venerdì 23 luglio 2021

Io so che tu sai che non so. - Marco Travaglio

 

Il dibattito se i 5Stelle debbano restare al governo o uscirne è surreale, perché ci sono entrati con l’impegno a “non andare oltre” l’“accordo raggiunto con Pd e LeU” sulla blocca-prescrizione di Bonafede. Quindi, prima di andare oltre, devono chiedere agli iscritti che senso abbia restare in un governo che non va solo oltre, ma proprio agli antipodi. In ogni caso, in un Paese serio, il problema nemmeno si porrebbe perché dal governo sarebbe già uscita la ministra Cartabia. Da due giorni scriviamo che è una bugiarda, perché chiunque sa di giustizia (pm, giudici, avvocati, Dna, Csm) non fa che smentire le sue menzogne al Paese e financo al Parlamento. Ma forse, così, le facciamo un favore, presupponendo che sappia di cosa sta parlando ed escludendo che non ne abbia la più pallida idea. Ipotesi molto concreta, a leggere il Salvaladri&mafiosi e le parole usate per giustificarlo: “Si è detto che i processi per mafia e terrorismo andranno in fumo, ma non è così, perché per i reati puniti con l’ergastolo si esclude l’improcedibilità”.

Una frase agghiacciante già in sé: le vittime di tutti i reati che non siano l’omicidio apprendono che la ministra della Giustizia trova normale mandare i loro processi “in fumo”. Ma soprattutto una menzogna: la stragrande maggioranza dei processi di mafia e terrorismo non contemplano omicidi (puniti con l’ergastolo) e la ministra della Giustizia trova normale mandarli “in fumo”. La pena massima per associazione mafiosa e terroristica è 30 anni: se dalla sentenza di primo grado a quella d’appello passano 3 anni e un giorno, il processo muore stecchito. Quello per la trattativa Stato-mafia (minaccia a corpo politico) dura da oltre 3 anni: con la Cartabia, sarebbe già improcedibile (e non è escluso che lo diventi, se gli avvocati riusciranno a ottenere l’applicazione retroattiva, visti gli effetti penali sostanziali che comporta). Quelli ai forzisti D’Alì e Cosentino, condannati l’altroieri a 6 e a 10 anni in appello per concorso esterno, duravano da 6 e da 5 anni: con la Cartabia sarebbero finiti in fumo. Che queste cose la Guardasigilli le sappia o le ignori, poco cambia. Basterebbe un governo non dei migliori, ma dei discreti, per accompagnarla ipso facto alla porta. A prescindere. Se manda consapevolmente al macero decine di migliaia di processi perché sa quel che fa e poi mente sapendo di mentire, se ne deve andare per palese malafede. Se manda inconsapevolmente al macero decine di migliaia di processi perché non sa quel che fa (ma lo sa chi le scrive le leggi) e poi mente a sua insaputa, se ne deve andare per palese incompetenza. La nota giurista (per mancanza di prove) prestata alla politica va immediatamente restituita, prima che faccia altri danni.

ILFQ

Csm, la riforma non passa: votano contro 4 toghe su 6. - Antonella Mascali

 

Bocciatura secca, senza se e senza ma, della norma della ministra della Giustizia Marta Cartabia sulla prescrizione-improcedibilità. L’ha decretata la competente sesta commissione del Csm, deliberando un parere negativo, tutto incentrato su questo punto della riforma penale, con 4 voti su su 6: quelli del presidente Fulvio Gigliotti, laico M5S e dei togati Sebastiano Ardita, AeI, Elisabetta Chinaglia e Ciccio Zaccaro, Area. Astenuti Loredana Micciché, togata di MI e Alessio Lanzi, laico di FI. Il parere, una ventina di pagine, dovrebbe essere votato mercoledì dal plenum.

Il presidente Gigliotti ne spiega la sostanza: “Riteniamo negativo l’impatto della norma, dato che comporta l’impossibilità di chiudere un gran numero di processi”. Il riferimento è ai paletti temporali che causeranno la morte di migliaia di processi anche per mafia e corruzione: 2 anni per l’Appello e 1 anno per la Cassazione. Questa tempistica, prosegue Gigliotti, “non è sostenibile in termini fattuali, in una serie di realtà territoriali, dove il dato medio è ben superiore ai 2 anni, e arriva sino a 4-5 anni”. Ma la stroncatura riguarda anche profili di incostituzionalità: “La disciplina non si coordina con alcuni principi dell’ordinamento come l’obbligatorietà dell’azione penale e la ragionevole durata del processo”. Quello del Csm è un parere, facoltativo, previsto per legge ma che la ministra della Giustizia Marta Cartabia non ha chiesto. Un comportamento che, da diversi consiglieri, è stato vissuto come uno sgarbo istituzionale. E in plenum si annunciano interventi durissimi anche su altri punti della riforma, a cominciare dalle direttive ai procuratori che dovrebbe dare il Parlamento.

A palazzo dei Marescialli, invece, smentita a più voci una presunta moral suasion, riportata da organi di stampa, da parte del presidente Mattarella per evitare il parere o anche solo per scriverlo con “toni bassi”. Le differenze sui modi di esternare le criticità sono in seno al Csm e si vedranno in plenum. Intanto, ieri, c’è stata una divisione trasversale sulla Commissione per la Giustizia al Sud istituita dalle ministre Cartabia e Mara Carfagna: sì del plenum per i 6 magistrati designati, ma solo 11 sì, tra cui quello del vicepresidente Ermini, 8 contrari e 5 astenuti. Contrari, i togati Ardita, Di Matteo, Marra e Zaccaro, Lanzi, FI e i 3 di M5S, con i professori Benedetti e Donati che hanno invocato la Costituzione. “La Commissione – ha detto Benedetti – tratta prerogative del Consiglio, che dobbiamo difendere”.

