venerdì 23 aprile 2021

Draghi e Letta augurino lunga vita ai 5stelle. - Antonio Padellaro

 

Secondo lo stupidario politico in voga, l’autoprodotta video-catastrofe di Beppe Grillo, con successiva lapidazione del suddetto, dovrebbe comportare la rapida dissoluzione dei 5stelle, del resto giudicati in avanzato sfacelo. Oltre, di conseguenza, al fallimento di Giuseppe Conte, impegnato nella difficile rifondazione del Movimento. Con il suo definitivo ritorno all’insegnamento, e amen. Esemplare il commento soddisfatto di Matteo Renzi secondo il quale “le parole di Grillo dicono molto su cosa è diventato il Movimento 5 Stelle. O forse è sempre stato così, ma adesso se ne accorgono in tanti. Sipario”. Purtroppo per il neoimpresario di Rignano sull’Arno (con addentellati nei peggiori suq levantini) l’auspicato sipario sugli odiati grillini – ove calasse con la stessa velocità con la quale egli e Maria Elena Boschi, dopo lo storico rovescio, si rimangiarono la promessa di abbandonare per sempre la politica – comporterebbe, tanto per dirne una, l’immediata crisi del governo Draghi. Parliamo di quel capolavoro napoleonico da lui promosso grazie al quale Italia Viva, che prima poteva ricattare ogni giorno il governo Conte, oggi conta come la Superlega di Andrea Agnelli, ovvero una risata. Dalla guerra sulla piattaforma Rousseau alle polemiche sul doppio mandato alle risse tra le correnti, il M5S naviga in acque sicuramente tempestose. Ma resta pur sempre la forza politica prevalente in Parlamento, l’azionista di riferimento nell’attuale maggioranza, il contrappeso sul quale il premier può contare per arginare le nefaste incursioni del salvinismo. Quanto al Pd, è comprensibile che certi suoi illuminati esponenti gongolino nello scommettere sull’implosione grillina, e sentano l’odore del sangue (per dirla con Gad Lerner). Convinti di potersi riprendere quella quota di consensi che il Movimento acquisì a sua volta sottraendoli al Nazareno annichilito dallo choc renziano. Un calcolo del tutto sconclusionato visto che se privati sul piano delle alleanze della sponda 5stelle, con il prossimo voto autunnale nelle grandi città i pidini resterebbero come don Falcuccio, alla mercé del Salvini&Meloni. Ragion per cui fossimo in Draghi e Letta pregheremmo ogni giorno in aramaico per il rinsavimento di Grillo, per il successo di Conte, augurando lunga vita e prosperità al Movimento.

IlFQ

Bongiorno conflitti d’interesse. - Gaetano Pedullà

 

Fosse per certi leghisti dovrebbe dimettersi pure Papa Francesco. Quindi che c’è da meravigliarsi se ieri si sono svegliati con la pretesa di cacciare dal governo la sottosegretaria Macina, coriacea esponente dei 5 Stelle passata per le armi senza bisogno di processo per lesa maestà dell’esimia senatrice avvocatissima Giulia Bongiorno. Che ha fatto di così grave la Macina per meritare di dimettersi, al contrario di quello che fior di leghisti con condanne sul groppone non si sognano di fare?

Ebbene sì: la Macina ha osato mettere il dito nell’eterno conflitto d’interessi che avvolge politica e affari (leggi l’articolo), in questo caso estesi alle professioni. La Bongiorno è infatti un parlamentare – uno dei tanti – che legittimamente per quelle che sono le regole attuali ha diritto a un sontuoso stipendio pubblico e contemporaneamente continua a lavorare. I nostri deputati e senatori, d’altra parte, si sa che dispongono di poteri soprannaturali e quindi possono fare anche due o più attività insieme, tanto chi li sta a sindacare?

E poi  nella gruviera dei regolamenti tutto è permesso, compreso far retribuire da un governo straniero un legislatore nazionale, come fa alla luce del sole Renzi d’Arabia. Nella querelle tra Bongiorno e Macina c’è però di più: c’è il dubbio che il ruolo dell’avvocatessa nel partito di Salvini  possa confliggere con la difesa della presunta vittima dello stupro di cui è accusato il figlio del fondatore dei 5S, Movimento politicamente contrapposto alla Lega.

