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giovedì 9 dicembre 2021

SARO' BREVE N. 84. - Rino Ingarozza

 

Giuseppe Conte nella tana del leone.

Ha accolto l'invito dell'alouatta de Roma, è andato al meeting "'Atreju 21" (organizzato da Fratelli d'Italia) ed ha risposto a tutte le provocazioni del direttore del TG2 Sangiuliano (che una volta in più ha dimostrato di remare, quotidianamente, da quella parte) e del misero Bechis, direttore de Il tempo.
In attesa che l'alouatta de Roma si rechi alla festa de "Il fatto quotidiano" e risponda alle domande di due giornalisti veri come Marco Travaglio e Antonio Padellaro,
cito soltanto una risposta che a me è sembrata abbastanza chiara.
Non tanto chiara, mi è sembrata, per i due interlocutori "croccantinati".
Si parlava del futuro Presidente della Repubblica. In soldoni gli chiedono "Può essere uno di centrodestra?"
Risposta: "'Nessuna preclusione. Deve però essere una persona di alta integrità morale".
In pratica "Non può essere Berlusconi".
Più chiaro di così.
Cosa deve dire affinché si capisca?
Lui è Giuseppe Conte ed è elegante anche nelle risposte.
Si esprime in un perfetto italiano.
Se c'è qualcuno che, l'italiano, non lo capisce o non lo vuole capire, non è certo colpa sua.

Rino Ingarozza (Fb 08/12/2021)

giovedì 3 dicembre 2015

Energia: petrolio e carbone, fonti in discesa. Ora il mondo si libera dei suoi killer. - Maurizio Ricci.

Energia: petrolio e carbone, fonti in discesa. Ora il mondo si libera dei suoi killer

Siamo diventati più efficienti, quindi ne consumiamo meno. E quella che usiamo viene da fonti alternative.

UNO: avete messo i doppi vetri alle finestre. 
Due: la vostra auto è una Euro6. 
Tre: quando andate al mare notate che la campagna è piena di file di pannelli solari. Adesso, fate uno più due più tre. Risultato: 45 dollari, quanto costa oggi un barile di petrolio. Spiccioli, rispetto a quanto costava poco più di un anno e mezzo fa. Ma la notizia importante è che il prezzo è crollato perché è caduta la domanda. Siamo diventati più efficienti a consumare l'energia, quindi ne consumiamo meno e quella che consumiamo viene da fonti alternative. Sembrava una scommessa azzardata, e invece no. Quello che gli esperti stanno raccontando in questi mesi — alcuni a bocca storta, altri con sollievo — è che stiamo assistendo al crepuscolo del petrolio e del carbone. Siamo solo all'inizio e non sarà un processo breve. Anzi, sono in tanti, nei corridoi della conferenza sul clima di Parigi, a dire che arriva troppo tardi. Però, arriva. Dieci anni fa pensavamo che il tramonto del petrolio sarebbe arrivato perché erano finite le riserve e ci saremmo disputati il poco rimasto. Invece, è il contrario: ce n'è troppo. In questo momento, ci sono 100 milioni di barili (l'equivalente di un giorno intero di consumi mondiali) stivati nelle petroliere ormeggiate al largo, perché a terra non c'è più spazio nei depositi. Non sappiamo che farcene.

Per le sostanze che hanno avviato e alimentato due secoli di rivoluzione industriale è una situazione inedita. Chi racconta meglio la svolta è l'ultimo rapporto della Iea, l'agenzia dell'Ocse, cioè i paesi ricchi, che si occupa di energia. Spiega che c'è una transizione epocale in corso, che si appoggia su due fattori. Si è esaurita la singola spinta alla domanda di energia più esplosiva della storia recente, perché si sta spegnendo la sete della Cina. Ma, contemporaneamente, cambiano anche gli strumenti. Il carbone, il combustibile più inquinante e anche quello che emette più CO2, oggi la prima fonte di elettricità, sta per perdere il suo predominio.

