mercoledì 9 marzo 2022

Tra pantano afghano e seconda guerra fredda, esiste via d’uscita dalla guerra di Putin? - Ugo Tramballi

 

La sera del 14 ottobre 1964, il Presidium del Comitato Centrale guidato da Leonid Breznev, accettò con voto unanime la richiesta “volontaria” di dimissioni di Nikita Khrushchev. L’inaspettato ritiro, spiegava il comunicato del Presidium, era dovuto «all’età avanzata e alla cattiva salute» del leader sovietico. Breznev prendeva il suo posto da segretario del partito e leader dell’Unione Sovietica; primo ministro diventava il suo braccio destro Alexey Kosygin.

Un paio di giorni prima Khrushchev era stato fermato all’aeroporto moscovita di Vnukovo, al suo arrivo da Pitzunda, sul Mar Nero, dove era stato in vacanza. A Vladimir Semichastny, il capo del Kgb che lui aveva nominato, non aveva opposto resistenza. Non ci furono processi pubblici, plotoni d’esecuzione né purghe nel paese, come era nella tradizione. Non fu neanche un golpe: al leader i vertici del partito rimproveravano la mancanza di collegialità nelle scelte politiche e il comportamento eccessivamente enfatico che contrastava con il grigio e lacustre understatement di regime dopo il lungo grand guignol stalinista.

A Khrushchev furono concessi una dacia fuori Mosca, una pensione di 500 rubli e un’auto. Alla sua morte, sette anni più tardi, non fu celebrato un funerale di stato né gli fu dato un posto sotto le mura del Cremlino, alle spalle del mausoleo di Lenin. Il vecchio statista fu però sepolto al cimitero di Novodevichy, accanto a Gogol, Chekhov e Bulgakov.

Tutto cambia perché nulla cambi.

Sul piano internazionale non cambiò nulla. La Guerra Fredda proseguì senza ulteriori crisi come quella dei missili di Cuba del 1962. Ci furono guerre in Africa, Medio Oriente e Asia. Ma in Europa il confronto Est-Ovest si stabilizzò fino a diventare una garanzia di pace per il continente. Nel 1976 a Helsinki furono firmati accordi fondamentali per la sicurezza e la cooperazione, capaci di resistere alla fine della Guerra Fredda ma non all’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina, 22 anni più tardi.

Nessuna crepa sulle mura del Cremlino.

La storia si può ripetere? La defenestrazione di Khrushchev potrebbe essere un buon esempio per risolvere la guerra in Ucraina, la strada perché la Russia, l’Europa e il mondo si liberino di Putin? Segni coraggiosi nella società russa ce ne sono ma, per ora, niente crepe sulle mura del Cremlino. Tuttavia una dittatura è granitica fino a che all’improvviso scopriamo che non lo era.

Supponiamo – solo supponiamo - che fra tre giorni o un mese, sia questa la soluzione della guerra in Ucraina. Il conflitto continua senza una fine visibile, la resistenza degli ucraini si fa sempre più intensa. Intanto le forze armate russe si dissanguano. Il fronte interno è reso sempre più complicato e insostenibile dalle durissime sanzioni internazionali; la Cina offre a Putin una mediazione, non una sponda.

Un Afghanistan in Europa?

Diventa sempre più evidente che per il presidente e l’intero paese non ci siano vie d’uscita vincenti ma lo spettro di un gigantesco massacro o di un altro Afghanistan, questa volta europeo. Politici, ex commilitoni del Kgb, generali, oligarchi, direttori di giornali devono a Putin tutto il potere che hanno. Ma ora è a causa di Putin che possono perderlo. La fedeltà ha sempre dei limiti e anche chi la conserva per patriottismo deve riconoscere che oltre al loro potere è anche la Russia che sta affondando, circondata da un mondo ostile e, nel migliore dei casi, astenuto.

Questo è ovviamente un wishful thinking, un pio desiderio. Ma sembra impossibile che Putin possa vincere come aveva pianificato. Quindi andiamo avanti con l’immaginazione. Resa dei conti stalinista o una dacia dove passare i suoi giorni, Putin finalmente cade. Avremo un mondo migliore?

