lunedì 1 novembre 2021

Quirinale, Conte apre a Draghi e allontana Berlusconi dal sogno proibito del Colle. E ora i voti di Renzi possono diventare inutili. - Giuseppe Pipitone

 Quirinale, Conte apre a Draghi e allontana Berlusconi dal sogno proibito del Colle. E ora i voti di Renzi possono diventare inutili

I tempi non sono ancora maturi, ma l'ultima mossa del leader dei 5 stelle fa tornare d'attualità un'ipotesi che sembrava ormai impossibile da percorrere: far traslocare il premier da Palazzo Chigi al Colle. I numeri infatti non mentono. I 43 voti che ha Italia viva saranno fondamentali per scegliere il nuovo presidente della Repubblica in tutti gli scenari, tranne uno: quello che prevede l'elezione di un capo dello Stato a larga maggioranza.

Fermi tutti, si torna al piano originario: Mario Draghi al Quirinale. Potrebbero pure chiamarla “operazione Carlo Azeglio“, nel senso di Ciampi, già maestro del premier in Bankitalia, poi a capo di un governo tecnico citato più volte come termine di paragone dell’attuale esecutivo, infine presidente della Repubblica eletto al primo scrutinio. I tempi non sono ancora maturi, ma l’ultima mossa di Giuseppe Conte, maturata dopo la sconfitta dell’asse con il Pd nel voto al Senato sul Ddl Zan, fa tornare d’attualità un’ipotesi che sembrava ormai impossibile da percorrere: far traslocare il premier da Palazzo Chigi al Colle. “Non possiamo escluderlo, serve una figura di altissima caratura morale e Draghi rientra in questa descrizione, ma devono realizzarsi varie condizioni”, ha detto il presidente dei 5 stelle. Tracciando una strategia difficile da attuare ma che potrebbe portare a tre obiettivi: risolvere il rompicapo del Quirinale a vantaggio dell’asse M5s-Pd, sbarrare la strada del Colle a Silvio Berlusconi o figure a lui vicine e neutralizzare le mire di Matteo Renzi. Ma andiamo con ordine.

Il tramonto di un’ipotesi – Dodici mesi fa il nome dell’ex presidente della Bce era quello del candidato naturale per raccogliere la successione di Sergio Mattarella. In un anno, però, il quadro politico è stato profondamente stravolto. L’agguato di Renzi ha portato alla caduta del governo Conte, che è stato sostituito alla guida dell’esecutivo proprio da mister Whatever it takes. Con l’entrata di Draghi a Palazzo Chigi, però, è andata via via tramontando l’ipotesi di un’elezione al Colle. Non perché il diretto interessato si sia dichiarato indisponibile: anzi fino a oggi Draghi ha sempre dribblato ogni domanda diretta sul tema. Semmai a escludere la sua elezione a capo dello Stato sono stati, per motivi diversi, i leader dei partiti che sostengono il suo governo: da una parte si producono in entusiastiche lodi per il premier, dall’altra sperano di portare al Colle qualcun altro e allontanare così lo spettro del voto anticipato.

Quelli che non vogliono Draghi (per ora) Mentre Berlusconi continua a coltivare per se stesso il sogno proibito di un’elezione che solo fino qualche mese fa sarebbe sembrata impossibile, gran parte dei parlamentari di Forza Italia non avrebbe alcun interesse a eleggere un capo dello Stato per poi tornare subito alle urne: perderebbero, infatti, il seggio con un anno d’anticipo. Simile la posizione di Matteo Salvini, impegnato in una sfida all’ultimo sondaggio con la rivale Giorgia Meloni che lo vede al momento sconfitto: in caso di voto anticipato, il capo della Lega sarebbe subalterno alla leader di Fratelli d’Italia. Secondo Enrico Letta, invece, mandare Draghi al Quirinale per poi andare al voto “non è l’interesse dell’Italia“. Una posizione dettata dall’evidente rischio urne, ma forse anche dal fatto che dentro al Pd sono in parecchi quelli che si considerano legittimi aspiranti al Colle: da Dario Franceschini a Paolo Gentiloni.

La mossa di Conte – Nomi, questi ultimi, che secondo vari retroscena avrebbero lasciato freddo Conte. Il leader dei 5 stelle, cioè il partito di maggioranza relativa in Parlamento, ha dunque deciso di provare a giocare le sue carte: la prima che ha messo sul tavolo ha la faccia di Draghi. Conte, però, si è subito affrettato subito a spiegare che tale ipotesi non significherebbe un automatico ritorno alle urne. “Dobbiamo spingere al 6% di Pil, dobbiamo continuare ad attuare il Pnrr e l’avvio iniziale è fondamentale: in tutto questo, pensare di eleggere un presidente e un attimo dopo andare a votare, chiunque sia, non è nell’ordine delle cose”, è il ragionamento dell’ex presidente del consiglio. Un messaggio che ha due destinatari: da una parte i peones dei vari partiti e gruppi parlamentari che temono il ritorno alle urne, dall’altra l’alleato Letta. In effetti a pochi giorni dall’affossamento col voto segreto del ddl Zan al Senato, il segretario del Pd potrebbe aver già cambiato la sua opinione sul Colle. Sicuramente avrà ascoltato le dichiarazioni di Pier Luigi Bersani: “Temo che quella di Palazzo Madama sia una prova generale per il quarto scrutinio per il Quirinale“, sono state le parole dell’ex segretario che nel 2013 ha perso la guida del Pd a causa dei franchi tiratori che impallinarono Romano Prodi nella corsa al Colle. All’epoca i sospetti caddero tutti o quasi su Renzi, lo stesso che oggi i dem indicano come il regista occulto dell’azzoppamento della legge contro l’omotransfobia. E che secondo i maligni avrebbe già l’accordo col centrodestra per eleggere il nuovo capo dello Stato. È proprio per bruciare Renzi e il suo dialogo con Salvini e Berlusconi che Conte ha tirato fuori il nome di Draghi, spiegando che “bisogna avviare un percorso di confronto con tutte le forze politiche”. Anche col centrodestra? “Sì, anche col centrodestra“.

