martedì 24 novembre 2020

Le speculazioni di mia zia e della sua vicina di casa: le gatte di Wall Street. - Daniele Luttazzi

 

Mia zia e la sua vicina, una borgatara che si dà delle gran arie e parla con un accento straniero, come se venisse da qualche parte, sono in buoni rapporti diretti, ma nemiche sul piano finanziario, dove tentano di affermare la propria egemonia attraverso le loro società di revisione: una legge demenziale le autorizza a controllare i bilanci delle società cui fanno consulenza, con conflitti di interesse che sono giganteschi quanto i loro ricavi. Il bello è che non solo non debbono mai rispondere dei loro errori, ma più sbagliano più guadagnano, la classica gallina dalle uova sode. Le multe? Ridicole, dunque convenienti.

Mia zia, che per le sue speculazioni al ribasso viene chiamata la Samara di Wall Street, mi illustra la regola del tre: “Se leggi tre volte il bilancio di una società e non riesci ancora a capire come fanno i soldi, di solito c’è trippa per gatti. Noi siamo i gatti”. Vent’anni fa, zia fu tra i pochi a scommettere sul crollo della Enron, il gigante Usa dell’energia, in apparenza solidissimo, e guadagnò una fortuna quando la Enron implose in un gigantesco scandalo contabile. La società di revisione, di proprietà della vicina, chiuse i battenti. “La Enron derubò la banca”, dice zia, con una nota di sherry nell’alito, “ma la società della vicina fece da palo e fornì la mappa delle fognature”. Da allora, fra la zia e la vicina è in corso una guerra senza quartiere: in due, controllano la stragrande parte del business mondiale della revisione dei bilanci societari. In Italia si dividono l’88 per cento del mercato (ricavi per un miliardo all’anno, multe Consob per 2 milioni e mezzo in sei anni: una pacchia). Anche se avevano l’obbligo di farlo, non hanno visto i buchi di Parmalat, Cirio, Giacomelli, Italease, Carige, Banca Etruria, Banca Marche, Popolare di Vicenza, Mps e Popolare di Bari. Del resto, nel Cenacolo di Leonardo, solo dopo che ti hanno detto chi è Giuda gli vedi una faccia da canaglia.

Comunque, anche se due milioni di risparmiatori hanno perso un centinaio di miliardi, e fioccano i ricorsi, la zia e la vicina restano sulla cresta dell’onda. In Germania, per esempio, la società della vicina non s’è accorta dei trucchi contabili di Wirecard, il gigante dei pagamenti digitali che è finito in bancarotta dopo la scoperta dell’ammanco di 1,9 miliardi di liquidità nei suoi conti bancari; ma la vicina ha ottenuto lo stesso, dal prossimo anno, la revisione di 7 delle principali società tedesche quotate. “La supervisione europea è lenta, non ha risorse, e non è coordinata”, mi spiega zia, mentre le ciuccio le poppe (è ancora una strafiga, e facciamo sesso da quando mi svezzò, fra lenzuola ruvide, ma immacolate, in una casa colonica circondata da ortiche: avevo 15 anni, lei aveva appena cambiato sesso; fu indimenticabile, come la prima volta che vidi Shining) “cosicché i nostri pastrocchi passano spesso inosservati. Gli Stati potrebbero dotarsi di un proprio organo di revisione, ma non lo fanno. Che idioti!”. Nel 2015, zia e vicina misero da parte i dissapori per creare il cartello con cui conquistarono un maxi-appalto Consip da 66,5 milioni di euro, spartendosene i lotti. Multa dell’Antitrust: solo 23 milioni. Quanto fatturano con la pubblica amministrazione italiana? 300 milioni. L’anno prossimo ci sarà un nuovo appalto per altri cinque anni. “Tu e la vicina parteciperete di nuovo, zia?”. “Secondo te?”.

Ultim’ora. Da domenica prossima, cambia il Padre Nostro: il versetto “non indurci in tentazione” diventa “non abbandonarci alla tentazione”; e “ma liberaci dal male” diventa “ma da quando ci sei Tu, tutto questo non c’è più”.