Cosa cambierebbe.

Forse si ma non così tanto. Mezzo millennio di autocrazia zarista, 70 anni di comunismo e 22 di Vladimir Putin - ininterrotti salvo la pausa della caotica e cleptocratica democrazia eltsiniana negli anni ’90 - non possono d’improvviso generare un Thomas Jefferson. Al potere ci saranno ancora gli ex capi del Kgb di Leningrado che avevano scalato il potere con Putin, gli oligarchi e i generali non compromessi dalla brutta figura in Ucraina. Non è esclusa la sopravvivenza del ministro degli Esteri Sergei Lavrov: «uno squalo vestito Armani», lo aveva definito qualche anno fa una giornalista americana.

Un possibile futuro.

Chiunque governerà, sarà più cauto, userà l’arma della diplomazia, dovrà riconquistare un’Europa ostile e un’America di Biden convinta di aver vinto una partita fondamentale per la sua rielezione presidenziale. Ma saranno sempre nazionalisti permalosi, convinti che la Russia abbia di natura un ruolo da grande potenza. Paradossalmente europei e americani dovranno faticare e forse minacciare per convincere l’Ucraina a dare la Crimea per persa e concedere l’autonomia a Donbas e Lugansk. Un’Ucraina come la Finlandia, neutrale ma democratica, europea e fuori dalla sfera russa, sarà la soluzione migliore.

La Seconda Guerra Fredda.

Così potrà iniziare la Seconda Guerra Fredda. Qualche giorno fa Martin Wolf sul Financial Times scriveva che siamo già «in un nuovo conflitto ideologico, non uno fra comunisti e capitalisti ma fra tirannie irredentiste e democrazie liberali. In molti sensi questo sarà più pericoloso della Guerra Fredda» originale.

Sarà più complicata della prima perché i protagonisti non saranno solo due, come nella prima. C’è evidentemente la Cina che col passare degli anni sarà sempre più ambiziosa della Russia e, rispetto a quest’ultima, lo sarà a ragion veduta. E come inaspettata eredità del conflitto ucraino, ci sarà un’Europa sempre più assertiva, ricca e armata. I litigi a Bruxelles riprenderanno ma la scoperta dei vantaggi offerti da un’Unione credibile e forte, dovrebbe contenerli in un accettabile confronto democratico.

Le scelte dell’Europa.

A renderci più compatti in un mondo più competitivo, sarà la certezza di non poter dare per certa come un tempo una forte e affidabile presenza degli Stati Uniti. Se Donald Trump avesse vinto un secondo mandato presidenziale, il suo amico Putin avrebbe normalizzato l’Ucraina in una settimana. Ma se non l’ex presidente, un altro repubblicano trumpista, politicamente più abile e pericoloso dell’originale, potrebbe essere alla Casa Bianca nel 2024. Nella Seconda Guerra Fredda mantenere lo spirito di unità e collaborazione di queste settimane, per l’Europa non sarà una scelta ma una necessità.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/tra-pantano-afghano-e-seconda-guerra-fredda-esiste-via-d-uscita-guerra-putin-AEdoQXIB?s=hpf

La questione Zelensky, eroe molesto. - Antonio Padellaro

 

