venerdì 11 ottobre 2024

La guerra in Iran, il cane e la coda. - Tommaso Merlo

 

Ormai a Biden gli raccontano le filastrocche tra un pisolino e l’altro mentre alle sue spalle si decidono i destini del mondo. Sul tavolo c’è la reazione alla sventagliata di missili iraniani che potrebbe far detonare una guerra su larga scala. Se fosse per i falchi della lobby pro Israele sgancerebbero subito l’atomica su Teheran così tagliano la testa al toro, ma a Washington c’è chi frena. Una situazione complicata perché Biden non riesce più a decidere nemmeno se andare in bagno o meno mentre la Harris è l’unica cosa che riesce a decidere. Pare che i soli adulti della situazione si trovino al Pentagono dove sono stanchi di guerre a vanvera e avvertono che prendersela con l’Iran non è uno scherzo soprattutto oggi che vola di tutto. Le vulnerabili basi americane sparse nel Golfo finirebbero nel mirino missilistico dei pasdaran in un baleno. A suggerire cautela è proprio l’esito dell’ultima sventagliata, checché ne dicano i giullari di corte, i sistemi antimissili Made in Occidente hanno intercettato qualche missile giusto per sbaglio mentre quelli atterrati han fatto danni eccome. E in cantina gli iraniani conservano suppostone ancora più deleterie. Ed è questo che conta nel mondo della guerra, avere un elmetto per ogni clava. L’Iran sembra poi fare sul serio, ne hanno abbastanza d’ingoiare rospi e quello di Nasrallah non va giù. Ma c’è oltre. Iran e Russia hanno un ottimo rapporto e la passione comune per le armi. Si scambiano i pezzi preziosi delle rispettive collezioni e Putin gli sta installando un sistema antimissile nuovo di pacca. Quanto all’annosa questione del nucleare iraniano, pare che l’Ayatollah in passato abbia espresso qualche perplessità in merito ma gli sia passata di recente. L’atomica è la clava per cui non esiste nessun elmetto. Al pericoloso Iran è sempre stata negata mentre quel mite statista di Netanyahu ne possiede un centinaio. Rinomata coerenza occidentale. Ma una guerra con l’Iran seccherebbe anche la Cina, il suo immenso motore produttivo gira soprattutto grazie al petrolio iraniano e se vengono colpiti i pozzi anche il prezzo del greggio schizzerebbe alle stelle e potrebbe causare una recessione globale. E questo in un momento già delicato. L’Occidente non accetta il sorpasso tecnologico cinese e sta ricorrendo ad una meschina guerra di dazi. Falli di frustrazione che potrebbero alimentare un conflitto commerciale. A breve si riunisce poi il Brics, per la prima volta nella storia potrebbe nascere una alternativa al dollaro, vero pilastro del decrepito impero americano. Cose grosse, l’Occidente sul viale del tramonto. E se non bastasse siamo pure a tre settimane dalle elezioni statunitensi. e una guerra con l’Iran potrebbero essere la pietra tombale per una Kamala Harris già inguaiata di suo. I sondaggi la danno incredibilmente alla pari col vecchio Trump. Annunciata come una Obama in gonnella, la Harris si è rivelata una ventriloqua dell’establishment. E non c’è di peggio coi tempi che corrono. Ha ricevuto palate di endorsement di lusso, ha tutti i media a favore, ha raccolto una valanga di soldi eppure niente, anche negli Stati Uniti i cittadini vogliono cambiamento radicale e non ipocrita perbenismo lobbistico. Per dirla all’americana, la guerra all’Iran dipenderà da chi è il cane e chi la coda. Se sono cioè gli Stati Uniti a guidare la loro politica estera oppure la lobby pro Israele. Una guerra non è negli interessi americani né occidentali e servirebbe solo a coronare i deliri sionisti di Netanyahu ma il potere ha le sue dinamiche. Nell’ultimo anno Biden non ha fatto che firmare assegni in bianco e passerà ai posteri come lo sponsor del genocidio del secolo. Uno scandalo a metà tra crisi democratica e circonvenzione d’incapace, ma davanti ad una guerra di tale entità ed impatto, gli adulti del Pentagono ma anche le rare menti libere sopravvissute in quel di Washington, potrebbero trovare un compromesso intelligente o almeno pare ci stiano provando. Del resto nel mondo della guerra contano anche le tempistiche e le conseguenze strategiche e non solo chi ha la clava più letale. Quanto al mondo della pace, rimane tutto da fare.

