venerdì 6 maggio 2016

LA CASINA DELLE CIVETTE, IL MUSEO CHE SEMBRA USCITO DA UN LIBRO DI FAVOLE (FOTO). - Dominella Trunfio

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Il Museo della Casina delle Civette si trova all’interno del parco di Villa Torlonia a Roma ed è una delle bellezze nascoste della Capitale. Il suo nome deriva dal fatto che le civette sono uno decori ricorrenti nelle vetrate e nelle maioliche.
Fino al 1938 la Casina delle Civette era stata la dimora del principe Giovanni Torlonia junior, all’epoca era conosciuta come Capanna svizzera per via del suo aspetto molto simile a quello di un rifugio alpino.
Oggi è invece, è un museo che sembra uscito da un libro di favole. Ideata nel 1840 da Giuseppe Jappelli su commissione del principe Alessandro Torlonia, la Casina delle Civette è si è trasformata nel tempo, infatti se prima l’architettura appariva rustica adesso ha un aspetto raffinato con porticati, torrette e logge.
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Ma sicuramente sono le sue decorazioni a lasciare a bocca aperta. Ci sono maioliche colorate e vetrate che raffigurano civette, fate, cigni, pavoni ma anche nastri, farfalle e rose. 
E’ proprio per le vetrate con due civette che il nome dell’edificio è stato cambiato,ma in realtà questo uccello viene ripreso anche in altre decorazioni e nel mobilio voluto dal principe Giovanni, amante dei simboli esoterici.
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Se all’esterno si intravede anche un tocco liberty, all’interno vi sono sculture in marmo, ferro battuto, mosaici, legni intarsiati e decorazioni pittoriche. Le vetrate sono state prodotte su disegni di Duilio Cambellotti, UmbertoBottazzi, Vittorio Grassi e Paolo Paschetto.
L’edificio venne distrutto durante la Seconda guerra mondiale, solo nel 1978 la Casina delle Civette fu acquisita dal comune di Roma, ma nel 1991 un incendio distrusse ulteriormente la villa.

Casina delle civette, le vetrate

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Dopo un lungo lavoro di restauro durato cinque anni, la Casina delle Civette è oggi uno spazio restituito alla città e sicuramente uno dei più affascinanti per grandi e piccini.

Casina delle Civette, orari e prezzo biglietto

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Orari
da martedì a domenica ore 9.00-19.00
24 e 31 dicembre ore 9.00-14.00
La biglietteria chiude 45 minuti prima
Consulta qui il prezzo dei biglietti.

giovedì 5 maggio 2016

BREAKING! TTIP leaks: Greenpeace Olanda rivela i testi segreti del TTIP.