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Mercato dei vaccini, s.o.s. ’ndrangheta. - Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

 

Mafie nell’emergenza covid - La criminalità organizzata sfrutta eventi drammatici e crisi per incrementare il proprio giro d’affari: i cosiddetti farmaci generici sono già da tempo bocconi appetitosi.

Hanno fiutato subito l’affare. Le loro voci sono state intercettate in diverse indagini. Tutti a parlare di mascherine (chirurgiche, facciali filtranti Ffp2/Ffp3), guanti in lattice, camici monouso, occhiali protettivi e flaconi disinfettanti. Come se fossero esperti del settore. Sono aumentate in modo esponenziale anche le truffe che promuovono kit di test e trattamenti per il coronavirus, come ha spiegato l’Europol, segnalando pure un aumento degli acquisti di prodotti farmaceutici e sanitari contraffatti quali appunto mascherine, antivirali o gel a base di alcol.

Il 28 marzo 2020, funzionari dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di Gioia Tauro, unitamente ai militari della Guardia di Finanza del comando provinciale di Reggio Calabria, hanno intercettato due importanti carichi di materiale medico e sanitario, contenenti 364.200 paia di guanti sterili per uso chirurgico provenienti dalla Malesia e 9720 dispositivi endotracheali, provenienti dalla Cina, utilizzati per l’intubazione di pazienti con difficoltà respiratorie. Truffe del genere sono state scoperte in diverse località: da Bari a Perugia, da Roma a Lecce. Spesso, a muoversi in situazioni del genere sono le “teste di paglia”, i prestanome. È stata un’imbarcata che ha coinvolto moltissima gente che ha intuito la possibilità di facili guadagni, a scapito della collettività. Una sorta di “tana libera tutti” che ha consentito, ancora una volta, ai furbi di uscire allo scoperto.

Durante il lockdown la richiesta di medicinali e di dispositivi di protezione individuale ha registrato una notevole impennata in tutto il mondo. La domanda è stata in parte soddisfatta rivolgendosi a fonti alternative, spesso non autorizzate e illegali, gestite o finanziate da organizzazioni criminali. Oltre al rischio di trovarsi in mano prodotti contraffatti, ancora una volta è emersa la capacità di adattamento dei faccendieri dell’emergenza, come dimostra l’operazione “Pangea XII”, che ha portato all’arresto in varie parti del mondo di 121 persone e al sequestro di farmaci potenzialmente pericolosi per un valore di oltre 14 milioni di dollari, tra cui più di 34.000 mascherine contraffatte e scadenti, “anticorona spray” e “medicine contro il coronavirus”. Secondo l’Interpol, tra marzo e aprile 2020, le mascherine sono state il prodotto sanitario maggiormente oggetto di truffe. A Istanbul, in Turchia, ne sono state sequestrate circa 1 milione con l’arresto di cinque persone sprovviste di autorizzazione che producevano in condizioni di totale insicurezza. In India, la polizia ha smantellato una fabbrica illegale e sequestrato più di 27.000 mascherine contraffatte nelle aree di Bangalore e nel Kerala. Gli autori della truffa avevano già venduto circa 75.000 unità a diversi ospedali e istituzioni statali. In Thailandia, la polizia ha perquisito una fabbrica che nella provincia di Saraburi vendeva mascherine usate come nuove.

Da tempo le mafie hanno messo le mani anche su importanti risorse della sanità pubblica. Ha fatto il giro del mondo, per esempio, la notizia pubblicata dal Financial Times secondo cui alcuni privati, nell’impossibilità di farsi liquidare da aziende sanitarie pubbliche calabresi, avrebbero venduto i loro crediti a banche e società estere. Secondo il noto quotidiano britannico, i titoli venduti a investitori internazionali tra il 2015 e il 2019 ammonterebbero a circa 1 miliardo di euro. In un caso, i titoli commerciali e le obbligazioni legate ad aziende sospettate di avere legami con la ’ndrangheta sarebbero stati acquistati da una delle banche private più importanti d’Europa. Scrive Gaetano Mazzuca sulla Gazzetta del Sud: “Ancora una volta, è il buco nero della sanità calabrese a trasformarsi in un lucroso affare per la ’ndrangheta”. Della vicenda si è occupato anche l’Ufficio investigativo della Banca d’Italia, che avrebbe individuato un pacchetto finanziario, del valore di 400.000 euro, riconducibile a un’azienda coinvolta nel settore delle apparecchiature acustiche, degli articoli medici e ortopedici. Il nome dell’azienda era già comparso nel voluminoso fascicolo dell’inchiesta “Quinta Bolgia”, con cui la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha scoperto l’infiltrazione dei clan lametini nella sanità pubblica, tanto da far decidere al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, lo scioglimento dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro. L’azienda coinvolta era riuscita a mettere le mani sul servizio delle autoambulanze sostitutive del servizio pubblico, delle onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario, del trasporto del sangue, escludendo dal mercato le altre ditte mediante un’illecita concorrenza e cercando di turbare, tramite atti illeciti, la regolarità delle gare di affidamento.