ILFQ

Chi molla su Bonafede è complice. - Gaetano Pedullà

 

Andate avanti voi che a me vien da ridere. Dopo aver sentito montagne di fesserie dai giuristi à la carte innamorati della riforma Cartabia, ecco che arrivano le condanne d’Appello agli ex sottosegretari berlusconiani Cosentino e D’Alì (leggi l’articolo), il primo a dieci anni e il secondo a sei, entrambi per concorso esterno in associazione mafiosa.

Ai fini costituzionalisti in trincea per abbattere la legge Bonafede, dev’essere sfuggito che per Cosentino il processo di secondo grado è durato quasi 4 anni e 8 mesi, mentre per D’Alì ci sono voluti 3 anni e mezzo. Se fosse in vigore la norma che vuol propinarci la guardasigilli, i due ex parlamentari sarebbero da tempo liberi come l’aria, in quanto dopo due anni senza sentenza in Appello, e appena uno in Cassazione, scatterebbe l’improcedibilità. Dunque liberi tutti.

Questa situazione, non proprio un sorpresa per chi segue i fatti giudiziari, è denunciata da poche voci intellettualmente libere, con gli ultimi casi (leggi l’articolo) del Procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho e del capo della Procura di Catanzaro, Gratteri. Parole nette, di fronte alle quali la stessa Cartabia non ha fatto un plissé, continuando a raccontarci la favoletta che la sua riforma non fa sconti a nessuno (leggi l’articolo), anche se casualmente i soliti noti della vecchia politica e degli affari stanno facendo di tutto per farla passare.

Dunque, impedire quello che è un condono per migliaia di reati non è una battaglia ideologica, ma una scelta di campo tra chi sente il valore morale di una Giustizia giusta, e chi di valori ne preferisce altri, come quelli che possono sganciare gli impuniti.

LaNotizia

Giustizia, via libera alla fiducia Draghi: 'Nessuno vuole l'impunità'.

 

Il Csm boccia riforma della prescrizione, troppi processi in fumo.


Il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità l'autorizzazione della fiducia sulla riforma della giustizia. 

La conferenza stampa. "Oggi abbiamo fatto un passaggio abbastanza rapido in Consiglio dei Ministri per ciò che riguarda la giustizia. La presenza della ministra Cartabia è un impegno a tenervi informati sempre in tema di cambiamenti sulla giustizia".

Lo dice il premier Mario Draghi in conferenza stampa dopo il CdM.

Sulla riforma della giustizia "ho chiesto l'autorizzazione a porre la fiducia. C'è stato un testo approvato all'unanimità in Cdm e questo è un punto di partenza, siamo aperti a miglioramenti di carattere tecnico, si tratterà di tornare in Consiglio dei Ministri" ha aggiunto Draghi precisand che "il ministro Cartabia è molto disponibile".

"La richiesta di autorizzazione di fiducia è dovuta al fatto di voler porre un punto fermo - ha sottolineato il premier - . C'è tutta la buona volontà ad accogliere emendamenti che siano di carattere tecnico e non stravolgano l'impianto della riforma e siano condivisi. Non mi riferirei solo agli emendamenti di una parte, perché ci sono anche altre parti".

"Nessuno vuole sacche di impunità, bene processi rapidi e tutti i colpevoli puniti, è bene mettere in chiaro da che parte stiamo. Il testo della riforma della giustizia - ha proseguito Draghi - è stato approvato dal CdM poi faremo di tutto per arrivare ad un testo condiviso.

"Chiedere la fiducia può avere delle conseguenze diverse prima del semestre bianco o durante il semestre bianco, ma la diversità è molto sopravvalutata. Chiederla cinque o sei giorni prima è come chiederla durante - ha detto Draghi  - perché i tempi per organizzare una consultazione elettorale non ci sarebbero comunque. Una riforma come quella della giustizia deve essere condivisa ma non è giusto minacciare un evento, la consultazione elettorale, se non la sia approva". 

La ministra Marta Cartabia in conferenza stampa ha sottolineato che il tema affrontato dalla riforma della giustizia è "difficile ma ineludibile, il problema della durata dei processi è grave in Italia". La ricerca di un "punto di mediazione" "non è una novità di oggi, non inizia dopo il Consiglio dei Ministri di oggi ma è il tratto metodologico con cui abbiamo affrontato un tema che sapevamo essere difficile, per trovare una composizione di punti di vista molto diversi". La riforma della giustizia non risponde solo alla richiesta delle "condizioni del Pnrr", che chiede "di ridurre del 25% i processi penali" ma secondo il ministro è legata a "alle esigenze dei cittadini. La ragionevole durata del processo evita la prescrizione. La ragionevole durata del processo è una garanzia dei diritti".

Intanto dal Csm arriva una prima bocciatura della norma sulla improcedibilità contenuta nella riforma della prescrizione approvata dal governo. La Sesta Commissione ha approvato a larga maggioranza, con 4 voti a favore e 2 astensioni, un parere nettamente contrario. "Riteniamo negativo l'impatto della norma", dice il presidente della Commissione Fulvio Gigliotti (5S), perchè comporta "l'impossibilità di chiudere un gran numero di processi". Non solo: secondo la Commissione "la disciplina non si coordina con alcuni principi dell'ordinamento come l'obbligatorietà dell'azione penale e la ragionevole durata del processo". Il problema centrale è il termine di due anni entro il quale va celebrato il processo di appello, oltre il quale scatta la tagliola della improcedibilità: "non è sostenibile in termini fattuali in una serie di realtà territoriali, dove il dato medio è ben superiore ai 2 anni, ed arriva sino a 4-5 anni", spiega Gigliotti. Il che significa che con la nuova norma "si impedisce la trattazione di un gran numero di processi".

