giovedì 7 marzo 2024

Le misteriose Bolle di Fermi. - Massimo Zito

Dieci anni fa, il telescopio spaziale per raggi gamma Fermi (Fermi Gamma-ray Large Area Space Telescope, Glast) della Nasa ha scoperto una coppia di giganteschi lobi di radiazione gamma, al centro della nostra galassia che si estendono per 50mila anni luce, 25mila anni luce sopra e 25mila anni luce sotto il disco galattico. Queste strutture sono state chiamate bolle di Fermi.

Le bolle di Fermi sono struttre scoperte oltre dieci anni fa dal telescopio spaziale per raggi gamma Fermi (Fermi Gamma-ray Large Area Space Telescope, Glast) della Nasa. Sono una coppia di giganteschi lobi di radiazione gamma, al centro della nostra galassia che si estendono per 50mila anni luce, 25mila anni luce sopra e 25mila anni luce sotto il disco galattico.

Questi lobi a forma di clessidra sono stati chiamati Bolle di Fermi.

Quando furono scoperte le bolle di Fermi nessuno ne aveva capito l’origine, tuttavia in uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal due ricercatori cinesi dell’Osservatorio astronomico di Shanghai (Shao) dell’Accademia cinese delle scienze hanno proposto un nuovo modello che spiega sia l’origine delle bolle di Fermi che l’origine della struttura biconica a raggi X presente nel centro della Via Lattea, concludendo che sono lo stesso fenomeno, originato da onde d’urto generate da una coppia di getti provenienti da Sagittarius A*, il gigantesco buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia.

Le bolle sono due enormi lobi colmi di gas incandescente, raggi cosmici e campi magnetici. Sebbene invisibili a occhio nudo, sono molto luminose nello spettro dei raggi gamma, dove presentano bordi netti che coincidono con una struttura biconica evidente nella parte a raggi X dello spettro.

L’origine delle bolle di Fermi.

I ricercatori Guo Fulai e Zhang Ruiyu pensano che questa corrispondenza tra le due strutture possano avere la stessa origine. Inoltre, la struttura biconica a raggi X potrebbe essere spiegata dal guscio sottile dell’onda d’urto del gas incandescente, generata da un’esplosione di energia avvenuta 6 milioni di anni fa dal buco nero super massiccio centrale della nostra galassia, noto anche come Sagittario A * (o Sgr A *).

L’onda d’urto potrebbe essere iniziata quando il buco nero ha improvvisamente emesso due enormi getti di materia ionizzata in direzioni opposte lontano dal centro galattico a una velocità prossima a quella della luce

I ricercatori hanno spiegato che se i getti fossero stati abbastanza larghi e abbastanza potenti, avrebbero potuto creare due onde d’urto gemelle che spostandosi attraverso il gas su entrambi i lati del centro galattico lo avrebbero compresso e riscaldato, formando cosi le strutture a raggi X a forma di clessidra; i bordi delle onde d’urto, espandendosi nello spazio intergalattico per migliaia di anni luce in entrambe le direzioni, avrebbero originato le Bolle di Fermi. L’intero processo sarebbe durato circa un milione di anni.

Il modello di Fulai e Ruiyu indica che l’energia totale emessa dal buco nero super massiccio, durante la generazione dell’evento è paragonabile a quella rilasciata da circa 20mila supernove. La materia totale consumata da Sgr A* durante questo evento è circa 100 volte la massa del nostro Sole.

Guo fa notare che la struttura biconica a raggi X ha una base molto stretta, questo esclude che il fronte d’onda sia stato prodotto da formazione stellare. Al contrario, i getti collimati depositano rapidamente la maggior parte dell’energia a grandi distanze lungo la direzione del getto, portando naturalmente ad avere un fronte d’urto vicino al piano galattico molto stretto.

Secondo i due ricercatori cinesi, l’ipotesi delle onde d’urto spiega le temperature estremamente elevate delle bolle di Fermi e il fatto che i bordi inferiori delle bolle si sovrappongono perfettamente con le strutture a raggi X.

Secondo i due ricercatori, inoltre, se un evento, simile ma meno potente, di onde d’urto si fosse verificato qualche milione di anni dopo, potrebbe spiegare le strutture radio più piccole a forma di bolla osservate di recente nel centro galattico.

