazione con il ruolo di contabile amministrativo. Una nomina avvenuta quando Di Rubba si trovava ancora al comando della struttura pubblica. Il contratto di Scillieri scade nel 2020, la sua retribuzione è di 25 mila euro all’anno più Iva. Nella dichiarazione pubblicata sul sito della fondazione, il commercialista milanese dichiara di non aver alcuna incompatibilità né conflitti di interesse. Eppure quando Andromeda conclude l’affare, lui è allo stesso tempo sindaco supplente della fondazione che eroga 800 mila euro pubblici, e amministratore della società privata che beneficia di quegli 800 mila euro. Come se non bastasse, c’è un dettaglio ulteriore che rischia di mettere in serio imbarazzo la Lega di fronte ai suoi elettori lombardi: Scillieri, dopo la vendita del fabbricato di Cormano, è stato anche nominato liquidatore dell’Andromeda, la srl dai proprietari misteriosi che sta chiudendo i battenti dopo aver incassato i denari dei contribuenti italiani. Abbiamo chiesto a Scillieri che ruolo ha avuto nella compravendita. Non ha risposto. Nel luglio scorso ha invece rilasciato un’intervista a un quotidiano nazionale e ha spiegato perché sia stato scelto il suo studio come domicilio della nuova Lega: «È stato solo per un piacere personale a un collega. L’accordo era chiaro: ho accettato la domiciliazione ma volevo tenermi totalmente fuori a livello politico, finanziario e operativo». Nella stessa intervista sostiene di conoscere solo Andrea Manzoni, il collega di Di Rubba, revisore legale del gruppo Lega al Senato, e Centemero, il tesoriere del partito. E Di Rubba? Di lui non fa cenno. Eppure all’epoca Scillieri era già da qualche mese consulente della Lombardia Film Commission di cui Di Rubba era presidente.
UNA LEGA PER AMICA
La storia dell’immobile venduto dall’Andromeda a 800 mila euro si arricchisce ancora se seguiamo il tragitto dei soldi pubblici incassati dall’immobiliare. Che non li tiene fermi in banca. Partiamo da quando l’immobiliare collegata a Scillieri acquista il fabbricato di Cormano, poi rivenduto all’ente pubblico. L’immobile diventa proprietà di Andromeda solo undici dieci mesi prima della vendita alla fondazione. Quanto è costato ad Andromeda? La metà, ossia 400 mila euro, almeno così è scritto nell’atto notarile. Insomma, grazie a Lombardia Film Commission quei 400 mila lieviteranno e frutteranno alla Andromeda, oggi liquidata da Scillieri, il doppio. Non male. Anche perché nell’atto di compravendita è specificato che l’immobile è «in pessimo stato di conservazione e manutenzione e con necessità di effettuare significative opere di ripristino». Una precisazione, che tuttavia, non compare undici mesi dopo nella cessione alla fondazione Lombardia Film Commission, in cui sono menzionate alcune opere in corso di esecuzione, consistenti in «opere interne ai fabbricati ed al rifacimento della copertura degli stessi». Un affare come tanti, verrebbe da pensare. Ma è ciò che accade nei giorni successivi a riportare i soldi vicinissimi alla Lega. Cinque giorni dopo aver incassato il denaro pubblico per la compravendita dell’immobile di Cormano, l’immobiliare versa 480 mila euro alla società Eco e sei giorni dopo 178.500 alla Sdc. La Eco è un’azienda con sede a Milano, costituita un mese prima che Andromeda vendesse a Lombardia Film Commission. Il proprietario è di Gazzaniga, provincia di Bergamo, 5 mila anime in Val Seriana, paese natale di Di Rubba. Si occupa, recita l’oggetto sociale, di costruzione e ristrutturazione immobili. Possibile che l’imprenditore di Gazzaniga abbia ristrutturato il fabbricato di Cormano in un solo mese e che abbia incassato quasi mezzo milione di euro? Un mistero che solo i protagonisti della vicenda avrebbero potuto chiarire se avessero voluto rispondere alle domande che gli abbiamo inviato. Di certo possiamo aggiungere che la Eco ha intrattenuto rapporti economici con la Lega. Per esempio, il 13 febbraio 2018, Radio Padania e Pontida Fin- la storica società controllata dal partito, amministrata da Di Rubba- versano alla Eco in totale 60 mila euro. Pagamento fatture, recita la causale. Poi, due settimane più tardi, è la Eco a pagare società che orbitano attorno alla Lega. Tre bonifici, per circa 60 mila ero, i cui beneficiari sono lo studio Dea Consulting di Di Rubba (all’epoca era presente anche Andrea Manzoni), lo studio Cld - da poco incorporato in un’unica struttura con Dea Consulting- e Sdc, società il cui capitale sociale è stato versato sempre da Dea Consulting. Ed è proprio Sdc che, negli stessi giorni in cui la Eco riceve la sua parte, incassa la propria.