Quello dei debiti della pubblica amministrazione, soprattutto nel settore della sanità, rischia di diventare terreno fertile per l’infiltrazione della criminalità mafiosa. “La criminalità organizzata, grazie alla complicità di apparati burocratici contigui o compiacenti”, spiega Domenico Guarascio, magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, “condiziona sempre più le gare d’appalto. Le forniture di beni e servizi verso le Asp sono spesso gonfiate anche grazie all’emissione di fatture false o all’erogazione di prestazioni di valore inferiore rispetto al normale”. C’è anche il rischio concreto che le mafie possano appropriarsi del mercato dei vaccini, come ha avvertito nel giugno 2020 lo stesso capo della polizia, Franco Gabrielli, nel suo intervento in videoconferenza con i vari Paesi che aderiscono al progetto I-Can (Interpol Cooperation against ’ndrangheta). In particolare, Gabrielli ha spiegato come la ’ndrangheta punti alla possibilità di entrare in società che gestiscono la produzione di farmaci e vaccini. Quello dei cosiddetti “equivalenti”, ovvero i farmaci generici, è un mercato in continua crescita. In Nord America organizzazioni criminali riconducibili alla Russia e alla Georgia hanno cominciato a mettere le mani su aziende che riproducono farmaci con la copertura brevettuale scaduta. Negli Stati Uniti, dove non esiste l’assistenza sanitaria garantita dallo Stato, sono proprio le assicurazioni a incentivare il consumo dei farmaci generici, che costano molto meno. Ci sono poi nuovi canali di distribuzione come il dark web, dove è possibile acquistare di tutto e dove i farmaci più richiesti sono l’anticolesterolemico atorvastatina e quelli volti a migliorare le prestazioni fisiche e sessuali.

© 2020 Mondadori Libri Spa, Milano

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Sci-muniti. - Marco Travaglio

 

Il Covid-19 ci ha regalato due ondate e, se tutto va male, a gennaio arriva la terza. Invece la cosiddetta informazione sforna un’ondata alla settimana. Ma non di virus: di cazzate. C’è la settimana del governo Draghi (la prima di ogni mese), quella del Mes (la seconda), quella del rimpasto, quella delle troppe scarcerazioni (colpa di Bonafede), quella delle troppe carcerazioni (colpa di Bonafede), quella del governo senza “anima”, quella di Conte che decide sempre tutto da solo, quella di Conte che non decide mai niente neanche in compagnia, quella che le scuole che non riapriranno mai (colpa della Azzolina), quella che riaprire le scuole è stato un errore (colpa della Azzolina), quella che devono decidere le Regioni, quella che deve decidere il governo, quella che ci vuole il lockdown, quella che meno male che non s’è fatto il lockdown, quella che i vaccini arrivano troppo tardi (colpa di Arcuri), quella che i vaccini che arrivano troppo presto (colpa di Arcuri), quella di Salvini europeista liberale, quella di B. che è diventato buono. La settimana scorsa era quella del “salviamo il Natale”. Ieri, altro giro di giostra: “Salviamo le vacanze sulla neve”.