Secondo Guo, lo studio suggerisce con forza che circa cinque milioni di anni fa una coppia di potenti getti è stata emessa dal buco nero super massiccio per un periodo di un milione di anni e che questo rilascio abbia portato alla formazione delle gigantesche bolle di Fermi, che oggi ammiriamo.

https://reccom.org/le-misteriose-bolle-di-fermi/

lunedì 4 marzo 2024

LA BATTERIA PARTICA: UNA MERAVIGLIA DI 2000 ANNI.

 

La batteria "partica" (meglio nota come "LA BATTERIA DI BAGDAD") è stata scoperta nel 1936 vicino a Baghdad ed ha incuriosito sia studiosi che storici, offrendo uno sguardo sulla possibilità di antichi esperimenti elettrici. Si stima che abbia circa 2.000 anni, il vaso di argilla riempito con una soluzione di aceto, che ospita un'asta di ferro racchiusa da un cilindro di rame, suggerisce capacità elettrochimiche, generando circa 1,1-2,0 volt di elettricità quando riempito con un elettrolita.
Nonostante la mancanza di documenti scritti che descrivano in dettaglio l'esatta funzione di questi vasi, alcuni studiosi ritengono che fossero usati come batterie, potenzialmente per scopi galvanici, mentre altri rimangono scettici. La distruzione delle fonti letterarie e delle biblioteche iraniane da parte degli arabi nel VII secolo d.C. ha ulteriormente complicato gli sforzi per scoprire il vero scopo di questi manufatti.
La scoperta sfida le teorie convenzionali, suggerendo che il concetto di batteria potrebbe esistere molto prima dell'invenzione della batteria moderna da parte del famoso scienziato Alessandro Volta. Se la Batteria Partica funzionasse davvero come una batteria, sarebbe anteriore all'invenzione di Volta di oltre un millennio, rimodellando la nostra comprensione delle antiche capacità tecnologiche.
Nel contesto più ampio dello sviluppo dell’elettricità e dell’energia, la scoperta della Batteria Partica aggiunge un altro livello alla cronologia del fascino umano e della sperimentazione con l’elettricità. Dalla registrazione dei pesci elettrici da parte degli antichi egizi alla scoperta dell'elettricità statica da parte di Talete di Mileto, ogni pietra miliare contribuisce alla nostra comprensione in evoluzione di questa forza fondamentale della natura.

sabato 2 marzo 2024

Una spiegazione semplice dell’entanglement quantistico. - Elena Buratin

 

L'entanglement, o correlazione quantistica, è un legame fra due o più particelle che hanno proprietà correlate.

L'entanglement, anche chiamato correlazione quantistica, è un legame fra due o più particelle che hanno proprietà correlate, chiamate stati quantici. Ma che cos'è esattamente l'entanglement? A che scala si manifesta? Chi lo ha teorizzato? Scopriamolo insieme!

Alcune nozioni base.

La meccanica classica, quella di Newton per intenderci, descrive le proprietà e il comportamento della materia a grande scala. La meccanica quantistica, invece, descrive  il comportamento microscopico di singole particelle che si comportano in modo contro-intuitivo, diversamente da come ci verrebbe spontaneo pensare. L'aggettivo "quantistico" deriva dal termine latino "quantum" riferito alla quantità che identifica il più piccolo pacchetto indivisibile di una certa grandezza.

Cos'è l'entanglement?

"Entanglement" (in inglese, "groviglio", "intreccio") è un termine coniato da Erwin Schrödinger nel 1935 e in meccanica quantistica indica un legame fra particelle. È definito da una funzione, chiamata funzione d'onda di un sistema, che descrive le proprietà delle particelle come fossero un unico oggetto, anche se le particelle si trovano ad enorme distanza. Questa correlazione permette alla prima particella di influenzare la seconda istantaneamente, e viceversa.

Ma non tutte le particelle sono "entangled", ovvero aggrovigliate. Affinché questa correlazione abbia luogo, cioè per far sì che le due particelle abbiano stati quantici correlati, queste due particelle devono essere prodotte simultaneamente da un'interazione fisica. Un tipico esempio di stato quantico è lo spin di una particella. Esso può assumere valore positivo o negativo. Quando abbiamo a che fare con particelle "entangled", quindi unite nel legame, la somma degli spin delle due particelle è pari a zero. Dunque se si misura lo spin di una delle due, automaticamente ed istantaneamente si conoscerà anche lo spin dell'altra.