Noi sgomenti e impotenti spettatori abbiamo come l’impressione che, ultimamente, il premier ucraino Zelensky, più ancora del “criminale di guerra Putin”, abbia come bersaglio costante i governi cosiddetti alleati a cui non risparmia critiche e reprimende per la tiepidezza (e forse anche viltà) che dimostrano nei confronti del nemico comune. Fino a profetizzare che “questo conflitto non finirà così, ma scatenerà una guerra mondiale poiché questa bestia più mangia e più vorrà mangiare”. Cosicché i vari Biden, Macron, Scholz, Johnson, Draghi, si trovano nella scomoda situazione di chi non può replicare a tono. Che una terza guerra mondiale, per esempio, potrebbe divampare forse già un minuto dopo la creazione di quella no fly zone sollecitata dall’uomo di Kiev. Non appena un aereo russo fosse abbattuto da un caccia Nato (o viceversa). Imbarazzante, infatti, per chi se ne sta al sicuro e al calduccio (chissà ancora per quanto) polemizzare con un eroe asserragliato a difesa del proprio popolo, e a rischio continuo della propria vita. Parliamo dello stesso eroe che la “bestia” di Mosca aveva ampiamente sottovalutato nel progettare un’invasione che, secondo i calcoli, avrebbe comportato, in due o tre giorni, la resa dell’Ucraina con la fuga del comico-presidente. Eh sì, questo personaggio spuntato dal nulla che da due settimane, barba lunga e canottiera militare, arringa l’universo mondo in diretta tv potrebbe avere rotto le classiche uova nel paniere a nemici e amici. Come simbolo di una resistenza senza se e senza ma, ha colpito in contropiede pure quella strategia terzista convinta che con l’immediata cessione al Cremlino di Donbass e Crimea, più una esplicita dichiarazione di neutralità, il mondo avrebbe tirato un sospiro di sollievo e questa brutta storia sarebbe stata archiviata per poi procedere tutti festosamente verso le vacanze pasquali. Vero che Zelensky ha aperto uno spiraglio sulle possibili concessioni alla Russia, ma con gli eroi non si può mai sapere (“Beati quei popoli che non ne hanno bisogno”: Bertolt Brecht aveva capito tutto in anticipo).

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/09/la-questione-zelensky-eroe-molesto/6519933/?utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR0Z3YHuK3rMxF9OA__kgAIjK_SLrr-NAyINmOVuI79qPBRaQFRTSxKyYM0#Echobox=1646816887

Il guerrafondaio ipocrita. - Marco Travaglio

 

“Il cinismo di quei pacifisti che dicono no a Zelensky”. Vedo questo titolo in cima all’editoriale di Paolo Mieli sul Corriere. Corro a leggere e trovo citato quasi tutto il mio editoriale di sabato. Manca solo la mia firma, così nessuno capisce con chi ce l’abbia Mieli (le guerre non si dichiarano più). Quindi i “pacifisti cinici” che “dicono no a Zelensky” sono io. Che, tra parentesi, non sono mai stato pacifista e non ho mai parlato con Zelensky, ma fa niente. Con la sua prosa mieliflua, Mieli mi impartisce una “lezione tramandataci dalla storia”, perché com’è noto è pure uno storico. Infatti infila una collezione di paralleli che, con l’Ucraina, c’entrano come i cavoli a merenda. Tipo gli aiuti “ai repubblicani nella guerra civile spagnola”, alla “rivolta nel ghetto di Varsavia”, agli oppositori di Pinochet e Videla. Ma quelli in Cile e Argentina erano golpe interni: quella in Ucraina è un’invasione esterna. La guerra di Spagna e la seconda guerra mondiale mossero eserciti contro altri eserciti (Varsavia la liberò l’Armata Rossa):oggi né gli Usa, né la Nato né l’Ue intendono inviare un solo soldato in Ucraina. Anche il paragone fra i Sudeti e l’Ucraina traballa: il Führer pianificava il dominio tedesco su tutta Europa e lo sterminio di milioni di ebrei, zingari e gay; lo zar, per quanto criminale, parrebbe un po’ meno pretenzioso.

