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sabato 5 ottobre 2024

Il teletrasporto è realtà. Nel mondo dei quanti. - Alessandro Zavatta

 

A spiegare il funzionamento e le possibili future applicazioni pratiche di questo processo, che si verifica nel mondo microscopico degli atomi e delle molecole, è Alessandro Zavatta dell'Istituto nazionale di ottica del Consiglio nazionale delle ricerche.

Con le parole “Beam me up, Scotty” il capitano Kirk, nella celebre serie televisiva Star Trek, ordinava all’ingegnere capo Scott, addetto al teletrasporto, di trasferirlo su qualche pianeta remoto dell’Universo. Insieme ai superpoteri dei personaggi della Marvel, questo è quello che ci viene alla mente non appena si pronuncia la parola teletrasporto, cioè un modo per trasferire cose o persone da un punto a un altro dello spazio con effetto immediato, senza percorrere la distanza che li separa. 

Purtroppo tale modalità di trasferimento è a oggi una possibilità che rimane solo nel mondo delle fiction e dei cartoni animati per i più piccoli. Nonostante ciò, il teletrasporto è una realtà concreta nel mondo microscopico, cioè in quello fatto di particelle fondamentali, atomi e molecole, che è governato dalle leggi della meccanica quantistica. Qui ogni elemento, o sistema, viene decritto da uno stato quantistico ben preciso, che ne racchiude tutta l’informazione e segue leggi che a volte ci appaiono controintuitive e in contrasto con la fisica classica.

Nel teletrasporto quantistico non si trasferisce materia, ma quello che in gergo viene chiamata la “funzione d’onda”, ovvero l’informazione che descrive esattamente in quale stato si trova una particella o, più in generale, un sistema fisico. È proprio questa funzione d’onda a raccogliere tutta l’informazione possibile che viene utilizzata per ricostruire altrove quella particella o quel corpo con le stesse caratteristiche di quello iniziale.

Alla base del fenomeno del teletrasporto si ha l’effetto a distanza che si manifesta fra due particelle quantisticamente correlate o intrecciate, dette “entangled”; questo effetto, evidenziato per la prima volta in un celebre articolo firmato da Einstein, Podolsky e Rosen nel 1935, rappresenta una delle tante peculiarità del mondo quantistico. L’“entanglement”, consiste proprio nell’“intreccio” inestricabile di due o più particelle, le cui proprietà non possono più essere descritte singolarmente: due particelle entagled si comportano come se fossero tutt’uno, anche se si trovano molto distanti l’una dall’altra.

Consideriamo il caso in cui Alice desideri teletrasportare una particella all’amico Bob, che si trova a grande distante da lei. La particella posseduta da Alice viene distrutta per essere “ricreata” da Bob, ottenendo così una particella con le stesse proprietà di quella iniziale. Tutto ciò può avvenire, in maniera non istantanea, grazie alla condivisione di una coppia di particelle intrecciate, a un canale di comunicazione classico, come internet o il telefono, e a patto che Alice non conosca lo stato della particella da teletrasportare.

Ma se le cose stanno così, il teletrasporto quantistico può avere applicazioni pratiche? Certamente sì. Il teletrasporto è un protocollo della teoria dell’informazione quantistica che sta alla base delle tecnologie del futuro. In particolare, è un fenomeno ampiamente utilizzato all’interno del computer quantistico che, in un futuro non molto lontano, sarà in grado di risolvere problemi attualmente impossibili da affrontare da un normale computer. Inoltre, il teletrasporto quantistico è un buon candidato come protocollo di comunicazione per una rete Internet quantistica. Questa nuova rete garantirà la comunicazione fra sensori, simulatori e computer quantistici creando nuove applicazioni, dalla sicurezza delle comunicazioni allo studio di nuovi medicinali o materiali, fino al monitoraggio ambientale su larga scala.

A livello di ricerca, i primi esperimenti pionieristici di teletrasporto quantistico furono condotti a Roma e a Vienna nel 1997, utilizzando fotoni. In entrambi i casi, i ricercatori riuscirono a teletrasportare a distanza le informazioni quantistiche riproducendo esattamente lo stato di un fotone. Più di recente, lo stesso schema è stato realizzato su grandi distanze mediante un satellite messo in orbita con a bordo una sorgente di fotoni entangled. Ulteriori passi avanti hanno permesso di teletrasportare lo stato di un atomo di itterbio a un secondo atomo identico che si trovava a un metro di distanza.

Il Cnr è particolarmente attivo in questo campo di ricerca grazie alle attività dell’Istituto nazionale di ottica, che negli anni è diventato un’eccellenza nazionale, con innumerevoli contributi apparsi sulle più importanti riviste scientifiche internazionali riguardanti l’ottica quantistica e le comunicazioni quantistiche.

Fonte: Alessandro Zavatta, Istituto nazionale di ottica, e-mail: alessandro.zavatta@ino.cnr.it

https://almanacco.cnr.it/articolo/5419/il-teletrasporto-e-realta-nel-mondo-dei-quanti

giovedì 25 luglio 2024

 

Le antiche leggende egizie parlano di un testo misterioso noto come il Libro di Thoth, che si dice contenga tutti i segreti dell'universo. Alcuni ricercatori ipotizzano che questo libro perduto possa essere più di una leggenda mistica - potrebbe essere un manuale per la tecnologia avanzata? Gli antichi astronauti teorici propongono che il libro potrebbe contenere istruzioni per la nanotecnologia, spiegando come gli antichi egizi raggiungessero imprese ingegneristiche apparentemente impossibili. Se un libro del genere esiste, potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione della conoscenza antica. La ricerca continua, con alcuni credono che sia nascosta in una camera segreta, in attesa di essere riscoperta.

https://www.facebook.com/photo/?fbid=10161728026818838&set=gm.2244425262570088&idorvanity=1177619315917360


Sono sempre più convinta che le civiltà che ci hanno preceduto, prima delle 5 estinzioni di massa succedutesi sulla terra, avevano raggiunto conoscenze tecnologiche altamente avanzate, e ne abbiamo certezza e prove scoprendo ciò che ci hanno lasciato.

cetta

domenica 19 maggio 2024

Misteri delle Piramidi: Le Prove di una Tecnologia Nucleare Cambiano Tutto!