È un po' come prendere un paio di guanti e di chiuderli separatamente in due scatole diverse. Se aprendo la prima scatola trovate il guanto destro, saprete immediatamente che nella seconda scatola c'è quello sinistro.

Ma com'è fatta la realtà quando nessuno la guarda? Gli spin delle due particelle sono definiti già in partenza o si materializzano solo nel momento dell'osservazione?

Diversi punti di vista.

Una prima corrente di pensiero fu capitanata da Niels Bohr, grande sostenitore della meccanica quantistica. Questa corrente riteneva che le particelle nascessero quando osservate e che solo la loro funzione onda del sistema fosse reale prima dell'osservazione.

Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen, invece, erano convinti che le particelle nascessero già con le loro caratteristiche (realismo locale), in quanto la relatività aveva dimostrato che nessuna informazione poteva trasmettersi istantaneamente, viaggiando più veloce della luce.

Questo fenomeno istantaneo, l'entanglement, doveva quindi essere legato a delle variabili nascoste, a noi sconosciute, le quali definiscono lo spin delle particelle prima ancora di effettuare l'osservazione.

Questi scienziati definirono la meccanica quantistica incompleta e mossero le loro critiche nel famoso paradosso EPR, acronimo derivato dalle loro iniziali.

Verifica sperimentale.

Nel 1964 John Bell identificò un metodo basato sulle probabilità, chiamato teorema di Bell, per capire se lo stato quantico delle due particelle entangled fosse definito fin dall'inizio (seguendo l'idea di Einstein, Podolsky e Rosen) o se si manifestasse solo a conseguenza dell'osservazione (come nell'ipotesi di Bohr).

A causa di difficoltà tecnologiche si dovette aspettare fino al 1982, quando Alain Aspect misurò il comportamento di fotoni entangled e validò la teoria di Bohr. Einstein aveva quindi torto.

Fintantoché le due particelle non vengono osservate, i loro spin rimangono indefiniti, ovvero entrambe le particelle hanno al tempo stesso spin positivo e negativo, secondo il principio di sovrapposizione degli stati. È la sola presenza dell'osservatore ad interferire con il sistema e a calarlo nella "realtà".

Conoscenza istantanea.

L'entanglement permette di conoscere istantaneamente il comportamento della seconda particella, non per via di un trasferimento di informazioni più rapido della luce, ma perché le due particelle sono di fatto un unico sistema governato da una sola funzione d'onda.

Una perturbazione esterna locale, come l'arrivo di un fotone o di un osservatore, non altera solo il comportamento della prima particella, ma influenza tutto il sistema, e di conseguenza definisce lo stato quantistico anche della seconda.

Una piccola precisazione finale. L'esempio dei guanti, utile per comprendere il fenomeno, non calza più perfettamente. Il guanto destro e quello sinistro, infatti, sono definiti fin dall'inizio, mentre lo stato quantico delle particelle non lo è. È un'interferenza esterna a definirne lo stato.

continua su: https://www.geopop.it/una-spiegazione-semplice-dellentanglement-quantistico/

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martedì 27 febbraio 2024

Perché questo enorme labirinto in Egitto è nascosto al pubblico? - Deslok

 

Nel 2008, un gruppo di ricercatori si è recato in Egitto per condurre un’indagine su un labirinto perduto che era stato descritto da diversi autori classici. Secondo i racconti, il tempio sotterraneo conteneva 3000 stanze ed era pieno di arte antica.

Il labirinto sparì due millenni fa sotto la vasta sabbia egiziana. I ricercatori hanno esaminato il territorio utilizzando tecnologie che non erano mai state utilizzate in una spedizione. La spedizione iniziò il 18 febbraio e durò fino al 12 marzo. Alla fine della loro indagine, i ricercatori hanno concluso che esisteva, in effetti hanno scoperto un tempio sotterraneo all’interno dell’area.