MEZZO MILIONE PER I LEGHISTI
La Sdc, dunque, riceve parte del denaro pubblico incassato da Andromeda. E ci riconduce ai professionisti pagati dal partito e a uomini organici ad esso: Alberto Di Rubba, cioè l’amministratore all’epoca della Lombardia Film Commission, Giulio Centemero, il tesoriere del partito, e Andrea Manzoni, il contabile del gruppo al Senato. Tra il 2016 e il 2018 la Sdc versa sistematicamente soldi al trio di commercialisti della Lega con causale “pagamento fatture”. Prendiamo Centemero, deputato e tesoriere del partito: in un anno ha incassato da Sdc circa 62 mila euro. Chi ha ricevuto di più da questa azienda nata nel 2016 è certamente Manzoni, il collega di studio di Di Rubba: 211 mila euro in un anno e mezzo fino al gennaio 2018. Anche dopo, quindi, che Sdc incassa i quasi 200 mila euro girati dalla fortunatissima immobiliare Andromeda. Anche Di Rubba non è da meno: riceve 198 mila euro da Sdc, sempre a titolo di pagamento fatture, emesse dal giugno 2016 al gennaio 2018. Le date indicano dunque che Di Rubba, durante la presidenza della Film Commission lombarda, ha guadagnato con prestazioni offerte da Sdc, che a sua volta ha ricevuto gli 800 mila euro pubblici spesi dall’ente che lui presiedeva. Abbiamo chiesto a tutti i diretti interessati di commentare questa vicenda: non abbiamo ricevuto alcuna risposta.

Dell’acquisto dell’immobile abbiamo chiesto conto con domande puntuali anche alla nuova dirigenza della fondazione partecipata dalla Regione. La nostra richiesta di commento è giunta alla consigliera Paola Dubini, che dall’estero ci ha risposto di non riuscire ad aiutarci: «Come giustamente dite voi non ero all’epoca entrata nel Cda e quindi l’approvazione del bilancio non è stato oggetto di lavoro da parte mia». Dubini ha girato le nostre richieste all’ufficio stampa, che però non ci ha più fatto sapere nulla. Una cosa possiamo dirla con certezza: i soldi dei contribuenti lombardi si sono persi in mille rivoli e hanno fatto guadagnare personaggi del partito della Lega, quasi una famiglia per Matteo Salvini. Uno strano caso di catarsi. Da “prima gli italiani” a “prima la famiglia”: the family, come ai vecchi tempi.
https://m.espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/04/26/news/la-lega-incassa%20la-regione-paga-1.334142?fbclid=IwAR3odN-1wHUnOfe4cntRTA4BMrRmgP0ASykE5gmG8zce99NXOrKQhHl7HJs

Toti vuole lo stop a codici appalti e antimafia, reazioni di Libera e delle opposizioni: "Vuole favorire i grandi gruppi finanziari". - Marco Preve

Toti vuole lo stop a codici appalti e antimafia, reazioni di Libera e delle opposizioni: "Vuole favorire i grandi gruppi finanziari"

Le dichiarazioni del presidente della Regione Liguria che vorrebbe anche sospendere i controlli paesaggistici.

Stanno suscitando forti reazioni le dichiarazioni rilasciate dal presidente Toti in un’intervista ad Avvenire. Alla domanda su come pensa di sfidare la burocrazia il presidente della Regione Liguria ha risposto: “Via codice degli appalti, via gare europee, via controlli paesaggistici, via certificati Antimafia, via tutto. Almeno per due anni. Ci sono gruppi affidabili e lavori da fare: partano subito. Serve un modello di ricostruzione post bellico. Rischi? Ci sono e terremo la guardia alta, ma il coronavirus ha alzato la soglia di moralità, la gente ha capito che le cose vanno fatte bene e che le leggi vanno rispettate. Io mi fido”.