Avevamo ragione: confermati rischi per clima, ambiente e sicurezza dei consumatori
I cittadini hanno diritto di sapere: Greenpeace Olanda pubblica oggi su www.ttip-leaks.orgparte dei testi negoziali del TTIP per garantire la necessaria trasparenza e promuovere un dibattito informato su un trattato che interessa quasi un miliardo di persone, nell’Unione Europea e negli USA. È la prima volta che i cittadini europei possono confrontare le posizioni negoziali dell’UE e degli USA.
Questi documenti svelano che noi e la società civile avevamo ragione a essere preoccupati: con questi negoziati segreti rischiamo di perdere i progressi acquisiti con grandi sacrifici nella tutela ambientale e nella salute pubblica!
Dal punto di vista della protezione dell’ambiente e dei consumatori, quattro gli aspetti seriamente preoccupanti:
  • Tutele ambientali acquisite da tempo sembra siano sparite
Nessuno dei capitoli che abbiamo visto fa alcun riferimento alla regola delle Eccezioni Generali (General Exceptions). Questa regola, stabilita quasi 70 anni fa, compresa negli accordi GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) della World Trade Organisation (WTO – in italiano anche Organizzazione Mondiale per il Commercio, OMC) permette agli stati di regolare il commercio “per proteggere la vita o la salute umana, animale o delle piante” o per “la conservazione delle risorse naturali esauribili”. L’omissione di questa regola suggerisce che entrambe le parti stiano creando un regime che antepone il profitto alla vita e alla salute umana, degli animali e delle piante.
  • La protezione del clima sarà più difficile con il TTIP
Gli Accordi sul Clima di Parigi chiariscono un punto: dobbiamo mantenere l’aumento delle temperature sotto 1,5 gradi centigradi per evitare una crisi climatica che colpirà milioni di persone in tutto il mondo. Il commercio non dovrebbe essere escluso dalle azioni sul clima. Ma non c’è alcun riferimento alla protezione del clima nei testi ottenuti.
  • La fine del principio di precauzione
Il principio di precauzione, inglobato nel Trattato UE, non è menzionato nei capitoli sulla “Cooperazione Regolatoria”, né in nessuno degli altri 12 capitoli ottenuti. D’altra parte, la richiesta USA per un approccio “basato sui rischi” che si propone di gestire le sostanze pericolose piuttosto che evitarle, è evidente in vari capitoli. Questo approccio mina le capacità del legislatore di definire misure preventive, per esempio rispetto a sostanze controverse come le sostanze chimiche note quali interferenti endocrine (c.d. hormone disruptors).
  • Porte aperte all’ingerenza dell’industria e delle multinazionali
Mentre le proposte contenute nei documenti pubblicati minacciano la protezione dell’ambiente e dei consumatori, il grande business ha quello che vuole. Le grandi aziende ottengono garanzie sulla possibilità di partecipare ai processi decisionali, fin dalle prime fasi.
I documenti mostrano chiaramente che mentre la società civile ha avuto ben poco accesso ai negoziati, l’industria ha avuto invece una voce privilegiata su decisioni importanti.
Il rapporto pubblico reso noto di recente dall’UE ha solo un piccolo riferimento al contributo delle imprese, mentre i documenti citano ripetutamente il bisogno di ulteriori consultazioni con le aziende e menzionano in modo esplicito come siano stati raccolti i pareri delle medesime.
I documenti pubblicati da Greenpeace Olanda constano di 248 pagine in un linguaggio legale tecnicamente complesso: 13 capitoli di “testo consolidato” del TTIP più una nota interna dell’UE sullo stato del negoziato (Tactical State of Play of TTIP Negotiations – March 2016)Greenpeace Olanda ha lavorato assieme al rinomato network di ricerca tedesco di NDR, WDR and Süddeutscher Zeitung. Fino ad ora i rappresentanti eletti avevano potuto vedere parte di questi documenti in stanze di sicurezza, con guardie, senza consulenti esperti e senza poterne discutere con nessuno. Con questa pubblicazione, milioni di cittadini hanno la possibilità di verificare l’operato dei propri governi e discuterne con i loro rappresentanti.
Chi ha cura delle questioni ambientali, del benessere degli animali, dei diritti dei lavoratori o della privacy su internet dovrebbe essere preoccupato per quel che c’è in questi documenti. Il TTIP, si svela per ciò che davvero è: un grande trasferimento di poteri democratici dai cittadini al grande business. 
Per fermare il TTIP, tutelare i diritti e i beni comuni e costruire un altro modello sociale ed economico, equo e democratico, ti aspettiamo sabato 7 maggio 2016 a Roma per un grande appuntamento nazionale
ENTRA IN AZIONE CON NOI: FIRMA E CHIEDI DI BLOCCARE IL TTIP!

Il tram elettrico senza binari e senza cavi circola a Parigi. - Pino Bruno

Bluetram Bolloré a Parigi

A Parigi è in circolazione Bluetram: costa cinque volte meno di un mezzo tradizionale, non ha binari o fili e si ricarica in venti secondi alla fermata. Il tempo di far salire e scendere i passeggeri.