I ricercatori hanno, quindi, presentato il risultato delle loro ricerche e tenuto una conferenza per spiegare al pubblico ciò che avevano scoperto. Sfortunatamente, da quando è successo, c’è un totale silenzio su questo argomento. Sebbene le loro scoperte sono state messe su Internet, ad oggi trovare informazioni sulla spedizione non è un compito semplice.

Erodoto ha spiegato dettagliatamente il labirinto nella sua scrittura:

“Il labirinto ha 12 campi coperti: sei file rivolte a nord e sei file rivolte a sud. All’interno, l’edificio è su due piani e contiene 3.000 stanze, di cui la metà sono sotterranee e l’altra metà direttamente sopra di loro. Sono stato portato al piano di sopra, quindi quello che dirò è la mia osservazione, ma posso parlare solo secondo il rapporto, perché gli egiziani per ordini superiori hanno rifiutato di lasciarmi vedere tutto, dato che contiene tombe dei re che costruirono il labirinto e anche le tombe dei sacri coccodrilli. Le stanze superiori, al contrario, le ho viste davvero, ed è difficile credere che siano opera degli uomini; i passaggi confusi e intricati da una stanza all’altra…erano una meraviglia infinita per me mentre passavamo da un patio alle stanze, dalle gallerie alle gallerie a più stanze, e da lì a più cortili. Il tetto di ogni camera, patio e galleria è, come le pareti, di pietra. Le pareti sono ricoperte di figure scolpite e ogni corte è squisitamente costruita in marmo bianco e circondata da un colonnato.

È oltre il mio potere descrivere. Deve essere costato di più in termini di lavoro e denaro rispetto a tutte le opere pubbliche dei greci messi insieme – sebbene nessuno possa negare che i templi di Efeso e Samo siano edifici notevoli. Le piramidi sono strutture sorprendenti, ciascuna uguale a molte delle opere più ambiziose della Grecia; ma il labirinto li sopraffà.”

Ed Erodoto non è il primo o il solo storico a parlare del labirinto. Una varietà di autori classici tra cui Manetho Aegyptiaca, Diodoro Siculo, Strabone, Plinio e Pomponio Mela sostenevano anche di aver visto il labirinto in prima persona. Inoltre, le diverse descrizioni fornite dagli scrittori sembrano essere coerenti tra loro.

Sfortunatamente cercando su internet non si trova quasi nessuna notizia del labirinto. Tuttavia, potete guardare la seguente lezione tenuta dai ricercatori che l’hanno visto in prima persona. Diffondi questo articolo e fai pressioni sul mondo per ottenere risposte. Perché un labirinto così incredibile è tutt’oggi tenuto nascosto?

https://www.hackthematrix.it/perche-questo-enorme-labirinto-in-egitto-e-nascosto-al-pubblico/?feed_id=170922&_unique_id=65d6ff051ee0f&fbclid=IwAR1_I3baCCtZccbbM9OC_PXhEQ7X1-ZRlP-HAS9Erse2-1ub61whyjJrBGw

PLATONE AVEVA RAGIONE? - Minerva Elidi Wolf

 