Scultura umana gigante di Karhan Tepe. - Nazmul Alam Emon

 

Si è scoperto che l'insediamento di Karahantepe a 30 chilometri da Gobekelli Tepe è iniziato 11.500 anni fa. Ci sono molte informazioni su architettura, tecnologia, arte e vita quotidiana.
Il lavoro svolto a Karahantep nel 2023 è andato oltre ogni aspettativa. “Si è capito che, nell’ultima fase della sistemazione, quando gli edifici iniziarono a essere costruiti su piano quadri anziché su piano rotondo, si continuava a costruire edifici speciali. In uno di questi edifici è stata trovata 'una statua umana seduta su una panchina' a 2 metri e 45 cm di altezza. "La strategia costruttiva e la ricerca all'interno di questa struttura scoperta a Karahantep e l'insediamento contemporaneo dimostrano che le persone preistoriche vivevano vite molto complesse. "
Continuano le ricerche archeologiche in 10 località a Sunliurfa con il progetto Stone Hills dal 2021 a Karahantep e poi. Le ricerche condotte a Karahantepe sono uno dei pulsanti degli studi archeologici moderni. Quali dita indicano che... 12mila anni fa l'umano dovrebbe essere definito in modo diverso da quello che sappiamo.
Gobeklitepe - Presidente del Comitato Scavo e Dr. Dipartimento di Archeologia Preistorica presso l'Università di Istanbul, il Dr. Necmi Karul afferma: "Karhantep è l'area in cui ci avviciniamo a come le persone preistoriche hanno beneficiato del loro ambiente, delle loro strategie di sostentamento e soprattutto del mondo simbolico delle persone 12mila anni fa. " Siamo in grado di accedere a molti dati... Specialmente sull'architettura, la tecnologia, l'arte e la vita quotidiana. "
"A Carhantep ci sono edifici costruiti per scopi speciali e diversi dagli aspetti pubblici. Inoltre ci sono molte capanne intorno che si trovano all'interno dell'edificio privato, sappiamo da Gobeclitep, ci sono obelisco a forma di T attrezzati. Sopra di loro, compresi dipinti di animali, animali e statue umane, ecc. "Si sa che la struttura costruita nel buco, alcune all'interno della roccia e qualche vecchio riempimento..... Le stesse persone riempiono e seppelliscono questi dopo che hanno finito. "
"Le prime comunità di insediamenti non solo costruirono architettura, produzione artistica e tecnologie necessarie per la loro vita, ma istituirono anche una "disciplina sociale", che attuava il suo piano in modo organizzato. "L'enorme numero di statue umane e animali ed edifici speciali che le prime comunità insediate non erano gruppi che cercavano solo di sopravvivere e vivere una vita normale.... Piuttosto, questo dimostra che sono state sviluppate comunità con uno stile artistico e senso del gusto. "
Fonte notizie: Hurriet, 6. 1. 2024
@everyone
Storia cuneiforme - Storia cuneiforme

mercoledì 29 novembre 2023

Menroe: le prove di una tecnologia avanzata. - Minerva Elidi Wolf

 

L' incisione sulla pietra a Meroe, nella Nubia, sembra rappresentare un missile pronto al decollo o un'antenna, certamente copiata come era uso degli Egizi da un altra ancora più antica, ci porta indietro nel tempo quando Thot abitava la terra e annientava i suoi nemici "sputando fiamme" con l'Occhio di Ra.
Thot ritenuto l'inventore della lingua, della scrittura, e della matematica anche considerato astronomo fu considerato il dio della Saggezza, della Scienza, e dell'Energia. I testi dicono che gli antichi egizi lo chiamavano "Dehuti", cioè "quello di Dehut". Si dice provenisse da una terra d'occidente che aveva due enormi vulcani, dove il sole un giorno si oscurò e tutti fuggirono attraverso il mare.
Era forse originario di Atlantide? Il papiro magico 500 lo definisce "..babbuino di sette cubiti ( 3 metri ) il cui occhio è d'oro, il cui labbro è di fuoco..." Praticamente un gigante. Thot il "tre volte grande", il Trismegisto. Nel testo sembra sia arrivato dal cielo sceso su un tumulo di terra noto come la "collina primordiale".
Nel tempio di Meroe, si trova la raffigurazione di un cono, la camera celeste che somiglia ad una capsula spaziale, con la quale Thot sarebbe atterrato, insieme a otto compagni, sull'isola delle due fiamme a Ermopoli.
I sacerdoti di quella città, in onore di questi uomini, la chiameranno "Chemenu": la città degli otto. Anche nel Nihongi, i più antichi testi del Giappone, formato da trenta volumi storici, ci raccontano di otto persone che scesero dal cielo e atterrarono "con fragore assordante" in mezzo ad una nuvola di fumo.
A Ecbatana, antica capitale dei Medi, sconosciuti esseri discesero dal cielo su "destrieri di metallo". Sembra che l'oggetto in grado di scendere sulla terra si trovava a Eliopoli e il suo nome era: "Ben Ben".Un testo di Abido ci dice che avesse la forma conica. Dai testi delle piramidi sappiamo dove veniva custodito e che sei edifici, come quello di Eliopoli, furono eretti dalla quinta dinastia (2480-230 a.C.) per ricordare gli dèi del cielo e per custodire i loro "Occhi". Le città di Dendera, Edfu, Abido vengono indicate, in alcuni testi, come luoghi di ricovero degli occhi volanti. Alcune zone dei loro templi erano interdette ai profani e considerate sacre.
L'ingegnere tedesco Hans Herbert Beier seguendo le indicazioni fornite da Ezechiele ha ricostruito un tempio che presenta una rampa di manutenzione a diversi piani, che si allarga verso l'alto, con officine e alloggi per gli equipaggi e consente l'accesso ad un veicolo dalla curiosa forma a trottola, come quello elaborato dall'ex progettista della NASA Josef Blumrich, sempre seguendo le dettagliate descrizioni del profeta Ezechiele.
Nelle città di cui sopra vi sono delle rampe considerate "scale rituali". Il Dio Ptah fece costruire una struttura particolare, dove da una finestra si poteva ammirare la barca con la quale Ra era giunto sulla terra, ossia il Ben Ben. La stele funeraria del Faraone Pi-Ankhi recita: "...s'inerpicò sulla scala per raggiungere la grande finestra e vedere il dio Ra dentro il Benben. Da solo spostò la leva e aperte le duplici porte, scorse suo padre Ra nello splendido santuario Het-Benben. Vide Maad, la barca di Ra e Sektet il vascello di Aten."

domenica 7 giugno 2020

Un nuovo test conferma l’energia oscura e l’espansione dell’universo. - Oliver Melis



I risultati confermano il modello dell’energia oscura come costante cosmologica, e di un universo spazialmente piatto, con una precisione senza precedenti in contrasto con i dati raccolti dal telescopio spaziale Planck che suggeriva una curvatura spaziale positiva dedotta dalle misurazioni del fondo cosmico a microonde.