Potremmo continuare, se lo strazio del cuoricino di Mieli sanguinante per il nostro cinismo non ci inducesse a smettere. E a seguirlo toto corde nel purissimo afflato di solidarietà per Zelensky, offuscato solo dalla mancanza di analogo trasporto per i serbi, i libici, gli afghani, gli iracheni e gli altri popoli invasi e sterminati dall’Occidente buono. Noi abbiamo sempre condannato quelle guerre con lo stesso cinismo con cui condanniamo quella di Putin e sognato sanzioni e armi contro i criminali che le avevano scatenate: ma erano impossibili perchè avremmo dovuto sanzionarci e bombardarci da soli. E ora che Putin fa ciò che facevamo noi vorremmo tanto che perdesse la guerra. Ma purtroppo gli esperti dicono che è improbabile: l’unica incognita di questa guerra non è come finirà, ma quando e con quanti morti (direttamente proporzionali alla sua durata). Perciò speriamo che duri poco. A meno che, si capisce, Usa, Nato e Ue non dicano sì a Zelensky con no fly zone, caccia e truppe di terra: cioè con la terza guerra mondiale. Se è questo che auspicano Mieli&C., lo dicano: “Vogliamo la terza guerra mondiale”, anziché nascondersi dietro la resistenza ucraina per fare bella figura nei talk. Ma lo dicano a Biden, alla Nato, all’Ue e all’amato Draghi: perché sono questi a “dire no a Zelensky”, non i pacifisti cinici. Che, per quanto esecrabili, sono meglio dei guerrafondai ipocriti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/09/il-guerrafondaio-ipocrita/6519888/

martedì 8 marzo 2022

Faraone navigator: vuole più poltrone per sindaci ed eletti. - Giacomo Salvini

 

Che sia un sostegno non ci piove. Che lo sia soprattutto per quei politici locali che, a fine mandato, sognano uno strapuntino ben remunerato, anche. Ed è per questo che i renziani a Palazzo Madama stanno provando a far entrare nel decreto “Sostegni Ter” un regalo per sindaci, governatori e consiglieri regionali. Un emendamento, a prima firma Davide Faraone e sostenuto anche dalla ex M5S Elvira Lucia Evangelista, che se approvato permetterebbe agli amministratori locali di passare da una poltrona all’altra: restare nelle partecipate di Comune o Regione o con incarichi dirigenziali nell’amministrazione. Il tripudio delle porte girevoli, insomma.

Oggi, infatti, la norma in vigore dal 2013 prevede che una volta terminato l’incarico di governatore, consigliere regionale, sindaco o consigliere comunale (ma solo per le città sopra i 15 mila abitanti), per due anni l’amministratore non possa ricoprire incarichi nelle partecipate o nella stessa amministrazione. Un vincolo minimo per evitare potenziali conflitti d’interessi. Ma per Faraone e i renziani è un cappio troppo stretto e quindi va eliminato. L’emendamento del capogruppo di Italia Viva in Senato, infatti, con un tratto di penna cancella i 24 mesi di “cuscinetto” per evitare di passare da una poltrona all’altra e permette di poter assumere l’incarico il giorno dopo la fine del mandato. E quindi, per fare solo qualche esempio, alla fine del suo mandato il sindaco di Roma Roberto Gualtieri potrebbe ricoprire un incarico in Acea (acqua pubblica) o il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana in Aria (la centrale degli acquisti lombarda) oppure rimanere con un incarico dirigenziale al Campidoglio o al Pirellone. Una norma, specificano i firmatari dell’emendamento, che serve “per non disperdere le competenze e le professionalità acquisite nel corso del mandato”.

Ma dietro alla nobile motivazione, in Senato l’emendamento è balzato all’occhio ai colleghi per la sua tempistica sospetta: Faraone non è solo il capogruppo di Italia Viva a Palazzo Madama, ma da poche settimane è anche il candidato renziano a sindaco di Palermo. Non ha possibilità di essere eletto ma un seggio in consiglio comunale non glielo leva nessuno. E poi, visti i tempi di magra dopo il taglio dei parlamentari, è sempre meglio guardare al futuro. Faraone non è il solo parlamentare renziano candidato in pectore alle prossime amministrative: anche il magistrato e deputato Cosimo Maria Ferri, sotto procedimento disciplinare al Csm per lo scandalo delle nomine, potrebbe essere candidato sindaco nella sua Carrara. L’emendamento in materia di “inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale” è stato presentato da Italia Viva al Sostegni Ter e ieri il gruppo al Senato si è riunito per fare una scrematura e per “segnalare” quelli considerati più importanti. La proposta renziana potrebbe trovare una sponda favorevole anche nelle altre forze politiche di maggioranza. Le porte girevoli, si sa, fanno comodo a tutti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/08/faraone-navigator-vuole-piu-poltrone-per-sindaci-ed-eletti/6518637/?utm_campaign=Echobox2021&utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR0HbtBC4MCV_vfqqtLK0MGku0lYB5oM4AmO8_J9ll372Ir-dRQjgj8Ccg0#Echobox=1646733272

domenica 6 marzo 2022

Il Bailong, conosciuto anche come "Ascensore dei Cento Dragoni".