Il grande filosofo Platone, una delle menti più grandi della storia umana, sul finire della sua carriera venne deriso dai suoi contemporanei a causa di uno scritto che stava componendo. La delusione fu così grande che egli decise di non completare il secondo dei tre racconti sull’argomento, e di non iniziare nemmeno a scrivere il terzo (doveva essere, infatti, una trilogia). Perché i Greci, un popolo abituato ad ascoltare storie di ogni genere, e spesso a crederci, derisero nientemeno che il grande Platone?
Ebbene, nel dialogo “Timeo” e nel dialogo parziale “Crizia” (rimasto incompiuto), Platone racconta che alcuni “misteriosi sacerdoti egiziani” della città di Sais, raccontarono al celebre statista ateniese Solone (638 a.C. – 558 a.C.) una storia. Platone (428 a.C. – 348 a.C.), circa 200 anni dopo, ricevette per vie traverse questa storia, e l’ha usata come una delle fonti da cui ricavare il suo racconto. E fin qui nulla di strano.
In questo racconto Platone dice molte cose. Tra l’altro, racconta l’esistenza di una “Grande Isola” vicino alle “Colonne D’Ercole” Sardegna, Sicilia ,Corsica?. Lui la chiama “Atlantide” o “Terra di Atlante”. I greci del suo tempo sapevano che oltre 40 anni prima di Platone, il celebre storico Erodoto (484 a.C. – 430 a.C.), nelle sue “Storie” chiamò con il nome “Atlante” la catena montuosa dell’odierno Marocco. Tra l’altro, ancora oggi conserva quel nome: Monti dell’Atlante. Per un greco di quel tempo, il nome “Atlantide” o “Terra di Atlante” indicava una terra che si trovava evidentemente ai piedi del monte Atlante. Ma tutti sapevano che non c’era nessuna “grande isola” ai piedi dell’Atlante.
Nel suo racconto, citando i “misteriosi sacerdoti egizi”, Platone affermava che quell’isola esisteva 9.000 anni prima di Solone, quindi 11.500 anni fa. E qui scoppiarono le risate. Per la gente di quel tempo, 9.000 anni prima di Solone il mondo non esisteva nemmeno (per esempio, la tradizione ebraico-cristiana pone la nascita del mondo al 4.000 a.C. circa). Per circa 2.000 anni la gente ha riso di questa affermazione di Platone. Non trovando nessuna “Grande Isola” vicino al monte Atlante, diversi scrittori la hanno “piazzata” un po' ovunque: chi in Sardegna, chi in Irlanda, chi a Cuba, chi in Indonesia. Onesti tentativi di risolvere il “rebus”.
Ma “la Terra di Atlante” è sempre rimasta lì, dove aveva detto Platone. Infatti, pochi anni fa, un piccolo, minuscolo oggetto di metallo, il satellite giapponese PALSAR, ha reso giustizia al celebre filosofo greco. Chiunque siano stati i “misteriosi sacerdoti egiziani” che avevano raccontato a Solone (e tramite lui a Platone) che vicino ai monti di Atlante, nella Terra di Atlante (o Atlantide) esisteva una grandissima isola, avevano ragione. L’articolo della rivista “Nature”, del 10 Novembre 2015, intitolato “African humid periods triggered the reactivation of a large river system in Western Sahara”, a prima firma di C. Skonieczny, parla “di un grande sistema fluviale nel Sahara occidentale, che trae le sue sorgenti dagli altopiani dell'Hoggar e dalle montagne dell'Atlante meridionale in Algeria. Questa cosiddetta valle del fiume Tamanrasett è stata descritta come un possibile vasto e antico sistema idrografico”. L’articolo continua scendendo nei dettagli dal punto di vista geologico. Per farla breve, il PALSAR ha scoperto un mega-fiume gigantesco, oggi inaridito, che partiva proprio dai monti di Atlante e tagliava tutto l’angolo a Nord-Ovest dell’Africa, sfociando nella odierna Mauritania.
La “valle del fiume” del Tamanrasett ha una ampiezza di 90 km circa. La foce di questo mega-fiume, oggi situata sotto il mare, era larga 400 km. Era un “mostro” paragonabile al Rio delle Amazzoni, un fiume così grande che in diversi punti è indistinguibile dal mare. Questo vuol dire che questo fiume poteva raggiungere una ampiezza simile da costa a costa. Immaginate un osservatore a livello del terreno. Come avrebbe fatto a capire che si trattava di un fiume, oppure di un mare, se la costa opposta era a 90 km di distanza? Ad eccezione della salinità delle acque (ma non sappiamo se questo aspetto fosse compreso), nulla avrebbe permesso a quell’osservatore di capire se si trattasse di un fiume o di un mare. Tanto per dire, è una distanza superiore allo stretto di Messina e allo Stretto di Gibilterra messi insieme.
Guardando la regione dall’alto, si comprende che quando scorreva il mega-fiume Tamanrasett, durante “l´Ultimo Periodo Umido Africano”, (tra 14.500 e 7.000 anni fa circa, con strascichi fino a 5.500 anni fa), tranne che per un piccolissimo pezzettino a Nord-Est, la “Terra di Atlante”, o “Atlantide”, o territori a Sud del Monte Atlante, era davvero un´isola. A Nord era circondata dal Mar Mediterraneo. Ad Ovest era circondata dall’Oceano Atlantico. A Sud era circondata dal mega-fiume Tamanrasett. Ad Est era quasi completamente circondata dallo stesso fiume, tranne un pezzetto costituito dalla catena montuosa di Atlante. Si può davvero chiamarla “isola”? Nel senso greco “Sì”.