Un’allegra combriccola di buontemponi che si fan chiamare “governatori” e “assessori” di alcune fra le Regioni peggio messe (le zone rosse Lombardia, Piemonte, Alto Adige, Val d’Aosta, l’arancione Friuli-Venezia Giulia e le gialle Veneto e Trentino), chiede di riaprire la stagione sciistica. Con 600-700 morti al giorno e molti ospedali in overbooking, gli sci-muniti pensano alle “linee guida per l’utilizzo degli impianti di risalita nelle stazioni e nei comprensori sciistici da parte degli sciatori amatoriali”. Gli assessori lombardi Caparini e Sertori, in rappresentanza di una giunta che non riesce nemmeno a comprare i vaccini antinfluenzali per medici, anziani e malati, spiegano spensierati che chiudere gli impianti di sci è stata addirittura “una scelta scriteriata e incomprensibile da parte di un governo disorientato” (loro invece sono lucidi). Intanto i giornaloni raccolgono gli appelli di Alberto Tomba e di altri cervelli in fuga. Tutti a strillare che lo sci “è uno sport all’aperto e individuale” (come se gli assembramenti si verificassero sulle piste e non prima e dopo le discese, cioè negli hotel, negli impianti di risalita, nei rifugi e nei locali serali di “après ski”) e bisogna “dare un segnale positivo” (al Covid-19). È la stessa demenza collettiva che prima voleva “salvare la Pasqua”, poi “il ferragosto”, “la movida”, “le discoteche”. La stessa follia che ancora a metà settembre, mentre i contagi risalivano, portò la Conferenza delle Regioni a chiedere di riaprire gli stadi fino al 25% della capienza. Quando arriva il vaccino contro i cretini?

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Vaccini Covid: 1 regione su 2 è ancora senza piano. - Natascia Ronchetti

 

Dopo i due vaccini anti-Covid messi a punto negli Stati Uniti dalla partnership Pfizer-Biontech e da Moderna, nella corsa agli annunci (e a chi ce la farà prima), arrivano anche i risultati preliminari dei testi clinici condotti in Regno Unito e Brasile arrivati in fase 3 del vaccino europeo, quello sviluppato da Irbm – il gruppo di Pomezia specializzato nella ricerca farmaceutica – insieme all’Università di Oxford e alla multinazionale britannica AstraZeneca.

Il nuovo vaccino, per il quale la commissione dell’Unione europea ha pattuito con la big pharma inglese l’acquisto di 300 milioni di dosi per tutti i Paesi Ue (con una opzione per altri 100 milioni), ha una efficacia media intorno al 70%, che però può arrivare al 90: dipende dal dosaggio. La sperimentazione ha dimostrato che la somministrazione di due dosi genera una protezione del 62% ma quella di una mezza dose, seguita da una intera, la porta al 90. Certo, si tratta di una soglia inferiore a quella può essere raggiunta dai vaccini targati Pfizer-Biontech e Moderna (rispettivamente 95 e 94,5% di efficacia). Ma quello di AstraZeneca offre altri vantaggi, come il fatto di poter essere conservato e trasportato a una temperatura che oscilla tra i 2 e gli otto gradi, a differenza del preparato di Pfizer che richiede una refrigerazione di 70-80 gradi sotto zero. Inoltre il prezzo sarebbe decisamente più conveniente. Il vaccino AstraZeneca costa 2,80 euro, richiamo compreso, contro i 16-20 euro a dose degli altri due vaccini americani, per i quali in questi giorni sarà depositata la richiesta di autorizzazione di emergenza alla Food and Drug Administration, l’agenzia del farmaco Usa.

Fin qui tutto bene. I problemi, però, arrivano quando si va a verificare la rapidità della risposta dei sistemi regionali alla predisposizione di un piano nazionale di stoccaggio e somministrazione dei vaccini alla popolazione, a partire dagli operatori sanitari e dagli ospiti delle residenze per anziani, i più esposti al contagio.