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Il microRNA cambia tutto: ogni bersaglio nelle nostre cellule può essere colpito. - Elvira Naselli

 

“Che bellissima notizia”, esclama Rosario Rizzuto, presidente del Centro italiano di terapia genica e farmaci a RNA mentre guida verso Bologna. Un premio tempestivo e meritatissimo perché la scoperta dei due vincitori 2024 del Nobel per la Medicina, Victor Ambros e Gary Ruvkum, riconosce ai due scienziati americani il merito di aver compreso per primi il ruolo del microRNA nelle regolazione dei geni. “Un concetto rivoluzionario – continua Rizzuto – perché sui geni sappiamo moltissimo, ma su quei geni si siedono dei regolatori che stabiliscono il loro ruolo nella cellula e i due vincitori hanno capito che i microRNA, che si trovavano in giro ma ai quali non si attribuiva alcuna funzione, avevano non un ruolo casuale ma funzionale. Degli interruttori”.

Professore, un ruolo estremamente importante quello di regolazione dei geni, che può essere utile per affrontare – come del resto si sta cominciando a fare – anche patologie molto diverse tra di loro. Per non parlare del vaccino anti Covid che ha fatto conoscere le potenzialità a tutti quanti

"Il microRNA è a tutti gli effetti un modulatore fine dell’orchestra delle nostre cellule. È vero, l’RNA è diventato noto per i vaccini antiCovid a mRNA, ottenuti clamorosamente in meno di un anno. Ma il campo dei vaccini a mRNA è solo una piccola parte delle potenzialità, perché in realtà con la scoperta premiata oggi, i microRNA e i siRNA, ogni cellula e ogni bersaglio all’interno della cellula diventa raggiungibile e può essere colpito”.

Per riuscire a fare del microRna un proiettile intelligente bisogna individuare per bene il bersaglio, però…

"Questo è il presupposto iniziale, certo. Ma se capisco quale particolare proteina ha un ruolo per esempio in un certo tipo di cancro posso immaginare molecole di microRNA capaci di raggiungere quella proteina e di correggerla. Una strategia che permette di “costruire” una molecola plastica in grado di arrivare direttamente lì dove è necessario che vada, intervenire e degradarsi subito dopo. Una medicina di precisione e personalizzata”

Come ricorda, in tempi di vaccini antiCovid il timore di alcuni, non suffragato da alcuna evidenza scientifica, era che l’RNA potesse modificare il patrimonio genetico umano.

"L’RNA è una molecola biologica che si degrada molto rapidamente, esercita la sua azione lì dove deve e poi sparisce. E’ una molecola sicura e certamente non modifica il patrimonio genetico”.

Come ci aiuterà a sconfiggere le malattie croniche, secondo lei?

"Serve un’azione molto mirata. Più siamo in grado di essere precisi e di individuare il meccanismo sbagliato alla base di una malattia e più avremo possibilità di successo. Serve una comprensione molecolare della malattia e una grande filiera in grado di trasferire questa tecnologia alla produzione di nuovi farmaci. Poi, certo, non tutti gli obiettivi sono così alla portata: agire sul cervello è più complicato che farlo sul fegato”.

Nel nostro Paese abbiamo le potenzialità per lavorare su questa tecnologia?

"Grazie ai fondi del PNRR abbiamo messo in piedi strutture di ricerca di grande livello ma bisogna investire di più e soprattutto dare continuità: non vorrei che i giovani assunti che stiamo formando ad un certo punto vadano all’estero. Abbiamo grandi potenzialità ma servono investimenti certi”.

Quali sono gli ambiti più promettenti dell’applicazione della tecnologia a microRNA?