Tutti conosciamo cosa è il Peloponneso, una delle zone più importanti della Grecia. Ebbene, il Peloponneso ha esattamente la stessa conformazione geografica della “Terra di Atlante”. È una “quasi isola”, attaccata alla terraferma da un piccolo istmo. Cosa vuol dire il termine Peloponneso? Questa parola deriva dal greco Πέλοπος νῆσος (Pelopos Nesos), vale a dire “Isola di Pelope”. Questa è una prova non confutabile che per i greci dei tempi antichi, una “quasi isola” come il Peloponneso poteva essere considerata un νῆσος, o “isola”. Nulla di strano quindi se Solone, e dopo di lui Platone, chiamarono la “quasi isola” del Monte Atlante, o Atlantide, con νῆσος, o “Nesos”, il termine che noi traduciamo con isola nel senso moderno del termine.
Quella era davvero l’Isola di Atlantide? Quella “quasi isola” non può essere considerata “Atlantide” se non supera “l’esame dei cerchi”. Cosa vogliamo dire? Nel suo racconto Platone dice che nelle vicinanze dell’Isola di Atlantide si trovavano 2 strutture uniche nel loro genere. Secondo il racconto, una di queste strutture geologiche naturali era stata creata direttamente da Poseidone, e quindi la chiamiamo “Isola di Poseidone”. Si trattava di una montagnetta centrale, attorno alla quale c’erano 3 anelli di mare e 2 di terra, perfettamente concentrici. Non viene detto nulla riguardo alla sua grandezza. Viene detto che era “sacra”, inaccessibile e disabitata.
La seconda struttura, su cui gli umani edificarono una città, la possiamo chiamare “Isola della Metropoli”. Era una struttura geologica naturale che ricalcava molto da vicino la precedente, ma in questo caso vengono date le sue misure. C’era un’isola centrale pianeggiante ampia circa 900 metri, seguita da 3 cerchi di mare e 2 di terra, perfettamente concentrici. Il totale dell’ampiezza era circa 5 chilometri. Attorno a questa struttura geologica naturale (in cui risiedeva il re e la nobiltà) si estendeva la città vera e propria di Atlantide.
Quante possibilità ci sono di trovare vicino al percorso dell’antico fiume Tamanrasett non una, ma due strutture geologiche naturali formate da cerchi concentrici, una delle quali deve essere ampia 5 chilometri, e avere una specie di isola centrale ampia 900 metri? Direte: “Nessuna!”. Ebbene, come viene detto nel libro “Atlantide 2021 – Il continente ritrovato”, ancora una volta grazie ai satelliti, queste due strutture sono state scoperte proprio lungo il percorso del fiume Tamanrasett.
La prima struttura geologica naturale viene chiamata “Cupola di Semsiyat”. Si trova sull'altopiano di Chinguetti, nel deserto della Mauritania, a 21° 0' Nord di latitudine e 11° 05' Ovest di longitudine. Le sue misure sono esattamente quelle indicate da Platone per l’Isola della Metropoli. La sua ampiezza massima è esattamente di 5 chilometri. Al centro si trova una formazione ampia esattamente 900 – 100 metri, quanto era “l’isola centrale” della Metropoli di Atlantide. Si intravede anche un secondo cerchio interno, esattamente della misura descritta da Platone. La seconda struttura si chiama “Struttura di Richat”, e si trova a circa 20 chilometri di distanza. È ampia circa 40 km, ed è composta da una zona centrale dalla quale partono una serie di “cerchi di roccia”. Ci sono i chiari resti che indicano che una volta quello era un lago da cui affioravano dei “cerchi di terra”. È la rappresentazione perfetta “dell’Isola di Poseidone” descritta da Platone.
Oggi i satelliti hanno mappato tutta la superficie terrestre. Non esistono altre strutture simili sulla Terra che abbiano quelle misure o quelle caratteristiche. Sono “uniche”. Quindi, finché non verrà scoperto nulla di simile in giro per il mondo, in base a tutte le prove fornite dalla più moderna tecnologia, possiamo dire di aver davvero trovato la terra di cui parlava Platone: Atlantide.
Quindi i “misteriosi sacerdoti egiziani” non avevano mentito a Solone, e di conseguenza a Platone, quando gli dissero che ai piedi del monte Atlante, circa 11.500 anni fa, si trovava “una Grande Isola”. Ma questo fa sorgere altre importantissime domande: come lo sapevano? Quale civiltà era a conoscenza di fatti accaduti tra 14.500 e 7.000 anni fa? Questa zona dell’Africa è mai affondata? E che relazione ha “Atlantide” con Nan Madol e il “Continente sommerso” di Sundaland e Sahuland, recentemente scoperto dai ricercatori? Dove sono andati a finire tutti quanti? Un possibile indizio può darlo un unico disegno riportato in tutte le culture antiche, ossia la spirale, la troviamo ovunque sul pianeta. Che il misterioso popolo di Atlantide si sia, dopo la sua distruzione per cause ancora da scoprire, disperso in tutto il globo?