Il modello cosmologico standard o modello Lambda-CDM (dove CDM sta per Cold Dark Matter, ossia Materia Oscura Fredda) riproduce in maniera soddisfacente le osservazioni della cosmologia del Big Bang, spiegando le osservazioni della radiazione cosmica di fondo (CMB), della struttura a grande scala dell’universo e delle supernovae che indicano un universo in espansione accelerata.
Nel Modello standard l’energia oscura permea l’universo e ne provoca un’espansione a un ritmo sempre crescente e costituisce oltre il 70% di tutto quanto c’è nel cosmo. Questo modello ha un problema ancora irrisolto: misurando il tasso di espansione con tecniche diverse si ottengono risultati discordanti tra loro.
L’espansione dell’universo può essere misurata con diverse tecniche. Una di esse consiste nel calcolare il moto relativo delle galassie distanti. Il calcolo viene eseguito misurando la luce delle supernove di tipo Ia all’interno di queste galassie. Questo tipo di stelle presentano una luminosità standard abbastanza uniforme, quindi misurando la loro luminosità si può risalire alla distanza della galassia che le ospita. Confrontando la luminosità delle supernove Ia con il redshift della galassia si ricava il parametro di Hubble.
Con questa tecnica si è scoperto che l’Universo si espande in maniera accelerata.
Un’altra tecnica è quello di osservare lo sfondo cosmico a microonde che permea l’universo. Questa radiazione proviene dall’epoca della ricombinazione, quando i primi atomi poterono combinarsi dal plasma primordiale rendendo l’universo trasparente alla luce. Questa radiazione fossile del Big Bang ha una temperatura di circa 3 K, con piccole variazioni tra le diverse regioni del cielo. La scala di queste fluttuazioni dipende dalla velocità di espansione cosmica. Attente osservazioni effettuate dal telescopio dell’ESA Planck hanno fornito una buona misura della costante di Hubble. Questa misurazione è completamente indipendente dalla misura effettuata mediante le supernovae.
I due risultati dovrebbero essere concordi, ma in realtà non lo sono.
I risultati di Planck danno un valore della costante Hubble di circa 67 – 68 (km / s) / Mpc, mentre le osservazioni delle supernova danno un valore di circa 71 – 75 (km / s) / Mpc.
I risultati ottenuti in passato erano sovrapponibili perché abbastanza grandi, ma ora la precisione del risultato ne sottolinea il totale disaccordo. Questo non significa che l’energia oscura non esista, significa però che c’è ancora qualcosa che gli astronomi non capiscono.
Una delle difficoltà che presentano questi risultati è che dipendono dal modello. Ognuno di essi dipende da determinati presupposti sull’universo.
Uno di questi è che l’universo sia piatto.
In altre parole, la luce che giunge fino a noi dalle galassie distanti ha viaggiato sostanzialmente in linea retta. Lo spazio in generale non è incurvato. Tuttavia, dai dati di Planck emergono alcune prove su una curvatura molto piccola dello spazio, questo contribuirebbe a spiegare la discrepanza nei risultati.
Il problema dell’incongruenza è stato affrontato prendendo in considerazione altre tecniche per misurare l’espansione cosmica. Una ricerca condotta da un team dell’Università di Portsmouth ritiene che le grandi strutture nella rete di galassie presenti nell’Universo siano in grado di consentire di effettuare test più precisi, sia sull’energia oscura che sull’espansione cosmica, rispetto a quelli condotti finora.
La ricerca ha preso in considerazione i dati di più un milione di galassie e quasar raccolti in più di un decennio dalla Sloan Digital Sky Survey. La tecnica è basata su una combinazione dei vuoti cosmici, grandi zone dello spazio in espansione contenenti pochissime galassie, e la debole impronta delle onde sonore nell’Universo primordiale, note come oscillazioni acustiche barioniche (BAO), che possono essere osservate nella distribuzione delle galassie.
Questo metodo consente di misurare gli effetti diretti dell’energia oscura, che guida l’espansione accelerata dell’universo, e garantisce risultati molto più precisi nella misurazione del parametro di Hubble rispetto alla tecnica basata sull’osservazione dell’esplosione delle supernove.
I risultati confermano il modello dell’energia oscura come costante cosmologica, e di un universo spazialmente piatto, con una precisione senza precedenti in contrasto con i dati raccolti dal telescopio spaziale Planck che suggeriva una curvatura spaziale positiva dedotta dalle misurazioni del fondo cosmico a microonde.
La curvatura infatti non può spiegare i diversi valori. Per il parametro Hubble, il team ha ottenuto un risultato di circa 70 – 74 (km / s) / Mpc, che concorda con il risultato della supernova più grande. Ma le loro osservazioni si sono concentrate principalmente su galassie con uno spostamento verso il rosso di z <2 68="" 70="" 9="" a="" aggiunto="" anni="" che="" circa="" con="" concorda="" dati="" di="" distanti="" galassie="" ha="" i="" il="" in="" km="" luce.="" meglio="" miliardi="" mpc="" o="" pi="" planck.="" quando="" risultato="" s="" si="" spostato="" team="">
Il risultato dello studio mostra l’importanza delle indagini sulle galassie per determinare la quantità di energia oscura, e come questa si sia evoluta negli ultimi miliardi di anni. Riporta inoltre una misurazione molto precisa della costante di Hubble, il cui valore è stato recentemente oggetto di discussione tra gli astronomi.

domenica 25 agosto 2019

«Alexa, quanto fa 327 diviso 3?». I compiti ai tempi dell’assistente virtuale. -Francesca Milano



Sempre più studenti ricorrono ad app e ad altri dispositivi tecnologici per svolgere gli esercizi a casa. E si riapre il dibattito sull’utilità o meno dello studio fuori dagli orari di lezione.


«Alexa, quanto fa 327 diviso 3?». Altro che divisioni in colonna e calcoli a mente. Oggi i compiti si fanno con la tecnologia. Anzi, si fanno fare alla tecnologia. Il che riapre il dibattito sulla loro efficacia. Servono ancora? Oppure è inutile fingere di esercitarsi sulle operazioni matematiche se per avere il risultato basta chiedere aiuto a un dispositivo e per tradurre la versione di latino basta cercare online? Il dibattito è aperto.
Si potrebbe obiettare che da quando i docenti hanno inventato i compiti a casa, gli studenti hanno trovato il modo di alleggerire l’onere, sempre grazie agli strumenti tecnologici. Un tempo ci si dettavano gli esercizi per telefono, oggi ce li si fa dettare dall’assistente virtuale.
Esistono siti e app che contengono le risposte alle domande di tutte le materie che si studiano in ogni ordine e grado scolastico. E addirittura si può copiare senza leggere, risolvere gli esercizi di matematica fotografando la pagina del libro o ancora farsi leggere dall’assistente virtuale un testo. E poi ci sono le app per condividere i compiti e farsi dare una mano da chi è più bravo, o ancora le app che spiegano in maniera sintetica i principali concetti di storia, filosofia e letteratura.
«Tutto questo dimostra che i compiti a casa sono inutili - spiega Maurizio Parodi, dirigente scolastico e autore del libro “Così impari: Per una scuola senza compiti” -, anzi sono dannosi: l’unico effetto che sortiscono è la repulsione per lo studio e il rifiuto del libro, che viene visto come strumento di tortura».
Secondo Parodi è a scuola che bisogna imparare, non a casa. Come avviene in Finlandia, per esempio, dove i compiti sono stati aboliti ma allo stesso tempo (o forse proprio grazie a questo?) il livello di istruzione è tra i più alti. «La Francia - racconta Parodi - sta sperimentando lo studio accompagnato, strumento utile per evitare le disuguaglianze sociali causate proprio dai compiti». Infatti, secondo Parodi, i bambini svantaggiati a scuola, lo sono doppiamente se a casa non possono contare sull’aiuto dei genitori.