Dubbio che la Bongiorno ha tutto il diritto di considerare una grave insinuazione, ma che oggettivamente riecheggia nella testa di chi assiste alla vicenda giudiziaria di Grillo Jr, che inevitabilmente è anche una vicenda politica. Dunque, invece di chiedere dimissioni a vanvera, la Lega farebbe meglio a impegnarsi per fare approvare una legge seria sul conflitto d’interessi, e in vista del taglio dei parlamentari – che concentrerà più responsabilità in meno persone – far decidere una volta per tutte a chi è eletto dal popolo se vuole lavorare per i cittadini o per se stesso. Miliardari e professionisti non saranno più incentivati a mettersi a disposizione della Patria? Chissà che per quanto hanno dato molti di loro nessuno ne sentirà la mancanza.

La Notizia.

“B. delinquente e malavitoso”: ecco perché si può dire. - Vincenzo Iurillo

 

Sì, preferirebbe essere adulato come ‘Cavaliere’ o ‘Presidente’, e un bell’‘Onorevole’ ci starebbe sempre bene, giacché ha riconquistato l’agibilità politica e uno scranno in europarlamento. Silvio Berlusconi, però, dovrà farsene una ragione: definirlo “delinquente” non è diffamatorio, non è ingiurioso, non è sbagliato. Nemmeno se aggiungiamo “terrorista”, “malavitoso”, “pregiudicato” e se ricordiamo che “ha gettato una minorenne nelle braccia di una puttana” ed è “sospettato di avere cominciato la sua carriera di imprenditore grazie ai soldi della mafia” e le tante altre prodezze che sappiamo.

Lo dice il giudice civile di Roma Damiana Colla nelle motivazioni della sentenza con cui il magistrato ha rigettato la citazione civile di Berlusconi contro Massimo Fini, Marco Travaglio, Peter Gomez e la società editrice del Fatto Quotidiano, condannandolo a pagare più di 10.000 euro di spese legali ai nostri avvocati Caterina Malavenda e Valentino Sirianni.

In dodici pagine, il giudice spiega che si può dare del delinquente a Berlusconi purché sia chiaro il contesto della critica generale e politica in cui si inserisce il sostantivo, in un quadro dove si sottolinea che il fatto è vero: delinquente è colui che delinque, Berlusconi è stato condannato con sentenza passata in giudicato per frode fiscale, quindi per sillogismo aristotelico Berlusconi è un delinquente. E i sei articoli di Massimo Fini pubblicati nel 2018 sul Fatto, prima e dopo le elezioni politiche celebrate con lo spauracchio della presenza in campo dell’uomo di Arcore, sono rimasti nel recinto della critica politica.

I legali di Berlusconi invece sostenevano che gli articoli erano “caratterizzati da contenuti non solo diffamatori nella sostanza, ma anche apertamente ingiuriosi e illeciti nella forma, in quanto tutti costellati da gratuite e immotivate offese ad personam, esorbitanti da ogni possibile limite di tolleranza”. Ed è qui che il giudice inizia a fare coriandoli delle tesi dell’ex premier. “Nulla è specificamente allegato da parte attrice – scrive la dottoressa Colla – circa la ‘sostanza’ diffamatoria di ogni articolo, concentrandosi piuttosto l’attore sul requisito formale della continenza espositiva”.

In parole povere: Berlusconi sottolinea i presunti insulti, ma trascura la parte in cui dovrebbe provare di essere vittima di menzogne. E non può fare altro, perché per quanto aspre e urticanti, le parole di Fini si muovono sul terreno di fatti e notizie vere. E quindi sono critiche legittime. Quando Fini dà del “terrorista” a Berlusconi parte dal dato, vero, che B. ha appena definito “criminale” la sentenza che lo ha condannato, “che gli impedisce di fare il premier”. Quindi, come i brigatisti, delegittimando quella sentenza, non riconosce le istituzioni dello Stato. Ecco perché Fini non è sanzionabile quando paragona B. a Vallanzasca preferendo il secondo al primo perché Vallanzasca “non ha mai contestato il diritto dello Stato a punirlo”. È una critica legittima anche questa.