Entro venerdì scorso tutte le Regioni avrebbero dovuto inviare a Domenico Arcuri, il commissario straordinario per l’emergenza pandemica, un piano dettagliato, con l’individuazione dei luoghi più idonei per stoccaggio e somministrazione. Una richiesta fatta il 17 novembre. E alla quale, alla scadenza, hanno risposto solo dieci Regioni: una su due. Non ce l’hanno fatta, a rispettare il termine del 20 novembre, né al Nord né al Sud. Dal Veneto al Friuli-Venezia Giulia, per arrivare alla Campania. Nonostante le ripetute sollecitazioni di Arcuri – e la concessione di uno slittamento della scadenza – ieri alle 16 mancavano all’appello ancora sette regioni. Questo a poche ore dal termine ultimo della proroga, fissato proprio a ieri: le 24. In vista della probabile disponibilità dei vaccini a partire dai primi mesi del prossimo anno, Arcuri ha chiesto alle Regioni, per “definire il piano di fattibilità in questa prima fase di somministrazione”, di individuare “in ogni provincia le idonee strutture”, capaci di rispettare alcuni vincoli. Vincoli che riguardano la conservazione e la somministrazione del vaccino Pfizer, “il cui iter di validazione sembra essere, ad oggi, il più avanzato” e di cui l’Italia già da gennaio potrebbe disporre di 3,4 milioni di dosi per vaccinare 1,7 milioni di persone. Vale a dire, celle frigorifere a meno 75 gradi per la conservazione di sei mesi; nelle apposite borse del fornitore per 15 giorni.

Il ritardo si somma ad altri ritardi, soprattutto se confrontato con altri Paesi europei. La Germania già i primi di novembre aveva previsto l’attivazione di 60 centri per la vaccinazione, dando mandato agli Stati federali di individuarli e comunicarli entro il 10 dello stesso mese al ministero della Salute. In Italia tutto si inserisce nel quadro di un sistema nazionale dei trasporti e della logistica molto fragile. “Le imprese del settore non sono preparate per affrontare lo stoccaggio e il trasporto dei vaccini – spiega Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio liberalizzazioni trasporti e infrastrutture –. Non lo erano nemmeno per quelli antinfluenzali. Sono arretrate, poco digitalizzate, come del resto conferma la gestione della logistica dei prodotti farmaceutici affidata a operatori stranieri”.

L’aeroporto di Bruxelles ha già messo le mani su una fetta sostanziosa del mercato del trasporto dei vaccini anti-Covid: sulla piattaforma a temperatura controllata è stato già sperimentato il trasporto di carichi aerei altamente termosensibili nei 30mila metri quadrati del Bruxelles Pharma Center. Con la simulazione di due spedizioni, una con temperatura di -70 gradi, è riuscito a mantenere le condizioni prescritte, grazie anche all’uso di ghiaccio secco sia all’interno del magazzino, sia durante il carico sui veicoli industriali. A Malpensa l’Italia può contare sull’area PharmaZone, che però si estende su una superficie di soli 600 metri quadrati ed è divisa in diverse aree a temperatura controllata, da -25 gradi a +8, con strutture inadeguate. “Il che equivale a dire – osserva Balotta –, che siamo nudi alla meta”.

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lunedì 23 novembre 2020

M5S verso una governance collegiale. Ecco il documento di sintesi su organizzazione, regole e principi. Andrà al voto su Rousseau. -

 

“Gli Stati Generali hanno rappresentato l’inizio di un percorso fatto di partecipazione ed entusiasmo che ha raccolto idee e proposte. I contributi che hanno consentito di tracciare la parte tematica, come già reso noto, verranno ulteriormente arricchiti grazie al supporto e al coordinamento del Team del Futuro e al coinvolgimento del maggior numero possibile di iscritti al MoVimento. Il percorso tematico dell’Agenda per il Paese ripartirà nelle prossime settimane”. E’ quanto scrive sul Blog delle stelle il capo politico M5S, Vito Crimi, presentando il documento di sintesi (disponibile qui) dedicato a organizzazione, regole e principi del Movimento 5 Stelle.

“Un MoVimento  – prosegue l’esponente pentastellato – che in questi anni è cresciuto, ha realizzato tanti degli obiettivi per il Paese che si era prefisso, e che ha confermato la volontà di proporsi come forza di governo in grado di costruire e dare risposte concrete ai cittadini. Per realizzare questi obiettivi e rispondere alle nuove sfide che ci attendono, il MoVimento ha la necessità di dotarsi di un’organizzazione e di regole all’altezza di questo ruolo. I contenuti del documento di sintesi sono il frutto del lavoro svolto nel corso degli Stati Generali a partire dalle riunioni territoriali fino all’evento nazionale, e saranno sottoposti, per parti separate, al voto dell’assemblea degli iscritti sulla piattaforma Rousseau. Voto il cui esito costituirà l’atto di indirizzo a cui gli organi del MoVimento preposti, attuali e futuri, e i suoi portavoce, dovranno attenersi”.