Gli scenari. La riforma del processo penale approderà in Aula alla Camera venerdì prossimo 30 luglio. La fiducia approvata dal Cdm potrebbe prefigurare due scenari opposti: uno di rottura con M5s o una sua parte, ed uno di accordo raggiunto nel frattempo in Commissione. La fiducia inoltre rappresenta anche una risposta indiretta alla bordata del Csm - si ragiona in ambienti della maggioranza - la cui Sesta Commissione ha bocciato la riforma del ministro Marta Cartabia, e alle parole più delegittimanti che critiche di alcuni Pm, come anche in giornata Nicola Gratteri.

ANSA

Draghi gela Salvini, è tensione sui vaccini.

 

Il premier apre al green pass su lavoro, Orlando convocherà le parti.


"L'appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori.

Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore". Sono raggelanti le parole del premier Mario Draghi. Una pietra tombale sulle timidezze di alcuni politici sulle vaccinazioni e soprattutto una bocciatura definitiva della posizione espressa da Matteo Salvini, che qualche giorno fa aveva detto che ai giovani vaccinarsi "non serve" e che dai 40 ai 59 si può decidere liberamente se farlo.

Il leader della Lega risponde puntuto: "L'obiettivo di tutti, mio come di Draghi, è salvare vite, proteggere gli italiani. Comunità scientifiche e governi, come quelli di Germania e Gran Bretagna, che invitano alla prudenza sui vaccini per i minorenni, invitano forse a morire? Per fortuna no", afferma, limitando le sue perplessità ai giovanissimi.

Ma anche qui Draghi, nella conferenza stampa che segue il Consiglio dei ministri, ribatte alle perplessità leghiste con una posizione netta: "Senza vaccinazione si deve chiudere tutto di nuovo, il vaccino si sta diffondendo e con il vaccino abbiamo visto che le conseguenze, per quanto riguarda ricoverati e morti, sono molto meno serie". 

ANSA

giovedì 22 luglio 2021

Contagio più veloce del previsto: perché è un grave errore affidarsi solo ai vaccini. - M.T. Island

 

Affrontiamo la variante Delta con dati vecchi e inaffidabili, i numeri inglesi non vengono letti correttamente e senza un numero di test adeguato permettiamo al virus di allargare il bacino di replicazione e generare varianti.

Dei tre scenari che avevamo delineato la scorsa settimana, stiamo purtroppo avanzando a passo di corsa verso quello peggiore (30.000 casi al giorno entro fine agosto): il tempo di raddoppio delle nuove infezioni, con una brusca accelerazione, è crollato da 11 a 6-7 giorni. Contro la velocissima variante Delta ci affidiamo ai soli vaccini e alla loro capacità di abbattere ricoveri e decessi: ma “quanto” sia davvero reale questa capacità lo ricaviamo da una lettura errata, anche se molto rassicurante per la popolazione, dei dati inglesi (come vedremo più avanti).

Restiamo ancora ottimisti su un futuro con un impatto sanitario molto inferiore a quello delle prime ondate, quando non avevamo a disposizione il vaccino, ma al tempo stesso stupiti di fronte alla pervicace ripetizione degli stessi errori commessi nel passato nell’affrontare l’epidemia: diminuzione dei test quando andavano aumentati; attesa di un’elevata circolazione virale prima di provare a frenare il contagio; utilizzo di dati vecchi e inaffidabili per decidere gli interventi di contrasto all’epidemia; regole troppo complesse, legate alla sensibilità personale del singolo individuo e, soprattutto, completamente slegate dalla realtà quotidiana.

Approccio sbagliato.

Difficile stupirsi di una simile situazione in un Paese dove l’approccio più comune risulta essere quello del «con questi numeri non servono interventi, se la situazione dovesse peggiorare le scelte potrebbero essere diverse». Senza capire che, una volta peggiorata, la situazione non è più recuperabile se non con interventi ben più pesanti di quelli necessari oggi.

Tutti i Paesi che hanno controllato il virus entro limiti accettabili, pur con crescenti difficoltà dopo l’arrivo della variante Delta (per esempio l’Australia) hanno agito in modo tempestivo prima che il numero dei casi raggiungesse da loro valori molto più bassi (poche decine) rispetto a quelli che noi consideriamo gestibili (qualche migliaio).

In questa fase estremamente delicata sembra in molti prevalere il desiderio di imitare la ingiustificabile (per la scienza) scelta inglese: rimozione di tutte le restrizioni, con la raccomandazione del premier Johnson di essere “cauti”. Se non fosse vero, e non fossero in gioco vite umane, verrebbe da pensare a una sceneggiatura comica.

Prima regola: per affrontarlo con successo, conoscere il nemico.

Può sembrare incredibile, ma dopo un anno e mezzo di epidemia a livello mondiale la scienza trova ancora difficoltà a far capire che la situazione evolve in continuazione e che, di conseguenza, deve evolvere anche il modo di affrontarla. Un esempio pratico? Parlare oggi di Sars-CoV-2 e di Covid-19 significa affrontare due aspetti (virus e malattia) che sono lontani parenti di quelli vissuti nel 2020.