Berlusconi inoltre non può lamentarsi di essere chiamato “delinquente naturale”: lo afferma la sentenza del Tribunale di Milano sulle “enormi evasioni off shore”. Il resto è riferibile alle vicende di Ruby e Nicole Minetti, e al ruolo di Marcello Dell’Utri nel patto tra l’ex senatore e la mafia per proteggere B. e i suoi interessi economici in cambio di fiumi di denaro.

La sintesi migliore della sentenza a nostro avviso è in questo passaggio: “Il giudizio critico manifestato dall’autore è dunque interamente frutto delle numerose vicende giudiziarie che hanno coinvolto l’attore, con gli esiti più diversi, ma dei quali non era necessario dare conto (…), in ragione del fatto che esso non ha a oggetto cronaca giudiziaria, ma l’espressione di un complessivo e ragionato giudizio critico soggettivo”.

IlFQ

giovedì 22 aprile 2021

I ristori ai soliti signori delle grandi mostre. - Nicola Borzi

 

A Mondadori e Sole la fetta più grande.

Dal Maestro delle storie di Isacco ad Assisi, forse un giovane Giotto, sino a Van Dijck e Jouvenet, la vicenda biblica di Giacobbe che carpisce con l’astuzia la benedizione del padre Isacco destinata invece per diritto al primogenito Esau è un topos che per secoli ha tenuto banco nella pittura. Nessuno ha mai dedicato al tema un’esposizione antologica, ma da qualche mese la discussione sulla furbizia infuria nel settore delle mostre. Il ministero della Cultura retto da Dario Franceschini, che gestisce 4,24 miliardi di aiuti pubblici per l’emergenza Covid, già dall’anno scorso ha versato decine di milioni alle società organizzatrici di eventi saltati a causa della pandemia. Una manna dal cielo per un comparto che come altri ha visto crollare i ricavi. Ma c’è chi sostiene che alcuni avrebbero ricevuto quella benedizione senza averne titolo.

In Italia nessuno ha dati precisi sul mondo delle mostre. Manca un registro degli eventi, non si conoscono numero degli spettatori né giro d’affari complessivo. L’unica fonte parziale sono le statistiche Siae, che però mischiano mostre e fiere, come il Salone del Mobile di Milano. Secondo i dati preliminari, nel 2020 gli eventi sono calati a 27.913, quasi 50mila in meno rispetto al 2019 (-64%) con appena 5,8 milioni di ingressi (20 milioni in meno, -78%), per un incasso al botteghino crollata a 46 milioni da 196 milioni (-77%).

A fronte di questo disastro, i contributi a fondo perduto per il ristoro di mostre d’arte cancellate annullate o rinviate valgono sinora 71,4 milioni. Una boccata d’ossigeno la cui suddivisione ha deciso i sommersi e i salvati tra gli operatori del settore. La ripartizione, gestita tramite 7 decreti ministeriali, non è stata calcolata sulle perdite di bilancio subìte dagli operatori (quando sono stati distribuiti i primi sostegni non erano ancora disponibili i rendiconti 2020) ma in base ad autodichiarazioni sulla differenza in corso d’anno tra i fatturati 2020 e 2019. L’attività delle mostre però varia di anno in anno con risultati incerti, perché nulla assicura il successo di un evento. Così sono stati risarciti incassi presunti da parametri precedenti. Inoltre gli operatori hanno ottenuto anche altri sostegni, come la cassa integrazione per i dipendenti.

La direzione Musei del Mibact con i suoi decreti ha stabilito che potevano fare domanda gli operatori “che abbiano subito un calo di fatturato per la cancellazione, l’annullamento o il rinvio, a causa dell’emergenza Covid, di almeno una mostra d’arte in Italia o all’estero in calendario tra il 23 febbraio e il 30 settembre 2020”. Erano ammessi ai contributi i soggetti la cui “attività prevalente sia l’organizzazione di mostre d’arte” e le imprese di logistica, trasporto e allestimento che dalle mostre d’arte avessero ricevuto oltre il 50% del fatturato. Tra i requisiti c’erano l’assenza di procedure fallimentari, la regolarità contabile contributiva e fiscale e la possibilità di contrattare con la Pubblica amministrazione. Gli aiuti per legge non sono tassabili come reddito e dunque entrano tutti nelle componenti positive dell’utile netto.