Il tram dei desideri è elettrico e costa cinque volte meno di un tram tradizionale, perché non ha bisogno di binari o linee aeree. Si ricarica in venti secondi ogni due chilometri, mentre i passeggeri salgono e scendono. Bluetram è già in circolazione dal 15 novembre scorso a Parigi. Due mesi di prova sulla linea degli Champs-Elysees, grazie alla collaborazione tra l'azienda Blue Solutions del gruppo Bolloré, il Comune di Parigi e l'azienda dei trasporti urbani RATP.

La soluzione proposta da Blue Solutions è agile, non richiede dispendiosi interventi infrastrutturali ed è a costo zero per il Comune. Per installare i terminali nelle fermate tra Place de l'Etoile e Concorde ci sono voluti soltanto tre giorni, e altrettanti ce ne vorranno per rimuoverli alla fine dei due mesi di sperimentazione. I Bluetram potrebbero essere una delle risposte all'appello del sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, che vuole togliere dalla circolazione tutti i mezzi pubblici alimentati a diesel entro il 2020, per migliorare la qualità dell'aria in città.

BlueSolutions ha progettato Bluetram elettrici di varie dimensioni, da 12, 18 e 24 metri, in grado di trasportare da 100 a 400 passeggeri. Quelli utilizzati per la sperimentazione sono da 6 e 12 metri, quest'ultimo con 200 chilometri di autonomia. Il Bluetram è dotato di batterie ai polimeri di litio-metallo (LMP) ad alta capacità di stoccaggio di energia, che hanno tempi di ricarica molto brevi. La stessa ricarica avviene automaticamente grazie ad un connettore telescopico, quando il mezzo si arresta alla fermata per far salire e scendere i passeggeri.

connettore telescopico Bluetram Bolloré

La sperimentazione si sta svolgendo mentre Parigi ospita la Conferenza mondiale 2015 sul clima. Negli ultimi quattro anni a Parigi le 3000 Autolib elettriche del car-sharing del gruppo Bolloré hanno percorso 110 milioni di chilometri. 

Povero Augias.



Povero Augias, si è permesso di esprimere un parere che, forse, in molti avrebbero dovuto condividere se ne avessero ponderato  il significato senza cadere nel vuoto dei giudizi affrettati.
Non mi pare da quel che leggo - non ho visto la trasmissione - che abbia detto che lo stupro è accettabile o obbligatorio o giustificabile se una bambina di sei anni adotta atteggiamenti da adulta, ha semplicemente detto ciò che va detto: i bambini debbono restare bambini, non debbono, assolutamente, atteggiarsi da adulti.

Il fatto che alcuni bambini, anche troppi ormai, copiando ciò che alcune trasmissioni di dubbio contenuto didattico e morale mandano in onda, si comportano da adulti e trattano gli adulti da idioti non è propedeutico per la formazione di un individuo fragile ed inesperto che deve affrontare le asperità della vita.

E' un travisare ciò che è la realtà. E' inaccettabile, oltretutto, privare un bambino di ciò che le esperienze dell'infanzia  trasmettono, una quantità di ricordi e di insegnamenti.

La realtà e che siamo pronti a criticare, ma non sappiamo più ragionare; non perdiamo più il tempo ad insegnare, tramandare ciò che ci è stato trasmesso.

Ed i risultati, ahimè, sono devastanti!

Cetta

lunedì 2 maggio 2016

Donnola manda in tilt il Cern di Ginevra e muore fulminata. -



L'animale è riuscito ad entrare nel settore superprotetto ma ha pagato il gesto con la vita. Ora le apparecchiature dovranno essere ricalibrate.

sabato 30 aprile 2016

La grande spartizione della Libia: un bottino da almeno 130 miliardi. - Alberto Negri