Il pallottoliere dei Grandi elettori – I numeri infatti non mentono. I 43 voti a disposizione di Italia viva sono fondamentali per scegliere il nuovo presidente della Repubblica in tutti gli scenari, tranne uno: quello che prevede l’elezione di un capo dello Stato a larga maggioranza. Un nome che trovi il consenso di tutti o quasi è fino a oggi una ipotesi considerata molto improbabile. I tempi sono ancora poco maturi, ma di sicuro c’è solo che alla fine di gennaio del 2022 a Montecitorio si riuniranno i 1008 Grandi elettori chiamati ad eleggere il tredicesimo presidente della Repubblica: ai 630 deputati e 320 senatori si aggiungeranno 58 delegati locali: ogni Regione sceglierà due esponenti per la maggioranza e uno per la minoranza, tranne la Valle d’Aosta che invierà a Roma solo un rappresentante. I delegati regionali non sono ancora stati eletti ma, stando a chi governa le Regioni, dovrebbero essere 33 del centrodestra e 24 del centrosinistra. Come è noto nelle prime 3 votazioni, a scrutinio segreto, serviranno i 2/3 dei voti dell’assemblea, pari a 673 voti. Dopo il terzo scrutinio, invece, è sufficiente la maggioranza assoluta, pari a 505. È a quel punto che, senza un accordo, si farebbero i giochi. Ed è per provare a evitare quel quarto scrutinio che Conte ha aperto a Draghi.

Il centrodestra parte da 451 voti – La coalizione formata da Fratelli d’ItaliaForza Italia e Lega può contare su 451 grandi elettori che fanno riferimento ai partiti dentro la coalizione: 197 sono della Lega, 127 dei berlusconiani, 58 del partito di Giorgia Meloni, 31 di Coraggio Italia-Cambiamo-Idea, 5 di Noi con l’Italia, ai quali si aggiungono i 33 delegati regionali. Se a questi si sommano i 43 voti di Italia viva ecco che il totale fa 494: ne mancherebbero solo 11 per arrivare alla soglia magica di 505, utile per eleggere un presidente al quarto scrutinio. E undici voti, considerata la trasversalità dei gruppo Misto pià alcuni battitori liberi (i parlamentari di + Europa, quelli del Maie, cioè gli italiani all’Estero), non sono difficile da ottenere: tutt’altro. Ecco perché Berlusconi continua a sognare l’elezione.

Pd e 5 stelle: 420 voti – Dall’altra parte l’asse che si fonda sul centrosinistra più i Cinque stelle può contare su 420 voti. Il Pd ha 133 grandi elettori (Roberto Gualtieri, neo sindaco di Roma, dovrà optare e quindi forse il suo seggio sarà vacante al momento dell’elezione del Colle), il M5s può contare su 233 preferenze, Leu 18Azione-+Europa 5, Centro democratico di Bruno Tabacci invece ha 6 deputati. Questo blocco, ai quali si aggiungono i 24 delegati regionali più Gianclaudio Bressa, iscritto al gruppo per le Autonomie ma eletto con il Pd, arriva a quota 420. Ma ci sono anche molti ex 5 stelle che dal 2018 a oggi hanno perso più di cento parlamentari: tra quelli che fanno parte del gruppo l’Alternativa c’è (19) e quelli nel Misto (24), si può arrivare a 463 voti. A questo punto, dunque, i 43 Grandi elettori del partito di Renzi diventerebbero fondamentali per superare la soglia dei 505 pure per il centrosinistra.

L’operazione “Carlo Azeglio” – Ecco su cosa si basa la strategia di Renzi: spingere i due schieramenti a un muro contro muro che farebbe diventare i suoi 43 parlamentari fondamentali per decidere il prossimo presidente della Repubblica. Il quadro, però, cambierebbe completamente con Draghi in campo. Se il premier dovesse ufficializzare la sua disponibilità al Quirinale come farebbero i big del Pd – a partire da Letta – a motivare il loro mancato appoggio? E i colonnelli di Forza Italia, che tanto si sono vantati di aver spinto sul nome dell’ex presidente della Bce, come farebbero a votare per qualcun altro? Soprattutto se dovessero davvero materializzarsi le condizioni di un nuovo esecutivo, probabilmente guidato da un tecnico, che porti avanti la spesa dei fondi del Recovery fino alla scadenza naturale della legislatura. In questo caso si creerebbe una larga maggioranza, capace di eleggere il nuovo capo dello Stato magari già al primo scrutinio: nella storia repubblicana è successo solo tre volte, l’ultima nel 1999 proprio con Ciampi. Ecco perché l’elezione di Draghi sarebbe “l’operazione Carlo Azeglio“. Che dal punto di vista di Conte avrebbe un duplice vantaggio: sbarrare la strada a Berlusconi e trasformare i voti dei renziani da fondamentali a inutili.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/01/quirinale-conte-apre-a-draghi-e-allontana-berlusconi-dal-colle-e-ora-i-voti-di-renzi-possono-diventare-inutili/6372403/

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Sovranità limitata. “Il pressing Usa su Giorgetti: ‘Draghi rimanga a Palazzo Chigi’” (Stampa, 25.10). Hanno già deciso anche chi mandare al Quirinale o ci lasciano ancora nell’incertezza?

Autopompe. “Draghi e Biden: la democrazia funziona” (Stampa, 30.10). Oste, è buono il vino?

I soliti sospetti/1. “Miccichè: ‘A cena con Renzi, sarà presto nel centrodestra’” (Repubblica-cronaca Palermo, 19.10). Presto?

I soliti sospetti/2. “Letta rompe di nuovo con Renzi: ‘Ormai quanto vale la sua parola?’” (Domani, 29.10). “Che parabola, Renzi: ormai ammicca alla destra” (Francesco Boccia, deputato Pd, Repubblica, 31.10). Ormai?