A prima vista, non si direbbe. L'India difende con i denti il suo diritto ad alimentare a carbone il suo sviluppo economico. La Cina sta facendo shopping di miniere nel mondo: ieri Xi Jinping ne ha, praticamente, comprata una in Zimbabwe. Gli ambientalisti di Climate Action Tracker hanno calcolato che, se tutti i progetti di costruzione di nuove centrali a carbone andassero in porto, l'obiettivo di contenere il riscaldamento mondiale a 2 gradi andrebbe, letteralmente, in fumo. Ma, se alziamo gli occhi e guardiamo un po' più in là, la prospettiva cambia. È improbabile che tutte quelle centrali vengano costruite davvero. I petrolieri hanno rotto i ponti con i loro colleghi del carbone. Giappone e Usa hanno tolto i sussidi all'esportazione. Banche, assicurazioni, fondi fuggono dagli investimenti in carbone come fosse la peste. Finanche una delle più grandi società minerarie al mondo gli ha girato le spalle. Anche se India e Cina insisteranno nell'energia a basso costo assicurata dal carbone, l'egemonia del combustibile più inquinante, globalmente, è finita. La Iea calcola che in 15 anni sarà scavalcato: le centrali a carbone saranno sempre di meno. E chi ne prenderà il posto? Le rinnovabili. Già oggi, una nuova centrale su due funziona con il sole, il vento, l'idroelettrico. Nel 2040, assicura la Iea, sarà la prima fonte di elettricità: il 50% del totale in Europa, il 30 in Cina e in Giappone, il 25 negli Usa.

Ma Re Petrolio? Sapevamo già che il carbone era una vittima designata, ma che ne sarà dell'oro nero? D'ora in avanti, calcola la Iea, la domanda mondiale di energia crescerà più o meno l'1 per cento l'anno: dal 1990 in poi, andavamo ad una velocità doppia. Merito dei miglioramenti nell'efficienza energetica. E, specificamente per il petrolio, aggiunge la Iea, il boom è finito. Da qui al 2020, sostiene il direttore esecutivo, Fatih Birol, la produzione di greggio aumenterà del 5 per cento. Poi, ci vorranno venti anni, fino al 2040, perché aumenti di un altro 5 per cento o poco più. Che succede? L'Occidente, i paesi ricchi dell'Ocse voltano le spalle all'oro nero. Da qui al 2040, America, Europa, Giappone ridurranno i consumi di 11 milioni di barili al giorno, l'equivalente di un quarto dei consumi attuali. Il problema è che quei barili ricompaiono nei consumi dei paesi emergenti, come Cina e India che ne utilizzeranno, appunto, 11 milioni in più. Saldo zero, insomma.

Al di là degli impegni presi da tutti per contenere le emissioni di CO2, dunque, il mondo appare ancora spaccato in due, fra paesi ricchi sempre più lontani dai combustibili fossili e paesi emergenti dove lo sviluppo è ancora intrecciato all'energia tradizionale. Ma qualcosa è cambiato in profondità. L'idea che non sia possibile immaginare un mondo prospero e capace di sviluppo, lontano dai combustibili fossili, non sta più in piedi. Il senso della storia che racconta la Iea è chiaro. Il mondo si sta liberando del petrolio. La svolta inizia nei paesi sviluppati, ma i paesi emergenti seguiranno, ancora una volta, il sentiero tracciato, con l'efficienza e le rinnovabili, da quelli che, oggi, sono più ricchi. E' solo questione di tempo.

Il problema è che il tempo è esattamente quello che non c'è. Ecco perché quella della Iea è, per ora, una storia confortante, ma non a lieto fine. I consumi di petrolio rallentano vistosamente, anche le emissioni proporzionalmente diminuiscono, rispetto all'uso di energia. Ma non basta. Nel 2040 centrali elettriche e automobili sputeranno comunque globalmente nell'atmosfera il 16 per cento di tonnellate di anidride carbonica in più, rispetto al 2013. Il mondo, dicono gli scienziati, non se lo può permettere. La battaglia per contenere l'uso dei combustibili fossili, contro interessi potenti e convinzioni radicate, resta difficile. Però, se la transizione alla nuova energia è già in corso, spingere in discesa è più facile.


http://www.repubblica.it/ambiente/2015/12/02/news/petrolio_e_carbone_fonti_in_discesa_ora_il_mondo_si_libera_dei_suoi_killer-128592752/