domenica 3 febbraio 2019

Perchè i giovani fanno fatica a trovare lavoro in Italia. - Alberto Magnani

Il lavoro c’è, ma le aziende non scovano « profili adatti». La formazione conta, ma gli studenti si ostinano a disertare le discipline tecniche-scientifiche. O ancora: le posizioni di lavoro ci sono, e stabili, ma i «bamboccioni» si rifiutano di accettare retribuzioni di ingresso inferiori alle proprie aspettative. È il repertorio di ordinanza che si legge sul cosiddetto mismatch, il divario tra le richieste del mercato del lavoro e le competenze offerte dalle nuove generazioni.
A inizio gennaio, il bollettino Excelsior realizzato da Anpal e Unioncamere ha registrato che il 31% delle aziende riscontra «difficoltà di reperimento» per 1,2 milioni di contratti programmati nei primi tre mesi del 2019, con un fabbisogno insoddisfatto di figure tecniche, scientifiche e ingegneristiche. Un dato che fa effetto, se si considera che il tasso di disoccupazione giovanile resta - saldamente - superiore al 30%.
L’equazione suggerita, fra le righe, è che i giovani non riescono ad adattarsi al mercato perché non godono delle qualifiche adatte o disdegnano retribuzioni diverse dalle quelle pretese. Ma è tutto così semplice? Non proprio, almeno per quanto riguarda le competenze. Secondo dati Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in Italia circa il 40% dei lavoratori non sono compatibili con le qualifiche del loro impiego. Ma la sorpresa è che la quota di sottoqualificati (20%) è praticamente identica a quella dei sovra-qualificati (19%): lavoratori giovani, e meno giovani, con talenti che non riescono a essere assorbiti o valorizzati dal sistema delle imprese italiane. Per un professionista al di sotto delle attese dei datori di lavoro, ce n’è uno che si scontra su un sistema incapace di premiarlo.
High skilled, vade retro.
Il primo handicap deriva dal fatto che la richiesta di profili «high skilled», ad alto tasso di qualifiche, è meno fitta di quanto si potrebbe attendere. Per farsene un’idea basta osservare più a fondo gli stessi dati Excelsior. Il report sottolinea che le difficoltà di reperimento sono cresciute di 6 punti percentuali (dal 25% di gennaio 2018 al 31% di gennaio 2019), aggravandosi nella carenza di professioni specializzate e figure tecniche. Fra gli introvabili assoluti, si legge nell’indagine, spuntano gli specialisti di area scientifica e i tecnici in campo ingegneristico: i famosi profili di area Stem (science, technology, engineering, maths) che latitano dalle nostre scuole superiori e università. Quando si controlla però il totale di posizioni aperte nell’uno e nell’altro campo, emerge che le imprese hanno intenzione di attivare 4.690 contratti per gli specialisti di area scientifica e 7.720 per ingegneri e professioni assimilate: in totale si parla di 12.410 profili, il 2% dei 441.660 che dovrebbero essere contrattualizzati a gennaio.
Viceversa, tre categorie come personale non qualificato per le pulizie (30.870), addetti alle vendite (32.230), addetti alla ristorazione (38.780) incidono sul 23% delle posizioni ambite, quasi un caso su quattro. La domanda di tecnici non è, insomma, stringente come dovrebbe trasparire dagli annunci. Soprattutto se si considera che la materia prima non manca, a dispetto dei vari allarmi sul deficit di risorse Stem. Un report del Centro studi del Consiglio nazionale ingegneri ha registrato solo nel 2016 un totale di 44.336 laureati in ingegneria (20.007 di secondo livello, 24.329 di primo), in rialzo del 2,8% rispetto ai 43.137 del 2015. Se bastassero i numeri nudi e crudi, ci troveremmo di fronte al paradosso di un settore che fatica a trovare meno di 8mila candidati a fronte di una media di laureati annui pari a quasi sei volte. 
Il vero mismatch tra domanda e offerta.
La prima tesi è che le nostre imprese siano inadatte a sfruttare il potenziale dell’offerta di lavoro, soprattutto fra neolaureati e candidati giovani. «In Italia scontiamo una struttura produttiva e una domanda di lavoro poco qualificata, a fronte di un'offerta di lavoro molto qualificata. È questo il vero mismatch», spiega al Sole 24 Ore Giovanna Fullin, docente di sociologia dei processi economici e del lavoro alla Bicocca di Milano. Le cause del divario? Sul basso livello degli impieghi offerti incide, prima di tutto, la dimensione media delle nostre imprese e il loro scarso slancio innovativo. Secondo dati Istat, in Italia si contavano 4.390.911 imprese nel 2016. Quelle di taglia micro, con un numero di dipendenti inferiore al 10, risultano 4.180.870: il 95,2% del totale, contro le appena 3.787 imprese di grande dimensione. Lo 0,08% del totale.
«Si tratta di società che, tendenzialmente, non hanno interesse ad assumere candidati di altro profilo - dice Fullin - Da qui anche i bassissimi valori degli investimenti nazionali in R&D, la ricerca e sviluppo. Un settore che garantirebbe la crescita dell’0ccupazione di qualità». Senza contare un altro gap, ma nel settore pubblico: la diminuzione di offerte di impiego nella Pa, che all’estero viene considerata uno tra i bacini privilegiati per un’occupazione di livello medio-alto. «All’estero la domanda di lavoro qualificata arriva soprattutto dalla Pa - dice - Qui, invece, le opportunità di lavoro anche nel pubblico impiego non hanno fatto altro che contrarsi».
Anelli (Bocconi): alcune lauree ’servono’ più di altre. Però...