“Per le parti in cui si renderà necessario apportare modifiche allo Statuto, al Codice Etico, ai regolamenti esistenti, conclude Crimi, gli organi preposti formuleranno le relative proposte che saranno di volta in volta sottoposte al voto dell’assemblea degli iscritti. Per alcuni temi che richiedono un ulteriore lavoro di approfondimento, saranno costituiti appositi tavoli di lavoro”.

“Trasferire le funzioni oggi attribuite al Capo politico ad un organo collegiale – si legge in uno dei passaggi del documento -, che combini rapidità ed efficienza nell’azione politica. Attribuire alcune funzioni di indirizzo politico, nonché di convocazione dell’assemblea degli iscritti, ad un organo collegiale ad ampia rappresentatività dei livelli istituzionali, territoriali, anagrafici e di genere”.

“In questi mesi abbiamo lavorato con grande passione e partecipazione su temi, idee e principi che tracceranno la traiettoria del Movimento5stelle e del Paese. Sono state raccolte delle proposte comuni che partono dalla base, che è il vero motore del Movimento. Abbiamo dimostrato che la democrazia dal basso, tanto auspicata, può essere resa possibile! Continuiamo a lavorare con ancora più fervore per far sì che siano i cittadini a decidere del futuro di questo Paese” ha scritto su Facebook la vicepresidente del Senato, Paola Taverna.

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Financial Times: ecco le dieci cose che la crisi da covid cambierà a lungo termine. - Martin Wolf

 

Il Covid-19 ha provocato una recessione economica di enormi proporzioni, tutt’altro che uniforme tra i vari Paesi. Dalla globalizzazione, al fallimento dei populismi, all'uso della tecnologia: ci troveremo davanti un mondo diverso.

Cosa ci hanno insegnato 10 mesi di Covid-19? Per il momento, quello che sappiamo è che il mondo non era preparato ad affrontare la pandemia, innanzitutto, e che il virus ha causato finora circa 1,1 milioni di morti, soprattutto tra gli anziani, e alcuni Paesi hanno reagito meglio di altri. Sappiamo anche che il Covid-19 ha provocato una recessione economica di enormi proporzioni, e che questa è stata tutt’altro che uniforme tra i vari Paesi. Ne hanno subito maggiore danno i giovani, i lavoratori relativamente poco qualificati, le madri lavoratrici e gli appartenenti a minoranze deboli.

Sappiamo che il cosiddetto “distanziamento sociale”, in parte spontaneo e in parte forzato, ha danneggiato tutte le attività basate sulla prossimità umana, a beneficio di quelle che si possono fare da casa. Quasi nessuno viaggia più. Sappiamo che tantissime aziende usciranno dalla crisi cariche di debiti e molte altre non ne usciranno affatto. Sappiamo che le istituzioni fiscali e monetarie internazionali hanno messo in campo interventi senza precedenti in tempi di pace, soprattutto nei Paesi con valute accettate al livello internazionale. Sappiamo, non da ultimo, che lo scambio di accuse sulle responsabilità della pandemia ha destabilizzato le relazioni tra Stati Uniti e Cina e che, inoltre, il virus ha già messo in crisi la globalizzazione, soprattutto sul piano delle filiere produttive.

A partire da tutto ciò, è possibile delineare degli scenari a lungo termine? E quali? Nei dieci punti che seguono proveremo a indicare alcuni spunti.

Primo, l’evoluzione della pandemia. È possibile che molto presto si individuerà un vaccino (o più d’uno) definitivo contro il Covid-19, ed è altrettanto possibile che quest’ultimo venga messo a disposizione del mondo intero a tempi di record. Tuttavia, a ben guardare l’una cosa sembra escludere l’altra. Il rischio, perciò, è che il virus resterà ancora per molto tempo una minaccia concreta.

Secondo, la durata della crisi economica. L’entità delle perdite dipende in parte dalla velocità con cui riusciremo a mettere sotto controllo la malattia. Bisognerà però valutare quanto profonde saranno le cicatrici che questa ferita lascerà sul nostro tessuto sociale, in particolare in termini di disoccupazione, debiti insoluti, aumento di povertà, divari nell’accesso all’istruzione e così via. L’economia del mondo intero, come quella della maggior parte dei singoli Stati, usciranno probabilmente dalla pandemia ridotte di taglia in modo permanente, e la popolazione risulterà complessivamente più povera.