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lunedì 26 febbraio 2024

IL MISTERO DELLA SCOMPARSA DEI “VARNA”.

 

Fino a non molto tempo fa, la scienza si era convinta che gli uomini che vivevano in Europa circa 7.000 anni fa erano poco più che dei cavernicoli, che vivevano in capanne. Ora sappiamo che non potevamo essere più lontani dalla realtà. È solo da alcuni decenni che, infatti, in maniera del tutto casuale, venne scoperta una necropoli a Varna, una cittadina portuale e balneare bulgara sul Mar Nero, che conta oggi circa 330.000 abitanti. In quella zona sono state ritrovate circa 294 tombe, risalenti ad almeno 6.600 anni fa. Vale a dire che queste tombe sono almeno 1.400 anni più antiche della datazione comunemente affibbiata alle piramidi di Giza. È difatti la più antica necropoli d’Europa, ed è stata costruita in un periodo in cui, normalmente, si pensava non dovessero esistere delle necropoli. Perché?

Le necropoli altro non sono che gli antichi cimiteri. Ma se esiste un cimitero, ossia un luogo dove un gruppo di persone seppellisce i suoi cari, è ovvio che debba esistere un villaggio o una città in cui quei cari, prima di morire, sono vissuti. Ma era opinione comune che circa 7.000 anni fa in Europa gli umani non vivessero né in villaggi né tantomeno in città. Quindi l’esistenza di una necropoli di almeno 6.600 anni fa smentisce platealmente quello che pensavano gli archeologi. (Va detto che l’insediamento di Varna da cui provenivano quelle salme non è stato ancora ritrovato. Forse si trova interrato chissà dove).

Ma la necropoli di Varna non è un cimitero qualsiasi. Cosa ci si aspetterebbe di trovare in una necropoli così antica, della cosiddetta “età della pietra”? Pelli? Punte di frecce? Asce di pietra? E invece in molte di quelle tombe è stato trovato il più antico tesoro in oro della storia dell’uomo. Bracciali in oro, orecchini in oro, perfino oggetti a carattere sessuale in oro. Nel libro “Il mondo perduto della vecchia Europa – la valle del Danubio – 5.000 – 3.500 A.C.” viene detto che “il peso e il numero di oggetti d’oro trovati nella necropoli di Varna superano più volte il peso combinato e il numero di tutti i reperti d'oro trovati in tutti i siti di scavo dello stesso millennio, 5000-4000 a.C., provenienti da tutto il mondo, compresa la Mesopotamia e l’Egitto”. Avete capito bene. Nello stesso periodo, c’erano più oggetti d’ oro lavorati a Varna che in tutto il resto del mondo messo assieme. Il periodo in cui viveva la cultura Varna, quindi, più che “età della pietra” andrebbe chiamata “età dell’oro”.

La presenza di tanti oggetti d’oro in un numero elevato di tombe, evidenzia che questi oggetti fossero di uso comune per la gente di quel tempo, fino al punto di metterli nelle tombe con i loro morti. Questo indica che quella civiltà di ben 6.600 anni fa aveva un’ottima conoscenza della lavorazione dell’oro. Ma, secondo lo schema che l’archeologia ha avuto finora, quella civiltà in quella zona non avrebbe dovuto avere tale abilità.