I soliti sospetti/3. “Ddl Zan, Letta: ‘Con Renzi ora è rottura’” (Repubblica, 29.10). Ora?

Centralità. “Renzi si gode la sua centralità” (Foglio, 28.10). Quella del dito medio.

Quisquilie. “L’infinita caccia al Cav. La procura di Firenze cerca (ancora) il legame tra Berlusconi e la stagione degli attentati” (Foglio, 28.10). Paura, eh?

Amici. “Colle, pranzo per lanciare Berlusconi. Salvini: ‘Puntiamo su un amico…’” (Repubblica, 29.10). Degli amici.

L’uomo-calcolatrice. “In 112 giorni di campagna elettorale ho subìto 93 attacchi: uno al giorno!” (Enrico Michetti, candidato sindaco di Roma per il centrodestra, 15.10). Le notti non contano.

Inattaccabile. “Berlusconi mesi fa mi disse che aveva contato e ricontato i voti ed era l’unico che poteva farcela a fare il presidente della Repubblica… perché su una cosa Berlusconi è inattaccabile: il fatto di essere uno statista” (Alessandro Sallusti, direttore di Libero, Dimartedì, La7, 26.10). Figurarsi sulle altre cose.

Slurp. “I complimenti e le strette di mano. Così Draghi ‘accorcia le distanze’. Lo stile del premier che incontra i ragazzi in Puglia” (Corriere della sera, 27.10). Quindi possiamo stringere mani anche noi, o vale solo per lui e per il suo stile?

La mosca cocchiera. “Il ‘partito’ di Draghi vale più del 20%, per Conte non c’è posto” (Ettore Rosato, coordinatore nazionale Iv, Riformista, 26.10). Il solito culo di Conte.

Ora si può dire. “Roma, la ripartenza del turismo. Impennata di prenotazioni: per ottobre camere e hotel romani riempiti al 100%. Nel settore il trend è in costante crescita a partire dall’inizio dell’estate” (Messaggero-cronaca Roma, 26.10). È già merito di Gualtieri o è ancora colpa della Raggi?

Dubbi. “Letta e Conte, prima mossa sul Colle. I dubbi del M5S su Gentiloni” (Repubblica, 26.10). Strano, una personcina così leale e affidabile.

Truppe marcenarie. “Tre milioni e mezzo di euri da Maduro. E mancherebbero i soldi per procurare a Travaglio una svedese?” (Andrea Marcenaro, Foglio, 28.10). E niente, nessuno che gli levi il fiasco.

La vera sinistra. “La sinistra guarisca dalla pensionite” (Irene Tinagli, vicesegretaria Pd, Foglio, 30.10). Giusto: i pensionati sono tutti di destra.

Senti chi parla/1. “I dubbi di Cottarelli su Quota 102: ‘Un compromesso’” (Stampa, 29.10). Infatti lui è andato in pensione a 59 anni.

Senti chi parla/2. “Paghiamo il fallimento del Pd” (Maria Elena Boschi, deputata Iv, Giornale, 29.10). Vuoi mettere l’1% contro il 20%?

Riconoscenze. “Il mio pensiero in questo triste anniversario va a Stefano Cucchi, a sua sorella e alla sua famiglia. E a tutti coloro che nelle forze dell’ordine hanno aiutato ad arrivare alla verità. Perché non succeda mai più” (Enrico Letta, segretario Pd, Twitter, 22.10). E grazie anche a tutti coloro che in Egitto stanno aiutando ad arrivare alla verità sull’omicidio Regeni.

Vasto programma. “Richetti: ‘Un partito riformista da Gori a Mara Carfagna’” (Riformista, 27.10). Gnammm!

Il titolo della settimana/1. “L’Unione deve evitare di perdere la Polonia” (Corriere della sera, 29.10). Sennò tocca invadere di nuovo la Polonia.

Il titolo della settimana/2. “Il Reddito non crea lavoro” (Messaggero, 25.10). Ma va? Se il Reddito creasse lavoro, nessuno avrebbe bisogno del Reddito.

Il titolo della settimana/3. “Gualtieri: basta coi soliti rattoppi. Buche, nuovi fondi per rifarle” (Messaggero-cronaca Roma, 25.10). Perchè, non bastavano quelle vecchie?

Il titolo della settimana/4. “Remuzzi: ‘La svolta alla pandemia l’ha data Figliuolo’” (Libero, 25.10). Che sia un untore in alta uniforme?

Il titolo della settimana/5. “Le città del Pd hanno il record di reati” (Libero, 26.10). In effetti, il Pd governa anche ad Arcore.


https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/01/ma-mi-faccia-il-piacere-244/6375379/

domenica 31 ottobre 2021

Fondazione Open, 300mila euro da Onorato alla ‘cassaforte’ renziana. E l’armatore suggerì a Lotti le modifiche alla legge (poi approvata)

 

Nelle carte dell'inchiesta sui presunti finanziamenti illeciti alla cassaforte nata per sostenere le iniziative politiche dell'ex Rottamatore, spuntano il flusso di soldi dell'imprenditore e di Moby e, soprattutto, il carteggio tra con il deputato toscano una ventina di giorni prima dell'approvazione di un decreto legislativo che gli stava a cuore: "Basterebbe riscrivere la legge in questi termini".

Trecentomila euro di donazioni alla Fondazione Open da un lato. Dall’altro le mail a Luca Lotti, tre settimane prima di un decreto legislativo sul riordino degli incentivi fiscali per le imprese marittime. Quindi il post sui social per ringraziare l’esecutivo guidato da Renzi: “Grazie Matteo: il primo governo che si prende a cuore i marittimi italiani”. Nelle carte dell’inchiesta sui presunti finanziamenti illeciti a Open, la fondazione nata per sostenere le iniziative politiche dell’ex Rottamatore, spuntano il flusso di soldi – in parte già noto – di Vincenzo Onorato e della compagnia Moby spa verso la ‘cassaforte’ renziana e, soprattutto, il carteggio tra l’imprenditore e Luca Lotti, ex braccio destro di Renzi. Per questo episodio, è bene chiarirlo, nessuno è finito sotto inchiesta.