Una buona fetta dei sostegni agli organizzatori di mostre, oltre 65 milioni, sono stati già erogati tra il 2019 e il marzo scorso. La fetta maggiore è andata a pochissime imprese: i primi 8 gruppi (su 38) hanno ricevuto l’85% della somma, oltre 39 milioni sui 50,1 destinati alla categoria. Anche tra i gruppi dei servizi i primi 6 beneficiari (su 19) hanno ricevuto quasi l’83% del sostegno al segmento: 12,7 milioni su 15,3. Ma a scatenare le polemiche è stato soprattutto il fatto che la parte del leone nella suddivisione degli aiuti è andata alle imprese collegate a due editori, Electa della Mondadori e 24Ore Cultura del Sole. Questi due operatori da soli si sono portati a casa quasi il 40% di tutti i sostegni alla filiera, poco meno di 20 milioni su 50,1. Electa primeggia nella classifica dei beneficiari: da sola ha ricevuto il 30% dei fondi agli organizzatori di mostre, 15,1 milioni su 50,1, dei quali 10,9 versati già nel 2020. 24Ore Cultura lo scorso anno ha ricevuto aiuti per 3,52 milioni e altri 1,24 a marzo, il 9,5% del settore. Contributi detassati che hanno sostenuto i bilanci consolidati 2020 dei relativi gruppi editoriali quotati.

Secondo il bilancio, Mondadori Electa nel 2019 ha realizzato 60,2 milioni di ricavi e 8 milioni di utile. L’organizzazione delle mostre valeva 3,2 milioni, i proventi da biglietteria 20,8: in totale 24 milioni, il 40% dei ricavi. La vendita di libri ha generato incassi per 28,84 milioni, il 48% del totale. I ricavi vari “pesavano” per il 2,8%, mentre quelli da gestione museale 5,23 milioni, il 9%. Un operatore del settore che chiede l’anonimato si domanda “come abbia fatto Electa a dichiarare quale attività primaria l’organizzazione di mostre. Dalle visure risulta che l’attività prevalente indicata è la “gestione di luoghi e monumenti storici e attrazioni simili” ed “edizione di libri”. Eppure hanno già ottenuto aiuti pari a oltre il 60% dei ricavi da eventi realizzati nel 2019”. Il tema del concetto di attività prevalente è dibattuto, tuttavia i pareri legali convergono sul fatto che a dirimerne l’attribuzione non sia il codice Ateco aziendale, dunque la forma, ma la sostanza ovvero la fonte predominante dei ricavi.

Quanto a 24Ore Cultura Srl, nel bilancio al 31 dicembre 2019 segnava ricavi per 12,21 milioni e un utile di 808mila euro. I ricavi dai biglietti delle mostre erano pari a 5,79 milioni, il 47% del totale. Servizi e sponsorizzazioni, vendite di libri e altri prodotti, cointeressenze, gestione del parcheggio del museo Mudec generavano ricavi per 6,42 milioni, il restante 53%. “Eppure 24Ore Cultura ha già ottenuti aiuti per 4,76 milioni, l’82% dei suoi ricavi del segmento del 2019”, sottolinea la fonte.

Tra i maggiori beneficiari compaiono poi diverse società del gruppo Arthemisia di Iole Siena che hanno ottenuto aiuti totali per 9,1 milioni, il 18,2% del settore, Mondo Mostre con 4,1 milioni, l’Associazione Civita con 2,6 e Metamorfosi di Pietro Folena per quasi un milione. “Se si guarda all’attività prevalente Mondo Mostre, Civita o Arthemisia paiono aver titolo per i ristori”, spiega il nostro interlocutore. Ma tra le varie imprese presiedute da Iole Siena in passato ci sono stati fallimenti e concordati e una dura vertenza fra Artemisia e 24Ore Cultura ha portato la società del Sole a varare l’azione di responsabilità contro l’ex ad Natalina Costa, accusata di aver danneggiato l’impresa a favore di Artemisia. Forse un motivo per cui mancano mostre sulla furbizia che dribbla il diritto c’è.