Quando si incontreranno martedì al palazzo Ducale di Venezia, Matteo Renzi e François Hollande guardandosi negli occhi dovrebbero farsi una domanda: per quali ragioni facciamo la guerra in Libia?
La risposta più ovvia - il Califfato - è quella di comodo. La guerra di Libia è partita nel 2011 con un intervento francese, britannico e americano che con la fine di Gheddafi è diventato conflitto tra le tribù, le milizie e dentro l’Islam, che però è sempre rimasto una guerra di interessi geopolitici ed economici. L’esito non è stato l’avvento della democrazia ma è sintetizzato in un dato: la Libia era al primo posto in Africa nell’indice Onu dello sviluppo umano, adesso è uno stato fallito.
La guerra è in realtà un regolamento di conti e una spartizione della torta tra gli attori esterni e i due poli libici principali, Tripoli e Tobruk, che hanno due canali paralleli e concorrenti per l’export di petrolio.
Qui si possono liberare alcune delle più importanti risorse dell’Africa: il 38% del petrolio del continente, l’11% dei consumi europei. È un greggio di qualità, a basso costo, che fa gola alle compagnie in tempi di magra. In questo momento a estrarre barili e gas dalla Tripolitania è soltanto l’Eni: una posizione, conquistata manovrando tra fazioni e mercenari, che agli occhi dei nostri alleati deve finire e, se possibile, con il nostro contributo militare.
Per loro, anche se l’Italia ha perso in Libia 5 miliardi di commesse, stiamo già accantonando risorse per un contingente virtuale in barili di oro nero. Non è così naturalmente, ma “deve” essere così: per questo l’ambasciatore Usa azzarda a chiederci spudoratamente 5mila uomini. La dichiarazione di John Phillips, addolcita dalla promessa di un comando militare all’Italia, sottolinea la nostra irrilevanza.

La Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone di influenza, tornasse a esportare come ai tempi di Gheddafi. Sono stime che sommano la produzione di petrolio con le riserve della Banca centrale e del Fondo sovrano libico che sta a Londra dove ha studiato per anni il prigioniero di Zintane, Seif Islam, il figlio di Gheddafi, un tempo gradito ospite di Buckingham Palace al pari di tutti gli arabi che hanno il cuore nella Mezzaluna e il portafoglio nella City. 
Oltre alla Bp e alla Shell in Cirenaica - dove peraltro ci sono consorzi francesi, americani tedeschi e cinesi - gli inglesi hanno da difendere l’asset finanziario dei petrodollari.
Anche i russi, estromessi nel 2011 perché contrari ai bombardamenti, vogliono dire la loro: lo faranno attraverso l’Egitto del generale Al Sisi al quale vendono armi a tutto spiano insieme alla Francia. Al Sisi considera la Cirenaica una storica provincia egiziana, alla stregua di re Faruk che la reclamava nel 1943 a Churchill: «Non mi risulta», fu allora la secca risposta del premier britannico. Ma ce n’è per tutti gli appetiti: questo è il fascino tenebroso della guerra libica.

Il bottino libico, nell’unico piano esistente, deve tornare sui mercati, accompagnato da un sistema di sicurezza regionale che, ignorando Tunisia e Algeria, farà della Francia il guardiano del Sahel nel Fezzan, della Gran Bretagna quello della Cirenaica, tenendo a bada le ambizioni dell’Egitto, e dell’Italia quello della Tripolitania. 

Agli americani la supervisione strategica.