I finanzieri che hanno svolto gli accertamenti su delega della procura di Firenze – che ha chiuso le indagini in cui sono coinvolti Renzi, Lotti, Maria Elena Boschi e altre 8 persone, ma non Onorato – hanno ricostruzioni il quantum delle contribuzioni erogate, tra il novembre 2015 e il luglio 2016, alla Fondazione Open da Onorato e dalla società di cui era presidente: 300mila euro. L’ipotesi è che sarebbero state finalizzate a consolidare rapporti con alcuni esponenti politici del Pd, tra cui l’onorevole Lotti, ritenuti potenzialmente utili agli interessi del gruppo. In che modo? Ci sono alcune comunicazioni che gli investigatori sottolineano nell’informativa. E vedono protagonisti proprio Onorato e Lotti. In particolare, Onorato l’8 ottobre 2016 avrebbe inviato una mail all’onorevole Lotti, con oggetto “Lettera a Luca”, in occasione dell’avvicinarsi dell’emissione di un decreto legislativo, poi approvato il 29 ottobre, relativo al riordino degli incentivi fiscali per le imprese marittime. Si tratta di uno dei temi per il quale l’ex numero di Moby si è sempre battuto, divenendone alfiere.

Nella mail – inoltrata per conoscenza anche all’ex deputato renziano Ernesto Carbone – l’imprenditore proponeva di limitare i benefici fiscali del Registro Internazionale Italiano solo alle compagnie che, nelle tratte tra due porti italiani, impiegavano personale italiano o comunitario sulle proprie navi, come poi è stato effettivamente previsto nel decreto legislativo vagliato ventuno giorni dopo. Nel testo della lettera di Onorato a Lotti si legge: “Per porre fine a questa indecenza basterebbe riscrivere la 30/98 in questi termini: usufruiscono dei benefici del registro internazionale italiano quelle compagnie che impiegano esclusivamente marittimi italiani e/o comunitari. Lo Stato risparmierebbe un mare di soldi e metterebbe fine a questa vergogna”. La Guardia di Finanza annota come nel testo si “manifesta la necessità di un intervento normativo di modifica della legge 30/98, indicando anche i “termini” dell’intervento stesso”. Dopo l’approvazione del provvedimento, Onorato scrisse un post su Facebook di ringraziamento dal titolo “Grazie Matteo: il primo Governo che si prende a cuore i marittimi italiani”.

I contatti tra Onorato e Lotti, sottolineano gli investigatori, continuarono negli anni successivi. Nell’informativa vengono riportati messaggi in chat tra i due fino al maggio 2018. Ce ne sono anche di ‘lamentele’ di Onorato per il modus operandi del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio: “Mi sono sentito molto abbandonato dopo la schifezza che ha fatto Delrio”, scrive Onorato. “Da Delrio capisco e immagino. Io ci ho provato fino in fondo”, la risposta del deputato toscano. Onorato replica: “Lo so, come Roberto C.”. Il riferimento con ogni probabilità è al senatore Roberto Cociancich, ora coordinatore di Italia Viva a Milano. Cociancich è il politico che ha dato il nome alla riforma di cui Onorato e Lotti: è stato lui a ‘disegnarla’ rimodulando il regime fiscale per gli armatori italiani. Il decreto legislativo, come detto approvato il 28 ottobre 2016, entrerà in vigore a distanza di 18 mesi, l’11 giugno 2018.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/10/30/fondazione-open-300mila-euro-da-onorato-alla-cassaforte-renziana-e-larmatore-suggeri-a-lotti-le-modifiche-alla-legge-poi-approvata/6374169/

ECOCARNIVORI O MEDITERRANEI, LE DIETE CONSAPEVOLI SONO IL CIBO CHE CI SALVERÀ. - A.M.

 

La svolta ecologica a tavola è fondamentale per aiutare la terra e la nostra salute e non possiamo più fare finta di nulla sapendo, con studi scientifici lo stato delle cose: esiste un cibo che è allo stesso tempo gentile con il corpo e con il pianeta.

È un cibo intelligente, adatto all’Antropocene, l’epoca geologica in cui sono gli esseri umani a influenzare gli eventi della terra.

Il cibo che ci salverà, come racconta l’autrice best seller Eliana Liotta nel suo nuovo libro edito da La Nave di Teseo.
Si sta cambiando in molti settori: la mobilità slow con il cammino per gli spostamenti, la bicicletta, il monopattino, l'autoibrida è una realtà sotto i nostri occhi. Ma certo non basta. Modificare il sistema alimentare, l'industria degli allevamenti e della pesca intensiva è decisivo perché da quel modo di produrre cibo dipende un terzo delle emissioni di gas serra, responsabili dell’aumento delle temperature e dunque del cambiamento climatico. Dobbiamo ricordare che dare una svolta ecologica alla produzione alimentare per frenare inquinamento e clima impazzito significa anche portare a tavola un cibo più salutare e che potenzia il sistema immunitario. Tendiamo a dimenticarcene: siamo parti del tutto. E oggi il cibo rappresenta una via per riformulare un equilibrio tra l’uomo e il pianeta. Con la consulenza dello European Institute on Economics and the Environment (EIEE, Istituto europeo per l’economia e l’ambiente) e il Progetto EAT della Fondazione Gruppo San Donato, il quadro del cibo che si salverà riporta al centro un concetto fondamentale: Siamo quello che mangiamo e quello che mangiamo cambia il mondo.

Intervenire sul sistema alimentare, ecco perchè su basi scientifiche.

Il riscaldamento globale non potrà arrestarsi se non si provvederà anche a modificare il sistema alimentare, ossia quello che mangiamo, allevamento, agricoltura, lavorazione, imballaggio e spedizione, da cui dipende un terzo delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo (studio su Nature dell’8 marzo 2021). 