"Tutte le malattie molecolari per definizione, come il cancro, che però ha tanti bersagli possibili. Ma anche le malattie neurodegenerative, per le quali non abbiamo cure adeguate, le malattie metaboliche, cardiovascolari, l’obesità, l’aterosclerosi. Tutte le malattie infiammatorie del fegato, come la cirrosi, o la fibrosi polmonare. Ma anche la sarcopenia, che provoca cadute degli anziani e trombosi da allettamento, riducendo la qualità della vita”.

Per uno scienziato è una specie di fiera dei balocchi: ovunque guardi vedi bersagli che possono essere colpiti. Tutto sta a trovarli, i bersagli…

"Nell’individuare i bersagli dobbiamo essere maniacalmente precisi. Ma non basta, bisogna poi capire se il problema è una eccessiva espressione o al contrario una minor espressione di alcune proteine. Quindi si deve cercare una sovraesposizione, o una sottoesposizione, come capita in alcuni tumori. Per essere chiari: se capisco che una particolare proteina è quella che voglio regolare allora introduco un microRNA in grado di spegnere una produzione eccessiva o di formare quelle proteina se al contrario c’è una sottoesposizione. Un interruttore, insomma. E noi siamo in grado di accenderlo e spegnerlo”.

Raccontato così cambia davvero le prospettive della Medicina futura…

"Le cambia radicalmente, e soprattutto cambia il tempo dalla scoperta all’applicazione terapeutica. Tempo che si è accorciato moltissimo. Grazie a una piattaforma “tipo”che permette di abbassare il colesterolo piuttosto che di inibire la degradazione muscolare. Davvero esaltante”.

https://www.repubblica.it/salute/2024/10/07/news/rosario_rizzuto_microrna_intervista-423540302/

giovedì 10 ottobre 2024

Il Nobel per la Fisica a John J. Hopfield e Geoffrey E. Hinton.

 

Il Premio Nobel per la Fisica del 2024 è stato assegnato a John J. Hopfield e Geoffrey E. Hinton «per le scoperte e le invenzioni fondamentali che consentono l’apprendimento automatico con reti neurali artificiali».

Hopfield e Hinton hanno preso in prestito sistemi e strumenti dalla fisica per sviluppare i sistemi di apprendimento automatico (“machine learning”) che oggi fanno funzionare alcuni dei più famosi sistemi di intelligenza artificiale. I loro studi hanno permesso di sviluppare soluzioni per trovare andamenti e modelli nei dati, derivando da questi le informazioni. Il lavoro di Hopfield e Hinton è stato quindi fondamentale per sviluppare le tecnologie che fanno funzionare le reti neurali, cioè i sistemi che provano a imitare le nostre capacità di apprendimento e della memoria.

Nei primi tempi dell’informatica, gli algoritmi erano scritti dalle persone e la loro principale utilità era di indicare al sistema che cosa fare nel caso di una determinata circostanza, una indicazione piuttosto semplice riassumibile in: “Se si verifica questo allora fai quello”. Algoritmi, codice e altre variabili determinano il funzionamento di un software, cioè di un programma informatico, come il browser sul quale si è caricata la pagina che state leggendo in questo momento. Un algoritmo può essere definito come una sequenza finita di istruzioni per risolvere un determinato insieme di richieste o per calcolare un risultato.

Ci sono molti ambiti in cui i dati e i “se questo allora quello” da considerare sono tantissimi, una quantità tale da non poter essere gestita con istruzioni scritte a mano: più dati e più variabili portano a più eccezioni da prevedere e indicare al software per dire come comportarsi, ma se le eccezioni sono miliardi il compito non può essere assolto da dieci, cento o mille programmatori.

Questa difficoltà è stata superata con il machine learning (ML), cioè l’attività di apprendimento dei computer tramite i dati. Mette insieme l’informatica con la statistica, con algoritmi che man mano che analizzano i dati trovando andamenti e ripetizioni, sulla base dei quali possono fare previsioni. L’apprendimento può essere supervisionato, cioè basato su una serie di esempi ideali, oppure non supervisionato, in cui è il sistema a trovare i modi in cui organizzare i dati, senza avere specifici obiettivi.

