mercoledì 8 aprile 2020

IL CASO. - Gianni Barbacetto

Coronavirus, i tre leghisti (più uno) della sanità lombarda attorno a cui ruota il caos di Alzano

“Eravamo 4 amici al bar” - Locati, Cosentina e Marzulli: sono tre (più uno) gli uomini della sanità lombarda a dover spiegare la diffusione del virus dal Pronto soccorso. 

Coronavirus, i tre leghisti (più uno) della sanità lombarda attorno a cui ruota il caos di Alzano.
- Ci sono tre persone (più una) che potrebbero spiegare com’è partito il contagio nel cluster infettivo più devastante d’Italia, quello scoppiato ufficialmente il 23 febbraio all’ospedale di Alzano Lombardo. Da lì, il virus si è diffuso verso la zona di Bergamo, poi di Brescia e infine, probabilmente, verso Milano. I tre sono il direttore generale della Asst Bergamo Est Francesco Locati, il direttore sanitario Roberto Cosentina e il direttore medico Giuseppe Marzulli. Il Fatto Quotidiano ha chiesto ai tre di ricostruire le prime ore del contagio più terribile del Paese, ma non ha avuto risposta. L’Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) Bergamo Est comprende gli ospedali di Seriate, dove ha la sua sede, e di Alzano, Gazzaniga, Piario, Lovere, Trescore Balneario, Sarnico. È feudo leghista, presidiato da Francesco Locati, che ha voluto al suo fianco come direttore sanitario Roberto Cosentina. Il “Presidio 2” della Asst, che comprende l’ospedale di Alzano, ha Marzulli come direttore medico.
INCARICHI NELL’ASST.
Uno direttore generale a Bergamo-Est, l’altro sanitario e il terzo ancora dirige il presidio
È all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano – Val Seriana, sei chilometri da Bergamo – che tutto comincia. Sappiamo ormai che i primi due pazienti Covid-19, almeno ufficialmente, sono Franco Orlandi, ex camionista di Nembro, e Tino Ravelli, pensionato di Villa di Serio. Sono ricoverati nel reparto medicina interna, terzo piano. Saranno i primi due morti della zona di Bergamo: per polmonite e crisi respiratoria, dopo giorni di febbre alta e oppressione al petto.
Nella notte tra venerdì 21 e sabato 22 febbraio, per la prima volta, le infermiere e il personale sanitario del reparto medicina indossano le mascherine Ffp2. Dal Lodigiano sono già arrivate le brutte notizie sull’ingresso in Nord Italia del coronavirus, Codogno è già stata dichiarata zona rossa. Il 21 febbraio Ravelli viene sottoposto al tampone. Risulterà positivo al Covid-19: l’esito arriverà il 22.
Non viene avvisato nessuno. Non i parenti, non il personale dell’ospedale, non il ministero della Salute, a cui dev’essere data comunicazione dei casi pandemici. Domenica 23, nel pomeriggio, viene chiuso il Pronto soccorso. Ma solo per poche ore. Poi riapre. Senza alcuna sanificazione. Senza la creazione di percorsi e ambienti differenziati per i sospetti da Covid-19. Lunedì mattina, l’ospedale riprende la vita feriale di sempre, con il centro prelievi affollato di gente, in maggior parte anziani, e gli interventi chirurgici programmati che si susseguono come se niente fosse successo.
Nei giorni seguenti, l’ecatombe. Muoiono molti dei pazienti, muoiono tanti famigliari dei ricoverati venuti in visita nei giorni precedenti. Si ammalano il primario e giù giù medici, infermieri, portantini, pazienti dimessi e rimandati a casa, parenti e visitatori. Alzano raggiunge i 170 contagi, il vicino paese di Nembro supera i 200. Nella provincia di Bergamo i morti sono oltre 2.300. Poi il contagio si estende a Brescia e infine, con esiti disastrosi, a Milano. Locati, Cosentina e Marzulli dovrebbero spiegare che cosa è successo all’ospedale di Alzano tra venerdì 21 e lunedì 24 febbraio. Chi ha deciso di far indossare le mascherine, la notte del 21? Chi ha disposto la chiusura del Pronto soccorso, il 23? Ma poi: chi l’ha fatto riaprire? Chi ha ordinato di proseguire la normale attività il 24? Perché non è stato informato il ministero? Sono stati invece informati i vertici della Regione Lombardia e l’assessore Giulio Gallera? È lui il “più uno” di questa storia: quando e come ha saputo ciò che stava succedendo ad Alzano? Ha avuto contatti con i dirigenti della Asst? Quando è stato informato della situazione il suo braccio destro, il direttore generale della sanità lombarda Luigi Cajazzo?
Il primo responsabile di questo caos è il direttore generale Francesco Locati. È arrivato al vertice della sua Asst nel gennaio 2016, quando la Regione Lombardia rinnova il rito formigoniano della grande spartizione politica della sanità, con i suoi 19 miliardi di budget la parte più succulenta del bilancio regionale. È poi riconfermato nel 2018. La lottizzazione dei manager sanitari per appartenenza politica viene “confessata” nel 2016, per un errore dell’Arca Lombardia, la centrale acquisti della Regione. Una cartina con i nomi dei prescelti e il simbolo del partito d’appartenenza compare per qualche ora sul sito di Arca e viene mandata via email all’indirizzario della Regione. Poi la pagina è oscurata e viene inviato una rettifica in cui si spiega che la cartina è “un’artificiosa ricostruzione giornalistica”. Purtroppo aderente alla realtà: con il governatore leghista Roberto Maroni, nel 2016, i 35 direttori generali sono così spartiti: 13 alla Lega, 11 a Forza Italia, 10 al Ncd, uno a Fratelli d’Italia. Nel 2018, il governatore Attilio Fontana sceglie 24 dirigenti sanitari della Lega, 14 di Forza Italia, due di Fratelli d’Italia. Locati c’è sempre. Ha un rapporto diretto con Matteo Salvini e una relazione forte con Roberto Anelli, oggi capogruppo della Lega in Consiglio regionale, ma anche – scherzi del destino – ex sindaco e attuale consigliere comunale di Alzano, dove tutto iniziò.

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