La variante Delta ha completamente stravolto i parametri precedenti, e solo l’avvento dei vaccini (nei Paesi dove sono disponibili in quantità importante) ha permesso di evitare quella che, solo 12 mesi fa, sarebbe stata una catastrofe imparabile. Vediamo perché.

Il virus in circolazione all’inizio della prima ondata (variante DG614) esprimeva un valore di R0 di circa 2,0: escludiamo i picchi anomali di zone geograficamente limitate dove si è arrivati intorno a quota 4,0 (per esempio alcune aree della Lombardia) e per semplicità usiamo il dato medio globale. In termini pratici quel valore di R0 si traduceva, a partire da un singolo contagiato e dopo 5 passaggi, in 63 infezioni.

La variante Alfa, allora nota come inglese, a fine 2020 segnava un primo cambio di passo con un R0 di 3,0: ovvero, sempre a partire da un contagiato e dopo 5 passaggi, 364 infezioni. Un incremento importante, che infatti ha generato un impatto sulla popolazione maggiore rispetto a quello della prima ondata.

Ora discutiamo tranquillamente di variante Delta come se fosse il nostro “caro e vecchio” Sars-CoV-2, dimenticando che nella migliore delle ipotesi esprime un R0 di 8,0: lasciato libero di correre, il virus attuale, a partire da un singolo contagiato e dopo 5 passaggi arriva a quota 42.129 infezioni. Ne parliamo come se fosse un bradipo mentre è diventato un ghepardo.

I rischi della variante Delta.

La variante Delta non solo è più veloce, ma anche clinicamente più pericolosa: come riportava il Bollettino epidemiologico dell'Oms, già in data 8 giugno, a confronto con la variante Alfa si registra un incremento importante del rischio di ricovero in terapia intensiva (hazard ratio: 1.67; IC 95% 1.25-2.23) e ancora maggiore del rischio di ricovero in area medica (hazard ratio: 2.61; IC 95% 1.56-4.36). Tradotto in termini più comprensibili: ogni 100 persone ricoverate in area critica a causa della variante Alfa, la variante Delta ne genera 167; ogni 100 persone ricoverate in area medica a causa della variante Alfa, quella Delta ne genera 261.

Non ci rendiamo conto di questa differenza, almeno finora, e confidiamo che sia così anche in futuro solo perché i vaccini hanno avuto 2 effetti concomitanti:

1) La riduzione progressiva e importante dei soggetti suscettibili all’infezione, in particolare nelle fasce di età più avanzata che sono anche quelle più a rischio.

2) La riduzione degli effetti clinici della malattia nelle persone che vengono infettate nonostante il completamento del ciclo vaccinale.

Anche in questo caso semplifichiamo: i vaccini hanno addomesticato il “ghepardo” variante Delta, riconducendone gli effetti e conseguenze cliniche a livelli lontanissimi rispetto a quelli sperimentati in passato.

L’errata (ma rassicurante) lettura dei dati Uk.

Qui veniamo a un altro capitolo importante: che, come il precedente, lascia stupiti per l'incapacità dopo oltre un anno e mezzo di “digerire” le corrette modalità di interpretazione dei numeri della pandemia.

Sappiamo con certezza che le curve dei singoli parametri che ci permettono il monitoraggio del contagio si collocano a distanza tra loro sulla linea del tempo:

1) Le infezioni individuate oggi sono state contratte circa una settimana fa (range stimato 5-7 giorni per passare dall'infezione alla rilevazione della stessa con test tampone);

2) I ricoverati comunicati oggi hanno ricevuto la diagnosi con test tampone circa una settimana fa (di nuovo abbiamo un range di 5-7 giorni per passare dalla fase di comparsa dei sintomi all'eventuale necessità di ricovero ospedaliero) ma sono stati infettati quasi due settimane prima;

3) I deceduti di oggi sono la conseguenza dei contagi avvenuti all'incirca un mese fa.

Confrontare i ricoveri e decessi quotidiani con i casi dello stesso giorno, come viene regolarmente fatto con i dati Uk, oltre che un errore è un falso scientifico. Un vano tentativo di costringere i numeri a raccontare una storia diversa da quella reale.

Se eseguiamo il calcolo della letalità in Uk seguendo gli errati criteri appena esposti (invece di quelli elencati per punti poco prima) arriviamo a un valore di 0,1%: senza dubbio rassicurante, perché sovrapponibile al tasso di letalità dell'influenza stagionale. Che causa ogni anno 8-12.000 morti in Italia (dati Iss) e 290-690.000 nel mondo (dati Oms).

Un prezzo elevato, in termini di vite umane, con il quale abbiamo tuttavia imparato a convivere ritenendolo accettabile: in realtà basterebbe vaccinare più persone per abbattere questi numeri, ma l’influenza stagionale non è oggi l’argomento dell'analisi.

Se eseguiamo correttamente il calcolo del tasso di letalità in Uk (usiamo i dati ufficiali consolidati disponibili mentre scriviamo, per gli aggiornamenti successivi consigliamo di cliccare qui) arriviamo a un risultato diverso. Non sui livelli delle ondate precedente, ma molto maggiore dallo 0,1% più volte (erroneamente o volontariamente?) sbandierato anche dal premier Boris Johnson.

I decessi in Uk nella settimana mobile1-7 luglio (ultimo dato ufficiale consolidato) hanno registrato una media giornaliera di 32,4. Le infezioni nel periodo 1-7 giugno (a cui dobbiamo far risalire i decessi) una media giornaliera di 6.714. Il tasso di letalità reale è quindi 0,48%, quasi 5 volte superiore a quello rassicurante ma non veritiero. Con un tasso di letalità di questa portata l'influenza stagionale causerebbe, in Italia, da 38.400 a 57.600 decessi (e non 8-12.000).