Ai libici, divisi e frammentati, messi insieme in un finto governo di “non unità nazionale”, il piano non piacerà perché hanno fatto la guerra a Gheddafi e tra loro proprio per spartirsi la torta energetica senza elargire “cagnotte” agli stranieri e finire sotto tutela. 
E insieme ai litigi libici ci sono le trame delle potenze arabe e musulmane. Sono “i pompieri incendiari” che sponsorizzano le loro fazioni favorite: l’Egitto manovra il generale Khalifa Haftar, il Qatar seduce con dollari sonanti gli islamisti radicali a Tripoli, gli Emirati si sono comprati il precedente mediatore dell’Onu Bernardino Leòn per appoggiare Tobruk; senza contare la Turchia, che dalla Siria ha rispedito i jihadisti libici a fare la guerra santa nella Sirte.
La lotta al Califfato è solo un aspetto del conflitto, anzi l’Isis si è inserito proprio quando si infiammava la guerra per il petrolio. Ma gli interessi occidentali, mascherati da obiettivi comuni, sono divergenti dall’inizio quando il presidente francese Nicolas Sarkozy attaccò Gheddafi senza neppure farci una telefonata. Oggi sappiamo i retroscena. In una mail inviata a Hillary Clinton e datata 2 aprile 2011, il funzionario Sidney Blumenthal rivela che Gheddafi intendeva sostituire il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana. Lo scopo era rendere l’Africa francese indipendente da Parigi: le ex colonie hanno il 65% delle riserve depositate a Parigi. Poi naturalmente c’era anche il petrolio della Cirenaica per la Total. È così che prepariamo la guerra: in compagnia di finti amici-concorrenti-rivali, esattamente come faceva la repubblica dei Dogi.

(di Alberto Negri con un’analisi di )

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-03-06/la-grande-spartizione-114530.shtml?uuid=ACe75oiC&refresh_ce=1

Le terribili verità nascoste sotto il velo dell'ipocrisia.
Esportiamo cinismo, non democrazia!

Sicilia, Renzi inaugura viadotto Himera. Ma è la carreggiata che non è mai crollata e fu “battezzata” la prima volta nel 1975. - Giuseppe Pipitone

Sicilia, Renzi inaugura viadotto Himera. Ma è la carreggiata che non è mai crollata e fu “battezzata” la prima volta nel 1975

Il premier riapre al traffico il viadotto sull'autostrada tra Catania e Palermo: è il tratto di strada mai franato e riaperto dopo i controlli di sicurezza. Il sindaco di Caltavuturo: "Dovremmo ricordargli che nel Patto per la Sicilia non c'è un euro per i dissesti della vallata dell'Himera che incombono sui piloni dell'autostrada". Il premier: "Non è un'inaugurazione, ma una riapertura".