Per contenere nei prossimi anni il riscaldamento globale entro un grado e mezzo o due al di sopra dei livelli preindustriali, non è più sufficiente puntare solo sull’energia pulita e sulla riduzione dei combustibili fossili nelle industrie e nei trasporti, ma è indispensabile una food revolution (Commissione intergovernativa sul cambiamento climatico dell’Onu, 2019).
Le quantità di gas serra che derivano dal bestiame, nel suo insieme, sono pari più o meno alle emissioni di tutti i camion, le auto, i velivoli e le navi del mondo messi insieme (stime Fao).
L’allevamento di mucche, pecore e capre è il responsabile principale delle emissioni di metano, gas prodotto durante la digestione dei ruminanti ed eruttato dagli animali, con un effetto serra superiore, e di molto, all’anidride carbonica prodotta dai trasporti e dalle industrie.
Si devastano immense aree di foreste per lasciare spazio agli allevamenti intensivi e ai terreni agricoli, spesso destinati alla produzione di soia come mangime per gli animali o di palme da olio per l’ingrediente di merendine e altri cibi ultra processati. Almeno tre i pericoli: vengono emesse grandi quantità di carbonio nell’atmosfera quando si abbattono gli alberi delle foreste; si devastano gli habitat naturali aumentando il rischio di insorgenza di nuove epidemie, perché si accorciano le distanze con gli animali selvatici; si eliminano polmoni verdi della terra.
Gli allevamenti intensivi contribuiscono anche alla formazione di polveri sottili, le PM 2,5, le particelle piccolissime in grado di penetrare nei polmoni e di immettersi nel sangue. In Italia, tra il 1990 e il 2018, è diminuito l’inquinamento dovuto ai trasporti su strada, all’industria e alla produzione energetica, ma è aumentata del 10% la quota legata alla zootecnia (indagine Greenpeace).
Se la popolazione dei paesi industrializzati riuscisse a raddoppiare entro il 2050 i consumi di vegetali e dimezzasse quelli di zuccheri, farine raffinate e carni rosse e trasformate, si frenerebbe il riscaldamento globale e si eviterebbero almeno 11 milioni e mezzo di decessi prematuri all’anno dovuti ad abitudini alimentari malsane (Commissione EAT - The Lancet).
La carne rossa fornisce solo l’1% delle calorie alla popolazione della terra, ma rappresenta il 25% di tutte le emissioni che derivano da agricoltura e allevamento (studio su Nature del 27 gennaio 2021). Parallelamente è aumentata la fame nel mondo e tra i fattori chiave ci sono la variabilità climatica e i fenomeni estremi (Fao).
Combattere lo spreco alimentare e puntare sull’innovazione, con un’agricoltura sostenibile o con sperimentazioni come quella sulla carne sintetica, sono tasselli fondamentali di un Antropocene intelligente.

Cinque diete consapevoli.
Il tipo di cibo che si mangia è molto più importante del fatto che sia locale o biologico, così come del tipo di sacchetto che si utilizza per portarlo a casa dal negozio. Secondo le valutazioni dell’Onu, sono cinque le diete più note con un potenziale di mitigazione delle emissioni di gas serra e vantaggiose per la salute. Non bisogna rinunciare del tutto alla carne rossa per fare la differenza: si può scegliere di essere ecocarnivori, riducendone il consumo. Sul portale http://www.allevamento-etico.eu/ si può avere un censimento delle aziende agricole e delle fattorie che fanno allevamento nel pieno rispetto del benessere animale, rispettando i ritmi della natura, evitando loro sofferenze ingiustificate e lo stress che è dannoso anche agli uomini.
Le fonti proteiche vegetali, come legumi, cereali integrali e frutta a guscio, le opzioni più rispettose del clima. In generale, un occidentale medio dovrebbe raddoppiare il consumo di vegetali rispetto ai suoi standard.

DIETA MEDITERRANEA: non esclude alcuna categoria alimentare, prevede vegetali in abbondanza, carne rossa solo una volta alla settimana e un consumo moderato di latticini.
DIETA CARNIVORA CLIMATICA: all’interno di uno stile onnivoro, almeno il 75% del consumo di carne di ruminanti e di prodotti lattiero-caseari viene sostituito da carne di maiale, coniglio, pollo e tacchino. Difatti manzo, capretto, vitello e agnello hanno l’impatto climatico maggiore per grammo di proteine, mentre i vegetali tendono ad averne il minore. Maiale, molti tipi di pesce e pollame stanno nel mezzo, un po’ più su per impatto di carbonio i formaggi.
DIETA PESCETARIANA: prevede il consumo di pesce ma non di carne e in qualche variante nemmeno di latticini.
DIETA VEGETARIANA: esclude carne e pesce ma non uova, latte e latticini.
DIETA VEGANA: ammette solo fonti vegetali.

https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/food/2021/04/26/ecocarnivori-o-mediterranei-le-diete-consapevoli-sono-il-cibo-che-ci-salvera_3bbaabfc-fd73-4f80-9801-b3f6beb08619.html

La «grande fuga» degli avvocati: perché i giovani lasciano la professione. - Patrizia Maciocchi

 



Aumenta il numero di cancellazioni alla Cassa forense degli avvocati trentenni e a dire addio alla professione sono più le donne.

Ogni quattro nuovi iscritti alla Cassa degli avvocati ce ne sono tre che la lasciano. E ad andarsene sono sempre più i trentenni, mentre diminuiscono le uscite degli over 40. A dire addio alla professione sono più le donne, ma in linea generale negli ultimi anni il totale delle cancellazioni dalla Cassa forense raggiunge una quota che oscilla tra il 75 e l’84% delle nuove iscrizioni.

È questo il quadro che emerge dai dati forniti da Cassa forense, su new entry e abbandoni, con un saldo che, secondo il presidente Valter Militi, verosimilmente a fine 2021 sarà pari a zero se non addirittura negativo.

Meno cause e reddito in calo.