Eppure, al tempo stesso, ci sono numeri che vanno in direzione contraria. Al di là delle statistiche Excelsior, e delle varie rilevazioni sui fabbisogni delle nostre imprese, è innegabile che alcuni corsi di laurea offrano ritorni più immediati dal punto di vista lavorativo. E si tratta quasi sempre di discipline di ambito tecnico-scientifico. Secondo dati Alma Laurea riferiti al 2017, il tasso di occupazione a cinque anni dal titolo dei laureati magistrali in ingegneria è pari al 90,1%, mentre la quota di disoccupati si ferma al 2,7% del totale. Nel gruppo letterario, a condizioni analoghe, il tasso di occupazione scende al 74,7%, mentre il tasso di disoccupazione lievita fino al 12,3%. Massimo Anelli, professore associato all’Università Bocconi, spiega che è «difficile non vedere» una correlazione fra scelta universitaria, prospettive di carriera e retribuzioni. In una sua indagine, Anelli ha provato a confrontare l’offerta di laureati fra Italia e Germania.
Risultato: «In Italia abbiamo la metà dei laureati in ingegneria, la metà dei laureati in economia, un quinto dei laureati in informatica - dice Anelli al Sole 24 Ore - E al tempo stesso più del doppio di laureati in scienze umanistiche e scienze sociale. E a 20 anni dal titolo, un laureato in economia può arrivare a guadagnare il 120% in più di un collega delle scienze umane». Certo, aggiunge Anelli, «si tratta di settori dove la ’trasferibilità’ delle competenze è molto elevata - dice - Quindi le nostre aziende fanno fatica a competere con le concorrenti internazionali e ad attrarre talenti: se un ingegnere può scegliere fra lavorare per 30mila euro lordi in una impresa italiana o per 60mila all’estero, dove andrà?».
Il problema: servono tecnici, ma di medio livello
L’effetto è straniante. Come spiega Fabio Manca, economista Ocse, «da un lato abbiamo una quota importante di lavoratori sovraqualificati - dice al Sole 24 Ore - Ma dall’altro resistono delle sacche di competenze che faticano ad essere trovate». Come è possibile? Forse, la chiave di lettura sta nel mezzo. Il nostro sistema economico può aver bisogno nell’immediato di tecnici, ma con un grado di qualifiche meno elevato di quello offerto dai nostri laureati (e dai laureati in generale). Secondo dati citati da Manca, oltre l’80% delle nostre piccole e medie imprese concentra la sua produzione su un unico bene, mentre le grandi imprese tendono nella quasi totalità dei casi alla diversificazione. Con un tessuto economico dominato da imprese medie, piccole e micro, è logico che la domanda di profili tecnici si riferisca a figure «con competenze tecniche, ma non necessariamente elevate come quelle di una laurea - spiega Manca - Ad esempio, basterebbero quelle di un istituto». E qui la palla torna, inevitabilmente, alla vecchia questione della transizione scuola-lavoro: il legame insussistente fra formazione e sistema delle imprese.
Due mondi che non dialogano e si guardano con sospetto, malgrado i vari tentativi di istituire - a parole - un sistema simile al meccanismo duale tedesco: il modello che permette agli studenti delle scuole tecnico-professionali di dividersi fra ore in aula e tirocini in azienda. Manca cita l’esperimento italiano dell’alternanza scuola-lavoro, voluta dall’allora governo Renzi con la legge 107 del 2015 e consistente nel far svolgere un certo numero di ore in azienda agli studenti di licei (200 ore) e, soprattutto, istituti tecnici e professionali. Il tentativo ha dato qualche risultato (secondo dati Almalaurea aumenta del 40,6% le chance di impiego) ma ha rilevato le sue fragilità applicative. «In Italia il rapporto scuola-lavoro non esiste, e quando esiste è conflittuale - dice Manca - La Buona scuola (la riforma che ha istituito il meccanismo dell’alternanza scuola-lavoro, ndr) aveva qualche buona intuizione, ma come spesso succede l’attuazione ha lasciato a desiderare. Ad esempio si è arrivato troppo presti sui licei e non si è dato abbastanza sostegno ai dirigenti scolastici». L’attuale governo Lega-Cinque stelle ha dimezzato il monte orario previsto dal programma.
Il nodo delle retribuzioni
L’unico aspetto che mette d’accordo (quasi) tutti è, anche, quello più evidente: le retribuzioni. Il mercato italiano soffre di un divario salariale rispetto agli altri paesi europei, incentivando quella «trasferibilità» dei lavoratori evocata da Anelli. Il gap tra gli stipendi offerti in Italia e all’estero è tanto discusso da sembrare un luogo comune. Non lo è. Gli ultimi dati Istat sul costo del lavoro mostrano un dato abbastanza scomodo per chi teorizza il «vittimismo» degli under 30 alla ricerca di un impiego compatibile con le proprie ambizioni. La retribuzione lorda oraria in Italia si attesta a 19,92 euro, sotto a una media Ue che si aggira fra i 20 e i 25 euro lordi l’ora, con picchi sopra i 25 euro in Germania e oltre i 35 euro in Danimarca. Non il biglietto da visita più accattivante, quando si entra in un mercato del lavoro.
Anche perché, come ha già scritto il Sole 24 Ore, la curva delle retribuzioni italiane tende a premiare quasi esclusivamente il fattore della seniority: lo stipendio si alza solo in base all’anzianità aziendale, raggiungendo i suoi massimi dopo i 50 anni e non nella fase di picco della produttività (in genere indicata fra i 30 e i 40 anni). Una visione “anagrafica” delle retribuzioni che sfavorisce la gratificazione economica dei lavoratori più giovani, tarpandone le ambizioni o la crescita effettiva in azienda. I numeri esorbitanti degli espatri derivano anche da qui, soprattutto se si affrontano le motivazioni che hanno indotto al trasferimento. Nel 2018 si sono registrati un totale di oltre 128mila cambi di residenza, con una quota del 37,4% del totale di età compresa fra i 18 e i 34 anni. Un’indagine Istat ha evidenziato che, sempre l’anno scorso, un totale di 28mila laureati ha lasciato il Paese, in rialzo del 4% rispetto al 2016. Il primo fattore di fuga sono le «condizioni negative del mercato del lavoro».