Inoltre, non tutte le tombe avevano la stessa quantità di oggetti preziosi. Poche tombe erano stracolme di oro, altre avevano solo alcuni oggetti in oro. Questo vuol dire che esisteva già una società, delle classi sociali, e sicuramente del commercio in oro. La necropoli di Varna lascia supporre che coloro che la costruirono erano molto più vicini ad una civiltà intesa in senso moderno, che non a un gruppo di cacciatori-raccoglitori che lottava per sopravvivere, come si pensava in precedenza. Avevano la loro struttura sociale, il loro credo nei defunti, il loro commercio, il loro senso artistico, esattamente come li abbiamo noi oggi. Tutto questo lascia presupporre l’esistenza di villaggi/città, che non sono ancora stati ritrovati.

Dove sono finiti i villaggi o le città da cui provenivano le persone sepolte nella necropoli di Varna? Non sono stati mai ritrovati. Ma, come abbiamo detto precedentemente, è una ovvietà che se esiste un cimitero, deve esistere almeno un villaggio di grosse dimensioni da cui provenivano i morti. E doveva essere la città/villaggio di gran lunga più ricca e avanzata di qualsiasi altra città del mondo dello stesso periodo di tempo, visto che le loro tombe erano più ricche di quelle di tutto il mondo messo insieme (ovviamente rapportato allo stesso periodo).

Cosa ha spazzato via la misteriosa “Cultura Varna”?

L’articolo continua sul libro:
HOMO RELOADED – 75.000 ANNI DI STORIA NASCOSTA

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Blanet: esistono i pianeti che orbitano intorno ai buchi neri? - Angelo Petrone

La possibilità che esistano dei pianeti che orbitano intorno ai buchi neri è concreta.

Nell’infinita vastità dello spazio, dove le leggi della fisica sono sottoposte a prove estreme, si pongono domande che sfidano la nostra comprensione dell’universo. Una di queste domande affascinanti è se potrebbero esistere pianeti che orbitano attorno ai buchi neri. Questa idea potrebbe sembrare al di là della fantasia, ma gli sviluppi recenti nella nostra comprensione dei buchi neri e dei sistemi planetari ci portano a considerarla seriamente. Un buco nero è una regione dello spazio dove la gravità è così intensa che nulla, nemmeno la luce, può sfuggire alla sua attrazione. Tuttavia, ciò non significa che la presenza di un buco nero escluda la possibilità di esistenza di pianeti nelle sue vicinanze. In effetti, la presenza di un buco nero potrebbe persino favorire la formazione di pianeti intorno ad esso. La chiave per comprendere questa possibilità risiede nella cosiddetta “zona abitabile” attorno al buco nero. Questa zona si trova ad una distanza tale dal buco nero che le condizioni permettono la presenza di acqua liquida sulla superficie di un pianeta. Anche se la presenza di un buco nero potrebbe comportare intense radiazioni e turbolenze gravitazionali, una distanza sufficientemente grande potrebbe consentire la formazione e il mantenimento di pianeti in orbite stabili.

Le simulazioni al computer suggeriscono che, in certe circostanze, potrebbe addirittura verificarsi la formazione di pianeti rocciosi o giganti gassosi in orbite stabili intorno ai buchi neri. Questi pianeti potrebbero avere condizioni atmosferiche e climatiche uniche, influenzate dalle particolari caratteristiche del loro ambiente cosmico. Tuttavia, trovare evidenze dirette di pianeti in orbita attorno ai buchi neri rimane una sfida tecnologica significativa. Gli attuali metodi di osservazione astronomica potrebbero non essere sufficientemente sensibili per rilevare tali pianeti, specialmente considerando che potrebbero essere oscurati dalla luminosità del buco nero stesso. Nonostante le sfide, la possibilità di pianeti orbitanti attorno ai buchi neri continua ad intrigare gli astronomi e gli appassionati di astronomia. Questo concetto non solo stimola la nostra immaginazione, ma potrebbe anche offrire nuove prospettive sulla diversità dei sistemi planetari e sull’ampia gamma di condizioni che possono supportare la vita nell’universo. In definitiva, mentre continuiamo a esplorare le profondità dello spazio e a scoprire nuovi misteri dell’universo, la domanda se possano esistere pianeti in orbita attorno ai buchi neri rimane una delle più affascinanti e stimolanti da esplorare.

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