Messa in altri termini: per fare una torta il software tradizionale segue una ricetta con l’elenco degli ingredienti e le istruzioni passo passo, mentre un software basato sul ML impara attraverso degli esempi osservando una grande quantità di torte, sbagliando e riprovando fino a quando non ottiene un risultato in linea con la richiesta iniziale. Per farlo ha bisogno di una rete neurale artificiale, un modello di elaborazione dei dati che si ispira al funzionamento delle reti neurali biologiche, come quelle nel nostro cervello.

Le reti neurali artificiali hanno richiesto decenni per essere sviluppate e perfezionate, con grandi difficoltà legate soprattutto alle ridotte capacità di elaborazione dei computer per buona parte del Novecento. Le cose iniziarono a cambiare nei primi anni Ottanta quando il fisico John Hopfield fissò in un modello matematico i principi per realizzare una rete neurale che simula la nostra capacità di ricordare e di ricostruire le immagini nella nostra mente. Hopfield aveva sviluppato il modello attingendo dalle proprie conoscenze in fisica e in particolare dalle proprietà magnetiche di alcuni materiali che condizionano il comportamento dei loro atomi.

Una rete di Hopfield funziona memorizzando dei modelli, come immagini e schemi, e poi richiamandoli quando riceve un input parziale oppure distorto come un’immagine incompleta o poco definita. Il sistema prova a minimizzare l’energia complessiva, cioè cerca di raggiungere uno stato stabile riducendo il disordine che rende instabile lo stato di partenza della rete. In pratica, quando la rete riceve un’immagine incompleta o rumorosa, “esplora” varie possibili configurazioni per ridurre l’energia complessiva, finché non trova una configurazione che corrisponde a un modello memorizzato, cioè a un’immagine “stabile” e riconoscibile. In questo modo può dire che una certa immagine mai analizzata prima assomiglia a una delle immagini che ha già in memoria.

Negli anni seguenti alla pubblicazione del modello di Hopfield, Geoffrey Hinton lavorò a un sistema che aggiungeva alcuni principi di fisica statistica, cioè quella parte della fisica che utilizza metodi statistici per risolvere problemi. Elaborò la “macchina di Boltzmann”, basata sulla distribuzione che porta il nome del fisico austriaco Ludwig Boltzmann.

La macchina di Boltzmann è un tipo di rete neurale usato per riconoscere particolari schemi nei dati. Per farlo utilizza due tipi di nodi: i nodi visibili, che ricevono l’informazione, e i nodi nascosti, che aiutano a elaborare queste informazioni senza essere visibili direttamente. Questi nodi interagiscono tra loro e influenzano l’energia complessiva della rete.

La rete funziona aggiornando uno alla volta i valori dei nodi, fino a raggiungere uno stato stabile, in cui il comportamento complessivo della rete non cambia più. Ogni possibile configurazione della rete ha una probabilità, determinata dall’energia della rete stessa. In questo modo, la macchina può generare nuovi modelli partendo da ciò che ha imparato. La macchina impara dagli esempi durante il suo allenamento: i valori delle connessioni tra i nodi vengono aggiornati in modo che i modelli presentati abbiano la probabilità più alta di essere ricreati, quindi più un modello viene ripetuto, più aumenta la probabilità che la rete lo ricordi.

Con i loro lavori ispirati alla fisica, Hopfield e Hinton hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo del machine learning, soprattutto negli ultimi 15 anni grazie all’aumentata capacità di calcolo dei processori. A distanza di anni, i grandi progressi partiti dalla fisica potrebbero avere importanti ricadute per la fisica stessa con l’elaborazione di nuovi modelli per effettuare misurazioni più accurate, per esempio escludendo il rumore di fondo nello studio delle onde gravitazionali. Le possibilità di impiego dei sistemi di intelligenza artificiale sono comunque sterminate e toccano praticamente qualsiasi ambito della ricerca.