Questo, al momento, è il tasso di letalità che dobbiamo correttamente applicare alla Covid-19, confidando che il procedere della campagna vaccinale possa ulteriormente abbattere questo valore. Cosa sulla quale, in prospettiva futura e in assenza di nuove varianti con caratteristiche di maggiore pericolosità, siamo ottimisti. Ma per ora dobbiamo “i fare i conti” considerando, senza inutili e futili sotterfugi, i tre momenti “passato, presente e futuro”.

La verità è che sapremo solo tra un mese a quanti decessi corrispondono davvero i casi giornalieri che sta registrando adesso Uk. Sperando, ripetiamo, che i vaccini ne abbattano il numero in modo progressivamente crescente nel tempo, grazie all'aumento della popolazione protetta dal ciclo vaccinale completo.

Se davvero in Italia arrivassimo a 30.000 nuove infezioni al giorno entro fine agosto, come abbiamo indicato nel nostro scenario 3 concordando con le stime del professor Sergio Abrignani (immunologo dell’università di Milano e membro del Cts), applicando il tasso di letalità che ricaviamo dai numeri inglesi (0,48%) arriveremmo a fine settembre a una media giornaliera di 144 decessi. Speriamo ovviamente che non succeda, ma dobbiamo essere consapevoli che in larga parte dipende dalle nostre scelte e dalla tempistica di applicazione delle stesse: più tardi si agisce, peggio è.

L’errore ripetuto del calo dei test.

Una delle regole chiave dell’epidemiologia è quella che prescrive, nelle fasi di riduzione del contagio, il mantenimento e se possibile l’incremento del numero dei test eseguiti per individuare il virus. In questo modo (non ce ne sono altri) si ottengono alcuni risultati fondamentali:

1) Si individua precocemente il maggior numero possibile di positivi, quando i numeri sono ancora bassi.

2) Si tracciano i contatti e si isolano, cosa impossibile al di sopra di certe soglie (in Italia 50 casi per 100.000 abitanti alla settimana, ovvero 4.311 positivi di media giornaliera).

3) Si individuano e si isolano i focolai.

4) Si interrompono le catene di trasmissione del virus.

5) Si impedisce al virus, soprattutto grazie ai soggetti asintomatici, di circolare con efficacia aumentando in modo silente il proprio bacino di replicazione.

In Italia non lo abbiamo mai fatto: anzi, al termine di ogni ondata epidemica abbiamo rapidamente ridotto il numero dei tamponi eseguiti permettendo al virus di agire senza alcun controllo fino al momento in cui ne diventano nuovamente visibili gli effetti sulla popolazione (in particolare il forte rialzo dei casi e dei pazienti sintomatici).

Nella fase attuale, con la circolazione di una variante altamente diffusiva come la Delta, la diminuzione del numero dei test ha permesso al virus (come descritto nel punto 5) di generare un bacino di replicazione per noi del tutto sconosciuto. Non ne conosciamo le dimensioni: né in modo grossolano, né tantomeno esattamente, e in questo modo diventa difficile se non impossibile formulare previsioni attendibili sullo sviluppo epidemico.

Solo una settimana fa il tempo di raddoppio dei nuovi casi era di 11 giorni, attualmente stiamo assistendo a un’accelerazione che lo ha portato a soli 6-7 giorni.

Qualche numero ci aiuta a capire l’errore commesso nella strategia di testing, da noi più volte sottolineato sia nelle analisi settimanali (si veda in particolare al punto 7) sia nei commenti quotidiani. Il numero massimo di tamponi (2.051.720) è stato raggiunto nella settimana epidemiologica 10-16 aprile 2021. Da allora, in corrispondenza con il miglioramento dei numeri del contagio, le Regioni hanno sempre più ridotto il numeri dei test fino ad arrivare agli attuali 1.224.988 (settimana epidemiologica 10-16 luglio): il calo è del 40,2%. Ovvero abbiamo quasi dimezzato la ricerca del virus, probabilmente spinti più dal desiderio di ottenere allentamenti che dalla necessità di controllare l'epidemia.

Il problema dei test rapidi.

A questo trend negativo si aggiunge un secondo problema, quello dei test rapidi: non quelli indicati dall’Iss e ritenuti equiparabili ai test molecolari, ma i molti di vecchia generazione (e con bassissima affidabilità) che vengono ancora regolarmente utilizzati e inseriti senza alcuna distinzione nel conteggio del Bollettino quotidiano. Di fatto stiamo usando i vecchi test rapidi (in media il 50% del totale) per fare un lavoro diverso da quello per cui sono stati pensati: tracciare rapidamente i casi all’interno di cluster limitati (per esempio in presenza di focolai nelle scuole, oppure nelle aziende).

Per tracciare il virus sul territorio i test rapidi non servono, esattamente come non servono per individuare le varianti essendo impossibile sequenziare il materiale genetico virale (se non con alcuni di ultimissima generazione).

In sintesi:

1) Facciamo pochi tamponi in assoluto (un quinto di Uk a parità di popolazione, per fare un esempio).

2) Di quelli che facciamo, nel 50% dei casi non comunichiamo le caratteristiche (cosa indispensabile per i test rapidi) e quindi non ne conosciamo la reale affidabilità.

3) Di quelli che facciamo, il 50% circa (sempre i test rapidi) non servono per sequenziare il materiale virale e individuare le varianti.