Le ragioni dell’emorragia sono evidenziate ancora una volta dai numeri. Che fare l’avvocato non sia più, per la maggior parte dei professionisti, una scelta particolarmente remunerativa è noto. Solo nel 2020 oltre 140mila legali hanno avuto accesso al reddito di ultima istanza, riservato a chi non raggiunge il tetto dei 50mila euro, e molti degli aventi diritto non superavano i 35mila euro. Utile anche sapere che il contenzioso civile negli ultimi 10 anni è diminuito del 36%, e dimezzato dal 2009, anche se c’è in vista una possibile ripresa delle “liti” dovuta all’effetto pandemia.

Verso il posto fisso.

Come ulteriore elemento ai tradizionali motivi di fuga da una professione che non dà più certezze, si aggiunge l’occasione del posto fisso: una garanzia offerta dai concorsi pubblici.
La prima opportunità da sfruttare per restituire il tesserino restando comunque all’interno delle aule giudiziarie è offerta del decreto di reclutamento per 16.826 addetti all’ufficio del processo con una prima tranche di 8.171 posti già assegnati: e quasi la totalità sono stati appannaggio di chi aveva una laurea in legge in tasca.
«Ci sono circa 100mila legali che hanno un reddito inferiore ai 20mila euro – spiega il neo presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati, Francesco Paolo Perchinunno – naturalmente sono soprattutto giovani, e naturalmente soprattutto donne e del Sud. La fuga dagli albi – solo a Roma nei primi mesi del 2021 hanno lasciato in 600 – si spiega con l’importantissimo numero di concorsi pubblici messi in atto dallo Stato, al quale hanno partecipato, con successo, migliaia di colleghi».

Come arginare l’esodo

Dal vertice degli under 40 un suggerimento per arginare l’esodo verso il posto fisso: uscire dalla difesa giudiziale per entrare nel mercato extragiudiziale. Soprattutto nelle materie “emergenti” in quelle aree su cui si scommette con il Recovery plan: dalla transizione ecologica al digitale.

Ma a lasciare non sono solo i giovani. «L’inversione di rotta sul lavoro a 30 anni si può considerare quasi fisiologica – sottolinea il presidente dell’Unione camere civili Antonio de Notaristefani – ma dopo i 45 è quasi sempre una scelta drammatica. Sono molti i colleghi non giovanissimi che sono entrati in cancelleria. Per me è la sconfitta di una generazione. Tra le ragioni c’è il costo della giustizia. Per questo cala il contenzioso: non è la pace sociale, sono le spese di accesso al giudice troppo elevate».
E i numeri di chi rinuncia alle arringhe per lo stipendio fisso, sembrano destinati a salire.
«I dati del 2021 sono ancora parziali – dice il presidente di Cassa forense Valter Militi – perché le richiesta di cancellazione ci devono essere comunicate dagli Ordini. Ci aspettiamo però che l’effetto concorsi porti via dall’Albo entro il 2022 verosimilmente circa 15mila avvocati».
La Cassa mette in campo misure di sostegno alla professione:  dagli incentivi per le sinergie ai rimborsi spese del 50% per la formazione specialistica. Diversi i bandi per gli investimenti: dagli strumenti informatici al prestito fino a 15mila euro per l’apertura di uno studio destinato agli under 35.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/la-grande-fuga-avvocati-perche-giovani-lasciano-professione-AEgdGor

Certificati anagrafici, addio alla marca da bollo: basterà lo Spid per scaricarli gratis online. - Massimiliano Jattoni Dall’Asén

 

Basterà avere lo Spid o Cie (la carta d’identità elettronica) per potere scaricare gratuitamente 14 certificati anagrafici in formato digitale. Per la prima volta, a partire dal 15 novembre, i cittadini italiani potranno usufruire del nuovo servizio dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) del Ministero dell’Interno, che attraverso pochi click mette a disposizione un numero consistente di certificati, scaricabili per sé o per un componente della propria famiglia dal proprio computer, senza più bisogno di recarsi agli sportelli.

Burocrazia più snella.

Il MItd (Ministero trasformazione digitale) ufficializza così quanto anticipato dal ministro Vittorio Colao. Questo, oltre a semplificare la vita dei cittadini, permetterà anche alle amministrazioni pubbliche di avere un punto di riferimento unico per i dati e le informazioni anagrafiche, dal quale poter reperire informazioni certe e sicure per poter erogare servizi integrati e più efficienti per i cittadini. Con un’anagrafe nazionale unica, infatti, ogni aggiornamento sarà immediatamente consultabile dagli enti pubblici che accedono alla banca dati, dall’Agenzia delle entrate all’Inps, fino alla Motorizzazione civile.

I 14 certificati esenti dal bollo.

Come detto, i certificati digitali saranno completamente gratuiti: non si dovrà infatti pagare il bollo. Inoltre, per le aree plurilinguistiche saranno disponibili in modalità multilingua. Nel dettaglio, i 14 certificati riguardano quello di nascita, di matrimonio, di cittadinanza, di esistenza in vita, di residenza, di residenza AIRE, di stato di famiglia e di stato civile, di residenza in convivenza, di stato di famiglia AIRE, di stato di famiglia con rapporti di parentela, di stato Libero, anagrafico di unione civile e di contratto di convivenza.

Come ottenere i certificati.

Come spiegano in una nota congiunta MIdt e Sogei, al portale si accede con la propria identità digitale (SPID, Carta d’Identità Elettronica, CNS) e se la richiesta è per un familiare verrà mostrato l’elenco dei componenti della famiglia per cui è possibile richiedere un certificato. Il servizio, inoltre, consente la visione dell’anteprima del documento per verificare la correttezza dei dati e di poterlo scaricare in formato .pdf o riceverlo via mail.



https://www.corriere.it/economia/finanza/21_ottobre_30/certificati-anagrafici-addio-bollo-bastera-spid-scaricarli-online-gratis-25c614cc-3961-11ec-9ccd-c99589413e68.shtml?fbclid=IwAR1Oe0hS68kX4wlw7njEXn8yp6HMGrWU2wDBbi5uNAME5vrxeEza7aHydPI

Tassa sui miliardari: da Musk a Bezos, i 10 Paperoni che pagheranno di più. - Angelo Mincuzzi

Illustrazione di Giorgio De Marinis/Il Sole 24 Ore

 

Se passasse la proposta del senatore Wyden, il proprietario di Tesla verserebbe 50 miliardi, il fondatore di Amazon 44 e Zuckerberg 29 miliardi.