venerdì 14 settembre 2012

USA ed Europa, banche centrali a confronto. - PierGiorgio Gawronski


Ieri la Federal Reserve ha annunciato un nuovo programma di rilancio dell’economia. L’obiettivo è ridurre la disoccupazione, che è all’8% ed è “una grave preoccupazione”. Non solo perché il livello è “abnorme”, ma anche perché “da sei mesi ha smesso di scendere”. Dice  Bernanke: “L’alto livello della disoccupazione dovrebbe preoccupare ogni cittadino americano. Non solo crea enormi sofferenze e difficoltà, ma causa anche un enorme spreco di capacità e talenti”, e una “progressiva distruzione di queste capacità, a danno non solo dei disoccupati e delle loro famiglie, ma anche del benessere di tutta la nazione”.
Per raggiungere il suo scopo la Fed cerca di accelerare la crescita stimolando la domanda (= la spesa totale nell’economia). Tramite due target intermedi. In primo luogo, (oltre a tenere i tassi di policy a zero) cerca di comprimere una serie di tassi d’interesse a lungo termine (mutui, ecc.) in diversi settori, già molto bassi. A tal fine lo strumento utilizzato è l’aumento della liquidità. In secondo luogo, la FED indirizza le aspettative sulla crescita futura. Lo strumento che utilizza – “il più potente” – è la ‘comunicazione’. Bernanke ha annunciato che la ‘spinta’ della FED continuerà “almeno fino a metà del 2015”, e comunque “per molto tempo dopo che l’economia avrà ricominciato ad accelerare”. Così le imprese possono avere fiducia: sanno che se investono oggi troveranno nuovi clienti domani.
Bernanke ha spiegato che gli acquisti di titoli pubblici non sono affatto una monetizzazione del debito: “Noi non finanziamo spesa pubblica: acquistiamo attività finanziarie che rivenderemo al momento giusto… La nostra azione non aumenterà, bensì ridurrà il deficit pubblico”, grazie ai profitti della Fed e alla ripresa economica. Quanto all’inflazione, un giornalista tedesco ha chiesto se non ci sono rischi. Ma Bernanke ha spiegato che quando (a) c’è disoccupazione e (b) le aspettative di inflazione sono basse, i rischi non ci sono.
La BCE deve fronteggiare una situazione assai più grave. La disoccupazione in Europa è all’11%, e continua a salire. Al punto che la stabilità della stessa moneta è in dubbio. Eppure la BCE si disinteressa totalmente della disoccupazione, della crescita, della domanda. Tiene alti i tassi di policy. Ha varato un tardivo piano anti-spread, ma sterilizzerà eventuali aumenti della liquidità. Con la ‘comunicazione’ mira anch’essa ad aumentare la fiducia sul futuro, ma solo relativamente all’inflazione: perciò le imprese Europee sanno che se oggi investono, domani i prezzi dei loro prodotti saranno bassi, ammesso che trovino clienti.
Il 6 Settembre scorso la BCE ha fatto un passo avanti importante, accettando (tardivamente) il ruolo di prestatore di ultima istanza (negli USA è talmente ovvio che nemmeno si discute). Ma è rimasta in mezzo al guado: cura la finanza, ma non l’economia; e la finanza, senza l’economia, ignora la forza della gravità: a nostro rischio e pericolo!
La depressione della domanda rende inutilizzata tanta capacità produttiva: impossibile per i governi rispettare gli obiettivi di deficit. Perciò l’idea che ‘se un paese non rispetta gli accordi, la BCE rinuncerà a difenderlo sui mercati’ diventa pericolosa per la stessa stabilità finanziaria. Ma la BCE si muove in linea con il suo Statuto, sulla modifica del quale Draghi dice: “è già impegnativo stabilizzare i prezzi … non aggiungerei un secondo obiettivo”. Invece la Fed ha due obiettivi: stabilità dei prezzi e occupazione. E ieri Bernanke ha detto: “Abbiamo strumenti che riteniamo possano influenzare il livello dell’occupazione: pensiamo sia nostro dovere utilizzarli”.
All’origine di tutto c’è una ideologia. In Germania sono diventati tutti esperti di politica monetaria. Reagiscono istericamente alle manovre minimaliste della BCE, influenzando i politici e i rappresentanti tedeschi alla BCE: che non sono bravi economisti bensì funzionari del partito della Merkel. Molti lettori hanno difficoltà a capire cosa sia il liberismo in macroeconomia, e perché è importante. Hanno la sensazione di trovarsi di fronte a un linguaggio ideologico. Invece, sto parlando dell’origine dei nostri mali, e dei blocchi sulla via d’uscita. Il laissez faire nei confronti della disoccupazione (della domanda) è l’idea centrale del liberismo in macroeconomia. È l’idea di Monti, e della BCE. È un’idea sbagliata secondo Bernanke. Che non è particolarmente keynesiano o di sinistra: tanto è vero che è stato nominato da George W. Bush.
Ecco perché quel che succede da noi ha poco a che vedere con la democrazia: non occorre fare dietrologia. La gente non vuole disoccupazione. La FED ‘risponde’ ai bisogni della gente. La BCE, no; perché non è un problema dell’élite europea. E Monti può tranquillamente dirci: i miei provvedimenti? Certo che hanno aggravato la disoccupazione. Solo uno stolto poteva credere il contrario!