Di fatto la situazione è anche peggiore a quella di fine 2020, quando il calo fu altrettanto importante ma tutti i test, perlomeno, erano del solo tipo molecolare e quindi al massimo dell’attendibilità possibile. A metà novembre 2020 in Italia venivano eseguiti quasi 200-250.000 tamponi molecolari al giorno, attualmente siamo a quota 79.048 (media quotidiana della settimana epidemiologica 10-16 luglio).

Il modo migliore per non trovare il virus resta sempre lo stesso: non cercarlo. Almeno in questo mostriamo una costanza ammirevole.

Dati vecchi e scarsamente affidabili

Al proposito potremmo semplicemente rinviare a questa analisi, che risale a dicembre 2020, oppure a questa dello scorso aprile: di fatto, nulla è cambiato. I dati ufficiali continuano a riflettere una situazione senza dubbio correttamente consolidata, ma purtroppo ampiamente superata dall'avanzata impetuosa dell'epidemia.

Basta ricordare che il valore di Rt, comunicato ogni settimana dell’Iss, come conseguenza dei criteri di calcolo rimanda a una circolazione del virus di una-tre settimane precedenti rispetto alla situazione attuale. Sapere che nel periodo 23 giugno - 6 luglio il valore di Rt medio in Italia era di 0,91 (si veda l’ultimo Bollettino epidemiologico a pagina 2) e quindi sotto la soglia critica di 1,0 che divide la fase di espansione da quella di crescita del contagio, riveste interesse dal punto di vista scientifico: ma è totalmente fuorviante nella comunicazione alla popolazione, che prende l'indicazione come rassicurante mentre l'epidemia, dopo quella data, ha iniziato a correre e il valore di Rt puntuale (metodo rapido Kohlberg-Neyman) ha ormai superato quota 1,5.

Prendere decisioni su dati passati costringe, come abbiamo sempre fatto, alla perenne rincorsa di un virus che già nelle forme più “lente” ha dimostrato di essere molto più veloce di noi e dei nostri interventi.

Al problema della tempistica si aggiunge quello dell’affidabilità dei dati: che sarebbe fondamentale per affrontare correttamente l’epidemia mentre invece è bassa a causa delle continue correzioni, rettifiche e imprecisioni nelle comunicazioni da parte di molte Regioni. Per questo motivo abbiamo sottolineato più volte la necessità sia di costituire un campione statistico nazionale in grado di fornire informazioni rapide e certe, sia di mettere a disposizione della comunità scientifica tutti i dati raccolti e non solo una parte di essi.

Per capire cosa intendiamo quando parliamo di dati inaffidabili e di correzioni in corsa riportiamo alcuni esempi del recente passato.

1) Il 15 giugno, a corredo del Bollettino quotidiano, si leggeva testualmente: «La Regione Campania riporta che, a seguito delle periodiche verifiche, si è riscontrato un disallineamento che, dopo un dettagliato ed accurato controllo da parte delle Asl, ha evidenziato 48.078 soggetti ancora riportati erroneamente in “Isolamento Domiciliare” e che, pertanto, sono stati assegnati alla categoria guariti».

Questa correzione ha fatto calare in solo giorno gli attualmente positivi a livello nazionale da 157.790 a 105.906; e, nella sola Campania, da 59.828 a 11.737. Generando una discontinuità statistica puntuale (dati del giorno); e inficiando la validità delle tre serie storiche (a livello regionale e nazionale) relative all’andamento delle positività in corso, dei pazienti in isolamento domiciliare e delle guarigioni/dimissioni quotidiane.

Comunicazioni analoghe, relative a soggetti guariti ma dati ancora per positivi, nelle settimane successive hanno riguardato altre Regioni a partire da Sardegna e Calabria, che come la Campania presentavano da tempo valori chiaramente fuori parametro rispetto alla media nazionale.

2) L’11 giugno, sempre nel Bollettino quotidiano, si leggeva: «La Regione Emilia Romagna (…) rettifica, a causa errore di trasmissione, il dato sul numero complessivo di tamponi antigenici comunicato ieri (10/06/2021) che risulta essere corretto in 1.547.397» (-17.215 test antigenici). La rettifica (non è noto se riferibile a un solo giorno oppure a errori commessi in più giorni ed emersi in blocco nella comunicazione del 10 giugno) ha modificato con un effetto a catena più parametri: tamponi rapidi eseguiti; tamponi totali eseguiti, rapporto positivi/tamponi totali.

3) Citiamo ancora in data 11 giugno:«La Regione Puglia comunica che alcuni casi confermati da test antigenico essendo stati successivamente confermati da test molecolare sono stati riclassificati tra questi ultimi». Identica comunicazione (alla lettera) è stata effettuata dalla Regione Veneto il 12 giugno.

Quale sia il numero reale che si cela dietro la definizione di “alcuni casi” è ignoto e lasciato alla libera interpretazione. Ma è facile capire come, con questo tipo di informazioni, sia molto difficoltoso se non impossibile costruire analisi accettabili.

Qualche stima sul prossimo futuro in Italia.

Come indicato in apertura di questa analisi l'epidemia si sta indirizzando rapidamente verso uno scenario di tipo 3, a causa del già citato tempo di raddoppio dei nuovi casi sceso da 11 a soli 6-7 giorni. Questo parametro potrebbe esprimere in futuro valori più moderati, stabilizzandosi intorno ai 14 giorni entro 2-3 settimane, ma ci porta come abbiamo visto a una proiezione di circa 30.000 casi al giorno entro fine agosto. Numeri inferiori non sarebbero figli di una minore circolazione del virus, ma piuttosto della nostra inefficienza nel cercarlo.