Il conto più salato lo pagherebbe Elon Musk, il proprietario di Tesla. L’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio stimato in 274 miliardi di dollari, dovrebbe versare al Fisco statunitense 50 miliardi tondi tondi. Il salasso colpirebbe anche Jeff Bezos, suo acerrimo rivale nella corsa per la conquista commerciale dello spazio. Il fondatore di Amazon, al secondo posto tra i miliardari più facoltosi della terra con un patrimonio di 196 miliardi di dollari, dovrebbe pagare 44 miliardi. Per Mark Zuckerberg, in questi giorni nell’occhio del ciclone per le rivelazioni della whistleblower ed ex manager di Facebook, Frances Haugen, il conto sarebbe invece di “soli” 29 miliardi. Così come per Larry Page, uno dei fondatori di Google: anche lui verserebbe 29 miliardi nelle casse del governo americano.

I “magnifici quattro.”

Secondo il Bloomberg Billionaires Index, i “magnifici quattro” posseggono complessivamente 735 miliardi di dollari e ne dovrebbero versare 152 al Fisco Usa se dovesse passare la legge proposta dal democratico Ron Wyden, presidente della commissione Finanze del Senato. Conosciuta come la “tassa sui miliardari”, la proposta ha l’appoggio del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che da giorni ormai invade i social network con tweet in cui spiega perché è necessario far pagare le giuste imposte anche agli uomini più ricchi del Paese.

Nell’impostazione attuale la nuova tassa punta a incassare 500 miliardi di dollari in cinque anni, prima di andare a regime. Complessivamente, i 10 americani più ricchi possiedono un patrimonio di circa 1.300 miliardi di dollari e il piano Wyden richiederebbe loro di pagare in totale di 276 miliardi di tasse.

Il peso maggiore ricadrebbe, nell’ordine, su Musk, Bezos, Zuckerberg e Page – come abbiamo visto – seguiti da Sergey Brin (anch’egli fondatore di Google), Larry Ellison (Oracle), Warren Buffett (Berkshire Hathaway), Bill Gates (Microsoft), Steve Ballmer (Microsoft) e Jim Walton (Wal-Mart). I rimanenti 224 miliardi verrebbero pagati da altri 700 miliardari.

Questi calcoli si basano sulla ricchezza rilevata domenica 24 ottobre dal Bloomberg Billionaires Index ma le stime delle entrate si evolveranno insieme al patrimonio dei miliardari. Solo lunedì 25 ottobre, infatti, la ricchezza totale detenuta da Musk è salita di ben 36 miliardi di dollari a causa di un nuovo ordine di Tesla dalla società di noleggio Hertz.

L’insofferenza di Elon Musk.

Come maggiore contribuente della nuova imposta, Musk non l’ha presa affatto bene e alle 2,22 di notte del 26 ottobre ha lanciato un tweet in cui ventila la possibilità che dopo aver tassato i miliardari il governo potrebbe tassare anche gli altri contribuenti: «Alla fine, finiscono i soldi degli altri e poi vengono a prendere i tuoi», ha scritto.

In base alla proposta di Wyden (che non è per nulla sicuro che passerà così come è stata formulata, anche perché ci sarebbero dei profili di costituzionalità), i miliardari inizieranno a pagare le tasse sulla loro maggiore ricchezza ogni anno, proprio come i lavoratori pagano le tasse sui loro stipendi. L’imposta si applicherà solo ai contribuenti la cui ricchezza supera il miliardo di dollari: circa 700 famiglie su 130 milioni di famiglie degli Stati Uniti, ovvero lo 0,00005% del totale. Oppure riguarderà chi ha guadagnato oltre 100 milioni di dollari per tre anni consecutivi.

L’imposta sarà valutata annualmente sui beni negoziabili, come azioni, fondi comuni di investimento e derivati, il cui valore è noto all’inizio e alla fine dell’anno e il proprietario ottiene un rendiconto finanziario al termine dei 12 mesi. Per le attività non negoziabili, come un’impresa non quotata o immobili, le imposte saranno differite fino alla vendita dell’attività.

Gli interessi saranno addebitati per quegli anni in cui le tasse sono state eluse e il bene è aumentato di valore. Se l’asset perderà invece valore, allora saranno riconosciuti dei crediti d’imposta.

L’aliquota fiscale non è stata ancora determinata, ma è probabile che sia almeno l’aliquota massima sulle plusvalenze, che attualmente è del 20% più un’imposta sul reddito da capitale del 3,8%. In totale, dunque, il 23,8%.

Le aliquote basse dei miliardari.

I miliardari pagano aliquote fiscali effettive molto basse anche perché il valore delle loro azioni societarie non è soggetto alle imposte sulle plusvalenze fino a quando non vengono vendute. Il piano di Wyden equivarrebbe a un importante cambiamento nel Codice fiscale degli Stati Uniti istituendo la tassa del 23,8% sull’aumento del valore delle azioni - cioé la “plusvalenza non realizzata” - anche prima che le attività vengano vendute.

Di conseguenza, il piano ricadrebbe principalmente sui miliardari che hanno mantenuto le loro azioni quotate in Borsa, un criterio facilmente misurabile e pubblicamente identificabile. Le loro partecipazioni aziendali private, come SpaceX di Musk o Blue Origin di Bezos, probabilmente non rientrerebbero nella tassa.