John J. Hopfield è nato nel 1933 a Chicago, negli Stati Uniti, ed è docente alla Princeton University.
Geoffrey E. Hinton è nato nel 1947 a Londra, nel Regno Unito, ed è docente presso l’Università di Toronto in Canada. È stato ricercatore e dirigente di Google, incarico che ha lasciato lo scorso anno sollevando alcune perplessità e preoccupazioni sulla rapida evoluzione di alcuni sistemi di intelligenza artificiale.

https://www.ilpost.it/2024/10/08/nobel-fisica-2024/?fbclid=IwY2xjawF0g8NleHRuA2FlbQIxMQABHSUu0mHgIho7_QT2A8SUSna5LwGwEByMkmNRYHK94qmRwPIgrjMumm2qPA_aem_dOn1LM5W4z06zHb55XBvig

Qualcosa di inimmaginabile è successo dentro l'acceleratore di particelle al CERN. - Salvo Privitera

 

Un evento rarissimo ha illuminato il mondo della fisica delle particelle: al CERN, nel cuore dell'esperimento NA62, è stato osservato un fenomeno subatomico straordinario, con il potenziale di riscrivere il nostro attuale modello della fisica.

I ricercatori hanno misurato il decadimento di un kaone carico, una particella subatomica formata da due quark, in un modo talmente raro che si verifica meno di una volta ogni dieci miliardi di casi.

Questo tipo di decadimento, noto come "canale d'oro", è stato predetto con estrema precisione dal modello standard della fisica delle particelle, il quadro teorico che governa il comportamento delle particelle elementari. Tuttavia, la possibilità di osservare questo decadimento offre agli scienziati un'opportunità unica: testare i limiti di questa teoria e aprire la porta a una nuova fisica se venissero rilevate delle deviazioni.

L'esperimento ha richiesto l'utilizzo del Super Proton Synchrotron del CERN, un potente acceleratore di particelle che ha sparato un fascio ad alta intensità di protoni contro un bersaglio stazionario, producendo particelle secondarie come i kaoni. E con un pizzico di fortuna, i ricercatori sono riusciti a catturare il momento preciso in cui i kaoni si sono disintegrati in una particella chiamata pione, insieme a un neutrino e un anti-neutrino.

Il risultato è stato sorprendente: il decadimento ultra-raro è stato osservato circa 13 volte ogni 100 miliardi, una frequenza del 50% superiore a quella prevista dal modello standard.

https://tech.everyeye.it/notizie/inimmaginabile-successo-acceleratore-particelle-cern-745211.html?fbclid=IwY2xjawF0gXpleHRuA2FlbQIxMQABHQwryCuAa4kMPNCHAeDawCaCQaoWsh_F6a5tZ9NTS0O22aQSMXRHpMAhPQ_aem_vHbvBjtguJIIOYLKrKCrRQ

Nobel per la Chimica 2024 – Premiati David Baker, Demis Hassabis, John M. Jumper per gli studi sulle proteine

 

Sono scienziati impegnati nello studio delle proteine “gli ingegnosi strumenti chimici della vita” i vincitori del Nobel per la Chimica 2024. Si tratta di David Baker, Demis Hassabis, John M. Jumper e l’Accademia di Svezia ha deciso di assegnare il premio con una metà a Baker “per la progettazione delle proteine computazionali” e l’altra metà congiuntamente a Hassabis e Jumper “per la previsione della struttura proteica”.

“David Baker è riuscito con l’impresa quasi impossibile di costruire proteine completamente nuove. Demis Hassabis e John Jumper hanno sviluppato un modello di AI per risolvere un problema vecchio di 50 anni: prevedere le strutture complesse delle proteine. Queste scoperte hanno un enorme potenziale. La diversità della vita testimonia la sorprendente capacità delle proteine come strumenti chimici. Controllano e guidano tutte le reazioni chimiche che insieme sono la base della vita. Le proteine funzionano anche come ormoni, sostanze segnali, anticorpi e mattoni di diversi tessuti – prosegue la nota -. Le proteine consistono generalmente in 20 diversi amminoacidi, che possono essere descritti come elementi costitutivi della vita. Nel 2003 David Baker riuscì ad usare questi blocchi per progettare una nuova proteina diversa da qualsiasi altra proteina. Da allora, il suo gruppo di ricerca ha prodotto una creazione di proteine fantasiose dopo l’altra, comprese proteine che possono essere utilizzate come farmaci, vaccini, nanomateriali e piccoli sensori. La seconda scoperta riguarda la previsione delle strutture proteiche. Nelle proteine, gli amminoacidi sono collegati tra loro in lunghe stringhe che si piegano per creare una struttura tridimensionale, decisiva per la funzione della proteina. Fin dagli anni ’70, i ricercatori avevano cercato di prevedere strutture proteiche dalle sequenze di amminoacidi, ma questo era notoriamente difficile. Tuttavia, quattro anni fa, ci fu una svolta sorprendente”.