Il basso numero di test eseguiti ingigantisce infatti il numero degli asintomatici potenzialmente in circolazione, in gran parte collocabili nelle fasce più giovani della popolazione che non ha ancora raggiunto una copertura vaccinale accettabile.

Età media dei contagiati in calo

La prova è nell’età media dei contagiati, scesa a soli 29 anni (si veda l’ultimo Bollettino epidemiologico a pagina 2): una situazione che replica esattamente quanto accaduto nell’estate del 2020 (età mediana 30 anni il 3 agosto, si veda la tabella a pagina 16 dell'ultimo Bollettino epidemiologico). Allora i giovani avevano costituito il bacino ideale di replicazione del virus, in forma silente in quanto asintomatica, e la situazione era poi esplosa al ritorno dalle vacanze con il contagio portato in famiglia verso soggetti di età più avanzata e con rischio maggiore (o molto maggiore).

Oggi, esattamente come allora, non conosciamo il reale dimensionamento del bacino di replicazione virale, quello dei soggetti che vengono indicati come “attualmente positivi”. Ricaviamo questa informazione dai casi che emergono dai numeri ufficiali, sottostimati a causa del basso numero di test eseguiti.

Nella fase autunnale e invernale dell’epidemia, caratterizzate dalla vecchia variante DG614 e successivamente dalla Alfa (ex inglese), le stime convergevano su un positivo non individuato per ogni caso ufficiale: in altri termini per avere i contagiati reali occorreva moltiplicare per due le infezioni quotidiane. Difficile dire quale sia il moltiplicatore corretto oggi, in presenza della variante Delta che sappiamo essere molto più veloce e diffusiva: azzardiamo un moltiplicatore di 3-4 volte, a causa della circolazione sostenuta tra i giovani che in moltissimi casi sono completamente asintomatici.

Dobbiamo essere consapevoli che aumentando il denominatore (ovvero il numero dei positivi) anche se con valori percentuali più bassi che in passato, aumenta inevitabilmente anche il numero dei ricoverati e dei decessi. Per quanto riguarda i decessi abbiamo già eseguito il calcolo corretto del tasso di letalità nel paragrafo dedicato all’errata lettura dei dati di Uk, ora possiamo procedere con un’operazione analoga a proposito dei ricoverati:

1) Nel periodo 4-10 luglio i dati ufficiali del Regno Unito riportano una media di 616,7 ricoverati giornalieri.

2) Come abbiamo visto questi ricoveri sono riferibili a positività riscontrate una settimana prima, quindi nel periodo 27 giugno - 3 luglio, e non ai numeri attuali molto più alti.

3) La media giornaliera delle infezioni rilevate, nel periodo 27 giugno - 3 luglio, è stata in Uk di 28.542,4.

Effetto Delta sui ricoveri.

In termini semplici possiamo concludere che, sulla base dei dati Uk, al momento la variante Delta causa il ricovero del 2,1% delle persone infettate. Valore che, a fronte dei 30.000 casi giornalieri ipotizzati in Italia per fine agosto, corrisponderebbe a 630 nuovi ricoveri quotidiani.

È facile intuire come, a questo ritmo e nonostante la più giovane età dei soggetti colpiti rispetto alle ondate precedenti, arrivare alle soglie di allerta del sistema sanitario (in Italia 30% di occupazione per le terapie intensive, 40% per i posti letto in area medica) non richiederebbe moltissimo tempo: un mese e mezzo, massimo due. Un effetto che, in assenza di una rapida inversione di tendenza al momento non prevedibile, inizieremo a breve a vedere proprio in Uk.

Non lasciare i vaccini da “soli”

Dobbiamo affidarci ai vaccini, ma non possiamo lasciare ai soli vaccini il compito di frenare il Sars-CoV-2, soprattutto nella nuova forma mutata (la variante Delta) che presenta caratteristiche per noi molto più difficili da controllare.

Non dobbiamo immaginare per forza scenari apocalittici con nuovi lockdown, ma forse mantenere l’obbliago delle mascherine anche all’aperto sarebbe stata una buona idea. Si tratta dell’unico strumento di facile uso che consente di bloccare il virus, incluse tutte le varianti al momento note.

Raccomandare di festeggiare “in sicurezza” la vittoria dell’Italia al Campionato Europeo, pensando che tutti i tifosi possano stare diligentemente a un metro uno dall’altro e indossare la mascherina quando necessario, è un po’ come guardare una pentola d’acqua sui fornelli accesi chiedendo al fuoco di portare a ebollizione solo la metà di destra.E infatti iniziamo a registrarne gli effetti con focolai nelle zone dei cosiddetti “assembramenti”, peraltro con contagi avvenuti tranquillamente all'aperto: condizione che mitiga il rischio, ma che con la variante Delta è purtroppo molto lontana dall'eliminarlo.

Non adottare misure semplici ma efficaci, pur con l’amaro sapore delle restrizioni e magari distinguendo tra vaccinati e non vaccinati, ha l’effetto immediato e confortante di non disturbare la popolazione proprio nel periodo estivo: ma, soprattutto, quello pericoloso di non disturbare il virus. Che non ha bisogno di regali, e che potrebbe costringerci ad adottare in futuro misure peggiori di quelle che vogliamo evitare oggi.

L’errore più comune che si commette quando si parla di vaccinazioni è considerarle una misura di protezione personale: mentre, in realtà, sono uno strumento fondamentale di salute pubblica.