Duro il commento di Libera, l'associazione antimafia che da anni si batte contro il crimine organizzato: "Leggiamo con grade preoccupazione queste parole. Proprio nei momenti di profondo cambiamento e di incertezza le organizzazioni mafiose sono in grado di inserirsi nell’economia legale e conquistare importanti fette di mercato - in particolare nell’edilizia - danneggiando i tanti imprenditori, commercianti e lavoratori onesti, già affaticati dalla crisi economica, sanitaria e sociale che stiamo vivendo. Abbiamo visto questo tentativo anche in occasione dei lavori inerenti il Ponte di Genova, dove proprio grazie ai controlli Antimafia si è riusciti a intervenire prontamente. Come ha ricordato ieri il Procuratore Nazionale Antimafia De Raho, in questo momento è importante non fare passi indietro rispetto alle conquiste normative di questi decenni, far rispettare le regole e piuttosto intervenire affinché le fasce di popolazione maggiormente in difficoltà possano avere un più facile accesso al credito e ai servizi di sostegno che lo Stato, le Regioni e gli Enti locali dovrebbero garantire".

 Il capogruppo regionale di Linea Condivisa Gianni Pastorino commenta: “ Il disegno di Toti  è chiaro: vuole un mondo senza regole, in cui la tutela dei diritti, dell'ambiente e della salute vengono azzerati per molti a vantaggio dei pochi, con favori ai grandi gruppi finanziari e industriali privati, a scapito dei diritti dei cittadini”. “Non gli interessa nulla del Coronavirus – prosegue - Gli interessa delineare la sua 'fase 2': una ricetta economica e sociale che premi chi vuole distruggere il territorio e magari, col ricatto di 100 posti di lavoro sfruttato, pretenda la rinuncia alle tutele sindacali e al diritto alla sicurezza".

"Sono allarmato e sbigottito dalle parole del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, che vorrebbe disfarsi in un colpo solo del Codice degli appalti, delle gare europee, dei controllo paesaggistici, dei certificati antimafia per far ripartire l'economia. Un conto è snellire la burocrazia un altro è pianificare un autentico 'lasciapassare' per la criminalità organizzata a danno delle aziende serie che operano nella legalità." Cosi Franco Vazio vicepresidente della commissione Giustizia alla Camera.     "La Liguria - prosegue il deputato Pd - ha bisogno di legalità ed efficienza, tanto come di competenza e capacità gestionali. Per tutto questo Toti prova un'autenticità allergia ed è per tale motivo che la Liguria in questi giorni sta scontando un ritardo abissale rispetto alle altre regioni del Nord: c'è chi ha fatto molti tamponi e controlli, c'è chi ha investito in ospedali pubblici, chi addirittura li ha costruiti e chi, invece come Toti e la Liguria, è in cima alle classifiche per decessi”.

Marco Ravera segretario regionale di Rifondazione Comunista: “Con la scusa del coronavirus Toti ha lanciato un piano per l’incentivazione di illegalità, malaffare e devastazione ambientale. Un paese della cuccagna per le mafie”.
“Una ricetta pericolosa” per Franco Mirabelli, vice presidente dei senatori del Pd e capogruppo dem in commissione Antimafia.

Sul fronte totiano si registra la presa di posizione di un gruppo di parlamentari: “Il senatore Mirabelli, preso dalla foga di replicare al presidente Toti, si è limitato probabilmente a leggere solo il titolo della sua intervista. Nel testo, se il senatore avesse avuto la pazienza di approfondire, Toti ha proposto di togliere per almeno due anni ogni forma di burocrazia specificando che i controlli vi saranno comunque perchè i grandi lavori infrastrutturali in Italia possono effettuarli solo gruppi affidabili e già presenti sul mercato. La ricostruzione del ponte Morandi è sotto gli occhi di tutti e deve essere l'esempio, non è un caso che molti esponenti del governo la propongono come modello per far ripartire l'economia italiana". Lo affermano i deputati di Cambiamo! Stefano Benigni, Manuela Gagliardi, Claudio Pedrazzini, Alessandro Sorte e Giorgio Silli.


https://genova.repubblica.it/cronaca/2020/04/07/news/toti_vuole_lo_stop_a_codici_appalti_e_antimafia_reazioni_di_libera_e_delle_opposizioni_vuole_favorire_i_grandi_gruppi_fin-253400936/?fbclid=IwAR0YxD9Gdz4skJ5hoDgnqMeq3cavxWJadNx_Bfzpa_ZeHOOVimEQuua6cqk
Non ci meraviglia che Toti lo pensi e lo voglia: nel rapporto di do ut des è vincolante il reciproco scambio di favori. Oltretutto, lo deve al suo mentore, mr.B., che di favori ne ha ricevuti tanti...e ne deve restituire altrettanti...