Terzo, la composizione dell’economia. Torneremo mai allo stile di vita pre-Covid-19? Oppure smetteremo definitivamente di viaggiare e di lavorare come pendolari? La cosa più probabile è che entrambe le ipotesi si verificheranno, cioè che viaggi e pendolarismo potranno riprendere, ma non torneranno ai livelli precendenti la pandemia. Inoltre, il Covid ci ha catapultato in un mondo nuovo ad alto tasso di “virtuale”, che difficilmente abbandoneremo anche dopo la crisi. Questo avrà effetti positivi su alcune forme di vita e di lavoro.

Quarto, il ruolo della tecnologia. Lo abbiamo detto. Non torneremo indietro sull’espansione tecnologica, ma è vero che il peso sempre maggiore acquisito dalle big tech di recente ha attirato l’attenzione pubblica sul potere che hanno nelle nostre società. È immaginabile che questo accrescerà la tendenza alla regolamentazione dei monopoli tecnologici e all’aumento della concorrenza.

Quinto, la centralità dei governi. Le grandi crisi tendono a provocare grandi salti di qualità nell’azione di governo. Con il Covid è cresciuta la richiesta sociale di “ricostruire” il ruolo del pubblico, ed eventualmente anche accrescerlo. Perciò è opportuno valutare la probabilità che i governi diventino sempre più interventisti in economia.

Sesto, il focus degli interventi. Le banche centrali di tutto il mondo si sono impegnate a tenere bassi i tassi di interesse per molto tempo. Se ciò resterà vero sia per i tassi reali che per quelli nominali, i governi saranno effettivamente in grado non solo di gestire i propri deficit, ma anche di cooperare per la ristrutturazione di quelli altrui. A un certo punto, tuttavia i disavanzi fiscali dovranno necessariamente essere ridotti e, stanti le pressioni dell’opinione pubblica per l’aumento di spesa, è possibile che i governi si orienteranno verso un aumento delle tasse, in particolare quelle per i ricchi.

Settimo, la politica interna. Alcuni paesi hanno messo in campo risposte efficaci contro la crisi pandemica, altri no. Nella valutazione del successo delle misure, tuttavia, non sembra essere stato rilevante il fattore della democraticità dei paesi. Invece, quello che sembra aver giocato un ruolo importante è il senso di responsabilità mostrato dai governanti rispetto all’efficacia delle loro azioni. La demagogia populista dei vari Jair Bolsonaro, Boris Johnson e Donald Trump ha ottenuto pessimi risultati nella gestione della pandemia, perciò il Covid potrebbe forse aver fermato la corsa del populismo.

Ottavo, le relazioni internazionali. La crisi che stiamo vivendo è davvero globale, perciò può essere gestita efficacemente solo attraverso la cooperazione internazionale. Eppure, la pandemia sembra aver rafforzato le tendenze all’unilateralismo e allo scontro frontale tra paesi. Esistono anzi buone probabilità che la situazione peggiori, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra Stati Uniti e Cina.

Nono, il futuro della globalizzazione. La globalizzazione delle merci aveva già subito un brusco rallentamento dopo la crisi finanziaria del 2008. Dopo il Covid-19 è probabile che si ritroverà ulteriormente frenata. La pandemia può erodere il sistema di scambi multilaterale, e in particolare il ruolo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, mentre le controversie commerciali tra Occidente e Cina non sembrano avviate a una risoluzione. Quanto alla globalizzazione virtuale, invece, è probabile che crescerà.

Decimo, la gestione dei beni comuni globali. Da questo punto di vista il Covid-19 è un’arma a doppio taglio. Da un lato, infatti, ha accresciuto il desiderio di una politica milgliore tanto sul piano nazionale che su quello internazionale, in particolare riguardo al clima. Dall’altro lato, però, il Covid ha indebolito la legittimità degli accordi internazionali, soprattutto per paesi come gli Stati Uniti che si sono ritirati dall’accordo di Parigi sul clima e dall’Organizzazione mondiale della sanità.

