Blitz ai cantieri Culturali della Zisa. Timbravano e andavano al bar, a fare la spesa oppure jogging.
I finanzieri l’hanno denominata operazione “Timbro libera tutti”. É la fotografia di quanto sarebbe avvenuto all’interno dei Cantieri culturali della Zisa. I fatti sono nel 2018, ma molti lavoratori sono ancora in servizio. Da qui le attuali esigenze cautelari ritenute sussistenti dal Gip Rosario Di Gioia per 28 dei 43 indagati.
Otto persone finiscono agli arresti domiciliari, per 14 scatta l’obbligo di dimora e presentazione alla polizia giudiziaria e per sei il solo obbligo di presentazione.
Gli indagati per truffa sono dipendenti del Comune (11), del Coime (3) e della Reset (14). Tra di loro anche un soggetto indagato per mafia.
Su richiesta della Procura, l’indagine è coordinata dall’aggiunto Sergio Demontis e dal sostituto Maria Pia Ticino, vanno ai domiciliari Dario Falzone, 69 anni, Antonio Cusimano, 60 anni, Gaspare Corona, 69 anni, Mario Parisi, 61 anni, Francesco Paolo Magnis, 61 anni, Salvatore Barone, 47 anni (è un sindacalista molto noto che ha da sempre combattuto battaglie al fianco dei precari), Giancarlo Nocilla, 48 anni e Tommaso Lo Presti, 50 anni. Quest’ultimo è già indagato per mafia ed è cugino di due boss di Porta Nuova, Tommaso Lo Presti soprannominato il pacchione e il cugino omonimo detto il lungo.
L’obbligo di dimora è stato notificato a Fabiola Selvaggio, Giuseppe Muliello, Silvana Caravello, Massimo Pipi, Rosaria Gebbia, Francesco Caruso, Salvatore Consiglio. Salvatore Reina, Isidoro Chianello (è il padre di Angela da Mondello, il cui “non ce n’è Covid” è diventato un tormentone prima social e poi mediatico), Francesco Paolo Tinervia. Massimo Vesco, Mario Nuccio, Davide Nuccio. Vita D’Aiuto.
Obbligo di firma per Antonino Muratore, Maria Angela Di Carlo, Filippo Pecoraro, Marina Megna, Francesco Madonia e Francesco Ferraro. Ci sono anche altri 15 indagati.
Gli investigatori del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo – gruppo tutela mercato beni e servizi – hanno pedinato e filmato le assenze dei laboratori che timbravano e poi si allontanavano per fare la spesa al supermercato o shopping, andare al bar, o addirittura praticare jogging.
In molti casi un collega timbrava il bagde per tutti. Oppure si faceva ricorso allo strumento straordinario della “rilevazione manuale”, che consente in caso di “dimenticanza” del cartellino personale, di attestare la propria presenza al lavoro tramite comunicazione scritta.
Una telecamera nascosta piazzata vicino all’apparecchio per la rilevazione elettronica delle presenze ha registrato in poco più di tre mesi, nel 2018, oltre mille casi di assenza ingiustificata per circa 2.500 ore di servizio.
“L’attività investigativa ha svelato l’esistenza di un fenomeno illecito estremamente diffuso all’interno della struttura pubblica cittadina – spiega il generale Antonio Quintavalle Cecere, comandante provinciale della finanza di Palermo- , un modus operandi divenuto cronico a tal punto da essere considerato come un comportamento ‘normale’. Alcuni degli indagati hanno costituito delle vere e proprie ‘squadre di lavoratori assenteisti’ che provvedevano ad effettuare reciprocamente la timbratura dei badge dei propri compagni in modo da non far risultare i periodi di assenza dal lavoro. Purtroppo registriamo ancora una volta la sistematica violazione dei principi di diligenza, lealtà e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare”.
“È emerso un sistema patologicamente orientato al malaffare a danno della pubblica amministrazione cittadina, in un contesto che appare di assoluta arbitrarietà nello svolgimento dei compiti lavorativi – aggiunge il colonnello Giancluca Angelini, comandante del Nucleo -. L’aspetto più allarmante è il diffuso senso di impunità che ha permeato un numero significativo di pubblici dipendenti che si sono sentiti liberi di violare sistematicamente le regole del rapporto di impiego, come se si trattasse di comportamenti normali, emergendo un sentimento di disaffezione al servizio che ha portato a compromettere con assoluta disinvoltura il rapporto di fedeltà con la pubblica amministrazione. In tali contesti, il controllo sociale riveste un ruolo determinante: nessuno deve più tollerare comportamenti di pubblici dipendenti che non siano improntati al rigoroso rispetto dei propri doveri nell’interesse generale della collettività.
LveSicilia