 















Il Bailong, conosciuto anche come "Ascensore dei Cento Dragoni", si trova sulla parete di una montagna di Wulingyuan, esattamente nella splendida area paesaggistica del Zhangjiajie Forest Park, il famoso parco cinese nello Hunan. Questa incredibile struttura sale lungo il fianco della parete per ben 326 metri e permette di ammirare il paesaggio mozzafiato dei celebri pilastri di roccia che hanno ispirato il film “Avatar”.

L’Ascensore Bailong, costruito in soli tre anni, dal 1999 al 2002, dal 2005 è entrato a far parte del libro dei Guinness dei primati come l'ascensore all'aperto più alto, più pesante e più veloce del mondo. Un’impressionante opera ingegneristica dal costo di 19 milioni di dollari, composta da tre ascensori realizzati in vetro, ognuno in grado di trasportare in un solo minuto e mezzo oltre 50 persone per volta.

L’ascensore, costruito in questa splendida zona dichiarata dall'Unesco patrimonio dell'Umanità nel 1992, ha suscitato moltissime polemiche per l'impatto creato sull'ambiente circostante. Tuttavia, l’enorme flusso turistico, che ogni giorno affolla le cabine del Bailong, sembra proprio aver superato qualsiasi ostacolo.

https://www.mybestplace.com/it/articolo/bailong-lascensore-esterno-piu-alto-e-veloce-del-mondo

sabato 5 marzo 2022

Il cortigiano Johnny. - Marco Travaglio (4.3.2022)

 

Sgominati il direttore d’orchestra e la soprano russi alla Scala, respinto l’assalto della Brigata Dostoevskij all’Università Bicocca, attendevamo con ansia che qualcuno bombardasse l’hotel de Russie di Roma e la fermata Moscova della metro milanese, o boicottasse la griffe Moschino, o prendesse sul serio chi sul web propone di ribattezzare Ignazio La Russa “L’Ucraina” (Maurizio Mosca l’ha scampata bella, defungendo per tempo). Poi è giunto l’annuncio della Federazione Internazionale Felina che, “in segno di vicinanza verso gli ucraini”, ha deciso di “non registrare più gatti provenienti dalla Russia e mettere uno stop alla partecipazione degli allevatori russi alle esposizioni internazionali”. E abbiamo pensato che nessuno ne avrebbe più battuto il record di stupidità. Ma avevamo sottovalutato Johnny Riotta, che c’è riuscito in scioltezza su Repubblica con la lista di proscrizione “Destra, sinistra e no Green pass: identikit dei putiniani d’Italia. Da Savoini a Fusaro, da Barbara Spinelli a Mattei, Foa e Mutti, editore del fascio-putinista Dugin”. Un frittomisto scombiccherato e imbarazzante (non per lui, che non conosce vergogna e non ha mai la più pallida idea di ciò che dice, tipo quando negava in tv che l’articolo 1 della Costituzione affermi che la sovranità appartiene al popolo, ma per gli eventuali lettori). Piluccando da uno studio della Columbia University, forse per dimostrare la bruciante attualità de L’Idiota di Dostoevskij, il cortigiano Johnny frulla personaggi, storie, tesi diversi e spesso opposti, accomunando il leghista che chiedeva tangenti all’hotel Metropol di Mosca a chi osa obiettare al fumetto dell’Occidente buono, democratico e pacifista minacciato dal Nuovo Satana. Una barzelletta che farebbe scompisciare pure Kissinger, i migliori diplomatici Usa e il capo della Cia Burns, tutti molto critici sull’allargamento della Nato a Est.