“Nel 2020, Demis Hassabis e John Jumper hanno presentato un modello di AI chiamato AlphaFold2. Con il suo aiuto, sono riusciti a prevedere la struttura di quasi tutte le 200 milioni di proteine individuate dai ricercatori. Dalla loro svolta, AlphaFold2 è stato usato da più di due milioni di persone provenienti da 190 paesi. Tra una miriade di applicazioni scientifiche, i ricercatori possono ora comprendere meglio la resistenza agli antibiotici e creare immagini di enzimi in grado di decomporre la plastica. La vita non potrebbe esistere senza proteine. Il fatto che ora possiamo prevedere strutture proteiche e progettare le nostre proteine conferisce il maggior beneficio all’umanità” dice l’Accademia di Svezia.

L’atlantista piangente - Marco Travaglio

In principio c’era l’atlantista vanaglorioso, tipo Rampini, che ringrazia l’Occidente di tutti i crimini e i disastri che ha seminato nel mondo. C’era l’atlantista fantasy, tipo Severgnini, che raccontava come Putin senza la Nato sarebbe già a Lisbona (o a Rimini: variante Di Bella).

C’era l’atlantista trionfalista, tipo Parsi, che da due anni e mezzo narra le travolgenti vittorie di Ucraina+Nato sul campo di battaglia, dove nessuno ne ha mai vista una. C’era l’atlantista da lista, tipo Riotta, che addita immaginari nemici dell’Occidente al soldo di Putin. C’era l’atlantista complottista, tipo Crosetto o Fubini, che vedeva Putin e i Wagner anche sotto il suo letto. Ora c’è una nuova sfumatura di Nato: l’atlantista piangente. Tipo il direttore del Corriere che ribalta il doppio standard usato dall’Occidente sulle guerre impunite di Netanyahu e su quelle punitissime di Putin lacrimando come una fontana, anzi un Fontana: “Perché tanto odio per Israele e tanta comprensione per Putin?”

Par di sognare: Putin è sotto sanzioni dal 2014, quando violò il diritto internazionale per riprendersi senza colpo ferire la Crimea, da sempre russa. Sanzioni centuplicate quando violò il diritto internazionale nel 2022 per invadere l’Ucraina e prendersi le regioni russofone che i governi nati da un’altra violazione del diritto internazionale – il golpe bianco-nero di Euromaidan per rovesciare un presidente eletto, ma inviso a Nato e Ue – bombardavano da otto anni. Da 31 mesi Nato e Ue armano Kiev (che non è né Nato né Ue) non solo per aiutarla a difendersi, ma anche per “sconfiggere la Russia” senza neppure dichiararle guerra.

E ora, salvo rare eccezioni, la autorizzano a invadere e bombardare la Russia con i loro missili. Chiudono gli occhi sulle sue attività terroristiche in Germania, Russia, Africa e persino Ucraina. E applaudono se la Corte dell’Aja spicca un mandato di cattura contro Putin, ma strillano se il procuratore lo chiede per Netanyahu (senza per ora ottenerlo) su crimini di guerra molto più gravi di quelli di Putin: 42 mila morti civili in un anno nella striscia di Gaza abitata da 2,5 milioni di persone e vasta 360 kmq (l’1,3% della Crimea), oltre a bombardamenti in Cisgiordania, Libano, Siria, Iran, Iraq e Yemen. L’atlantista piangente fa il finto tonto: perché i civili “morti il 7 ottobre e in Ucraina contano molto meno per tanti presunti democratici”?

Ma non è che contano molto meno: è che sono molti meno, sia in proporzione sia in termini assoluti. E poi chi manifesta in Occidente lo fa perché contesta la politica dei suoi governi, incoerenti con i principi che professano. Dai terroristi e dagli autocrati non si aspetta che diventino buoni per le sue proteste: lo spera da quelli che si spacciano per buoni quando gli chiedono il voto.