IlFQ

Quousque tandem. - Marco Travaglio

 

Mentre la Superlega del calcio frana in testa ai suoi aedi (massima solidarietà a Sambuca Molinari e Johnny Riotta, che si erano tanto spesi sul quotidiano casualmente edito dai padroni della Juve), anche la Superlega della politica scricchiola. E non è colpa di Draghi, che ce la mette tutta, pur col piglio distaccato dell’amministratore delegato. È colpa di chi gli ha tirato il pacco, Mattarella in primis, illudendolo che bastasse ammucchiare nel governo tutti i partiti tranne uno per cancellarne le differenze di idee e di interessi. Non era così. Infatti ieri la Lega, non contenta di avere strappato le imprudenti riaperture al 26 aprile, s’è astenuta sulla proroga del coprifuoco. E non si vede che ci stiano a fare 5Stelle, Pd e Leu in una maggioranza dove, se c’è da cantare, tocca a Salvini e, se c’è da portare la croce, tocca ai giallorosa. Il giochino non può durare, anche perché prima o poi si voterà. Salvini l’ha capito e, tallonato dalla Meloni, si abbarbica al potere per tenere le mani sul bottino del Recovery, ma si finge morto appena c’è da perdere voti. Gli altri quando lo capiranno? Appena inizia il semestre bianco, ci divertiamo.

L’altro nodo che viene al pettine è quello dei vaccini. E qui Draghi c’entra. Ne aveva annunciati 500mila al giorno dopo la metà di aprile, personalmente e per interposto generale Figliuolo. Siamo al 22 aprile e l’altroieri ne sono stati somministrati 300mila. Ora, dopo due mesi di “accelerate” sui giornali, siamo in continua frenata. E, come vaticinò Bersani al cambio della guardia fra Arcuri e Figliuolo, è inevitabile fare un confronto. Dal 6 al 20 gennaio (governo Conte, commissario Arcuri) l’Italia era davanti a Germania, Spagna e Francia per vaccinati in rapporto alla popolazione, e in certi giorni anche per numeri assoluti. A fine gennaio fu superata di pochi decimali dalla Spagna, ma restò sempre davanti a Germania e Francia. Il 13 febbraio Draghi si insedia e il 2 marzo caccia Arcuri e lo rimpiazza con Figliuolo. Il passaggio di consegne al Commissariato fra la struttura Invitalia e l’armata interforze dura un mese. Arcuri e i suoi garantiscono una decina di giorni di presenza, durante i quali (3-13 marzo) l’Italia resta seconda dietro la Spagna e davanti a Francia e Germania, poi se ne tornano nella loro sede. Il 13 marzo Figliuolo vara il nuovo Piano vaccini e l’Italia inizia a precipitare: terza il 14 e 15 marzo, scavalcata anche dalla Germania; poi, con rare eccezioni, sempre ultima. I dati dell’altroieri sono impietosi: Spagna 20,19% di abitanti vaccinati, Germania 20,07, Francia 18,73, Italia 18,24. Abbiamo perso due mesi. E per peggiorare. Chi se ne va prima: Salvini o Figliuolo?

IlFQ

SINDACATI E POLITICA/ Così il Recovery può aiutare l’occupazione in Italia. - Angelo Colombini

 

Ieri c’è stato un incontro tra i sindacati e il Premier riguarda il Piano nazionale di ripresa e resilienza che il Governo sta approntando. 

L’Italia, tra tutti gli Stati membri colpiti dal virus, è il maggior beneficiario degli aiuti inediti che sono stati resi disponibili dall’Unione europea e che arriveranno tramite il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La profondità e l’ampiezza della crisi economica determinata dalle conseguenze della pandemia su occupazione, Pil, attività produttive, entrate fiscali, incremento del deficit e del debito ha comportato un dispiegamento di risorse addirittura maggiori di quelle erogate dal “Piano Marshall” nel dopoguerra. 

In Italia la crisi si è innestata e ha ampliato contraddizioni, fragilità, ineguaglianze e divari propri del nostro sistema “Paese” e si spera che possano essere in parte recuperati intercettando e soprattutto finalizzando gli aiuti del Pnrr. “Finalizzando” perché l’Italia, come capacità di spendere i fondi europei, è nella parte bassa della classifica europea. 

Per questo motivo, data la natura della crisi, i sostegni europei, lo scostamento di bilancio e il Recovery Plan, le risorse devono essere impegnate nel più breve tempo possibile, definendo procedure che facciano superare i burocratismi e gli schemi comuni a cui siamo abituati. Se vogliamo recuperare i ritardi italiani che hanno depresso l’innovazione e gli investimenti, aumentato le diseguaglianze e scaricato il costo prevalente della fiscalità generale sui redditi da lavoro dipendente e sulle pensioni, non possiamo permetterci di sprecare neanche un euro.