Leggi anche:

lunedì 5 settembre 2016

IL LENTO DECLINO DELL'IDEALE OLIMPICO. UNA SELVAGGIA MERCIFICAZIONE. - Chems Eddine CHITOUR



Rio 2016 - dia-Rio Olimpico: i campioni non tradiscono, ma il Brasile è indifferente


"Lo sport è rivelatore di come va il mondo, permette agli Stati di mettersi in mostra. Da tempo – e ancora oggi – esso è posto al servizio dalle ragioni di Stato"- 
Valérie Fourneyron, rapporto all’Assemblea nazionale francese

Ho potuto costatare che a fare incetta di medaglie sono per lo più i paesi avanzati scientificamente. È questo lo spirito olimpico? Mi sono poi accorto che lo sciovinismo se non addirittura il razzismo e il nazionalismo sono state le cose meglio distribuite in questi giochi. Nessun paese importante ne ha fatto a meno. L’abbiamo visto nella crociata antirussa. Inoltre, non è sacrilego pensare che il peso specifico di ciascuna nazione intervenga indirettamente nelle decisioni dei giudici a cui si devono talvolta giudizi controversi. Infine veniamo a sapere che alcuni responsabili del CIO si sono dati alla rivendita di biglietti.

Siamo lontani dall’ideale dei giochi olimpici dell’epoca greca. Per la cronaca, ai primi giochi olimpici dell’era moderna presero parte 245 atleti rappresentanti di 14 paesi. Gli atleti – non le atlete – disputarono 43 prove tra atletica, lotta, sollevamento pesi, ginnastica, nuoto, tiro, ciclismo e scherma. Discipline di resistenza, corse di velocità, giavellotto e disco. Da allora sono state aggiunte diverse dozzine di discipline per nulla appannaggio dei paesi poco all’avanguardia in campo tecnologico, 28 discipline, tra le quali due nuove. Il prato accomuna queste ultime. Il 2016 è stato l’anno di un grande debutto – per il rugby a sette, giudicato più spettacolare (e più facile da organizzare) – e di un grande ritorno, quello del golf, assente dal 1904. A fianco di sport tradizionali quali l’atletica, il nuoto, gli sport di lotta o la ginnastica, se ne sono aggiunti degli altri: pentathlon moderno, vela, hockey su prato o la BMX, presente dall’edizione di Pechino del 2008. L’edizione dei giochi olimpici di Tokio, nel 2020, darà spazio ad altri cinque sport: karate, baseball, surf, arrampicata e skateboard. Ne approfitteranno quei paesi in cui tali sport sono già radicati. Perché non aggiungere sport nazionali quali la corsa dei cammelli, versione poco mondana della corsa dei cavalli? Lo sport non coincide con l’Occidente, ma si è scartato tutti ciò che non è occidentale. È vero che le corse dei cavalli le troviamo in Egitto nel VI secolo, la pratica del polo nella Cina del VII e VIII secolo o a Cordova nell’IX secolo, le corse dei carri a Costantinopoli nel X secolo, le competizioni di lotta nel XII secolo in Bretagna, le famose giostre medioevali dal XIII al XVI secolo e così altre attività sportive. Ma è evidente che negli attuali giochi olimpici la maggior parte delle discipline «moderne» escluda in toto quei paesi che non hanno né le strutture né il clima adatto né il rilievo e la geografia. Non è ai sahariani che bisogna parlare di canoa kayak o di sci. Inoltre, quando si aggiungono discipline fortemente tecnologiche, nello stesso tempo si scarta la maggior parte dei paesi che non ne dispone. Basti pensare che i giochi olimpici difficilmente potranno svolgersi nei paesi del Sud. Inoltre non è mai stata presa in considerazione la cooperazione tra più paesi.

Rio in cifre: la dismisura
Siamo arrivati a 10.500 atleti, 50 volte di più. I giochi di Rio sono i primi a tenersi nel continente sudamericano. Dal 1896 trenta edizioni hanno avuto luogo in Europa, America del Nord, Asia, Oceania (Australia) o in America centrale (Città del Messico). Tutti i paesi che non hanno accesso all’acqua in forma di fiume, mare, e semplici piscine, non avrà atleti impegnati in questi sport. Il budget stimato per l’organizzazione dei giochi di Rio è di 10 miliardi di euro. Con una riduzione di circa 2 miliardi rispetto ai giochi di Londra. 5130 medaglie finanziate per il 57% da privati e per il 43% da denaro pubblico. 3,5 miliardi di spettatori per la cerimonia d’apertura. Circa 2000 eventi sportivi. A ciascun campione olimpico francese toccheranno 50.000 euro, in caso di oro. 20.000 per una medaglia d’argento e 13.000 per l’ultima piazza del podio. Per gli atleti americani 22.000 euro per una medaglia d’oro e 330.000 euro per gli atleti azeri. Non sappiamo cosa abbiano promesso le autorità algerine. Infine i giochi di Rio hanno goduto della protezione dell’ISDS, compagnia israeliana presieduta da Leo Gleser, venditore di armi ed ex agente del Mossad, per un budget di 2 miliardi di dollari.

Doping, cinismo e merchandising
Juan Antonio Samaranch, presidente CIO dal 1980 al 2001, ha preparato la mercificazione dei giochi e fatto dei giochi un’impresa molto redditizia: le entrate del movimento olimpico si sono centuplicate anche grazie alla corruzione e alla mercificazione. Noi dove siamo? Secondo Sebastien Nadot, siamo più che mai in presenza di una crisi valoriale. Dottore Ehess: «doping, cinismo politico, commercio oltraggioso dei diritti umani universali: lo sport, almeno quello di cui si parla e che vorremmo continuare ad amare, è in pessimo stato. Che lo si voglia o meno, la politica e la diplomazia hanno pesantemente piegato lo sport ai propri meccanismi. Lo sport placa le tensioni internazionali se si vuol credere all’ateniese Tucidide che descriveva i giochi olimpici del 428 a.C. come «un’occasione per favorire i contatti diplomatici in tempi di tregua sacra». I giochi olimpici di Barcellona nel 1992 hanno dato il via alla svolta commerciale. Diversi sono gli attori coinvolti: gli sportivi, gli spettatori-consumatori, i cittadini, i politici, le autorità internazionali dello sport, gli agenti economici e commerciali».