Una cerimonia con tanto di taglio di nastro per riaprire al traffico un viadotto già inaugurato nel lontano 1975. Sembra una boutade, invece è accaduto in Sicilia. Il premier Matteo Renzi è tornato sull’isola per incontrare i sindaci di Catania e Palermo, e ne ha approfittato per partecipare alla cerimonia di riapertura del viadotto Himera sull’autostrada 19 che collega le due principali città della Regione. Si tratta per caso del ponte che esattamente un anno fa era franato spezzando in due la Sicilia? Nossignore. Perché ad essere riaperta al traffico sarà solo la carreggiata parallela, quella cioè che da Catania va verso Palermo: non era stata colpita dalla frana di un anno fa, ma si era comunque deciso di chiuderla per motivi di sicurezza. In pratica i tecnici incaricati dall’Anas hanno verificato che la parte del viadotto risparmiata dal crollo non ha subito danni strutturali: dopo dodici mesi può dunque essere riaperta.
“Le indagini – spiegano dall’Anas – ed in particolare le prove di carico svolte nei giorni scorsi hanno dato indicazioni positive sulla statica dell’opera. Sono stati inoltre installati sistemi di monitoraggio sia per le strutture del viadotto che per la pendice interessata dal movimento franoso”. Dunque via all’inaugurazione bis del viadotto mai crollato, alla presenza del premier in persona, accompagnato per l’occasione dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e dal presidente di Anas Gianni Vittorio Armani.
E pazienza se la vita degli automobilisti siciliani non è poi cambiata molto: fino ad oggi chi deve recarsi da Palermo a Catania deve comunque uscire allo svincolo di Scillato, imboccare la bretella (aperta solo nell’autunno scorso, mentre nei sei mesi precedenti occorreva percorrere la disastrosa statale 626) e rientrare in autostrada all’altezza di Tremonzelli, in attesa che la carreggiata in direzione opposta venga quindi aperta al doppio senso di marcia (con le inevitabili code che allungheranno in ogni caso i tempi di percorrenza). La parte del ponte Himera franata nell’aprile del 2015, invece, è stata abbattuta nel dicembre scorso: secondo alcune stime i lavori di ricostruzione non termineranno prima del 2018, cioè a tre anni dal crollo e a due dalla inaugurazione bis del tratto parallelo. Ecco perché la cerimonia di riapertura del viadotto mai crollato non ha entusiasmato per nulla i cittadini dell’isola, scatenando al contrario un fiume di polemiche.
“Questa è la prova che quello che dicevamo da sempre era corretto: il tratto autostradale era agibile, ne andava testata subito la staticità, dopo aver abbattuto la carreggiata collassata. Chi ha sbagliato paghi e, soprattutto, risarcisca le imprese siciliane per gli enormi danni subiti inutilmente: ricordiamo inoltre che sul fronte frana, che ha causato tutto ciò, non è stato fatto praticamente nulla”, dicono i deputati del Movimento 5 Stelle all’Assemblea regionale siciliana, mentre persino Gianfranco Micciché, tornato a coordinare Forza Italia sull’isola, definisce l’inaugurazione del viadotto come “una bufala a danno dei siciliani da fare invidia al Totòtruffa che vende la fontana di Trevi”.
Un commento al vetriolo arriva pure da Domenico Giannopolo, sindaco di Caltavuturo, comune che era rimasto isolato dopo il crollo del viadotto autostradale. “Consiglierei a Faraone (Davide, sottosegretario all’Istruzione ndr) e Renzi di risparmiarci la cerimonia della riapertura della carreggiata del viadotto Himera, diversamente dovremmo ricordagli che è stata una quasi truffa la bretella e che nel Patto per la Sicilia che andrà a presentare al teatro Politeama non c’è un euro per i dissesti della vallata dell’Himera che incombono sui piloni dell’autostrada”, dice il primo cittadino. Il premier, intervenendo alla cerimonia di riapertura, ha risposto così alle voci critiche: “Ci sono state polemiche quando abbiamo detto che saremmo venuti qua per riaprire il viadotto. Che venite a fare? Non è una inaugurazione. Esatto non è una inaugurazione. La nostra priorità numero uno è quella di riaprire le strade che erano chiuse e fare manutenzione per evitare che crollino”.
E dire che la vigilia della trasferta siciliana di Renzi era stata caratterizzata anche da una sorta di giallo, tutto interno allo stato attuale delle infrastrutture dell’isola. Nella sua news di mercoledì 27 aprile, infatti, il premier scriveva: “Sabato pomeriggio, Sicilia: riapriamo una delle arterie a quattro corsie chiuse dopo i crolli degli scorsi mesi (ricordate gli impegni per rimettere a posto le strade in Sicilia?)”. Arterie a quattro corsie in Sicilia? Panico tra i vertici siciliani dell’Anas, che al sito meridionews.it ammettevano candidamente: “Che strada riapriremo? Stiamo cercando di capirlo anche noi”. “Dopo l’annuncio di Renzi è scattato una sorta di toto inaugurazione: sono così tante le strade chiuse in Sicilia che ci si interrogava su quale fosse l’inaugurazione annunciata dal premier”, era invece il commento sarcastico di Giancarlo Cancelleri, deputato del M5s. E in effetti, come documentato da Ilfattoquotidiano.it dopo il crollo del viadotto Himera, lo stato delle infrastrutture sull’isola somiglia sempre più ad una rete viaria da terzo mondo, tra illuminazioni assenti, manti stradali deformati, gallerie senza aereatori e una viabilità interna praticamente ferma al periodo dei Borbone. Poco male, però, perché Renzi si riferiva alla carreggiata del viadotto Himera, quella mai crollata e quindi pronta per essere riaperta. Dalla prima inaugurazione sono passati appena 41 anni: in pratica è coetanea del premier.