Il Pnrr non è la panacea di tutti i mali, ma è una grande opportunità per invertire la tendenza, tornare sulla strada della crescita stabile, disinnescare le oltre 120 crisi aziendali, creare lavoro dignitoso, di qualità e sostenibile, ridurre le disuguaglianze, investire sulle questioni ambientali e di contrasto al cambiamento climatico.

Questa opportunità per diventare tangibile e concreta deve partire dalla verifica delle ricadute economiche e occupazionali, dalla presenza delle parti sociali nella governance ed essere accompagnata dalla costituzione di un patto tra gli attori coinvolti per seguire l’attuazione del piano complessivo – e non dei singoli progetti – e di tutte le riforme, imprescindibili, ad esso connesse, com’è emerso ieri dall’incontro tra i Segretari generali di Cgil, Cisl e Uil e il Premier Draghi.

La ricaduta a valle di quanto previsto nel Pnrr deve andare oltre la semplice informativa, deve essere strutturata, programmata e monitorata dettagliatamente al fine di valutarne l’impatto economico e occupazionale, per raccordarla con le urgenti e necessarie riforme strutturali che riguardano i temi del lavoro e dell’occupazione, della sanità e della Pubblica amministrazione, delle politiche industriali, energetiche e delle infrastrutture, della scuola e della giustizia, del fisco, delle politiche sociali e dell’ambiente.

Per noi della Cisl è importante che venga recuperato, in un cambiamento di questa portata, il confronto e la concertazione con le parti sociali in tutte le fasi del Piano, dalla progettazione, alla realizzazione e infine al monitoraggio, sia dei tempi che di corrispondenza agli indicatori definiti. Ma per fare ciò bisogna andare oltre gli slogan e accantonare le posizioni ideologiche.

Nel corso dell’ultimo anno, e da quando l’Europa ha pensato al Next Generation Eu (Ngeu) abbiamo elaborato proposte, documenti, osservazioni ed emendamenti volti innanzitutto alla tutela, alla salvaguardia e alla valorizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori. Per rendere il nostro Paese più vivibile, giusto e innovativo, utilizzando le opportunità e gli strumenti che l’Europa ci mette a disposizione, abbiamo declinato nella nostra azione sindacale a tutti i livelli, da quello internazionale a quello locale, la cosiddetta Giusta Transizione: nessuno deve essere lasciato indietro.

E in questa roadmap verso l’uscita dalla crisi che implica diverse transizioni, tra cui quella energetica, non si può fare a meno dell’utilizzo del gas, nella misura in cui le altre fonti alternative e rinnovabili non sono ancora in grado di rispondere al totale fabbisogno energetico. 

Siamo i primi ad avere coscienza e ad affermare che il lavoro si tutela anche tramite il perseguimento dell’innovazione organizzativa e tecnologica, e chiediamo, ancor di più oggi, che si velocizzino con il massimo impegno le due transizioni gemelle (ecologica e digitale) prevedendo anche, tra gli obiettivi prioritari, un ripensamento del sistema dell’istruzione che sia legato alle emergenti e nuove competenze che accompagni le persone. Solo definendo opportuni percorsi di formazione e riqualificazione professionale, adeguati ammortizzatori sociali, efficaci politiche attive, informazioni trasparenti con il diretto coinvolgimento e partecipazione di tutti, si potrà avere il necessario consenso per raggiungere gli obiettivi di ripresa del Pnrr che non prescindono da quelli di decarbonizzazione e di lotta ai cambiamenti climatici.

IlSussidiario.net

Covid: Varato il nuovo decreto, in CdM scontro sul coprifuoco ma Draghi si impone.

 

Resta alle 22 fino all'1 giugno, dopo maggio potrebbe essere valutata una delibera per eliminarlo.

Il Consiglio dei ministri chiamato a dare il via libera al decreto per le riaperture dal 26 aprile è terminato. Il provvedimento prevede che sarà mantenuto almeno fino al primo giugno il coprifuoco alle 22. Dopo maggio potrebbe essere valutata, dopo un'ulteriore analisi dei dati epidemiologici, una delibera per eliminarlo o far partire il provvedimento dalle ore 23. Sarà possibile sedersi ai tavoli nei ristoranti al chiuso dal primo giugno.