Ma curiosamente Riotta, nella lista dei nemici pubblici, si scorda quei fottuti putinisti di Kissinger e Burns. E omette la Luiss, citata dalla Columbia fra gli amici della Russia, forse perché lui vi dirige una scuola di giornalismo (per mancanza di prove). In compenso ci infila la Spinelli, che scriveva su Rep quando era ancora un giornale e non il pannolone di Biden. E pure l’ex presidente Rai Marcello Foa, “commentatore di reti di propaganda russa”: cioè di Russia Today, che fino a sei anni fa usciva come inserto mensile di Rep. Il finale è un’istigazione ai rastrellamenti che piacerebbe un sacco a Putin e sarebbe un tantino inquietante, se Riotta lo leggesse e lo prendesse sul serio qualcuno: “Li riconoscete a prima vista: tutti hanno la stessa caratteristica”. Quella di pensare con la propria testa, ma soprattutto di averne una.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/04/il-cortigiano-johnny/6514852/

Tra il dire e il fare. - Marco Travaglio

 

Chi può contestare che il popolo ucraino non va lasciato solo nell’eroica resistenza all’invasore russo? E che non ha bisogno di fiori, ma di armi? È tutto ovvio, in via di principio. Ma, prima di inviare anche un solo petardo oltre i confini dell’Ucraina, bisognerebbe rispondere ad altre domande molto meno scontate che purtroppo nessuno – in questa spensierata decisione assunta dal governo dinanzi al Parlamento sdraiato – ha pensato di porre, né tantomeno di rispondere. L’obiettivo di Putin è chiaro: riprendersi l’Ucraina, poi si vede. Quello di Zelensky pure: ricacciarlo indietro, magari sacrificando il Donbass e la Crimea già persi. Ma il nostro qual è? Allungare di qualche settimana la resistenza ucraina in vista di una resa scontata, per indebolire un po’ Putin nel negoziato finale, o aiutare l’esercito e i civili ucraini a respingere l’Armata russa? Trattare con Putin o buttarlo giù? L’invio o meno delle armi dovrebbe dipendere da queste due risposte. Che dovrebbero dipendere dall’analisi del reale andamento della guerra, al di là delle opposte propagande. Se si pensa che gli ucraini abbiano buone probabilità di farcela nel breve e lungo periodo, complici le sanzioni alla Russia, inviare armi ha un senso. Se invece si ritiene che l’esito dell’invasione sia segnato, armare civili non (o male) addestrati serve solo a prolungare l’agonia del Paese e a moltiplicare la carneficina, seguitando a usare quel popolo martoriato come carne da macello per i giochi di guerra dei “grandi”.

Supponiamo che chi invia armi pensi sinceramente che possano ribaltare l’esito della guerra: resterebbero un paio di interrogativi. Secondo i calcoli più ottimistici, le armi giungeranno a destinazione non prima di qualche settimana, quando l’avanzata russa su Kiev sarà probabilmente completata: se l’intelligence Nato era certa da tre mesi dell’attacco russo, perché non pensarci prima? Conosciamo la risposta: Usa e Uk l’han fatto in abbondanza, mentre le armi dell’Italia e del resto dell’Ue sono perlopiù ferrivecchi e fondi di magazzino. E allora, di grazia, a che servono? Come ha spiegato Mackinson sul Fatto, non potendo coinvolgere paesi Nato, bisognerà portarle in Ucraina con finti convogli umanitari e voli commerciali, affidando le consegne a milizie private di contractor: mercenari prezzolati senza bandiera che combattono per ogni bandiera, cioè per il miglior offerente. Si tengono parte del carico come provvigione. Poi, se va bene (ma chi controlla?), consegnano il resto alle truppe o ai resistenti. Ma, se la Russia vince la guerra, si prende tutto. E usa le nostre armi – come i talebani in Afghanistan, l’Isis in Iraq e in Siria, le milizie in Libia – contro di noi. Che, ancora una volta, riusciremo a spararci sui piedi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/05/tra-il-dire-e-il-fare/6515975/