IL CASO. - Gianni Barbacetto

Coronavirus, i tre leghisti (più uno) della sanità lombarda attorno a cui ruota il caos di Alzano

“Eravamo 4 amici al bar” - Locati, Cosentina e Marzulli: sono tre (più uno) gli uomini della sanità lombarda a dover spiegare la diffusione del virus dal Pronto soccorso. 

Coronavirus, i tre leghisti (più uno) della sanità lombarda attorno a cui ruota il caos di Alzano.
- Ci sono tre persone (più una) che potrebbero spiegare com’è partito il contagio nel cluster infettivo più devastante d’Italia, quello scoppiato ufficialmente il 23 febbraio all’ospedale di Alzano Lombardo. Da lì, il virus si è diffuso verso la zona di Bergamo, poi di Brescia e infine, probabilmente, verso Milano. I tre sono il direttore generale della Asst Bergamo Est Francesco Locati, il direttore sanitario Roberto Cosentina e il direttore medico Giuseppe Marzulli. Il Fatto Quotidiano ha chiesto ai tre di ricostruire le prime ore del contagio più terribile del Paese, ma non ha avuto risposta. L’Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) Bergamo Est comprende gli ospedali di Seriate, dove ha la sua sede, e di Alzano, Gazzaniga, Piario, Lovere, Trescore Balneario, Sarnico. È feudo leghista, presidiato da Francesco Locati, che ha voluto al suo fianco come direttore sanitario Roberto Cosentina. Il “Presidio 2” della Asst, che comprende l’ospedale di Alzano, ha Marzulli come direttore medico.
INCARICHI NELL’ASST.
Uno direttore generale a Bergamo-Est, l’altro sanitario e il terzo ancora dirige il presidio
È all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano – Val Seriana, sei chilometri da Bergamo – che tutto comincia. Sappiamo ormai che i primi due pazienti Covid-19, almeno ufficialmente, sono Franco Orlandi, ex camionista di Nembro, e Tino Ravelli, pensionato di Villa di Serio. Sono ricoverati nel reparto medicina interna, terzo piano. Saranno i primi due morti della zona di Bergamo: per polmonite e crisi respiratoria, dopo giorni di febbre alta e oppressione al petto.
Nella notte tra venerdì 21 e sabato 22 febbraio, per la prima volta, le infermiere e il personale sanitario del reparto medicina indossano le mascherine Ffp2. Dal Lodigiano sono già arrivate le brutte notizie sull’ingresso in Nord Italia del coronavirus, Codogno è già stata dichiarata zona rossa. Il 21 febbraio Ravelli viene sottoposto al tampone. Risulterà positivo al Covid-19: l’esito arriverà il 22.
Non viene avvisato nessuno. Non i parenti, non il personale dell’ospedale, non il ministero della Salute, a cui dev’essere data comunicazione dei casi pandemici. Domenica 23, nel pomeriggio, viene chiuso il Pronto soccorso. Ma solo per poche ore. Poi riapre. Senza alcuna sanificazione. Senza la creazione di percorsi e ambienti differenziati per i sospetti da Covid-19. Lunedì mattina, l’ospedale riprende la vita feriale di sempre, con il centro prelievi affollato di gente, in maggior parte anziani, e gli interventi chirurgici programmati che si susseguono come se niente fosse successo.
Nei giorni seguenti, l’ecatombe. Muoiono molti dei pazienti, muoiono tanti famigliari dei ricoverati venuti in visita nei giorni precedenti. Si ammalano il primario e giù giù medici, infermieri, portantini, pazienti dimessi e rimandati a casa, parenti e visitatori. Alzano raggiunge i 170 contagi, il vicino paese di Nembro supera i 200. Nella provincia di Bergamo i morti sono oltre 2.300. Poi il contagio si estende a Brescia e infine, con esiti disastrosi, a Milano. Locati, Cosentina e Marzulli dovrebbero spiegare che cosa è successo all’ospedale di Alzano tra venerdì 21 e lunedì 24 febbraio. Chi ha deciso di far indossare le mascherine, la notte del 21? Chi ha disposto la chiusura del Pronto soccorso, il 23? Ma poi: chi l’ha fatto riaprire? Chi ha ordinato di proseguire la normale attività il 24? Perché non è stato informato il ministero? Sono stati invece informati i vertici della Regione Lombardia e l’assessore Giulio Gallera? È lui il “più uno” di questa storia: quando e come ha saputo ciò che stava succedendo ad Alzano? Ha avuto contatti con i dirigenti della Asst? Quando è stato informato della situazione il suo braccio destro, il direttore generale della sanità lombarda Luigi Cajazzo?
Il primo responsabile di questo caos è il direttore generale Francesco Locati. È arrivato al vertice della sua Asst nel gennaio 2016, quando la Regione Lombardia rinnova il rito formigoniano della grande spartizione politica della sanità, con i suoi 19 miliardi di budget la parte più succulenta del bilancio regionale. È poi riconfermato nel 2018. La lottizzazione dei manager sanitari per appartenenza politica viene “confessata” nel 2016, per un errore dell’Arca Lombardia, la centrale acquisti della Regione. Una cartina con i nomi dei prescelti e il simbolo del partito d’appartenenza compare per qualche ora sul sito di Arca e viene mandata via email all’indirizzario della Regione. Poi la pagina è oscurata e viene inviato una rettifica in cui si spiega che la cartina è “un’artificiosa ricostruzione giornalistica”. Purtroppo aderente alla realtà: con il governatore leghista Roberto Maroni, nel 2016, i 35 direttori generali sono così spartiti: 13 alla Lega, 11 a Forza Italia, 10 al Ncd, uno a Fratelli d’Italia. Nel 2018, il governatore Attilio Fontana sceglie 24 dirigenti sanitari della Lega, 14 di Forza Italia, due di Fratelli d’Italia. Locati c’è sempre. Ha un rapporto diretto con Matteo Salvini e una relazione forte con Roberto Anelli, oggi capogruppo della Lega in Consiglio regionale, ma anche – scherzi del destino – ex sindaco e attuale consigliere comunale di Alzano, dove tutto iniziò.