Il body shopping degli atleti
Generalmente nessun paese, se ne ha i mezzi, rinuncia a barare. Questo accade attraverso il depauperamento delle elite sportive dei paesi poveri in un processo noto come «body shopping» anche se quest’espressione veniva usata in partenza per indicare un’immigrazione voluta e non subita. In mancanza di un forte sentimento di appartenenza, questi paesi poveri non hanno mezzi per trattenere i propri atleti né per competere economicamente con i paesi ricchi che comprano i loro atleti offrendogli laudi compensi.
Come suona l’inno nazionale francese o inglese cantato da un cinese o da un ceceno arrivati come atleti off-shore che non conoscono la lingua del paese che li accoglie? Andiamo verso un nazionalismo al ribasso su cui è permesso chiudere un occhio. L’abbiamo riconosciuto nei presentatori che faticano a pronunciare il nome di quegli atleti che, in caso di fallimento, non rinunceranno a biasimare. Ricacciandoli così nelle stesse condizioni che hanno lasciato. Si parla con cattiveria del Qatar e della sua «legione straniera» di pallamano, si dimentica di dire che la squadra francese del 1998 – lo slogan dell’epoca era nero bianco blu – come quella del 2016 era composta principalmente da francesi d’origine straniera. Nero, nero, nero, avrebbe detto l’ineffabile Alain Finkielkraut denunciando il fatto e invitando a ritrovare lo spirito di Alesia anche se lui stesso è nato all’estero, e nessuno andrebbe a dirgli che è un francese nato all’estero.
È evidente che la maggior parte dei paesi occidentali sfrutti l’immigrazione anche in ambito sportivo. La proporzione può arrivare fino al 20%. Paradossalmente i paesi dell’Est e specialmente la Russia non si danno al body shopping. Altre sono le nazioni che se ne servono. Naturalizzata francese, la giocatrice di ping-pong Xue Li disputerà i suoi secondi giochi olimpici a Rio. Molto fiera di rappresentare il proprio paese d’adozione nel quale vive da undici anni. Nel 1994 la naturalizzazione danese di Wilson Kipketer, corridore keniota, aveva aperto la via. Nella squadra francese di Rio una quarantina di atleti non sono nati in Francia. «Dei 396 atleti che difenderanno i colori blu-bianco-rosso a Rio, scrive Cedric Callier, alcuni sono nati all’estero. Ciò che non impedisce al Qatar e alla sua imponente … legione straniera (ben tre quarti degli atleti del Qatar sono il frutto di una massiccia politica di naturalizzazione) di dichiararsi fieri e ben integrati. Operazione che ha provocato un’importante levata di scudi. Ultimo esempio? Al tempo dei recenti campionati europei di atletica, la Turchia ha conquistato 12 medaglie, 10 delle quali da parte di atleti nati fuori dal territorio turco! Giocatore-simbolo della pallamano francese, il campione olimpico Nikola Karabatic è nato a Nis, in Serbia. La judoka (medaglia di bronzo) Gévrise Émane, a Yaoundé, in Camerun. A Rio altri atleti naturalizzati hanno rappresentato fieramente la Francia. Come Zelimkhan Khadjiev, l’unico lottatore francese tra gli uomini. Amore per la maglia francese condiviso dalla ventenne Tamara Horacek, riserva della squadra francese di pallamano. Così Kseniya Moustafaeva, bielorussa d’origine, è la sola rappresentante francese nella ginnastica ritmica: «Ho iniziato a praticare ginnastica nel mio paese a 4 anni e sono arrivata qui che ne avevo 5».

L’ideale olimpico, la politica e la sfortuna del mondo
In un contributo precedente «i giochi olimpici; la guerra con altri mezzi» avevo scritto in merito all’esclusione della Russia per sospetto doping considerandola l’occasione per l’Occidente di punire la Russia per la sua indipendenza e il suo rifiuto di obbedire all’Impero. Risultato: la delegazione russa è stata privata di 110 atleti e nonostante questo si è posizionata quarta nel medagliere. Fa venire alla mente i giochi di Mosca boicottati dai paesi occidentali e quelli di Sochi dove la pressione fu enorme. Lo stesso è accaduto per quelli di Los Angeles boicottati dall’Urss. Il CIO stesso si è immerso nella politica dando vita a un’equipe olimpica costituita da rifugiati registrati come apolidi per sottrarli al loro paese d’origine e a cui è stato dato uno statuto … Il che dimostra come si possa fare politica attraverso lo sport.

Il lato oscuro di Pierre de Coubertin medaglia d’oro di razzismo
Coloro che si interessano della storia recente dei giochi, non potranno fare a meno di evidenziare come il barone Pierre de Coubertin, inventore dei giochi, fosse un fiero sostenitore dell’ineguaglianza delle razze. Nato alla fine del secolo in Francia, ispirato dai Renan e dai Gobineau, cantori insieme a Jules Ferry delle razze superiori, «il barone aveva un culto per la forza fisica e credeva nella necessità di una selezione naturale atta a eliminare i più deboli. I suoi giochi olimpici dovevano permettere una colonizzazione sportiva e dimostrare la superiorità della razza bianca sulle altre». Per Daniel Salvatore Shiffer: «De Coubertin stesso, nelle sue memorie (1936), si vantava di essere un «fanatico colonialista» «Le razze hanno valori differenti e alla razza bianca, d’essenza superiore, tutte le altre devono obbedire» Tanto che Coubertin, per coronare il tutto, considera lo sport il mezzo migliore per preparare la gioventù alla guerra: «Il giovane sportivo sarà evidentemente più predisposto a partire (per la guerra) rispetto ai suoi avi. E quando si è preparati per qualcosa, si fa più volentieri».

I giochi olimpici e le buone cause
Oltre alle strumentalizzazioni politiche, i giochi sono stati usati anche per sostenere delle buone cause. Per l’emancipazione dei popoli. Per la cronaca, dei giochi di Città del Messico del 1968, ci si ricorda dei famosi pugni inguantati alzati verso il cielo dei duecentisti americani Tommy Smith e John Carlos. Nessuno ha prestato attenzione al terzo corridore e pertanto scrive Riccardo Gazzaniga … «Potrebbe essere lui il vero eroe della scena. (…) Bianco, immobile sul secondo gradino del podio. 