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L’uragano, il rutto e la sconfitta ucraina. - Tommaso Merlo

 

Quando arriva un uragano è come in guerra. Ti avvisano di evacuare, parti coi tuoi stracci e poi attendi la distruzione nella speranza di poter ricominciare una vita tra le macerie. Nella ricca Florida come nel martoriato Medioriente, con l’unica eccezione di Gaza dove si viene sterminati anche nei rifugi. Ma ormai il genocidio è talmente sanguinario da non fare più notizia mentre la parola pace non esce più nemmeno per sbaglio dalla bocca dei reggenti. È tornata di moda la guerra e le mandrie si accodano sonnolente verso il burrone. Al bar come nei palazzi del potere dove si è appena insediato il nuovo segretario della Nato, l’olandese Mark Rutte. Nomen omen. Non ha fatto in tempo ad accomodarsi sulla poltrona che ha subito ruttato che servono 150.000 soldati in più alla Nato. Carne fresca in vista del terzo macello mondiale e da selezionare con cura tra gli allevamenti di poveri cristi. Rutto ha anche tuonato che i paesi membri dovrebbero spendere più del 2 percento del loro Pil in armamenti, perché sarebbe questa la vera priorità dei poveri cristi. Missili, bombe e contraerea per difenderci dall’efferata Russia che brama di fagocitarci. Già, come no. Ma del resto se la pensava diversamente o meglio se pensava, la poltrona se la scordava. Oggi come oggi conformismo ed arrivismo sono sinonimi e se va di moda la guerra, tutti in mimetica. Tra i primi incontri in agenda del neo segretario Nato quello con un altro protagonista assoluto della nostra epoca, la volpe della steppa Zelensky impegnato nell’ennesimo giro delle sette chiese. Cosa elemosini non è certo una novità, armi per proseguire la cavalcata e soldi per mantenere quello che resta dello stato ucraino. Zelenskyy ha in tasca un piano di pace che prevede la guerra e un paio di chicche. Pare che sia disposto a trattare con la Russia se si ritira da tutto il territorio ucraino. Davvero geniale, chiedere ai vincitori di perdere. Zelenskyy vuole poi che Putin paghi per i crimini di guerra commessi come se l’Ucraina sparasse fiori coi nostri cannoni. Qualcuno dovrebbe spiegare a Zelenskyy che in guerra le condizioni le dettano i vincitori, agli sconfitti spettano giusto le modalità della resa. Ed è questo il dilemma ucraino ma anche occidentale: continuare a buttare benzina sul fuoco per ragioni di principio o presunte tali, oppure smetterla di litigare come bambini dell’asilo e tornare a ragionare da persone adulte e negoziare. Del resto dalle scarse informazioni che filtrano dalle trincee, la situazione appare drammatica. I politicanti aprono bocca e gli danno fiato ma secondo gli analisti militari l’esercito ucraino potrebbe cedere per mancanza di uomini. Molti persi nelle quotidiane carneficine altri fuggiti a gambe levate. E anche i tanto conclamati missili a lungo raggio non sarebbero decisivi. L’unico modo per cambiare le sorti del conflitto sarebbe l’ingresso della Nato ma questo vorrebbe dire guerra mondiale e pure atomica e sembra che nemmeno gli Stati Uniti la vogliano al momento. Anche perché sono divisi internamente, la Harris gira con pistola e tanica in mano mentre quel marpione di Trump si sente di nascosto con Putin da anni e in caso di bis ha preannunciato che manderà Zelensky a quel paese. Siamo a quasi tre anni dall’escalation, l’Ucraina è in cenere eppure non c’è un leader europeo in grado di lanciare una valida iniziativa diplomatica. Non c’è nessuno che ha il coraggio di proporre una alternativa differenziandosi dalle mandrie che procedono sonnolente verso il burrone. Passiamo da un uragano di guerra all’altro e la parola pace non esce più nemmeno per sbaglio dalla bocca dei reggenti. Come se non capissero che il vero ed unico piano per la vittoria dell’Ucraina come di tutti noi, sia quello di far tornare di moda la pace.

Tommaso Merlo