«Ci sono due Codici fiscali in America – ha sottolineato il senatore Wyden spiegando come funzionerà la sua proposta -. Il primo è obbligatorio per i lavoratori che pagano le tasse prelevate da ogni busta paga. Il secondo è volontario per i miliardari che rimandano il pagamento delle tasse per anni, se non a tempo indeterminato. Due Codici fiscali consentono ai miliardari di utilizzare il reddito in gran parte non tassato della loro ricchezza per costruire più ricchezza, mentre le famiglie che lavorano lottano per bilanciare il mutuo con le spese e le bollette. Ecco perché è il momento di un’imposta sul reddito dei miliardari».

Il boom durante la pandemia.

Gli oltre 700 miliardari americani hanno visto la loro ricchezza aumentare di 1,8 trilioni di dollari (+62%), durante i primi 17 mesi di pandemia. Sulla base dei dati del Fisco statunitense, il giornale investigativo no-profit ProPublica ha scoperto che Jeff Bezos ha pagato zero tasse federali sul reddito nel 2007 e nel 2011, Elon Musk ne ha pagate zero nel 2018 e Michael Bloomberg ha pagato zero più volte negli ultimi anni.

ProPublica ha anche scoperto che i 25 miliardari più ricchi hanno pagato un’aliquota fiscale effettiva di appena il 3,4% su un incremento di 400 miliardi di dollari della loro ricchezza tra il 2014 e il 2018.

Gli economisti della Casa Bianca, dal canto loro, hanno rilevato che in media le 400 famiglie più ricche degli Stati Uniti hanno pagato un’aliquota effettiva dell’imposta federale sul reddito di poco superiore all’8% negli ultimi anni, se si calcola l’aumento del valore delle loro azioni. Insomma - afferma la Casa Bianca - i miliardari possono pagare aliquote fiscali inferiori rispetto ai lavoratori della classe media, come insegnanti, infermieri e vigili del fuoco.

I miliardari versano aliquote fiscali così basse per due motivi principali. La maggior parte del loro reddito deriva dall’aumento del valore dei loro investimenti come azioni, attività commerciali o immobili, piuttosto che da una busta paga. Inoltre, non devono pagare le tasse su quella maggiore ricchezza se non vendono asset. E non hanno bisogno di venderli perché possono usarli come garanzia per prendere in prestito denaro dalle banche a tassi bassi e vivere esentasse.

Se invece vendono i loro beni, pagano un’aliquota massima dell'imposta sulle plusvalenze del 20% (più l’imposta sul reddito da capitale netto del 3,8%), molto al di sotto dell’attuale tasso massimo del 37% che pagherebbero con uno stipendio da lavoratore dipendente. Questo è il motivo per cui molti ultraricchi pagano un’aliquota fiscale inferiore rispetto alle persone della classe media.

Il dibattito in Europa.

Il problema del doppio regime fiscale non è solo americano. Solo qualche giorno fa l’economista francese Thomas Piketty, autore di due libri diventati pietre miliari per interpretare l’evoluzione della società (“Il capitale nel XXI secolo” e “Capitale e ideologia”), ha scritto su Le Monde un lungo articolo per chiedere l’istituzione di un catasto dei patrimoni finanziari.

Il problema di fondo – sostiene l’economista francese – è che, all’inizio del XXI secolo, si continua a registrare e tassare i patrimoni sulla sola base dei beni immobili, utilizzando i catasti realizzati all'inizio del XIX secolo. Il possesso di un patrimonio – è il ragionamento di Piketty – è un indicatore della capacità contributiva delle persone, il che spiega perché la tassazione dei patrimoni ha sempre avuto un ruolo centrale nei moderni sistemi fiscali, oltre alla tassazione che grava sul flusso del reddito.

«Istituendo un catasto centralizzato per tutti i beni immobili, sia abitativi che professionali (terreni agricoli, negozi, fabbriche), la Rivoluzione francese istituì nello stesso tempo un sistema fiscale basato sulle transazioni (diritti di trasferimento ancora in vigore oggi) e soprattutto sulla proprietà (con imposta fondiaria) – sottolinea Piketty -. In Francia come negli Stati Uniti e in quasi tutti i paesi ricchi, l'imposta sulla proprietà continua a rappresentare la principale imposta sul patrimonio».

Un sistema ormai vecchio.

Il problema è che questo sistema di registrazione e tassazione dei beni è rimasto pressoché invariato da due secoli, anche se le attività finanziarie hanno assunto un’importanza preponderante.
«Il risultato è un sistema estremamente ingiusto e diseguale - sostiene Piketty -. Se possiedi una casa o un immobile professionale del valore di 300.000 euro e sei indebitato fino a 290.000 euro, pagherai la stessa tassa di proprietà di una persona che ha ereditato la stessa proprietà e possiede inoltre un portafoglio finanziario di 3 milioni di euro. Nessun principio, nessun ragionamento economico può giustificare un sistema fiscale così violentemente regressivo».

In molti affermano che sarebbe impossibile registrare i patrimoni finanziari. Secondo Piketty, però, non si tratta di un’impossibilità tecnica ma di una scelta politica: «Abbiamo scelto di privatizzare la registrazione dei titoli finanziari (presso depositari centrali di diritto privato, come Clearstream o Eurostream) e poi di istituire la libera circolazione dei capitali garantita dagli Stati, senza alcun coordinamento fiscale preventivo».

Il catasto finanziario.

Cosa fare allora? La priorità dovrebbe essere l'istituzione di un registro pubblico dei patrimoni finanziari e la tassazione minima di tutti i beni, anche solo per produrre informazioni oggettive su di essi. Ogni Paese può muoversi immediatamente in questa direzione, richiedendo a tutte le società che detengono o gestiscono dei beni nel suo territorio di rivelare l'identità dei loro titolari e tassandoli di conseguenza, in modo trasparente e alla stregua dei normali contribuenti, né più né meno. Rinunciando a qualsiasi ambizione in termini di sovranità fiscale e giustizia sociale, conclude Piketty, si incoraggia solo il separatismo dei più ricchi e il ripiegamento su se stessi.

Da una parte all'altra dell’Atlantico il tema della tassazione dei miliardari comincia a dettare l'agenda politica. È una delle conseguenze del nuovo mondo scaturito dalla pandemia.

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