Il giusto calcolo della percentuale di vaccinati.

Così come è un errore calcolare la percentuale dei vaccinati facendo riferimento ai soli soggetti vaccinabili (in Italia sopra i 12 anni). In questo modo alziamo il dato percentuale, ma è una distinzione che per il virus non esiste: anzi, proprio i non vaccinati (e non vaccinabili) costituiscono per il Sars-CoV-2 l'obiettivo preferenziale. E sono questi i soggetti che dobbiamo a tutti i costi proteggere (obiettivo di salute pubblica) sapendo che oltre ai bambini in questo particolare gruppo dobbiamo considerare un milione circa di persone che, a causa della loro situazione di salute, pur essendo particolarmente esposti al rischio in caso di infezione non possono essere vaccinati.

Affrontiamo l’estate 2021 come se un anno fosse passato invano: abbiamo i vaccini, che sono fondamentali, ma li lasciamo da soli a combattere una guerra che parte da numeri molto diversi. La media attuale (in forte rialzo) è di 2.311 positivi giornalieri (settimana mobile 12-18 luglio) e si confronta con quella di 198 dello stesso periodo 2020; i ricoverati al 18 luglio 2021 sono 1.136, al 18 luglio 2020 erano 757; alla stessa data le terapie intensive sono 156 contro 50.

Come abbiamo sottolineato più volte, grazie ai vaccini non rivedremo percentuali di ricoveri e di decessi analoghe a quelle del passato. Ma lasciando correre il virus, e permettendogli di aumentare a dismisura il denominatore, inevitabilmente arriveremo a valori assoluti comunque elevati. E gli daremo la possibilità di replicarsi, commettere errori nel farlo, generare mutazioni e selezionare varianti.

In attesa, nel frattempo, di raggiungere una copertura vaccinale sufficiente per frenare la corsa della variante Delta: ma, come abbiamo visto in passato (si legga in particolare il punto 3 di questa analisi del 23 giugno scorso) il livello di popolazione da immunizzare è oggi molto più alto di quanto avessimo ipotizzato in base alle caratteristiche delle vecchie varianti.

Errare è umano, e quindi perdonabile. Ma continuare a commettere gli stessi errori dopo quasi 18 mesi di esperienza sul campo diventa diabolico, ingiustificabile e imperdonabile. Vedremo nelle prossime settimane, e speriamo già nei prossimi giorni, se metteremo in campo altre misure (insistiamo sulle mascherine sempre, anche all'aperto) capaci di aiutare i vaccini in una battaglia campale che non possiamo permetterci di perdere.

IlSole24Ore

I Dragaràn. - Marco Travaglio

 

L’ayatollah Khomeini aveva i Pasdaràn, i Guardiani della Rivoluzione. Draghi ha i Guardiani della Restaurazione. Sono i presunti giornalisti che scambiano la Fornero per “esperta di pensioni” (infatti le sfuggì il trascurabile dettaglio di 390mila esodati). Spacciano le critiche di merito al Salvaladri&mafiosi Cartabia alle “bandierine di partito” del M5S e, per farlo, nascondono i gravissimi allarmi del procuratore nazionale antimafia De Raho e del procuratore Gratteri (zero tituli su tutti i giornaloni). Quelli che gabellano la Cartabia per un’esperta di diritto penale, anche se non distingue un tribunale da un phon e dice bestialità (ieri, tentando di smentire i veri esperti, è arrivata a dire che l’improcedibilità non tocca i processi di mafia perché esclude “i reati da ergastolo”: come se la prima attività dei mafiosi fosse uccidere; ma il grosso dei processi di mafia è per associazione mafiosa, concorso esterno, estorsione, corruzione, voto di scambio, riciclaggio, turbativa d’asta, traffico di rifiuti: nessuno punito con l’ergastolo). Quelli che raccontano inesistenti “smentite del Colle” sui timori – confermatici dai portavoce – per il Parlamento che decide i reati da perseguire e da ignorare in barba alla Costituzione.

Quelli che danno del bugiardo a Conte perché ha detto che anche il processo per il ponte Morandi rischia l’improcedibilità (la norma che esclude i reati pre-2020 salterà al ricorso del primo avvocato: il favor rei, cioè la retroattività delle norme più favorevoli all’imputato, che in teoria vale solo per le norme penali sostanziali, è già stato esteso dalla Consulta e da molti tribunali di sorveglianza alle regole dell’esecuzione penale, come quella di Bonafede che negava le pene alternative ai condannati per tangenti: figurarsi se non varrà per una norma processuale che trasforma un condannato in primo grado in un improcedibile in appello; infatti gli avvocati si son già detti pronti a invocarla anche per il ponte Morandi). Quelli che, su due quotidiani di centrodestra come Repubblica, Sole 24 Ore e Giornale, si inventano che la Ue fa “sponda al progetto Cartabia”, lo “loda” e lo “blinda”, citando un documento che sollecita il “ddl del marzo 2020 per migliorare l’efficienza dei processi penali”, senza dire che parla del ddl Bonafede, non il testo Cartabia che lo demolisce. Quelli che riempiono paginate sul boom di contagi per i folli assembramenti per le vittorie azzurre e il bus scoperto della Nazionale, ma si scordano di collegarli all’inerzia del governo Draghi e all’inaudita deroga concessa da Draghi al dl Draghi. Tutto ciò che dà ombra al governo non esiste. Come scriveva Indro Montanelli nel 1977, “ma da quali ometti è rappresentato questo povero giornalismo italiano!”.

ILFQ