Avanzi di Gallera - Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano dell'8 Aprile

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Quando, per ragioni politiche o giudiziarie o tutt’e due, i fratelli De Rege che sgovernano la Lombardia, al secolo Attilio Fontana e Giulio Gallera, dovranno cambiare mestiere, avranno un futuro assicurato nel mondo dell’avanspettacolo e del cabaret. L’altroieri, nella sit-com quotidiana “Casa Gallera”, in onda ogni santo giorno sul sito della Regione Lombardia e devotamente rilanciata da RaiNews24 a maggior gloria dell’aspirante sindaco di Milano, è andata in scena una gag che, se fosse vivo Paolo Villaggio, ci ispirerebbe un nuovo film di Fantozzi. Il capocomico, che incidentalmente sarebbe pure l’assessore regionale al Welfare nonché il responsabile della nota catastrofe chiamata “sanità modello”, cedeva il microfono alla sua spalla, il vicepresidente Fabrizio Sala. Questi, siccome c’è gloria per tutti, dava la linea al caratterista Caparini, opportunamente mascherinato per non farsi riconoscere, che a sua volta lanciava un filmato: un imbarazzante autospottone con colonna sonora da kolossal hollywoodiano. Il video immortalava un furgone griffato Regione Lombardia e carico di scatole piene (si presume) di mascherine, di cui il Caparini, con voce stentorea da Cinegiornale Luce, annunciava la “distribuzione via via (sic) a tutti i sindaci”, precisando che “è questione di qualche giorno”, ma dimenticando di spiegare perché, se le mascherine devono ancora arrivare, la giunta le abbia rese obbligatorie domenica. E lì irrompeva un giovanotto atletico e scattante, tipico uomo del fare ma soprattutto del dire, chiamato a sostituire il rag. Fantozzi nel ruolo del cortigiano che urla “È un bel direttore! Un apostolo! Un santo!”. Il suo nome è Roberto Di Stefano, sindaco forzista di Sesto S. Giovanni ma soprattutto marito di Silvia Sardone, la pasionaria di B. che si fece eleggere nella Lega a Bruxelles. “Come promesso”, scandiva il principe consorte con l’aria del banditore da fiera, un filino più enfatico di Wanna Marchi, “proprio oggi Regione Lombardia ci ha inviato 25 mila mascherine!”. Stava per aggiungere: “E per i primi prenotati una batteria di padelle antiaderenti!”. Ma sfortuna ha voluto che fosse collegato Mentana, che ha derubricato la televendita a “propaganda” e sfumato il collegamento.