Non alza il pugno verso il cielo (…) Tant’è che pensavo che quest’uomo, nella sua rigidità, rappresentasse l’archetipo del conservatore bianco che così esprime la sua resistenza al cambiamento che Smith e Carlos invocano silenziosamente dietro di lui (…). In realtà l’uomo bianco della foto, quello che non alza il braccio, potrebbe essere il vero protagonista di quella serata estiva del 1968. Si chiamava Peter Norman, era australiano e quella sera aveva corso come un matto, tagliando il traguardo in un incredibile 20 secondi e 06». «Il razzismo e la segregazione, prosegue l’autore, erano estremamente violenti in Australia, non solo contro i Neri, ma anche contro le popolazioni aborigene. I due afroamericani hanno chiesto a Norman se credesse nei diritti umani. Lui rispose di sì. «Gli abbiamo riferito cosa avremmo fatto, racconterà più tardi John Carlos. Mi aspettavo di vedere della paura negli occhi di Norman … Al contrario abbiamo visto dell’amore». Norman ha semplicemente risposto: «Sarò con voi». Smith e Carlos avevano deciso di salire sul podio a piedi nudi per simboleggiare la povertà che colpisce la maggior parte delle persone di colore. Avrebbero sfoggiato il distintivo del Progetto olimpico per i diritti dell’uomo, un movimento di atleti impegnati nella lotta per l’uguaglianza. Appena prima di salire sul podio, Smith e Carlos si resero conto di avere solo un paio di guanti. Volevano rinunciare a questo simbolo, ma è Norman che ha insistito consigliando loro di portarne uno ciascuno. Se guardate bene la foto, vi accorgerete che anche Norman porta il distintivo del Progetto olimpico per i diritti dell’uomo, spillato sul cuore. I tre atleti sono saliti sul podio, il resto è Storia catturata dalla potenza di una foto ormai nota in tutto mondo». «Ciò che si sa meno è che Peter Norman ha subito pesanti conseguenze. Per aver dato il proprio sostegno ai due uomini, ha dovuto dire addio a una promettente carriera. Delle semplici scuse gli avrebbero consentito di continuare (…) Ma non l’ha fatto. Col tempo Smith e Carlos sono diventati dei veri e proprio eroi avendo difeso contro tutti la causa dell’uguaglianza razziale. In California è stata eretta una statua dedicata ai due uomini con il pugno alzato … Solo l’australiano non compare. Peter Norman muore nel 2006 a Melbourne in Australia. In occasione dei suoi funerali i due sprinter americani hanno voluto portare la bara. Non dimentichiamo Peter Norman, eroe senza guanto, cancellato dalla Storia, che non ha mai smesso di lottare per l’uguaglianza degli uomini».

La debacle dello sport in Algeria
In Algeria lo sport è ancora un’utopia. I rari successi conseguiti sono indipendenti delle politiche del potere. È per proprie capacità che Boulmerka, Morcelli, Benida Merah hanno conquistato l’oro olimpico; non lo devono alle politiche dello Stato. Per la cronaca Boughera El-Ouafi, algerino di Ouled Djellal, vicino a Biskra, era un atleta fuori norma. Conquistò la medaglia d’oro alla maratona dei giochi olimpici del 1928, organizzati ad Amsterdam, nei Paesi bassi. Come al solito gli algerini dovranno pregare per avere visibilità a Rio. Non ci sarà il miracolo perché una rondine non fa primavera. Perché? Perché abbiamo sempre lavorato nell’effimero. Perché? Con solo dieci milioni di giovani del sistema scolastico avremmo potuto costruire un sistema sportivo. Ma ci affidiamo ancora all’uomo della provvidenza perché il sentimento nazionale è scomparso. Tutto si paga. Abbiamo l’impressione che il ministero della gioventù e dello sport coincida con una squadra nazionale praticamente off-shore. Lo sport dovrebbe essere praticato in maniera intensiva nelle scuole. Ricordiamo che la maggior parte degli atleti americani proviene dalle università. Dovremmo fare un serio esame di coscienza. È l’unico mezzo per riconquistare la gioventù e affrontare le competizioni restituendo visibilità dell’Algeria.

Come possiamo concludere?
Ritroviamo la stessa influenza dei ricchi in un evento sportivo che pretende di essere ecumenico. Il medagliere non significa niente, e il trionfalismo costante reca con sé qualcosa di immorale e meschino. Siamo in diritto di dubitare della rilevanza di questi giochi, destinati al fallimento. Più veloce più alto più lontano è uno slogan a cui nessuno ormai crede dato che dall’inizio i giochi sono falsificati dal doping e dalla mediatizzazione che si regge su un merchandising mischiato a un nazionalismo perverso che avvantaggia solo le oligarchie finanziarie che tirano i fili. Quando le luci si spengono i cittadini lusingati dal nazionalismo perverso, ritornano a una quotidianità amara. Pitagora aveva sicuramente ragione: «Lo spettacolo del mondo assomiglia a quello dei giochi olimpici: alcuni ci commerciano, alcuni pagano in prima persona, altri si accontentano di guardare». È chiaro che coloro che commerciano non sono interessati al valore dell’avvenimento. Così va il mondo.

Risultati immagini per peter norman
Peter Norman, Tommy Smith e John Carlos

Professor Chems Eddine Chitour
Fonte: www.legrandsoir.info
Link: http://www.legrandsoir.info/les-jeux-olympiques-du-xxeme-siecle-la-guerre-par-d-autres-moyens.html
28.07.2016

Traduizione per www.comedonchisciotte.org a cura di VOLLMOND

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16843

giovedì 5 maggio 2016

Il tram elettrico senza binari e senza cavi circola a Parigi. - Pino Bruno

Bluetram Bolloré a Parigi

A Parigi è in circolazione Bluetram: costa cinque volte meno di un mezzo tradizionale, non ha binari o fili e si ricarica in venti secondi alla fermata. Il tempo di far salire e scendere i passeggeri.


Il tram dei desideri è elettrico e costa cinque volte meno di un tram tradizionale, perché non ha bisogno di binari o linee aeree. Si ricarica in venti secondi ogni due chilometri, mentre i passeggeri salgono e scendono. Bluetram è già in circolazione dal 15 novembre scorso a Parigi. Due mesi di prova sulla linea degli Champs-Elysees, grazie alla collaborazione tra l'azienda Blue Solutions del gruppo Bolloré, il Comune di Parigi e l'azienda dei trasporti urbani RATP.

La soluzione proposta da Blue Solutions è agile, non richiede dispendiosi interventi infrastrutturali ed è a costo zero per il Comune. Per installare i terminali nelle fermate tra Place de l'Etoile e Concorde ci sono voluti soltanto tre giorni, e altrettanti ce ne vorranno per rimuoverli alla fine dei due mesi di sperimentazione. I Bluetram potrebbero essere una delle risposte all'appello del sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, che vuole togliere dalla circolazione tutti i mezzi pubblici alimentati a diesel entro il 2020, per migliorare la qualità dell'aria in città.

BlueSolutions ha progettato Bluetram elettrici di varie dimensioni, da 12, 18 e 24 metri, in grado di trasportare da 100 a 400 passeggeri. Quelli utilizzati per la sperimentazione sono da 6 e 12 metri, quest'ultimo con 200 chilometri di autonomia. Il Bluetram è dotato di batterie ai polimeri di litio-metallo (LMP) ad alta capacità di stoccaggio di energia, che hanno tempi di ricarica molto brevi. La stessa ricarica avviene automaticamente grazie ad un connettore telescopico, quando il mezzo si arresta alla fermata per far salire e scendere i passeggeri.

connettore telescopico Bluetram Bolloré

La sperimentazione si sta svolgendo mentre Parigi ospita la Conferenza mondiale 2015 sul clima. Negli ultimi quattro anni a Parigi le 3000 Autolib elettriche del car-sharing del gruppo Bolloré hanno percorso 110 milioni di chilometri.