La Lega, a quanto si apprende, ha annunciato in Consiglio dei Ministri che si asterrà sul voto sul decreto.

Il nuovo decreto legge Covid sarà valido dal 26 aprile al 31 luglio. 

SCUOLA - "Dal 26 aprile e fino alla fine dell'anno scolastico si torna in classe anche nelle scuole superiori (secondarie di secondo grado).

La presenza è garantita in zona rossa dal 50% al 75%. In zona gialla e arancione dal 70% al 100%." E' quanto prevede il decreto sulle riaperture che quindi aumenta dal 60% al 70% il limite minimo per le superiori in presenza nelle zone gialle e arancioni. Per le università il dl prevede che "dal 26 aprile al 31 luglio nelle zone gialle e arancioni le attività si svolgono prioritariamente in presenza. Nelle zone rosse si raccomanda di favorire in particolare la presenza degli studenti del primo anno".

GREEN PASS - "Le certificazioni verdi rilasciate dagli Stati membri dell'Unione sono riconosciute valide in Italia. Quelle di uno Stato terzo se la vaccinazione è riconosciuta come equivalente a quella valida sul territorio nazionale." E' quanto prevede il decreto sulle riaperture approvato in Cdm nel passaggio in cui si disciplina il "green Pass" per la circolazione tra Regioni italiane anche di diverso colore.

VISITE - "Dal 26 aprile e fino al 15 giugno, in zona gialla e arancione, è possibile andare a trovare amici o parenti in una abitazione privata (diversa dalla propria) in 4 persone al posto di 2."

SPOSTAMENTO TRA REGIONI - "Dal 26 aprile chi è munito di certificazione verde potrà spostarsi da una Regione all'altra anche se si tratta di zone rosse o arancioni." E' quanto prevede il decreto riaperture. Secondo quanto stabilito dal decreto "può avere il certificato verde:

• chi ha completato il ciclo di vaccinazione (dura sei mesi dal termine del ciclo prescritto)

• chi si è ammalato di covid ed è guarito (dura sei mesi dal certificato di guarigione)

• chi ha effettuato test molecolare o test rapido con esito negativo (dura 48 ore dalla data del test)"

CINEMA E TEATRI - In relazione all'andamento epidemiologico e alle caratteristiche dei siti che ospitano cinema, teatri, sale concerto e live club, si potrà autorizzare la presenza anche di un numero maggiore di spettatori all'aperto rispetto ai 500 previsti al massimo al chiuso e ai mille all'aperto o al 50% della capienza, nel rispetto delle indicazioni del Cts e delle linee guida. E' quanto prevede il dl.

EVENTI SPORTIVI - E' possibile autorizzare lo svolgimento di eventi sportivi di particolare rilevanza anche prima dell'1 giugno. Per tali eventi, e tenuto conto delle caratteristiche dei siti, è possibile autorizzare la presenza di un numero maggiore di 1.000 spettatori per gli impianti all'aperto o di 500 per quelli al chiuso. 

IL 'TAGLIANDO' - Un 'tagliando' al decreto legge a metà maggio, per valutare la sussistenza di presupposti per allentare eventualmente le misure nel caso che i dati epidemiologici lo permettano. E' quanto si apprende da fonti di Governo.

LO SCONTRO - Una riunione pre-Consiglio dei ministri lunga un'ora e piuttosto animata ha segnato lo scontro nel governo sul nodo del coprifuoco. Uno scontro che ha visto la Lega in prima linea per prolungare l'orario del coprifuoco dalle 22 alle 23. E alla fine è stato lo stesso premier Mario Draghi a stoppare la modifica al coprifuoco decisa nell'ultima cabina di regia. E, secondo più di un ministro presente, il capo del governo avrebbe mostrato anche una certa irritazione sul cambio di linea, sul coprifuoco, rispetto a quanto già stabilito collegialmente. Sul mantenimento del coprifuoco alle 22 si erano già espressi favorevolmente i ministri di Pd, M5S e Leu. Il Cdm, slittato oltre le 18, alla fine ha confermato sostanzialmente la bozza del decreto riaperture, incluso il "no" ai ristoranti al chiuso la sera a maggio e all'anticipo di uno slittamento dell'orario del coprifuoco. Ed è a quel punto che la Lega ha annunciato la sua astensione sul provvedimento.