In quel preciso istante è venuto giù il teatrino inscenato ogni giorno dai De Rege padani, dopo il crollo dell’altro trompe-l’œil, il Bertolaso Hospital che doveva ricoverare in Fiera 600 pazienti e finora ne ha tre. E tutti hanno capito che queste baracconate servono a nascondere i disastri (e i morti da record mondiale) della “sanità modello” lombarda e dei suoi corifei.

A noi, che siamo gente semplice, bastavano le loro facce (e quella di Formigoni) per sapere che il “modello Lombardia” era una truffa da magliari, e ci siamo presi tutti gli improperi del mondo per aver osato scriverlo per primi.
Ora però le stesse cose le mettono nero su bianco i presidenti degli Ordini provinciali dei medici di tutta la Lombardia in un impietoso atto d’accusa ai vertici della Regione che ogni giorno si lodano e s’imbrodano: “assenza di strategie nella gestione del territorio”, “tamponi solo ai ricoverati e diagnosi di morte solo ai deceduti in ospedale”; “errata raccolta dati”, “incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio”; “gestione confusa delle Rsa e dei centri diurni per anziani che ha prodotto diffusione contagio e triste bilancio di vite umane (nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6mila ospiti in un mese)”; “mancata fornitura di protezioni individuali ai medici e al personale sanitario che ha determinato la morte o la malattia di molti colleghi”; “assenza dell’igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti)”; “non-governo del territorio con saturazione dei posti letto ospedalieri”; “sanità pubblica e medicina territoriale trascurate e depotenziate”.

Non bastando questo j’accuse, che dovrebbe tappare la bocca ai destinatari per il resto dei loro giorni, Gallera ammette bel bello che, in effetti, quel che dice Conte da una settimana è vero: la legge 833/1978 consente alle Regioni di chiudere porzioni di territorio (come Alzano e Nembro) in zone rosse per motivi sanitari. Gli sarebbe bastato digitarla su Google, o chiedere ai “governatori” Zingaretti, Bonaccini, De Luca e Musumeci, che hanno istituito zone rosse senza scaricabarile con Roma.
Invece Gallera, fra una televendita e l’altra, ha personalmente “approfondito” e scoperto con soli 42 anni di ritardo che “effettivamente la legge che ci consente di fare la zona rossa c’è”. Con comodo, nel giro di un altro mesetto, scoprirà che lui sapeva dal 23 febbraio dei primi contagi all’ospedale di Alzano (chiuso e riaperto in tre ore senza sanificazione), eppure il suo comitato scientifico ipotizzò di cinturare la zona solo il 4 marzo. Ma la giunta non lo fece perché “pensavamo lo facesse il governo” (che stava preparando il lockdown di tutt’Italia). Peccato che il governo, nel decreto del 23 febbraio, avesse incaricato le Regioni di segnalargli (o disporre in proprio) le eventuali zone rosse nei rispettivi territori.

Anche Fontana ieri era in vena di scoperte: ha persino ammesso che forse, nelle case per anziani, qualcosa è andato storto (anche perché la Regione vi riversava i ricoverati Covid ancora infetti, moltiplicando i contagi e i morti). Dopo una simile Caporetto, se questa fosse gente seria come il generale Cadorna, uscirebbe dal nuovo Pirellone con le mani alzate: non per aver perso la guerra, ma per non averla neppure combattuta. Ma le dimissioni non si addicono ai cabarettisti e, temiamo, neppure i processi: per commettere un reato, bisogna sapere almeno vagamente quel che si fa. E, anche da questo punto di vista, i fratelli De Rege sono al di sotto di ogni sospetto.


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