In conclusione, è chiaro che il Covid-19 è stato e sarà un shock profondo per il mondo, a solo 12 anni dall’enorme sconvolgimento della crisi finanziaria globale del 2008. Sicuramente la pandemia avrà effetti importanti e a lungo termine sull’economia, le imprese, la politica interna e le relazioni internazionali. I cambiamenti saranno molti, e molti di essi saranno imprevedibili.

Fonte: FT.com

Traduzione di Riccardo Antoniucci

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/23/financial-times-ecco-le-dieci-cose-che-la-crisi-innescata-dal-coronavirus-cambiera-a-lungo-termine/6013234/

La metà dei prestiti garantiti al Nord. Sud a rischio usura. - Patrizia De Rubertis

 

Le imprese chiedono sempre più liquidità, anche perché la ottengono a basso prezzo grazie alle garanzie statali. Ma il flusso di questi soldi si ferma soprattutto al Nord, con un rischio usura nelle regioni del Sud. A otto mesi dall’avvio dei prestiti garantiti, introdotti dal dl Liquidità, da una parte ci sono i dati forniti dall’Associazione bancaria (Abi) che rilevano l’ingente crescita delle richieste di finanziamento arrivate al Fondo centrale di garanzia che hanno smosso crediti per oltre 106 miliardi. Dall’altra parte ci sono i numeri che arrivano dal territorio elaborati dal sindacato dei bancari Fabi che mostrano uno “squilibrio” nell’erogazione dei soldi: oltre il 52% dei finanziamenti garantiti dallo Stato sono andati a quattro Regioni (Lombardia 23%, Veneto 11,4%, Emilia-Romagna 10,2%, Toscana 8,2%) dove opera, però, appena il 37% di Pmi e partite Iva. Due facce della stessa medaglia.

Dal 17 marzo al 20 novembre, ha spiegato il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini, nel corso di un’audizione in commissione Bilancio, sono arrivate 1 milione e 290 mila domande al Fondo di garanzia per le Pmi per un importo che ha già superato i 100 miliardi di liquidità, soglia ipotizzata dal governo all’emanazione del decreto. Di queste domande, 991 mila (oltre 19,4 miliardi) sono per prestiti fino a 30 mila euro con garanzia statale del 100% e durata di 10 anni concessi in automatico senza necessità di un’istruttoria. Poco più di 277 mila le richieste di finanziamento fino a 800.000 (non si deve superare il 25% dei ricavi) per un totale di 82,2 miliardi. Si tratta di prestiti con durata massima di 72 mesi e garanzia al 90%, ma estendibile fino al 100%.

Una massa senza precedenti di denaro che si è fermata a Bologna. La rilevazione della Fabi mostra evidenti discrepanze su base territoriale. Gli estremi sono dati da Lombardia ed Emilia-Romagna che hanno ricevuto più di un terzo del totale. dall’altra parte c’è il Molise con 4.854 richieste pari allo 0,5% del totale e 89 milioni di euro complessivi. È nelle Regioni del Centro-Nord che si concentra sia l’erogazione dei mini-prestiti che di quelli fino a 800.000 euro. Eppure in questi territori la maggior parte delle fabbriche non ha chiuso durante il lockdown di marzo e aprile. Mentre al Sud, dove c’è più bisogno di liquidità, i prestiti garantiti scarseggiano spingendo il ricorso a forme alternative di finanziamento non legali. “In una situazione così difficile non bastano i finanziamenti: sono indispensabili anche stanziamenti a fondo perduto anche per evitare che famiglie e imprese possano essere costrette a chiedere denaro agli usurai”, commenta il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. Tanto che nei primi sei mesi dell’anno, le segnalazioni di operazioni sospette lavorate dalle banche hanno raggiunto quasi 50 miliardi, di cui il 99% relativo al rischio riciclaggio.

Le moratorie sui crediti scadranno il 31 gennaio. Al ministero dell’Economia stanno valutando la possibilità di prevederne un ulteriore prolungamento da inserire nella manovra o nel Milleproroghe. Con un occhio alla possibile esplosione dei crediti deteriorati da parte di imprese e famiglie che potrebbero non essere in grado di restituire i prestiti ottenuti.

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