Il leader della Lega Matteo Salvini difende la decisione di sostenere il governo e conferma che il suo partito non voterà il decreto. "Voteremo il prossimo di decreto, se aiuterà i lavoratori. Questo no. Se sono convinto vado in fondo: la scelta di sostenere Draghi è stata giusta, sarebbe stato più comodo starne fuori ma ora l'Italia merita impegno e sacrifici. Se siamo zona giallo è grazie alla Lega, però se 500 persone possono chiudersi in un cinema perchè 20 non a cena, o in due in palestra. Chiediamo rispetto". "La Lega chiede di dare fiducia agli italiani che hanno dimostrato per un anno pazienza e rispetto delle regole. Non potevamo votare un decreto che continua a imporre chiusure, coprifuoco, limitazioni. I dati sanitari fortunatamente sono in netto miglioramento: negli ultimi giorni sono migliaia i letti di ospedale che si sono liberati".

Fonti del Pd di governo dopo il Cdm definiscono "equilibrato" il risultato del lavoro del Consiglio dei Ministri. "La piattaforma che abbiamo condiviso e che sosteniamo è un punto di equilibrio giusto tra l'esigenza di ripartenza e la tutela della salute. Ravvisiamo nell'atteggiamento della Lega la conseguenza di una contraddizione che è quella di un continuo susseguirsi di ultimatum che portano a questo tipo di incidenti di percorso". "Il Pd da sempre è per le riaperture in sicurezza e la strada indicata da Draghi, graduale ma attenta a tutelare salute ed economia, è quella giusta. La scelta di Salvini è irresponsabile e crea confusione nel Paese". E' quanto fanno sapere fonti del Nazareno. "Questo è il momento della responsabilità e della coesione nelle scelte di governo per consentire al Paese di ripartire in sicurezza. E' incomprensibile che la Lega punti a privilegiare un interesse di partito e per questo rompa l'unità del governo su decisioni tanto delicate. La speranza è che si tratti solo di una parentesi e che venga chiusa quanto prima". Così Debora Serracchiani, capogruppo Pd alla Camera

Fonti di governo del Movimento 5 stelle si dicono rammaricate per le decisioni del Carroccio. "Spiace per atteggiamento Lega. Questo Governo è nato per incoraggiare la coesione nazionale. Oggi è stata messa in discussione l'unità delle nostre decisioni. In un momento come quello che stiamo vivendo, l'interesse per il Paese viene prima di quello di partito. Purtroppo dalla Lega è un film già visto, che non ha pagato." 

"Con il decreto varato oggi in Cdm abbiamo definito una road map per riaperture intelligenti e in sicurezza - come aveva chiesto Forza Italia - introdotto un green pass italiano, riportato la gran parte degli studenti in aula, ripristinato la fascia gialla, che era stata sospesa per legge. Come ha affermato Antonio Tajani, siamo soddisfatti, ma si può migliorare". Lo afferma Mariastella Gelmini, ministro per gli Affari regionali, sottolineando che FI "insisterà perché si ponga rimedio ad alcune incongruenze sui settori della ristorazione, dello sport e del wedding, ma questo resta il decreto della ripartenza in sicurezza".

COSA CHIEDEVANO LE REGIONI - "Consentire, nel rispetto dei protocolli di sicurezza, i servizi di ristorazione sia al chiuso che all'aperto, senza distinzione di trattamento in base agli orari di somministrazione, la proroga del coprifuoco dalle 22 alle 23, la ripresa delle attività individuali in palestra al chiuso e in piscine all'aperto, già a partire dal 26 aprile". Sono queste - a quanto si apprende- le ulteriori osservazioni e modifiche alla bozza del decreto-legge che dovrà essere varato e che, a seguito delle interlocuzioni con il Governo, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha trasmesso ai ministri Gelmini e Speranza. I governatori chiedono anche "la riapertura del settori wedding e l'avvio anticipato, rispetto a quanto disposto in bozza, dei mercati, l'uniformazione delle date di riapertura degli spettacoli all'aperto e degli eventi sportivi all'aperto". 

ANSA